PELLEGRINI DI SPERANZA
SERVIRE LA VITA, SERVIRE LA SPERANZA
“Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Da questo intreccio di speranza e pazienza appare chiaro come la vita sia un cammino che promette e garantisce che “la speranza non delude” attraverso la storia e la testimonianza di donne e uomini che sono segni tangibili di speranza” (Spes non confundit 2.5).
Sono parole di Papa Francesco, che ci invita a servire la speranza dove la vita accade, attraverso la scelta di un cammino spirituale capace di plasmarci interiormente come profeti di speranza, affinché nelle terre esistenziali della quotidianità possiamo diventare generatori di speranza e nelle relazioni riconciliate con noi stessi, con gli altri e con Dio, riveliamo i tratti dei cercatori di speranza. Tutto questo assurge all’immagine “giubilare” dei pellegrini di speranza.
Pellegrini di speranza
L’anno pastorale che stiamo iniziando sarà fortemente connotato dal Giubileo indetto dal Papa per il 2025. Sarà un’occasione di Grazia, in cui sperimentare intensamente la gioia del tornare a Dio, dell’appartenere alla Chiesa, dello sperare insieme a tutta l’umanità un mondo nuovo, più giusto e più fraterno. Una speranza che oltrepassa i confini della storia, una speranza più forte della morte.
Le guerre che la cronaca quotidiana mette davanti agli occhi, l’inverno demografico e il degrado ambientale che caratterizzano la nostra civiltà, il disorientamento generato da un mondo che cambia rapidamente, le fatiche del vivere che ciascuno di noi sperimenta, possono farci cadere in letture depressive dell’esistenza, della storia, della stessa missione della Chiesa, che paralizzano la speranza e svuotano di senso ogni cammino.
Il Giubileo ci invita a farci “pellegrini di speranza”, per rianimare nel nostro cuore e in quello degli altri, a partire da un rinnovato incontro con il Signore, la fiducia squisitamente pasquale di una vita nuova per tutti. Non si tratta di ingenuo ottimismo o di eroico volontarismo: coltiviamo e chiediamo la virtù teologale della speranza che è dono di Dio e frutto della nostra fede in Lui.
Consapevoli di essere una Chiesa sempre più fragile, ci mettiamo con umiltà a servizio di un mondo ancora più fragile; coscienti del nostro peccato annunciamo a tutti il Vangelo della misericordia; immersi in una complessità sempre più articolata e connessa, diffidiamo da soluzioni frettolose, semplificatorie, o addirittura aggressive e riproponiamo con limpidezza evangelica la conversione del cuore, che sola rende possibile un mondo realmente diverso; travolti dal mondo globalizzato e accelerato, osiamo riproporre la virtù della pazienza, che si fa tessitura lenta, silenziosa e quotidiana di rapporti nuovi e generativi, sostenuti e guidati dallo Spirito Creatore, in attesa di un compimento che non può essere solo frutto delle nostre mani, ma esito di una promessa a cui vogliamo dar credito. Tutto questo sia il nostro Giubileo!
L’anno giubilare proposto nella Legge di Mosè, doveva ristabilire l’ordine e la giustizia sociale, nel rispetto del creato, attraverso la liberazione degli schiavi, il condono dei debiti, il ritorno al disegno originario di Dio per il suo popolo. In realtà, questo non si realizzò mai. L’attesa del Messia, alimentata dalla parola dei profeti e connotata dalla speranza, non esonerava dalla conversione del cuore, ma manifestava la fondamentale confidenza in Dio, a cui Gesù di Nazareth darà risposta.
“Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19).
Siamo “pellegrini di speranza”: camminiamo gli uni al fianco degli altri, verso la mèta che è Cristo: è Lui il nostro Giubileo, è Lui la nostra indulgenza, è Lui la nostra speranza, è Lui la salvezza del mondo!
Il “logo” ufficiale del Giubileo
Essere “pellegrini di speranza, peregrinantes in spem” è rappresentato da quattro figure stilizzate, simbolo dell’umanità proveniente dai quattro angoli della terra. Sono una abbracciata all’altra per indicare la solidarietà e fratellanza che deve accomunare i popoli. La prima è aggrappata alla Croce: è il segno non solo della fede che abbraccia, ma anche della speranza che ne scaturisce.
È utile osservare le onde che sono sottostanti: sono agitate, ad indicare che il pellegrinaggio della vita non si muove in acque tranquille. Spesso le vicende personali e gli eventi del mondo reclamano con maggiore intensità la forza della speranza. È per questo che la parte inferiore della Croce si prolunga, trasformandosi in un’ancora che si impone sul moto ondoso. “L’ancora della speranza” è in gergo marinaresco il nome che viene dato all’ancora di riserva, usata dalle imbarcazioni per compiere manovre di emergenza e per stabilizzare la nave durante le tempeste.
L’immagine evidenzia che il cammino del pellegrino non è individuale, ma comunitario, con l’impronta di un dinamismo crescente che tende sempre più verso la Croce. La Croce si curva verso l’umanità come per andarle incontro e non lasciarla sola, offrendo la speranza come dono dell’amore di Dio.
Profeti di speranza
Nel 2025 ricorreranno i 1700 anni dal Concilio di Nicea, che darà forma definita alla fede cristiana nel cosiddetto “Simbolo”, che ancora oggi proclamiamo in ogni Eucaristia festiva, come espressione della fede della Chiesa e di ogni battezzato.
Già prima di allora e fino ai nostri giorni, la Chiesa ha sempre avvertito la necessità di convertirsi, di riformarsi, di discernere il modo migliore di vivere la fedeltà al Vangelo e di proseguire con fiducia e speranza la missione di Cristo. Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia e il Sinodo dei Vescovi di tutto il mondo che stiamo celebrando, ci fanno guardare con speranza al futuro della Chiesa, superando letture depressive, rassegnate, autoreferenziali.
Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia, iniziato nel 2021 con la cosiddetta fase “narrativa” (due anni di ascolto), è giunto ora a concludere la cosiddetta fase “sapienziale”. Il lavoro dei “gruppi di discernimento” che si sono svolti a vari livelli della nostra comunità diocesana, è confluito in una sintesi consegnata al livello nazionale, come contributo al discernimento comune.
Durante la cosiddetta fase “profetica”, che caratterizzerà questo anno pastorale, sono previste due grandi assemblee nazionali, in autunno e in primavera. Al termine della prima sarà consegnato ad ogni Diocesi un documento su cui lavorare: lo affideremo alle due sessioni invernali del nuovo Consiglio Pastorale Diocesano e del Consiglio Presbiterale, con l’intento di offrire il nostro contributo alla seconda assemblea nazionale. Sarà compito dei Vescovi italiani fare sintesi di questo lavoro, offrendo alle Chiese in Italia le linee per proseguire il cammino nei prossimi anni.
