OUVERTURE
L’anno del Giubileo volge al termine, segnato dalla morte di Papa Francesco e dall’inizio del servizio di Papa Leone. Un anno all’insegna della misericordia e della speranza. Uno dei frutti della esperienza vera e profonda del Giubileo è la gioia, la gioia del Vangelo. Desidero raccogliere e offrire il frutto della gioia al tempo che ci attende e soprattutto alle donne e agli uomini che compongono il tempo con la loro vita. Se abbiamo assunto la figura di “pellegrini di speranza”, ritengo che possiamo arricchirla con quella di “testimoni della gioia, della gioia del Vangelo”.
Mi sembra doverosa una premessa: le parole della gioia esigono pudore, il pudore consapevole della vastità del dolore e della sofferenza che provocano oscurità e tristezza.
“Crisi drammatiche hanno intersecato il nostro andare, lasciandovi tracce indelebili, … La pandemia, l’aggiungersi di nuovi “pezzi” alla terza guerra mondiale in atto, le catastrofi ambientali acuite in intensità e frequenza dal riscaldamento globale, la crescita del disagio psichico soprattutto fra gli adolescenti, l’accentuata criminalizzazione dei migranti, il lievitare dei ricavi dell’industria delle armi, l’ampliarsi delle diseguaglianze, il ripetersi di femminicidi e omicidi familiari, l’inadeguatezza del sistema carcerario, la polarizzazione, l’accentuarsi della disaffezione politica ed elettorale. Sofferenze indicibili incise sulla pelle delle donne e degli uomini che pellegrinano sui sentieri polverosi della contemporaneità” (dal Cammino Sinodale delle Chiese in Italia).
La gioia dunque va evocata “in punta di piedi”, non per paura e tanto meno per scaramanzia, ma per rispetto e condivisione dei sentimenti di sofferenza, dolore, sgomento, rabbia, rassegnazione, disperazione che appesantiscono e lacerano il cuore di una moltitudine. In questi anni lo spettro della guerra si è fatto incombente anche in Europa e ci sta rendendo consapevoli che condizioni di deprivazione della vita sono molto più diffuse, trasversali e possibili di quello che pensavamo. La resistenza a lasciarci toccare o ad avvicinarci a coloro che vivono queste condizioni è forte e a volte sembra diventare ancora più intangibile, giustificandosi con ragioni che diventano inappellabili.
In alcune regioni dell’Africa vi è una parola che esprime una verità molto evangelica: “ubuntu” che significa “io sono, perché noi siamo; come è possibile che uno di noi sia felice, se tutti gli altri sono tristi?”.
Celebriamo i cinquant’anni della nascita della Caritas a Bergamo: desidero manifestare una gratitudine senza misura a tutti coloro che nel passato e nel presente hanno scritto e stanno scrivendo una storia di Vangelo che non è solo riposta ai bisogni dei poveri di ogni condizione o alle emergenze in ogni angolo del mondo, ma è testimonianza evangelica della parola di Gesù: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Servire la vita, servire la vita dove accade, servire la gioia di vivere, non sono solo parole, ma nella storia di Caritas sono diventate storie, volti, persone, sono diventate premura, servizio, condivisione, generosità, solidarietà e giustizia per i piccoli e i poveri, ma anche per una città degli uomini che custodisca e promuova la sua umanità. Papa Francesco ci ha consegnato, quasi come testamento, una Lettera sul Cuore di Gesù. L’immagine del cuore dice di questi cinquant’anni di Caritas: a un mondo senza cuore, Caritas fa dono del cuore di Dio che prende il volto di Gesù e di coloro che lo seguono con la vita, più che con le parole.
Rimane per me indimenticabile la Lettera che Papa Paolo VI, ora santo, scrisse nel 1975 dal titolo “Gaudete in Domino”. Era l’anno della mia Ordinazione sacerdotale, era l’anno di un altro grande documento del suo magistero: “Evangelii nuntiandi”. Posso dire che questi due documenti hanno segnato non solo l’inizio del mio ministero, ma tutto il cammino di questi cinquant’anni. Così scriveva San Paolo VI: “Affacciandosi al mondo, non prova l’uomo, col desiderio naturale di comprenderlo e di prenderne possesso, quello di trovarvi il suo completamento e la sua felicità? … Così l’uomo prova la gioia quando si trova in armonia con la natura, e soprattutto nell'incontro, nella partecipazione, nella comunione con gli altri. A maggior ragione egli conosce la gioia o la felicità spirituale quando la sua anima entra nel possesso di Dio, conosciuto e amato come il bene supremo e immutabile.
Ma come non vedere pure che la gioia è sempre imperfetta, fragile, minacciata? … Questo paradosso, questa difficoltà di raggiungere la gioia ci sembrano particolarmente acuti oggi… Forse l’avvenire appare troppo incerto, la vita umana troppo minacciata? O non si tratta, soprattutto, di solitudine, di una sete d’amore e di presenza non soddisfatta, di un vuoto mal definito? Per contro, in molte regioni, e talvolta in mezzo a noi, la somma di sofferenze fisiche e morali si fa pesante: tanti affamati, tante vittime di sterili combattimenti, tanti emarginati! … Questa situazione non può tuttavia impedirci di parlare della gioia, di sperare la gioia. È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia, di sentire il suo canto”.
Papa Paolo VI indica le note che compongono il canto della gioia: la solidarietà nei confronti di coloro che vivono nella povertà, nell’insicurezza, nell’ingiustizia; l’educazione alla vera gioia: “gioia dell'amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio”; e, infine, ma decisivo, l’incontro e l’amicizia di Dio. “Non è forse normale che la gioia abiti in noi allorché i nostri cuori ne contemplano o ne riscoprono, nella fede, i motivi fondamentali? Essi sono semplici: Dio ha tanto amato il mondo … mediante il suo Spirito, la sua Presenza non cessa di avvolgerci … e noi camminiamo verso la beata trasfigurazione della nostra esistenza nel solco della risurrezione di Gesù” (Gaudete in Domino).