Mentre viviamo questa fase profetica, è importante non trascurare ciò che lo Spirito ha suggerito alla nostra Diocesi, generando alcune azioni pastorali concrete, che cerchino di dare riscontro a quanto emerso con maggiore insistenza.
Tra le molte considerazioni, sono state ricorrenti le richieste di ripensare il modo di celebrare la liturgia e soprattutto di proporre l’omelia (più coinvolgente e aderente alla vita); l’importanza della prossimità alle famiglie; la maggiore corresponsabilità dei laici, l’istituzione dei ministeri e il ripensamento degli organismi di comunione; la necessità di una formazione seria e aggiornata per il clero e per il laicato; la riflessione coraggiosa sulle strutture ecclesiali e la loro amministrazione. Sul sito della Diocesi si può trovare il testo della sintesi con tutte le provocazioni che ha suscitato.
Stiamo avviando processi per farci carico di queste indicazioni e assumere le questioni emerse dai gruppi di discernimento, mentre attendiamo le linee nazionali e l’esito del Sinodo dei Vescovi: ne ricordiamo alcuni.
Icona biblica
Ci aiuta a tracciare questo orizzonte l’icona biblica della Pentecoste. Il dono dello Spirito Santo è l’anima del cammino giubilare e sinodale di ogni pellegrino di speranza, in modo personale e comunitario. Nella condivisione dei Vescovi italiani, l’evento della Pentecoste, testimoniato negli Atti degli Apostoli, è apparso come il criterio ispiratore e unificante il Cammino sinodale e l’evento giubilare.
Per noi, che vogliamo essere pellegrini di speranza, lo Spirito Santo è il volto creativo e fantasioso di Dio, dinamico come il vento, emozionante come il fuoco, delicato come una colomba bianca, rombante come energia, determinante come il silenzio di un’intuizione interiore, emozionante come il brivido di una carezza che rassicura.
Ho posto, in allegato a questa Lettera Pastorale, una scheda biblica che illumini la contemplazione di questo mistero così da vivere la Pentecoste nella Chiesa e nella vita di ogni battezzato.
Generatori di speranza
Il Giubileo ci richiama alla riconciliazione con Dio, destinata a generare il frutto di una riconciliazione più ampia con tutto ciò che sentiamo “altro” da noi: con le persone che ci sono prossime e con tutta l’umanità, con i vicini e con i lontani, con la nostra storia personale e con le dinamiche del nostro tempo, con i rimorsi e i risentimenti del passato e con le paure del futuro, con la natura e con le cose.
Riconciliazione. È anzitutto un dono di Dio; ce lo dice l’Apostolo Paolo: "Tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé". Non siamo noi che ci siamo riconciliati con Lui, è Lui che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo. Ma non soltanto noi siamo stati riconciliati con Lui, ma addirittura il mondo è stato riconciliato, "non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione". Questa parola Dio l'ha messa in noi. Non è una parola che è venuta fuori dal nostro cuore, dal nostro spirito, dalla nostra pietà, dalla nostra fede, ma è Dio che l'ha messa dentro di noi, perché diventi nostra, vuole che impariamo questa parola sconosciuta che appartiene non alla nostra lingua, ma alla lingua di Dio, vera lingua straniera. La vera lingua straniera non sono l'inglese, il cinese o l'arabo, ma è la lingua di Dio. In questo anno giubilare siamo invitati a sillabare in particolare una parola di questa lingua straniera, la parola “riconciliazione”.
Essa si declina bene in quelle che abbiamo imparato a chiamare “terre esistenziali”.
Nella terra della famiglia e dell’educazione.
Pensiamo a cosa significhi parlare di riconciliazione nelle e tra le nostre famiglie. Fare il primo passo per riprendere contatti, riaprire dialoghi, ricucire relazioni, far cicatrizzare vecchie ferite togliendo loro il potere di continuare a farci del male, riconoscere i propri sbagli e perdonare quelli altrui, far tacere i risentimenti e far riemergere buone memorie.
Sotto questo profilo è sempre più urgente che le coppie e le famiglie possano incontrarsi e aiutarsi tra loro, oltre a trovare sostegni qualificati per superare gli immancabili momenti di crisi. Il progetto“famiglie per le famiglie”, le esperienze offerte dal “Gruppo La Casa” e il lavoro dei nostri Consultori, possono essere luoghi privilegiati di riconciliazione.
Dai gruppi di discernimento del cammino sinodale è emersa in modo ricorrente la necessità di una riconciliazione tra la parrocchia e molte famiglie che non si sentono ad essa appartenenti o perché sono arrivate da poco in quel territorio o perché hanno smesso da tempo di frequentarla. Questo comporta una prossimità che abbatta i pregiudizi, faccia uscire dall’oblio e riapra una possibilità di dialogo. La visita e la benedizione alle famiglie, ben organizzata anche con il coinvolgimento dei laici, potrebbe offrire un aggancio interessante. A questo proposito gli uffici della terra esistenziale della famiglia e dell’educazione stanno elaborando un testo con diverse proposte.
Questo vale a maggior ragione per la grande famiglia della Chiesa, in cui le contrapposizioni possono minare la comunione. Gesù ce lo ha detto chiaramente durante l’ultima cena: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Non possiamo dimenticare la priorità dell’unità, che non è uniformità che appiattisce, ma pluriformità che arricchisce e mostra l’autenticità della nostra missione: “che siano una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17). Da qui l’importanza di rafforzare i legami tra le diverse componenti della parrocchia, tra i gruppi e le associazioni, tra le diverse generazioni, tra i presbiteri e fra laici e presbiteri, fra le diverse comunità che insistono sullo stesso territorio…
Nella terra della vita sociale e della mondialità.
Riconciliazione è partecipare attivamente alla costruzione della società civile, cercando ciò che unisce più di quanto divide, favorendo il dialogo tra le culture che possono arricchirsi reciprocamente, lavorando per l’inclusione e l’integrazione delle persone di diversa etnia nelle nostre comunità, coltivando uno sguardo benevolo e fiducioso verso l’altro, promuovendo “l’amicizia sociale” e smorzando le contrapposizioni, sostenendo lo scambio e la condivisione tra le diverse Chiese cristiane, credendo nel dialogo interreligioso che può contribuire significativamente alla costruzione della pace.
Pur con le difficoltà che conosciamo, i nostri oratori possono continuare ad essere laboratori di dialogo interculturale e interreligioso, oltre ad offrire percorsi educativi che preparino le giovani generazioni ad una società sempre più plurale.
Il discorso si può allargare alla riconciliazione con il creato, in uno stile di vita più rispettoso della natura e più attento ad evitare lo sfruttamento delle risorse dei popoli più indigenti.
Infine, si può fare riferimento alla conciliazione tra il lavoro e la dignità delle persone, la vita comunitaria, i ritmi familiari, il tempo della festa.