Se ci sembra necessario parlare di gioia “in punta di piedi”, è pure necessario non identificare la gioia solo con quei momenti in cui si manifesta in modo incontenibile, ma saperla gustare e promuovere nelle “pieghe della vita”. Le parole del Papa santo, ci indicano questa via, soprattutto quando evocano “l’educazione alla vera gioia”. Alle sue indicazioni mi permetto di aggiungere quelle pieghe della vita che custodiscono e generano gioia: la nascita di un figlio e la rinascita dopo una prova severa; l’amore nella ricchezza delle sue forme e la meraviglia dell’amicizia sincera; la bellezza umana non separata dalla bontà; lo stupore per la creazione e l’inesauribile creatività della persona umana; la quiete del silenzio e il dono dell’ascolto; il risultato conseguito e il frutto dell’onesta fatica; il dovere compiuto e ancor più il dono accolto e offerto. Ciascuno può aggiungere le sorprendenti gioie che ha raccolto nelle “pieghe” della sua vita.
“L’uomo ha il dovere di gustare le gioie che gli si presentano. Chi, seduto in un tram, non si accorge di un meraviglioso tramonto o del profumo delle acacie in fiore che a lui giunge dai viali e continua a leggere il giornale, a ragione dovrebbe essere ritenuto, in quel momento, dimentico del suo dovere” (Viktor Frankl).
Scrivo questa lettera, a pochi mesi dalla morte di Papa Francesco. In queste settimane si moltiplicano letture e interpretazioni del suo pontificato: a me pare che la gioia ne sia uno dei tratti più caratteristici. Nell’omelia pronunciata durante la celebrazione dell’Eucaristia in suffragio, dicevo: “Papa Francesco, capace di condividere sofferenze e drammi di ciascuno e dell’umanità, non si è rassegnato ad un cristianesimo triste, cupo, polveroso. In uno dei suoi ultimi messaggi scriveva: ≪La gioia cristiana è per tutti. Si compie nelle pieghe della quotidianità e nella condivisione… È dono di Dio: non è una facile allegria, non nasce da comode soluzioni ai problemi, non evita la croce, ma sgorga dalla certezza che il Signore non ci lascia mai soli. Ne ho fatto esperienza anch’io nel ricovero in ospedale e ora in questo tempo di convalescenza. La gioia cristiana è affidamento a Dio in ogni situazione della vita≫(Messaggio alla Seconda Assemblea Sinodale delle Chiese in Italia).
Non dobbiamo sottovalutare la scelta del Papa di intitolare molti dei suoi scritti più importanti nel segno della gioia: Evangelii gaudium, Amoris laetitia, Gaudete et Exultate, Laudato si…
Ne parla incessantemente, non come stato umano ideale cui tendere, ma come condizione essenziale nella vita del cristiano.
“Dio, per donarsi a noi, sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte… Le Beatitudini ti portano alla gioia, sempre; sono la strada per raggiungere la gioia”. Papa Francesco ricorda poi le parole di Gesù: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” e ribadisce che “la gioia è il segno del cristiano: un cristiano senza gioia o non è cristiano o è ammalato, la sua salute cristiana 'non va bene' ... perché un cristiano senza gioia non è cristiano. Per il cristiano, infatti, la gioia è presente anche nel dolore, nelle tribolazioni, pure nelle persecuzioni” (Udienza del 29 gennaio 2020).
La gioia è uno dei doni e dei frutti del Giubileo, che Papa Francesco ha introdotto con le parole di un documento che inneggia alla speranza e alla gioia di tutti e per tutti, speranza e gioia che scaturiscono dal Vangelo e diventano dono per coloro che lo accolgono.
“Tutti, in realtà, hanno bisogno di recuperare la gioia di vivere, perché l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, non può accontentarsi di sopravvivere o vivacchiare, di adeguarsi al presente lasciandosi soddisfare da realtà soltanto materiali. Ciò rinchiude nell’individualismo e corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore, rendendo acidi e insofferenti” (Spes non confundit, n. 9).
La gioia del Signore Risorto, diventa la gioia della vita eterna: “Cosa sarà dunque di noi dopo la morte? Con Gesù al di là di questa soglia c’è la vita eterna… Sant’Agostino in proposito scriveva: «Quando mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena dovunque. Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te… Sono amato, dunque esisto; ed esisterò per sempre nell’Amore che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi»” (Spes non confundit 21).
Portiamo nel cuore il sorriso di Papa Francesco, espressione della traiettoria che ha contrassegnato il suo servizio alla Chiesa, sin dall’inizio: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (Evangelii Gaudium 1).
Al desiderio e all’esperienza della gioia che appartiene ad ogni persona umana, i cristiani corrispondono con il dono della gioia che hanno ricevuto: la “gioia del Vangelo”. Come possiamo raccogliere dalle parole di Papa Francesco, la gioia del Vangelo è inesauribile e capace di resistere, per Grazia, anche nelle prove più severe. La gioia del Vangelo è la gioia di Dio, dell’amicizia di Lui e con Lui, del perdono e della rinascita, della consolazione e della pace; è la gioia della santità e del compimento della Sua promessa e della sua Opera. In una sola parola, possiamo dire che la gioia del Vangelo è Gesù, il Vivente che dà la vita, che dona la gioia di vivere.