Nella terra della prossimità e cura
Riconciliazione è prenderci cura di tutti, senza distinzioni, che lo meritino oppure no. Riassaporare la gioia di un dono libero e gratuito, aperto, universale. Restituire a ciascuno la sua dignità, sempre più grande di qualunque colpa o vicissitudine, di qualunque origine o situazione economica. Declinare tutto questo nell’accessibilità di tutti alle cure, nell’offrire possibilità di ricominciare a chi sta pagando o ha pagato un forte debito alla società e a se stesso, nel collaborare a costruire un mondo più equo e solidale, a partire da piccoli gesti quotidiani di condivisione che esprimono giustizia, prima che generosità, disponendosi ad una accoglienza dignitosa e fraterna a chi cerca una vita umana che sia davvero degna di questo nome.
In questo senso le Caritas parrocchiali, i “centri di ascolto e coinvolgimento” e le diverse associazioni che si fanno carico della fragilità di tutti possono tenere viva l’attenzione di tutta la comunità su chi non è considerato o su chi, stigmatizzato dal pregiudizio, fatica a sentirsi accolto.
Esistono anche interessanti percorsi di “giustizia riparativa”, che mirano alla riconciliazione tra chi ha fatto il male e chi l’ha subito, per una vera guarigione delle ferite più profonde.
Vi è inoltre una riconciliazione necessaria tra le persone ammalate e il proprio corpo, la propria storia, la comunità cristiana, la società: quante volte, anche senza volerlo, si creano distanze enormi … Spesso le barriere che le persone con disabilità si trovano ad affrontare non sono solo architettoniche: la comunità si può attivare concretamente per il loro abbattimento e lavorare per una vera inclusione di queste persone, oltre che al sostegno concreto e al coinvolgimento delle loro famiglie, anche in forme di solidarietà e di sollievo …
Infine vi è un collegamento da ristabilire tra le strutture sanitarie-sociosanitarie e le comunità in cui sono inserite. Gli effetti del distanziamento da pandemia non si sono ancora del tutto esauriti: serve riavvicinare questi ambienti al volontariato e alle attività parrocchiali.
Nella terra della cultura e comunicazione.
Quanto abbiamo bisogno di una comunicazione non violenta, che favorisca la cultura del dialogo, del confronto pacato al posto degli scontri ideologici, di una dialettica sana e di un’unità pluriforme invece dell’omologazione nel pensiero unico, di una convergenza sapiente verso il bene comune, nel rispetto di tutti.
Dobbiamo imparare l’arte della comunicazione, senza la quale siamo condannati ad una convivenza sospettosa, minacciosa, faticosa, estenuante. Anche nei nostri ambienti ecclesiali possiamo assumere sempre di più un linguaggio rispettoso e accogliente, che generi comunione. Come dice l’Apostolo: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12).
Da questo punto di vista possiamo lavorare perché i nostri organismi di comunione siano luoghi di vero confronto in cui ciascuno si senta ascoltato e valorizzato. Recuperare persone che per i motivi più diversi si sono allontanate dalla comunità o non sono mai state coinvolte potrebbe essere un bellissimo segno giubilare di riconciliazione.
Gli esempi fatti ci ricordano che la riconciliazione abbraccia tutti gli aspetti del vivere e ci impegna tutti alla costruzione di un mondo migliore, di una comunità cristiana sempre più fraterna, accogliente e prossima, nella logica del lievito che fa fermentare tutta la pasta e del piccolo seme che misteriosamente cresce e dona frutti insperati.
Cercatori di speranza
Luogo privilegiato della riconciliazione evidentemente è il sacramento della Penitenza che, come dice il Papa nella bolla di indizione del Giubileo, “ci assicura che Dio cancella i nostri peccati. Ritornano con la loro carica di consolazione le parole del Salmo: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia. […] Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. […] Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono; quanto dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe» (Sal 103,3-4.8.10-12). La Riconciliazione sacramentale non è solo una bella opportunità spirituale, ma rappresenta un passo decisivo, essenziale e irrinunciabile per il cammino di fede di ciascuno. Lì permettiamo al Signore di distruggere i nostri peccati, di risanarci il cuore, di rialzarci e di abbracciarci, di farci conoscere il suo volto tenero e compassionevole. Non c’è infatti modo migliore per conoscere Dio che lasciarsi riconciliare da Lui (cfr. 2Cor 5,20), assaporando il suo perdono. Non rinunciamo dunque alla Confessione, ma riscopriamo la bellezza del sacramento della guarigione e della gioia, la bellezza del perdono dei peccati!” (Spes non confundit 23).
Tale esperienza piena di perdono non può che aprire il cuore e la mente a perdonare. Perdonare non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto, ma può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso il presente. Il futuro rischiarato dal perdono consente di leggere il passato con occhi diversi, più sereni, seppure ancora solcati da lacrime, e aprire nuovi passi nel qui e ora.
Siamo consapevoli delle gravi difficoltà che la celebrazione della Confessione presenta. Ormai da anni si sono assottigliate le file davanti ai confessionali e sempre più fedeli esprimono la fatica a vivere questo sacramento o addirittura se ne sono allontanati. Capita spesso ai presbiteri di sentirsi dire all’inizio della confessione: “Mi aiuti lei, perché non so cosa dire”.
Come leggere questa difficoltà? Se n’è discusso e scritto molto. Si parla spesso di “crisi del senso del peccato”. Si è passati (o si sta ancora passando) da una prassi pre-conciliare in cui si era concentrati sull’oggettività delle colpe, in relazione alla legge morale, con il rischio di incorrere in una “lista della spesa” più dettagliata possibile dei singoli peccati a prescindere dal loro contesto, alla condivisione della situazione generale della persona e al discernimento della sua coscienza. Dopo il Concilio si è spostata giustamente l’attenzione dal peccato al peccatore, dando il giusto rilievo alla coscienza personale più che alla trasgressione della legge, con il rischio di perdere il riferimento oggettivo ai peccati commessi e di cadere in un confronto più psicologico, amicale, consolatorio, che morale, teologico e spirituale.
Ciò che spesso si sente mancante è l’esperienza di fede, che mostra il peccato come la ferita di una relazione personale con Dio, che non può essere ridotta ad un semplice sbaglio di cui sentire il rimorso e tantomeno ad un’azione generata dall’istinto o da chissà quali condizionamenti biologici, psicologici, sociali, che sollevano il soggetto da ogni responsabilità.
Occorre ripartire dalla fede, dal rapporto con il Signore Gesù, dall’esperienza della Grazia. È solo in questa luce che la persona può riconoscere il proprio peccato, avvertire un sincero pentimento, avviare processi concreti di conversione e sperimentare con gioia il dono della Misericordia del Padre.