Desidero concludere questa ouverture con alcune parole di Papa Leone che all’inizio del Pontificato si è presentato “come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia”: “Non è rumorosa la gioia di Dio, ma realmente cambia la storia e ci avvicina gli uni agli altri. Ne è icona il mistero della Visitazione, che la Chiesa contempla nell’ultimo giorno di maggio. Dall’incontro fra la Vergine Maria e la cugina Elisabetta vediamo scaturire il Magnificat, il canto di un popolo visitato dalla grazia” (omelia per le Ordinazioni da lui celebrate in occasione del Giubileo dei sacerdoti). “In Maria di Nazaret c’è la nostra storia, la storia della Chiesa immersa nella comune umanità. Il Magnificat, che il Vangelo pone sulle labbra della giovane Maria, sprigiona la luce di tutti i suoi giorni. Un singolo giorno, quello dell’incontro con la cugina Elisabetta, contiene il segreto di ogni altro giorno, di ogni altra stagione. E le parole non bastano: occorre un canto, che nella Chiesa continua a essere cantato, «di generazione in generazione» (Lc 1,50), al tramonto di ogni giornata. Il canto di Maria, il suo Magnificat, rafforza nella speranza gli umili, gli affamati, i servi operosi di Dio. Sono le donne e gli uomini delle Beatitudini, che ancora nella tribolazione già vedono l’invisibile: i potenti rovesciati dai troni, i ricchi a mani vuote, le promesse di Dio realizzate. Si tratta di esperienze che, in ogni comunità cristiana, dobbiamo tutti poter dire di aver vissuto quando nascono i legami con cui opponiamo al male il bene, alla morte la vita, allora vediamo che nulla è impossibile con Dio (cfr Lc 1,37). La Chiesa ringiovanisce grazie al Magnificat” (Omelia per la solennità dell’Assunta 2025).
L’ICONA EVANGELICA
Proprio queste parole indicano l’icona evangelica di questo anno pastorale: il cantico del Magnificat, indimenticabile preghiera, inno della gioia cristiana.
L'anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio,
mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà
della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni
mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me
l'Onnipotente e santo è il suo nome:
di generazione in generazione
la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri
del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua
misericordia, come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza,
per sempre.
Accompagno il testo evangelico con un’immagine che mi ha particolarmente colpito per la sua bellezza e la sua originalità. Si tratta del tondo di Sandro Botticelli datato 1483, in cui l’artista rappresenta Maria che scrive il testo del Magnificat, guidata dalla mano di Gesù. È una personalissima reinterpretazione della composizione del Magnificat che avviene in tutt’altra maniera; nello stesso tempo vuole alimentare la consapevolezza di una consegna: le parole del Magnificat, diventano Vangelo, che la Chiesa canta nei secoli come espressione della gioia che scaturisce dalla fede.
Non mi soffermo in una meditazione di queste parole che hanno raccolto le più alte riflessioni spirituali e le più affascinanti espressioni artistiche: semplicemente condivido con voi alcune attenzioni che illuminano la mia preghiera.
Il Magnificat scaturisce da un incontro. Due madri incipienti e due figli nel loro grembo. Il Vangelo e le rappresentazione della Visitazione di Maria a Santa Elisabetta sono di una bellezza che non si spegne: dicono della gioia dell’incontro e della meraviglia della vita che sboccia nel grembo di queste donne. Le parole del saluto di Elisabetta sono benedizione per tutte le donne in attesa e le accompagnano nella gioia e nella trepidazione: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”. È una benedizione che la Chiesa e i cristiani possono offrire ad ogni donna nell’attesa che condivide con coloro che ama. La gioia dell’incontro delle due madri è anche quella nascosta di colui che si chiamerà Giovanni: egli sussulta di gioia alla presenza, custodita nel grembo, di Colui che indicherà un giorno come l’Agnello di Dio. La gioia della vita si intreccia con quella della fede che illumina gli occhi sulle meraviglie di Dio. Da questo intreccio, scaturisce la composizione magnifica a cui tanti musicisti hanno dato note armoniose.
Le prime espressioni dicono di una gioia che diventa esultanza: il cuore si espande e trabocca della magnificenza di Dio e della sua misericordia. Una gioia tutta intima, personale, ma nello stesso tempo incontenibile. Maria, la Chiesa e ogni persona che ripete le sue parole celebra lo sguardo sorprendente di Dio che illumina gli invisibili, gli irrilevanti, con una luce che ne rivela la dignità frutto del suo amore: “grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”.
Ma immediatamente la luce di Dio illumina lo sguardo di Maria e di ogni orante e lo allarga ad una visione di speranza universale: “di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono”. La meraviglia e la lode crescono, alimentate dallo stupore della Grazia che percorre il tempo e si allarga oltre ogni orizzonte.
È questo sguardo che introduce ad una sequenza, che come una scala musicale di sette note squillanti proclama l’opera di Dio: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia”.
La conclusione ci riconduce alla speranza che scaturisce dalla promessa di Dio, che percorre tutta la storia della salvezza e diventa persona vivente in Gesù, l’Atteso. È la speranza del credente, non l’illusione dello sprovveduto o dello schiavo. Ogni potenza è destinata alla inesorabile legge della storia: “tutto passa”. Soltanto la potenza dell’amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù è capace di riscattare la storia dal suo destino implacabile.
Maria, la Chiesa, il credente che pronuncia e canta il Magnificat, accoglie il grande dono di Dio e ne fa dono a quell’umanità che la vita gli consegna, facendo della sua stessa vita un dono. La gioia diventa dono, servizio alla vita, a cominciare dai desolati, i disperati, i tristi, i piagati, gli umiliati, i piccoli. “Servire la vita, servire la gioia, servire la gioia di vivere”.
Questo è “servire la vita, servire la gioia, servire la gioia di vivere”. Questo è attraversare le terre esistenziali come pellegrini di speranza. Questo è essere testimoni della gioia del Vangelo.