Non a caso il nuovo rito della Penitenza richiede di far partire la celebrazione della Riconciliazione dall’ascolto della Parola di Dio; raccomanda al confessore di guidare con discrezione ed efficacia il penitente nel suo esame di coscienza, senza perdere di vista la sua situazione soggettiva e l’oggettività degli atti compiuti in relazione alla morale cristiana; chiede di condividere con esso una penitenza o soddisfazione che sia veramente un piccolo segno di vita nuova ed esprima un desiderio sincero di conversione.
È capitato ad ogni confessore di vedere il penitente alzarsi per andarsene prima dell’assoluzione, ringraziando di essere stato ascoltato.
È necessario ridare dignità al momento dell’epiclesi, in cui con l’imposizione delle mani e la formula dell’assoluzione si fa percepire a chi si confessa il primato della Grazia, il dono dello Spirito, la gioia della salvezza ritrovata nell’incontro vivo con Dio.
Le celebrazioni comunitarie, che appaiono ancora più in crisi di quelle individuali, si propongono di recuperare alcune condizioni fondamentali per la comprensione del quarto sacramento. Esse offrono anzitutto la possibilità di un esame di coscienza più accurato, alla luce del Vangelo; ma soprattutto si recupera il senso ecclesiale della Penitenza, che riammette il credente alla piena comunione con la propria comunità e non solo con Dio. Va recuperata la consapevolezza che il peccato personale nuoce a tutti, così come il bene fatto da ciascuno, per il mistero della comunione dei santi, contribuisce alla santificazione di tutta la Chiesa. Se pensiamo alla “Penitenza pubblica” dei primi secoli, ci accorgiamo di quanto la prassi ecclesiale che si è evoluta nei secoli e la tendenza attuale all’individualismo abbiano esasperato il carattere privato di questo sacramento a scapito della sua dimensione comunitaria. Tra l’altro le celebrazioni comunitarie potrebbero diventare vere e proprie “feste della Misericordia”, sottolineando il carattere gioioso del dono di grazia che sta al centro della Penitenza cristiana.
I pastori delle nostre comunità cristiane sono chiamati, specialmente in questo anno giubilare, a recuperare un buon equilibrio tra queste diverse dimensioni della vita cristiana e del sacramento della Penitenza.
Sotto questo profilo suggerisco alcune indicazioni pratiche per le nostre parrocchie/unità pastorali e per le Comunità ecclesiali territoriali.
L’indulgenza giubilare
L’anno giubilare ci offre anche la possibilità di ottenere l’indulgenza plenaria. Inquadrata nel cammino ampio descritto finora, essa può divenire il punto di arrivo di un serio e gioioso percorso di riconciliazione. Come dice il Papa: “Tuttavia, come sappiamo per esperienza personale, il peccato “lascia il segno”, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenze del male commesso, ma anche interiori, in quanto «ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio». Dunque permangono, nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei “residui del peccato”. Essi vengono rimossi dall’indulgenza, sempre per la grazia di Cristo, il quale, come scrisse San Paolo VI, è «la nostra “indulgenza”». (Spes non confundit 23).
Come diocesi di Bergamo entreremo nel cammino giubilare attraverso 5 modalità:
Conclusione
Avviandomi a conclusione vorrei affidare ad ogni comunità il mio Pellegrinaggio pastorale e l’impegno quadriennale delle Comunità Ecclesiali Territoriali: si tratta di percorsi pastorali che corrispondono all’orizzonte di speranza che abbiamo delineato.
Ci ricorda il Papa: “La speranza, insieme alla fede e alla carità, forma il trittico delle “virtù teologali”, che esprimono l’essenza della vita cristiana. Abbiamo bisogno di «abbondare nella speranza» (cfr. Rm 15,13) per testimoniare in modo credibile e attraente la fede e l’amore che portiamo nel cuore; perché la fede sia gioiosa, la carità entusiasta; perché ognuno sia in grado di donare anche solo un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito, sapendo che, nello Spirito di Gesù, ciò può diventare per chi lo riceve un seme fecondo di speranza.
La speranza trova nella Madre di Dio la più alta testimone. In lei vediamo come la speranza non sia fatuo ottimismo, ma dono di grazia nel realismo della vita. In questo Anno giubilare i Santuari siano luoghi santi di accoglienza e spazi privilegiati per generare speranza.
Il prossimo Giubileo ci aiuti a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. Possa la nostra vita dire loro: Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore” (Sal. 26). (Spes non confundit 18.24)
Care sorelle e fratelli, è così che possiamo scoprirci capaci di servire la speranza dove la vita accade come pellegrini di speranza, profeti di speranza, generatori di speranza, cercatori di speranza.
+ Francesco, vescovo
26 agosto 2024
S. Alessandro, Patrono della Città e della Diocesi
SERVIRE LA VITA, SERVIRE LA SPERANZA
“Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Da questo intreccio di speranza e pazienza appare chiaro come la vita sia un cammino che promette e garantisce che “la speranza non delude” attraverso la storia e la testimonianza di donne e uomini che sono segni tangibili di speranza” (Spes non confundit 2.5).
Sono parole di Papa Francesco, che ci invita a servire la speranza dove la vita accade, attraverso la scelta di un cammino spirituale capace di plasmarci interiormente come profeti di speranza, affinché nelle terre esistenziali della quotidianità possiamo diventare generatori di speranza e nelle relazioni riconciliate con noi stessi, con gli altri e con Dio, riveliamo i tratti dei cercatori di speranza. Tutto questo assurge all’immagine “giubilare” dei pellegrini di speranza.
Pellegrini di speranza
L’anno pastorale che stiamo iniziando sarà fortemente connotato dal Giubileo indetto dal Papa per il 2025. Sarà un’occasione di Grazia, in cui sperimentare intensamente la gioia del tornare a Dio, dell’appartenere alla Chiesa, dello sperare insieme a tutta l’umanità un mondo nuovo, più giusto e più fraterno. Una speranza che oltrepassa i confini della storia, una speranza più forte della morte.
Le guerre che la cronaca quotidiana mette davanti agli occhi, l’inverno demografico e il degrado ambientale che caratterizzano la nostra civiltà, il disorientamento generato da un mondo che cambia rapidamente, le fatiche del vivere che ciascuno di noi sperimenta, possono farci cadere in letture depressive dell’esistenza, della storia, della stessa missione della Chiesa, che paralizzano la speranza e svuotano di senso ogni cammino.
Il Giubileo ci invita a farci “pellegrini di speranza”, per rianimare nel nostro cuore e in quello degli altri, a partire da un rinnovato incontro con il Signore, la fiducia squisitamente pasquale di una vita nuova per tutti. Non si tratta di ingenuo ottimismo o di eroico volontarismo: coltiviamo e chiediamo la virtù teologale della speranza che è dono di Dio e frutto della nostra fede in Lui.