SERVIRE LA GIOIA DI VIVERE
“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et spes 1).
La condivisione è la via lungo la quale servire la gioia, perché il Magnificat non rimanga solo preghiera, ma diventi vita.
La condivisione della tristezza dell’abbandono e della solitudine e il servizio della gioia dell’incontro e della vicinanza premurosa.
La condivisione della tristezza dell’oscurità e dell’incertezza e il servizio della gioia della Luce e delle “piccole luci”.
La condivisione della tristezza dell’indifferenza e del consumo e il servizio della gioia della premura e della responsabilità per il prossimo.
La condivisione della tristezza del peccato e della pigrizia spirituale e il servizio della gioia della santità e della “gloria futura”.
La condivisione della tristezza dell’egoismo e dell’individualismo e il servizio della gioia dell’amore e del dono.
La condivisione della tristezza della volgarità e della banalità e il servizio della gioia del creato, della cultura e dell’arte.
La via della condivisione diventa un cammino, un cammino condiviso, un “cammino sinodale”. È quello che le Chiese in Italia e la nostra Diocesi con loro hanno intrapreso in questi anni e sta giungendo ad una tappa importante. Nei prossimi mesi si celebrerà Terza Assemblea Sinodale che consegnerà a tutte le nostre comunità la ricchezza del percorso compiuto, perché diventi luce e alimento per il cammino che ci attende.
Camminare insieme non è facile e l’esperienza dell’impegno richiesto è cresciuta proprio dentro lo stile del Cammino. Unitamente alla fatica, abbiamo assaporato anche la forza della “comunione”, dell’unione su ciò che unisce più che su ciò che divide, con la consapevolezza sempre più avvertita e gioiosa che lo Spirito Santo è protagonista decisivo di questo “andare insieme” verso il compimento della missione di Gesù.
Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia è diventato concreta possibilità di condividere il dono di Dio e della fede per la gioia di tutti e per tutti.
“Non c’è infatti gioia cristiana senza inserimento pieno nella storia, senza coinvolgimento attivo nelle vicende della gente, senza lettura dei segni dei tempi, senza amore per tutti, soprattutto per quanti si trovano relegati, loro malgrado, nelle periferie esistenziali. La gioia che vogliamo annunciare è dunque ‘nostra’ nel senso che è di tutta la Chiesa ed è anche aperta, offerta con rara gratuità a ogni donna e uomo di questo nostro tempo. Il Cammino sinodale ci ha insegnato a non restare soli, a non pensarci da soli arrivando a temere di perderci, noi che siamo chiamati a essere lievito, luce, sale e che siamo ammoniti quando viviamo per noi stessi non quando comunichiamo il Vangelo”.
In attesa delle indicazioni che ci verranno consegnate nei prossimi mesi, desidero porre all’attenzione di tutti alcune evidenze che sono emerse in questi anni. La “sinodalità” che merita tutto l’approfondimento teologico necessario alla identità e alla forma della Chiesa è certamente uno stile di vivere la comunità cristiana e ispira anche un metodo con cui la vita della comunità si organizza e si propone. Uno stile e un metodo che implica un’articolata responsabilità da parte di ogni battezzato nella missione che la Chiesa è chiamata a compiere, a partire dal dono e dalla testimonianza della comunione. In questo orizzonte si collocano certamente i ministeri istituiti, gli organismi di partecipazione e di comunione, una adeguata formazione dei presbiteri, un rinnovato impegno nell’annuncio del Vangelo, una particolare consapevolezza della rilevanza della liturgia e della sua inesauribile ricchezza, una responsabilità trasparente nella gestione dei beni e delle opere promosse dalla Chiesa.
Abbiamo adottato come “inno della gioia evangelica” il Magnificat. In questa ultima parte, vogliamo comporre una piccola partitura che ci permetta di cantare il servizio alla vita e alla gioia di vivere nelle nostre comunità.
NOTE DI GIOIA
NASCERE
“La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21).
La vita umana, perché si dia e ci sia, perché cresca e perché si esprima, domanda che qualcuno vi si chini sopra benevolmente, vi si accosti con meraviglia, la accolga con senso di responsabilità, con attesa indifesa e con la decisione ferma e tenace di mettere a disposizione ad ogni passo tutto ciò che quella vita richiede per essere custodita, protetta, alimentata, fatta crescere, educata.
FESTEGGIARE
“Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: ≪Non hanno vino≫. … ≪Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora≫” (Gv 2).
Parte integrante della festa è la gioia. La festa si può organizzare, la gioia no. Essa può soltanto essere offerta in dono e, di fatto, ci è stata donata in abbondanza: per questo siamo riconoscenti. Friedrich Nietzsche ha detto una volta: “L’abilità non sta nell’organizzare una festa, ma nel trovare le persone capaci di trarne gioia”.
CONDIVIDERE
“Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (Atti 2).
La parola condivisione non è passata di moda, anzi è diventata una forma di comunicazione e di vita attuata quotidianamente. Il mondo di internet, del web, delle piattaforme, dei social ha assunto e rappresenta una forma di condivisione che è stile di vita e mentalità diffusa. La “rete” è un’immagine che dice di diverse forme di connessione (infrastrutturale, commerciale, di servizi…), ma la “Rete” con la maiuscola è oggi quella informatica: grande possibilità e grande tentazione. La tentazione di immaginare che la “Rete”, essenzialmente organizzativa e strumentale, possa sostituire la “Relazione” che è una forma di condivisione che coinvolge la persona nella sua interezza e la sua vita in tutte le dimensioni.
ACCOGLIERE
“Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio” (Rm 15,7). “Siate accoglienti, ospitali gli uni verso gli altri, senza mormorare” (1Pt 4,9). “Fratelli, l’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb 13,1).
“L’amore ci fa tendere verso la comunione universale. Nessuno matura né raggiunge la propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica, l’amore esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza… Nella misura in cui viene permeata da questo atteggiamento di apertura e di accoglienza, una società diventa capace di integrare tutti i suoi membri, anche quelli che per vari motivi sono ‘stranieri esistenziali’ o ‘esiliati occulti’, come a volte, ad esempio, si trovano ad essere le persone con disabilità, o gli anziani” (Papa Francesco, Evangelii Gaudium).
SERVIRE
“Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20).
“Per servire gli altri bisogna veramente farsi piccoli, umili, fino a sapersi inginocchiare davanti a loro, mettersi ai loro piedi. È difficile, perché il nostro io è duro a morire; ma in questo sacrificio non c'è tristezza, anzi proprio da esso scaturisce la vera gioia. Gesù stesso ha detto: «C'è più gioia nel dare che nel ricevere», e l'apostolo Paolo afferma: «Dio ama chi dona con gioia». Queste parole di vita sono da ricordare sempre. Chi si fa «servo» per amore di Cristo e dei fratelli si trova libero e felice di godere, insieme con tutti, il tesoro del Regno dei Cieli. Come cambierebbe il mondo se ogni mattino ciascuno di noi si proponesse di rivestirsi di Cristo assumendone i pensieri e i sentimenti per riprodurne le opere; se con risolutezza ci mettessimo al lavoro come buoni operai dicendo: «Per me servire è regnare: oggi voglio cominciare a vivere così!” (Annamaria Canopi).
CONCLUSIONE
In questi anni, abbiamo organizzato la nostra pastorale a partire dal criterio del servizio evangelico: “servire la vita dove la vita accade”. Servire la vita dell’umanità e di ogni persona nella sua condizioni reale, a partire dalla Parola di Gesù: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Servire la vita con la vita: la nostra e, prima di tutto, con la stessa vita di Dio, che ci è donata nella persona di Gesù, per opera dello Spirito Santo.
A partire da questo criterio sono state costituite le Comunità Ecclesiali Territoriali, chiamate a rappresentarlo e alimentarlo nelle realtà che le costituiscono.
Da questo criterio è scaturita la scelta pastorale delle Terre esistenziali che, alimentate dalla Parola di Dio, dai Sacramenti e dal dono della Carità, rappresentano la disposizione della comunità cristiana al servizio della vita.
Da questo criterio è scaturita una riorganizzazione degli Uffici pastorali della Curia diocesana e anche le scelte pastorali di alcune Parrocchie.
Quest’anno, nell’atmosfera giubilare e nella consapevolezza di un orizzonte storico inquietante che genera incertezza, indifferenza e smarrimento, abbiamo declinato la speranza, illuminandola con la gioia del Vangelo, dono di Dio e desiderio di ogni persona umana.
Mentre offro a ciascuno e a tutte le Comunità cristiane questa Lettera, chiedo il ricordo, la condivisione e la preghiera perché le “manifestazioni della speranza”, che hanno trovato una cordiale corrispondenza nelle Comunità Ecclesiali Territoriali, continuino a trovarla anche in quelle in cui si terranno nelle prossime settimane.
Affido alla preghiera la conclusione del mio Pellegrinaggio pastorale che approderà alle Parrocchie della Città, dopo aver attraversato le Parrocchie della Comunità Ecclesiale Settima (Ponte-Val San Martino).
Condivido con tutti la gioia del compimento di alcune opere diocesane (Casa Marina Lerma de l’Angelo Custode; Comunità de “La Casa” in San Paolo d’Argon, Museo diocesano Adriano Bernareggi nella nuova sede in Piazza del Duomo) che hanno visto l’assiduo impegno di coloro che ne sono responsabili, ma che esigono la consapevolezza, la condivisione e l’impegno di tutta la comunità diocesana.
Care sorelle e fratelli, come “pellegrini di speranza” camminiamo giubilando mentre passo per passo attraversiamo e abitiamo le terre esistenziali della quotidianità dove siamo chiamati ad essere “testimoni della gioia” del Vangelo. Nascere, festeggiare, condividere, accogliere, servire siano note che intonano una melodia di pace e di giustizia per servire la vita servendo la gioia di vivere. Ve lo auguro di cuore, nel nome di Gesù e con le sue parole, “perché la vostra gioia sia piena”!
Dice l’Apostolo: “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù”.
Con questi sentimenti vi abbraccio e benedico
+Francesco, vescovo
L’anno del Giubileo volge al termine, segnato dalla morte di Papa Francesco e dall’inizio del servizio di Papa Leone. Un anno all’insegna della misericordia e della speranza. Uno dei frutti della esperienza vera e profonda del Giubileo è la gioia, la gioia del Vangelo. Desidero raccogliere e offrire il frutto della gioia al tempo che ci attende e soprattutto alle donne e agli uomini che compongono il tempo con la loro vita. Se abbiamo assunto la figura di “pellegrini di speranza”, ritengo che possiamo arricchirla con quella di “testimoni della gioia, della gioia del Vangelo”.
Mi sembra doverosa una premessa: le parole della gioia esigono pudore, il pudore consapevole della vastità del dolore e della sofferenza che provocano oscurità e tristezza.
“Crisi drammatiche hanno intersecato il nostro andare, lasciandovi tracce indelebili, … La pandemia, l’aggiungersi di nuovi “pezzi” alla terza guerra mondiale in atto, le catastrofi ambientali acuite in intensità e frequenza dal riscaldamento globale, la crescita del disagio psichico soprattutto fra gli adolescenti, l’accentuata criminalizzazione dei migranti, il lievitare dei ricavi dell’industria delle armi, l’ampliarsi delle diseguaglianze, il ripetersi di femminicidi e omicidi familiari, l’inadeguatezza del sistema carcerario, la polarizzazione, l’accentuarsi della disaffezione politica ed elettorale. Sofferenze indicibili incise sulla pelle delle donne e degli uomini che pellegrinano sui sentieri polverosi della contemporaneità” (dal Cammino Sinodale delle Chiese in Italia).