Consapevoli di essere una Chiesa sempre più fragile, ci mettiamo con umiltà a servizio di un mondo ancora più fragile; coscienti del nostro peccato annunciamo a tutti il Vangelo della misericordia; immersi in una complessità sempre più articolata e connessa, diffidiamo da soluzioni frettolose, semplificatorie, o addirittura aggressive e riproponiamo con limpidezza evangelica la conversione del cuore, che sola rende possibile un mondo realmente diverso; travolti dal mondo globalizzato e accelerato, osiamo riproporre la virtù della pazienza, che si fa tessitura lenta, silenziosa e quotidiana di rapporti nuovi e generativi, sostenuti e guidati dallo Spirito Creatore, in attesa di un compimento che non può essere solo frutto delle nostre mani, ma esito di una promessa a cui vogliamo dar credito. Tutto questo sia il nostro Giubileo!
L’anno giubilare proposto nella Legge di Mosè, doveva ristabilire l’ordine e la giustizia sociale, nel rispetto del creato, attraverso la liberazione degli schiavi, il condono dei debiti, il ritorno al disegno originario di Dio per il suo popolo. In realtà, questo non si realizzò mai. L’attesa del Messia, alimentata dalla parola dei profeti e connotata dalla speranza, non esonerava dalla conversione del cuore, ma manifestava la fondamentale confidenza in Dio, a cui Gesù di Nazareth darà risposta.
“Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19).
Siamo “pellegrini di speranza”: camminiamo gli uni al fianco degli altri, verso la mèta che è Cristo: è Lui il nostro Giubileo, è Lui la nostra indulgenza, è Lui la nostra speranza, è Lui la salvezza del mondo!
Il “logo” ufficiale del Giubileo
Essere “pellegrini di speranza, peregrinantes in spem” è rappresentato da quattro figure stilizzate, simbolo dell’umanità proveniente dai quattro angoli della terra. Sono una abbracciata all’altra per indicare la solidarietà e fratellanza che deve accomunare i popoli. La prima è aggrappata alla Croce: è il segno non solo della fede che abbraccia, ma anche della speranza che ne scaturisce.
È utile osservare le onde che sono sottostanti: sono agitate, ad indicare che il pellegrinaggio della vita non si muove in acque tranquille. Spesso le vicende personali e gli eventi del mondo reclamano con maggiore intensità la forza della speranza. È per questo che la parte inferiore della Croce si prolunga, trasformandosi in un’ancora che si impone sul moto ondoso. “L’ancora della speranza” è in gergo marinaresco il nome che viene dato all’ancora di riserva, usata dalle imbarcazioni per compiere manovre di emergenza e per stabilizzare la nave durante le tempeste.
L’immagine evidenzia che il cammino del pellegrino non è individuale, ma comunitario, con l’impronta di un dinamismo crescente che tende sempre più verso la Croce. La Croce si curva verso l’umanità come per andarle incontro e non lasciarla sola, offrendo la speranza come dono dell’amore di Dio.
Profeti di speranza
Nel 2025 ricorreranno i 1700 anni dal Concilio di Nicea, che darà forma definita alla fede cristiana nel cosiddetto “Simbolo”, che ancora oggi proclamiamo in ogni Eucaristia festiva, come espressione della fede della Chiesa e di ogni battezzato.
Già prima di allora e fino ai nostri giorni, la Chiesa ha sempre avvertito la necessità di convertirsi, di riformarsi, di discernere il modo migliore di vivere la fedeltà al Vangelo e di proseguire con fiducia e speranza la missione di Cristo. Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia e il Sinodo dei Vescovi di tutto il mondo che stiamo celebrando, ci fanno guardare con speranza al futuro della Chiesa, superando letture depressive, rassegnate, autoreferenziali.
Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia, iniziato nel 2021 con la cosiddetta fase “narrativa” (due anni di ascolto), è giunto ora a concludere la cosiddetta fase “sapienziale”. Il lavoro dei “gruppi di discernimento” che si sono svolti a vari livelli della nostra comunità diocesana, è confluito in una sintesi consegnata al livello nazionale, come contributo al discernimento comune.
Durante la cosiddetta fase “profetica”, che caratterizzerà questo anno pastorale, sono previste due grandi assemblee nazionali, in autunno e in primavera. Al termine della prima sarà consegnato ad ogni Diocesi un documento su cui lavorare: lo affideremo alle due sessioni invernali del nuovo Consiglio Pastorale Diocesano e del Consiglio Presbiterale, con l’intento di offrire il nostro contributo alla seconda assemblea nazionale. Sarà compito dei Vescovi italiani fare sintesi di questo lavoro, offrendo alle Chiese in Italia le linee per proseguire il cammino nei prossimi anni.
Mentre viviamo questa fase profetica, è importante non trascurare ciò che lo Spirito ha suggerito alla nostra Diocesi, generando alcune azioni pastorali concrete, che cerchino di dare riscontro a quanto emerso con maggiore insistenza.
Tra le molte considerazioni, sono state ricorrenti le richieste di ripensare il modo di celebrare la liturgia e soprattutto di proporre l’omelia (più coinvolgente e aderente alla vita); l’importanza della prossimità alle famiglie; la maggiore corresponsabilità dei laici, l’istituzione dei ministeri e il ripensamento degli organismi di comunione; la necessità di una formazione seria e aggiornata per il clero e per il laicato; la riflessione coraggiosa sulle strutture ecclesiali e la loro amministrazione. Sul sito della Diocesi si può trovare il testo della sintesi con tutte le provocazioni che ha suscitato.
Stiamo avviando processi per farci carico di queste indicazioni e assumere le questioni emerse dai gruppi di discernimento, mentre attendiamo le linee nazionali e l’esito del Sinodo dei Vescovi: ne ricordiamo alcuni.
- Un’equipe diocesana di pastorale familiare sta predisponendo alcuni suggerimenti per rilanciare la benedizione delle famiglie, con modalità nuove che coinvolgano maggiormente i laici e le famiglie stesse
- Nelle proposte per la formazione permanente del clero viene approfondito il tema dell’omelia, particolarmente sottolineato sia a livello locale che nazionale
- Un’apposita commissione diocesana è incaricata di rilanciare la pratica del canto liturgico, riprendendo alcune linee fondamentali, accompagnando gli animatori liturgici e le corali, studiando un repertorio comune.
- Ha inizio l’itinerario formativo per i nuovi ministeri istituiti: lettori, accoliti e catechisti, destinati a formare e coordinare altri laici, valorizzando la loro ministerialità diffusa.
- Prende forma il percorso quadriennale dei Consigli pastorali territoriali, caratterizzato dalle novità di questo secondo mandato e particolarmente dal “compito” ad essi affidato: la declinazione del Vangelo nella vita di tutti e il riconoscimento dei segni di Vangelo già presenti nella vita di tutti.