La gioia dunque va evocata “in punta di piedi”, non per paura e tanto meno per scaramanzia, ma per rispetto e condivisione dei sentimenti di sofferenza, dolore, sgomento, rabbia, rassegnazione, disperazione che appesantiscono e lacerano il cuore di una moltitudine. In questi anni lo spettro della guerra si è fatto incombente anche in Europa e ci sta rendendo consapevoli che condizioni di deprivazione della vita sono molto più diffuse, trasversali e possibili di quello che pensavamo. La resistenza a lasciarci toccare o ad avvicinarci a coloro che vivono queste condizioni è forte e a volte sembra diventare ancora più intangibile, giustificandosi con ragioni che diventano inappellabili.
In alcune regioni dell’Africa vi è una parola che esprime una verità molto evangelica: “ubuntu” che significa “io sono, perché noi siamo; come è possibile che uno di noi sia felice, se tutti gli altri sono tristi?”.
Celebriamo i cinquant’anni della nascita della Caritas a Bergamo: desidero manifestare una gratitudine senza misura a tutti coloro che nel passato e nel presente hanno scritto e stanno scrivendo una storia di Vangelo che non è solo riposta ai bisogni dei poveri di ogni condizione o alle emergenze in ogni angolo del mondo, ma è testimonianza evangelica della parola di Gesù: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Servire la vita, servire la vita dove accade, servire la gioia di vivere, non sono solo parole, ma nella storia di Caritas sono diventate storie, volti, persone, sono diventate premura, servizio, condivisione, generosità, solidarietà e giustizia per i piccoli e i poveri, ma anche per una città degli uomini che custodisca e promuova la sua umanità. Papa Francesco ci ha consegnato, quasi come testamento, una Lettera sul Cuore di Gesù. L’immagine del cuore dice di questi cinquant’anni di Caritas: a un mondo senza cuore, Caritas fa dono del cuore di Dio che prende il volto di Gesù e di coloro che lo seguono con la vita, più che con le parole.
Rimane per me indimenticabile la Lettera che Papa Paolo VI, ora santo, scrisse nel 1975 dal titolo “Gaudete in Domino”. Era l’anno della mia Ordinazione sacerdotale, era l’anno di un altro grande documento del suo magistero: “Evangelii nuntiandi”. Posso dire che questi due documenti hanno segnato non solo l’inizio del mio ministero, ma tutto il cammino di questi cinquant’anni. Così scriveva San Paolo VI: “Affacciandosi al mondo, non prova l’uomo, col desiderio naturale di comprenderlo e di prenderne possesso, quello di trovarvi il suo completamento e la sua felicità? … Così l’uomo prova la gioia quando si trova in armonia con la natura, e soprattutto nell'incontro, nella partecipazione, nella comunione con gli altri. A maggior ragione egli conosce la gioia o la felicità spirituale quando la sua anima entra nel possesso di Dio, conosciuto e amato come il bene supremo e immutabile.
Ma come non vedere pure che la gioia è sempre imperfetta, fragile, minacciata? … Questo paradosso, questa difficoltà di raggiungere la gioia ci sembrano particolarmente acuti oggi… Forse l’avvenire appare troppo incerto, la vita umana troppo minacciata? O non si tratta, soprattutto, di solitudine, di una sete d’amore e di presenza non soddisfatta, di un vuoto mal definito? Per contro, in molte regioni, e talvolta in mezzo a noi, la somma di sofferenze fisiche e morali si fa pesante: tanti affamati, tante vittime di sterili combattimenti, tanti emarginati! … Questa situazione non può tuttavia impedirci di parlare della gioia, di sperare la gioia. È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia, di sentire il suo canto”.
Papa Paolo VI indica le note che compongono il canto della gioia: la solidarietà nei confronti di coloro che vivono nella povertà, nell’insicurezza, nell’ingiustizia; l’educazione alla vera gioia: “gioia dell'amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio”; e, infine, ma decisivo, l’incontro e l’amicizia di Dio. “Non è forse normale che la gioia abiti in noi allorché i nostri cuori ne contemplano o ne riscoprono, nella fede, i motivi fondamentali? Essi sono semplici: Dio ha tanto amato il mondo … mediante il suo Spirito, la sua Presenza non cessa di avvolgerci … e noi camminiamo verso la beata trasfigurazione della nostra esistenza nel solco della risurrezione di Gesù” (Gaudete in Domino).
Se ci sembra necessario parlare di gioia “in punta di piedi”, è pure necessario non identificare la gioia solo con quei momenti in cui si manifesta in modo incontenibile, ma saperla gustare e promuovere nelle “pieghe della vita”. Le parole del Papa santo, ci indicano questa via, soprattutto quando evocano “l’educazione alla vera gioia”. Alle sue indicazioni mi permetto di aggiungere quelle pieghe della vita che custodiscono e generano gioia: la nascita di un figlio e la rinascita dopo una prova severa; l’amore nella ricchezza delle sue forme e la meraviglia dell’amicizia sincera; la bellezza umana non separata dalla bontà; lo stupore per la creazione e l’inesauribile creatività della persona umana; la quiete del silenzio e il dono dell’ascolto; il risultato conseguito e il frutto dell’onesta fatica; il dovere compiuto e ancor più il dono accolto e offerto. Ciascuno può aggiungere le sorprendenti gioie che ha raccolto nelle “pieghe” della sua vita.
“L’uomo ha il dovere di gustare le gioie che gli si presentano. Chi, seduto in un tram, non si accorge di un meraviglioso tramonto o del profumo delle acacie in fiore che a lui giunge dai viali e continua a leggere il giornale, a ragione dovrebbe essere ritenuto, in quel momento, dimentico del suo dovere” (Viktor Frankl).
Scrivo questa lettera, a pochi mesi dalla morte di Papa Francesco. In queste settimane si moltiplicano letture e interpretazioni del suo pontificato: a me pare che la gioia ne sia uno dei tratti più caratteristici. Nell’omelia pronunciata durante la celebrazione dell’Eucaristia in suffragio, dicevo: “Papa Francesco, capace di condividere sofferenze e drammi di ciascuno e dell’umanità, non si è rassegnato ad un cristianesimo triste, cupo, polveroso. In uno dei suoi ultimi messaggi scriveva: ≪La gioia cristiana è per tutti. Si compie nelle pieghe della quotidianità e nella condivisione… È dono di Dio: non è una facile allegria, non nasce da comode soluzioni ai problemi, non evita la croce, ma sgorga dalla certezza che il Signore non ci lascia mai soli. Ne ho fatto esperienza anch’io nel ricovero in ospedale e ora in questo tempo di convalescenza. La gioia cristiana è affidamento a Dio in ogni situazione della vita≫(Messaggio alla Seconda Assemblea Sinodale delle Chiese in Italia).
Non dobbiamo sottovalutare la scelta del Papa di intitolare molti dei suoi scritti più importanti nel segno della gioia: Evangelii gaudium, Amoris laetitia, Gaudete et Exultate, Laudato si…
Ne parla incessantemente, non come stato umano ideale cui tendere, ma come condizione essenziale nella vita del cristiano.
“Dio, per donarsi a noi, sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte… Le Beatitudini ti portano alla gioia, sempre; sono la strada per raggiungere la gioia”. Papa Francesco ricorda poi le parole di Gesù: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” e ribadisce che “la gioia è il segno del cristiano: un cristiano senza gioia o non è cristiano o è ammalato, la sua salute cristiana 'non va bene' ... perché un cristiano senza gioia non è cristiano. Per il cristiano, infatti, la gioia è presente anche nel dolore, nelle tribolazioni, pure nelle persecuzioni” (Udienza del 29 gennaio 2020).
La gioia è uno dei doni e dei frutti del Giubileo, che Papa Francesco ha introdotto con le parole di un documento che inneggia alla speranza e alla gioia di tutti e per tutti, speranza e gioia che scaturiscono dal Vangelo e diventano dono per coloro che lo accolgono.
“Tutti, in realtà, hanno bisogno di recuperare la gioia di vivere, perché l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, non può accontentarsi di sopravvivere o vivacchiare, di adeguarsi al presente lasciandosi soddisfare da realtà soltanto materiali. Ciò rinchiude nell’individualismo e corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore, rendendo acidi e insofferenti” (Spes non confundit, n. 9).
La gioia del Signore Risorto, diventa la gioia della vita eterna: “Cosa sarà dunque di noi dopo la morte? Con Gesù al di là di questa soglia c’è la vita eterna… Sant’Agostino in proposito scriveva: «Quando mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena dovunque. Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te… Sono amato, dunque esisto; ed esisterò per sempre nell’Amore che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi»” (Spes non confundit 21).
Portiamo nel cuore il sorriso di Papa Francesco, espressione della traiettoria che ha contrassegnato il suo servizio alla Chiesa, sin dall’inizio: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (Evangelii Gaudium 1).
Al desiderio e all’esperienza della gioia che appartiene ad ogni persona umana, i cristiani corrispondono con il dono della gioia che hanno ricevuto: la “gioia del Vangelo”. Come possiamo raccogliere dalle parole di Papa Francesco, la gioia del Vangelo è inesauribile e capace di resistere, per Grazia, anche nelle prove più severe. La gioia del Vangelo è la gioia di Dio, dell’amicizia di Lui e con Lui, del perdono e della rinascita, della consolazione e della pace; è la gioia della santità e del compimento della Sua promessa e della sua Opera. In una sola parola, possiamo dire che la gioia del Vangelo è Gesù, il Vivente che dà la vita, che dona la gioia di vivere.
Desidero concludere questa ouverture con alcune parole di Papa Leone che all’inizio del Pontificato si è presentato “come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia”: “Non è rumorosa la gioia di Dio, ma realmente cambia la storia e ci avvicina gli uni agli altri. Ne è icona il mistero della Visitazione, che la Chiesa contempla nell’ultimo giorno di maggio. Dall’incontro fra la Vergine Maria e la cugina Elisabetta vediamo scaturire il Magnificat, il canto di un popolo visitato dalla grazia” (omelia per le Ordinazioni da lui celebrate in occasione del Giubileo dei sacerdoti). “In Maria di Nazaret c’è la nostra storia, la storia della Chiesa immersa nella comune umanità. Il Magnificat, che il Vangelo pone sulle labbra della giovane Maria, sprigiona la luce di tutti i suoi giorni. Un singolo giorno, quello dell’incontro con la cugina Elisabetta, contiene il segreto di ogni altro giorno, di ogni altra stagione. E le parole non bastano: occorre un canto, che nella Chiesa continua a essere cantato, «di generazione in generazione» (Lc 1,50), al tramonto di ogni giornata. Il canto di Maria, il suo Magnificat, rafforza nella speranza gli umili, gli affamati, i servi operosi di Dio. Sono le donne e gli uomini delle Beatitudini, che ancora nella tribolazione già vedono l’invisibile: i potenti rovesciati dai troni, i ricchi a mani vuote, le promesse di Dio realizzate. Si tratta di esperienze che, in ogni comunità cristiana, dobbiamo tutti poter dire di aver vissuto quando nascono i legami con cui opponiamo al male il bene, alla morte la vita, allora vediamo che nulla è impossibile con Dio (cfr Lc 1,37). La Chiesa ringiovanisce grazie al Magnificat” (Omelia per la solennità dell’Assunta 2025).