Icona biblica
Ci aiuta a tracciare questo orizzonte l’icona biblica della Pentecoste. Il dono dello Spirito Santo è l’anima del cammino giubilare e sinodale di ogni pellegrino di speranza, in modo personale e comunitario. Nella condivisione dei Vescovi italiani, l’evento della Pentecoste, testimoniato negli Atti degli Apostoli, è apparso come il criterio ispiratore e unificante il Cammino sinodale e l’evento giubilare.
Per noi, che vogliamo essere pellegrini di speranza, lo Spirito Santo è il volto creativo e fantasioso di Dio, dinamico come il vento, emozionante come il fuoco, delicato come una colomba bianca, rombante come energia, determinante come il silenzio di un’intuizione interiore, emozionante come il brivido di una carezza che rassicura.
Ho posto, in allegato a questa Lettera Pastorale, una scheda biblica che illumini la contemplazione di questo mistero così da vivere la Pentecoste nella Chiesa e nella vita di ogni battezzato.
Generatori di speranza
Il Giubileo ci richiama alla riconciliazione con Dio, destinata a generare il frutto di una riconciliazione più ampia con tutto ciò che sentiamo “altro” da noi: con le persone che ci sono prossime e con tutta l’umanità, con i vicini e con i lontani, con la nostra storia personale e con le dinamiche del nostro tempo, con i rimorsi e i risentimenti del passato e con le paure del futuro, con la natura e con le cose.
Riconciliazione. È anzitutto un dono di Dio; ce lo dice l’Apostolo Paolo: "Tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé". Non siamo noi che ci siamo riconciliati con Lui, è Lui che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo. Ma non soltanto noi siamo stati riconciliati con Lui, ma addirittura il mondo è stato riconciliato, "non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione". Questa parola Dio l'ha messa in noi. Non è una parola che è venuta fuori dal nostro cuore, dal nostro spirito, dalla nostra pietà, dalla nostra fede, ma è Dio che l'ha messa dentro di noi, perché diventi nostra, vuole che impariamo questa parola sconosciuta che appartiene non alla nostra lingua, ma alla lingua di Dio, vera lingua straniera. La vera lingua straniera non sono l'inglese, il cinese o l'arabo, ma è la lingua di Dio. In questo anno giubilare siamo invitati a sillabare in particolare una parola di questa lingua straniera, la parola “riconciliazione”.
Essa si declina bene in quelle che abbiamo imparato a chiamare “terre esistenziali”.
Nella terra della famiglia e dell’educazione.
Pensiamo a cosa significhi parlare di riconciliazione nelle e tra le nostre famiglie. Fare il primo passo per riprendere contatti, riaprire dialoghi, ricucire relazioni, far cicatrizzare vecchie ferite togliendo loro il potere di continuare a farci del male, riconoscere i propri sbagli e perdonare quelli altrui, far tacere i risentimenti e far riemergere buone memorie.
Sotto questo profilo è sempre più urgente che le coppie e le famiglie possano incontrarsi e aiutarsi tra loro, oltre a trovare sostegni qualificati per superare gli immancabili momenti di crisi. Il progetto“famiglie per le famiglie”, le esperienze offerte dal “Gruppo La Casa” e il lavoro dei nostri Consultori, possono essere luoghi privilegiati di riconciliazione.
Dai gruppi di discernimento del cammino sinodale è emersa in modo ricorrente la necessità di una riconciliazione tra la parrocchia e molte famiglie che non si sentono ad essa appartenenti o perché sono arrivate da poco in quel territorio o perché hanno smesso da tempo di frequentarla. Questo comporta una prossimità che abbatta i pregiudizi, faccia uscire dall’oblio e riapra una possibilità di dialogo. La visita e la benedizione alle famiglie, ben organizzata anche con il coinvolgimento dei laici, potrebbe offrire un aggancio interessante. A questo proposito gli uffici della terra esistenziale della famiglia e dell’educazione stanno elaborando un testo con diverse proposte.
Questo vale a maggior ragione per la grande famiglia della Chiesa, in cui le contrapposizioni possono minare la comunione. Gesù ce lo ha detto chiaramente durante l’ultima cena: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Non possiamo dimenticare la priorità dell’unità, che non è uniformità che appiattisce, ma pluriformità che arricchisce e mostra l’autenticità della nostra missione: “che siano una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17). Da qui l’importanza di rafforzare i legami tra le diverse componenti della parrocchia, tra i gruppi e le associazioni, tra le diverse generazioni, tra i presbiteri e fra laici e presbiteri, fra le diverse comunità che insistono sullo stesso territorio…
Nella terra della vita sociale e della mondialità.
Riconciliazione è partecipare attivamente alla costruzione della società civile, cercando ciò che unisce più di quanto divide, favorendo il dialogo tra le culture che possono arricchirsi reciprocamente, lavorando per l’inclusione e l’integrazione delle persone di diversa etnia nelle nostre comunità, coltivando uno sguardo benevolo e fiducioso verso l’altro, promuovendo “l’amicizia sociale” e smorzando le contrapposizioni, sostenendo lo scambio e la condivisione tra le diverse Chiese cristiane, credendo nel dialogo interreligioso che può contribuire significativamente alla costruzione della pace.
Pur con le difficoltà che conosciamo, i nostri oratori possono continuare ad essere laboratori di dialogo interculturale e interreligioso, oltre ad offrire percorsi educativi che preparino le giovani generazioni ad una società sempre più plurale.
Il discorso si può allargare alla riconciliazione con il creato, in uno stile di vita più rispettoso della natura e più attento ad evitare lo sfruttamento delle risorse dei popoli più indigenti.
Infine, si può fare riferimento alla conciliazione tra il lavoro e la dignità delle persone, la vita comunitaria, i ritmi familiari, il tempo della festa.
Nella terra della prossimità e cura
Riconciliazione è prenderci cura di tutti, senza distinzioni, che lo meritino oppure no. Riassaporare la gioia di un dono libero e gratuito, aperto, universale. Restituire a ciascuno la sua dignità, sempre più grande di qualunque colpa o vicissitudine, di qualunque origine o situazione economica. Declinare tutto questo nell’accessibilità di tutti alle cure, nell’offrire possibilità di ricominciare a chi sta pagando o ha pagato un forte debito alla società e a se stesso, nel collaborare a costruire un mondo più equo e solidale, a partire da piccoli gesti quotidiani di condivisione che esprimono giustizia, prima che generosità, disponendosi ad una accoglienza dignitosa e fraterna a chi cerca una vita umana che sia davvero degna di questo nome.
In questo senso le Caritas parrocchiali, i “centri di ascolto e coinvolgimento” e le diverse associazioni che si fanno carico della fragilità di tutti possono tenere viva l’attenzione di tutta la comunità su chi non è considerato o su chi, stigmatizzato dal pregiudizio, fatica a sentirsi accolto.
Esistono anche interessanti percorsi di “giustizia riparativa”, che mirano alla riconciliazione tra chi ha fatto il male e chi l’ha subito, per una vera guarigione delle ferite più profonde.
Vi è inoltre una riconciliazione necessaria tra le persone ammalate e il proprio corpo, la propria storia, la comunità cristiana, la società: quante volte, anche senza volerlo, si creano distanze enormi … Spesso le barriere che le persone con disabilità si trovano ad affrontare non sono solo architettoniche: la comunità si può attivare concretamente per il loro abbattimento e lavorare per una vera inclusione di queste persone, oltre che al sostegno concreto e al coinvolgimento delle loro famiglie, anche in forme di solidarietà e di sollievo …
Infine vi è un collegamento da ristabilire tra le strutture sanitarie-sociosanitarie e le comunità in cui sono inserite. Gli effetti del distanziamento da pandemia non si sono ancora del tutto esauriti: serve riavvicinare questi ambienti al volontariato e alle attività parrocchiali.
Nella terra della cultura e comunicazione.
Quanto abbiamo bisogno di una comunicazione non violenta, che favorisca la cultura del dialogo, del confronto pacato al posto degli scontri ideologici, di una dialettica sana e di un’unità pluriforme invece dell’omologazione nel pensiero unico, di una convergenza sapiente verso il bene comune, nel rispetto di tutti.
Dobbiamo imparare l’arte della comunicazione, senza la quale siamo condannati ad una convivenza sospettosa, minacciosa, faticosa, estenuante. Anche nei nostri ambienti ecclesiali possiamo assumere sempre di più un linguaggio rispettoso e accogliente, che generi comunione. Come dice l’Apostolo: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12).
Da questo punto di vista possiamo lavorare perché i nostri organismi di comunione siano luoghi di vero confronto in cui ciascuno si senta ascoltato e valorizzato. Recuperare persone che per i motivi più diversi si sono allontanate dalla comunità o non sono mai state coinvolte potrebbe essere un bellissimo segno giubilare di riconciliazione.
Gli esempi fatti ci ricordano che la riconciliazione abbraccia tutti gli aspetti del vivere e ci impegna tutti alla costruzione di un mondo migliore, di una comunità cristiana sempre più fraterna, accogliente e prossima, nella logica del lievito che fa fermentare tutta la pasta e del piccolo seme che misteriosamente cresce e dona frutti insperati.
Cercatori di speranza
Luogo privilegiato della riconciliazione evidentemente è il sacramento della Penitenza che, come dice il Papa nella bolla di indizione del Giubileo, “ci assicura che Dio cancella i nostri peccati. Ritornano con la loro carica di consolazione le parole del Salmo: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia. […] Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. […] Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono; quanto dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe» (Sal 103,3-4.8.10-12). La Riconciliazione sacramentale non è solo una bella opportunità spirituale, ma rappresenta un passo decisivo, essenziale e irrinunciabile per il cammino di fede di ciascuno. Lì permettiamo al Signore di distruggere i nostri peccati, di risanarci il cuore, di rialzarci e di abbracciarci, di farci conoscere il suo volto tenero e compassionevole. Non c’è infatti modo migliore per conoscere Dio che lasciarsi riconciliare da Lui (cfr. 2Cor 5,20), assaporando il suo perdono. Non rinunciamo dunque alla Confessione, ma riscopriamo la bellezza del sacramento della guarigione e della gioia, la bellezza del perdono dei peccati!” (Spes non confundit 23).
Tale esperienza piena di perdono non può che aprire il cuore e la mente a perdonare. Perdonare non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto, ma può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso il presente. Il futuro rischiarato dal perdono consente di leggere il passato con occhi diversi, più sereni, seppure ancora solcati da lacrime, e aprire nuovi passi nel qui e ora.
Siamo consapevoli delle gravi difficoltà che la celebrazione della Confessione presenta. Ormai da anni si sono assottigliate le file davanti ai confessionali e sempre più fedeli esprimono la fatica a vivere questo sacramento o addirittura se ne sono allontanati. Capita spesso ai presbiteri di sentirsi dire all’inizio della confessione: “Mi aiuti lei, perché non so cosa dire”.
Come leggere questa difficoltà? Se n’è discusso e scritto molto. Si parla spesso di “crisi del senso del peccato”. Si è passati (o si sta ancora passando) da una prassi pre-conciliare in cui si era concentrati sull’oggettività delle colpe, in relazione alla legge morale, con il rischio di incorrere in una “lista della spesa” più dettagliata possibile dei singoli peccati a prescindere dal loro contesto, alla condivisione della situazione generale della persona e al discernimento della sua coscienza. Dopo il Concilio si è spostata giustamente l’attenzione dal peccato al peccatore, dando il giusto rilievo alla coscienza personale più che alla trasgressione della legge, con il rischio di perdere il riferimento oggettivo ai peccati commessi e di cadere in un confronto più psicologico, amicale, consolatorio, che morale, teologico e spirituale.
Ciò che spesso si sente mancante è l’esperienza di fede, che mostra il peccato come la ferita di una relazione personale con Dio, che non può essere ridotta ad un semplice sbaglio di cui sentire il rimorso e tantomeno ad un’azione generata dall’istinto o da chissà quali condizionamenti biologici, psicologici, sociali, che sollevano il soggetto da ogni responsabilità.
Occorre ripartire dalla fede, dal rapporto con il Signore Gesù, dall’esperienza della Grazia. È solo in questa luce che la persona può riconoscere il proprio peccato, avvertire un sincero pentimento, avviare processi concreti di conversione e sperimentare con gioia il dono della Misericordia del Padre.
Non a caso il nuovo rito della Penitenza richiede di far partire la celebrazione della Riconciliazione dall’ascolto della Parola di Dio; raccomanda al confessore di guidare con discrezione ed efficacia il penitente nel suo esame di coscienza, senza perdere di vista la sua situazione soggettiva e l’oggettività degli atti compiuti in relazione alla morale cristiana; chiede di condividere con esso una penitenza o soddisfazione che sia veramente un piccolo segno di vita nuova ed esprima un desiderio sincero di conversione.
È capitato ad ogni confessore di vedere il penitente alzarsi per andarsene prima dell’assoluzione, ringraziando di essere stato ascoltato.
È necessario ridare dignità al momento dell’epiclesi, in cui con l’imposizione delle mani e la formula dell’assoluzione si fa percepire a chi si confessa il primato della Grazia, il dono dello Spirito, la gioia della salvezza ritrovata nell’incontro vivo con Dio.
Le celebrazioni comunitarie, che appaiono ancora più in crisi di quelle individuali, si propongono di recuperare alcune condizioni fondamentali per la comprensione del quarto sacramento. Esse offrono anzitutto la possibilità di un esame di coscienza più accurato, alla luce del Vangelo; ma soprattutto si recupera il senso ecclesiale della Penitenza, che riammette il credente alla piena comunione con la propria comunità e non solo con Dio. Va recuperata la consapevolezza che il peccato personale nuoce a tutti, così come il bene fatto da ciascuno, per il mistero della comunione dei santi, contribuisce alla santificazione di tutta la Chiesa. Se pensiamo alla “Penitenza pubblica” dei primi secoli, ci accorgiamo di quanto la prassi ecclesiale che si è evoluta nei secoli e la tendenza attuale all’individualismo abbiano esasperato il carattere privato di questo sacramento a scapito della sua dimensione comunitaria. Tra l’altro le celebrazioni comunitarie potrebbero diventare vere e proprie “feste della Misericordia”, sottolineando il carattere gioioso del dono di grazia che sta al centro della Penitenza cristiana.
I pastori delle nostre comunità cristiane sono chiamati, specialmente in questo anno giubilare, a recuperare un buon equilibrio tra queste diverse dimensioni della vita cristiana e del sacramento della Penitenza.
Sotto questo profilo suggerisco alcune indicazioni pratiche per le nostre parrocchie/unità pastorali e per le Comunità ecclesiali territoriali.
- È importante prevedere itinerari formativi, ad ogni livello, per ricomprendere e valorizzare questo sacramento.
- In particolare si metta a tema come introdurre nel modo migliore i ragazzi dell’Iniziazione Cristiana alla celebrazione consapevole e dignitosa di questo sacramento.
- È fondamentale richiamare la buona pratica dell’esame di coscienza personale o condiviso nella coppia o in famiglia, per educarsi al discernimento, al pentimento, al desiderio del perdono, a qualche proposito concreto di conversione. Alcuni genitori colgono l’occasione della preghiera della sera con i propri figli per educarli a questa sensibilità.
- È necessario che ogni parrocchia pensi degli spazi adeguati e dei tempi opportuni da destinare alla celebrazione di questo sacramento, prevedendo, specialmente dove ci fosse un solo sacerdote, la presenza periodica di un confessore forestiero.
- È bene che in ogni comunità ecclesiale territoriale si prevedano uno o più luoghi significativi (santuari, comunità religiose, parrocchie con maggior presenza di clero, ecc.) per la celebrazione della Riconciliazione, e se ne mettano a conoscenza i fedeli delle diverse parrocchie. A questo proposito andranno organizzati tempi adeguati per il sacramento della Riconciliazione nella “chiesa giubilare” di ogni Comunità Ecclesiale Territoriale.
- È auspicabile organizzare delle celebrazioni della Misericordia, che si possono anche concludere con le confessioni individuali.
- Può essere utile mettere a disposizione dei penitenti qualche traccia di preparazione al sacramento e qualche pubblicazione che aiuti a comprenderne il significato.
- Potrebbero essere studiati dei percorsi diluiti nel tempo, che possano essere veri e propri cammini penitenziali, magari lungo il tempo di Quaresima, che culminano con la celebrazione del sacramento
- Potrebbero esserci anche dei pellegrinaggi, riservando alle diverse tappe lungo il cammino una parte dell’esame di coscienza.
- È importante rilanciare il percorso proposto da “Amoris Laetitia” per le coppie che vivono “situazioni particolari”. Molte di queste coppie non sanno ancora dell’esistenza di questa bella possibilità: è necessario riproporla periodicamente nella predicazione, negli incontri per i genitori dei sacramenti o in altre occasioni utili.
L’indulgenza giubilare
L’anno giubilare ci offre anche la possibilità di ottenere l’indulgenza plenaria. Inquadrata nel cammino ampio descritto finora, essa può divenire il punto di arrivo di un serio e gioioso percorso di riconciliazione. Come dice il Papa: “Tuttavia, come sappiamo per esperienza personale, il peccato “lascia il segno”, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenze del male commesso, ma anche interiori, in quanto «ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio». Dunque permangono, nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei “residui del peccato”. Essi vengono rimossi dall’indulgenza, sempre per la grazia di Cristo, il quale, come scrisse San Paolo VI, è «la nostra “indulgenza”». (Spes non confundit 23).
Come diocesi di Bergamo entreremo nel cammino giubilare attraverso 5 modalità:
- Le giornate indicate dalla Santa Sede. La Santa Sede ha predisposto un calendario tematico, dedicando le singole giornate ad alcune categorie specifiche di persone, con proposte diverse che si articoleranno in diversi momenti e in differenti luoghi di Roma.
- I tre pellegrinaggi diocesani a Roma accompagnati dal Vescovo: il pellegrinaggio diocesano da lunedì 7 luglio a domenica 13, il Giubileo dei giovani da lunedì 28 luglio a domenica 3 agosto, il Giubileo degli adolescenti dal venerdì 25 aprile a domenica 27;
- La chiesa giubilare designata in ogni Comunità Ecclesiale Territoriale, nella quale non ci sarà la porta santa, ma, seguendo le indicazioni date e vivendo il sacramento della confessione, sarà possibile ricevere l’indulgenza plenaria.
- Le celebrazioni giubilari che il Vescovo presiederà lungo l’anno in ogni Comunità Ecclesiale Territoriale.
- Le proposte per parrocchie, associazioni, gruppi: sia quelle che giungeranno attraverso gli uffici della Curia diocesana, sia quelle che ciascuno vorrà organizzare, per le quali i soggetti diocesani competenti sono a disposizione.
Conclusione
Avviandomi a conclusione vorrei affidare ad ogni comunità il mio Pellegrinaggio pastorale e l’impegno quadriennale delle Comunità Ecclesiali Territoriali: si tratta di percorsi pastorali che corrispondono all’orizzonte di speranza che abbiamo delineato.
Ci ricorda il Papa: “La speranza, insieme alla fede e alla carità, forma il trittico delle “virtù teologali”, che esprimono l’essenza della vita cristiana. Abbiamo bisogno di «abbondare nella speranza» (cfr. Rm 15,13) per testimoniare in modo credibile e attraente la fede e l’amore che portiamo nel cuore; perché la fede sia gioiosa, la carità entusiasta; perché ognuno sia in grado di donare anche solo un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito, sapendo che, nello Spirito di Gesù, ciò può diventare per chi lo riceve un seme fecondo di speranza.
La speranza trova nella Madre di Dio la più alta testimone. In lei vediamo come la speranza non sia fatuo ottimismo, ma dono di grazia nel realismo della vita. In questo Anno giubilare i Santuari siano luoghi santi di accoglienza e spazi privilegiati per generare speranza.
Il prossimo Giubileo ci aiuti a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. Possa la nostra vita dire loro: Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore” (Sal. 26). (Spes non confundit 18.24)
Care sorelle e fratelli, è così che possiamo scoprirci capaci di servire la speranza dove la vita accade come pellegrini di speranza, profeti di speranza, generatori di speranza, cercatori di speranza.
+ Francesco, vescovo
26 agosto 2024
S. Alessandro, Patrono della Città e della Diocesi