L’ICONA EVANGELICA
Proprio queste parole indicano l’icona evangelica di questo anno pastorale: il cantico del Magnificat, indimenticabile preghiera, inno della gioia cristiana.
L'anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio,
mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà
della sua serva.
D'ora in poi tutte le generazioni
mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me
l'Onnipotente e santo è il suo nome:
di generazione in generazione
la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri
del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua
misericordia, come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza,
per sempre.
Accompagno il testo evangelico con un’immagine che mi ha particolarmente colpito per la sua bellezza e la sua originalità. Si tratta del tondo di Sandro Botticelli datato 1483, in cui l’artista rappresenta Maria che scrive il testo del Magnificat, guidata dalla mano di Gesù. È una personalissima reinterpretazione della composizione del Magnificat che avviene in tutt’altra maniera; nello stesso tempo vuole alimentare la consapevolezza di una consegna: le parole del Magnificat, diventano Vangelo, che la Chiesa canta nei secoli come espressione della gioia che scaturisce dalla fede.
Non mi soffermo in una meditazione di queste parole che hanno raccolto le più alte riflessioni spirituali e le più affascinanti espressioni artistiche: semplicemente condivido con voi alcune attenzioni che illuminano la mia preghiera.
Il Magnificat scaturisce da un incontro. Due madri incipienti e due figli nel loro grembo. Il Vangelo e le rappresentazione della Visitazione di Maria a Santa Elisabetta sono di una bellezza che non si spegne: dicono della gioia dell’incontro e della meraviglia della vita che sboccia nel grembo di queste donne. Le parole del saluto di Elisabetta sono benedizione per tutte le donne in attesa e le accompagnano nella gioia e nella trepidazione: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo”. È una benedizione che la Chiesa e i cristiani possono offrire ad ogni donna nell’attesa che condivide con coloro che ama. La gioia dell’incontro delle due madri è anche quella nascosta di colui che si chiamerà Giovanni: egli sussulta di gioia alla presenza, custodita nel grembo, di Colui che indicherà un giorno come l’Agnello di Dio. La gioia della vita si intreccia con quella della fede che illumina gli occhi sulle meraviglie di Dio. Da questo intreccio, scaturisce la composizione magnifica a cui tanti musicisti hanno dato note armoniose.
Le prime espressioni dicono di una gioia che diventa esultanza: il cuore si espande e trabocca della magnificenza di Dio e della sua misericordia. Una gioia tutta intima, personale, ma nello stesso tempo incontenibile. Maria, la Chiesa e ogni persona che ripete le sue parole celebra lo sguardo sorprendente di Dio che illumina gli invisibili, gli irrilevanti, con una luce che ne rivela la dignità frutto del suo amore: “grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”.
Ma immediatamente la luce di Dio illumina lo sguardo di Maria e di ogni orante e lo allarga ad una visione di speranza universale: “di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono”. La meraviglia e la lode crescono, alimentate dallo stupore della Grazia che percorre il tempo e si allarga oltre ogni orizzonte.
È questo sguardo che introduce ad una sequenza, che come una scala musicale di sette note squillanti proclama l’opera di Dio: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia”.
La conclusione ci riconduce alla speranza che scaturisce dalla promessa di Dio, che percorre tutta la storia della salvezza e diventa persona vivente in Gesù, l’Atteso. È la speranza del credente, non l’illusione dello sprovveduto o dello schiavo. Ogni potenza è destinata alla inesorabile legge della storia: “tutto passa”. Soltanto la potenza dell’amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù è capace di riscattare la storia dal suo destino implacabile.
Maria, la Chiesa, il credente che pronuncia e canta il Magnificat, accoglie il grande dono di Dio e ne fa dono a quell’umanità che la vita gli consegna, facendo della sua stessa vita un dono. La gioia diventa dono, servizio alla vita, a cominciare dai desolati, i disperati, i tristi, i piagati, gli umiliati, i piccoli. “Servire la vita, servire la gioia, servire la gioia di vivere”.
Questo è “servire la vita, servire la gioia, servire la gioia di vivere”. Questo è attraversare le terre esistenziali come pellegrini di speranza. Questo è essere testimoni della gioia del Vangelo.
SERVIRE LA GIOIA DI VIVERE
“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et spes 1).
La condivisione è la via lungo la quale servire la gioia, perché il Magnificat non rimanga solo preghiera, ma diventi vita.
La condivisione della tristezza dell’abbandono e della solitudine e il servizio della gioia dell’incontro e della vicinanza premurosa.
La condivisione della tristezza dell’oscurità e dell’incertezza e il servizio della gioia della Luce e delle “piccole luci”.
La condivisione della tristezza dell’indifferenza e del consumo e il servizio della gioia della premura e della responsabilità per il prossimo.
La condivisione della tristezza del peccato e della pigrizia spirituale e il servizio della gioia della santità e della “gloria futura”.
La condivisione della tristezza dell’egoismo e dell’individualismo e il servizio della gioia dell’amore e del dono.
La condivisione della tristezza della volgarità e della banalità e il servizio della gioia del creato, della cultura e dell’arte.
La via della condivisione diventa un cammino, un cammino condiviso, un “cammino sinodale”. È quello che le Chiese in Italia e la nostra Diocesi con loro hanno intrapreso in questi anni e sta giungendo ad una tappa importante. Nei prossimi mesi si celebrerà Terza Assemblea Sinodale che consegnerà a tutte le nostre comunità la ricchezza del percorso compiuto, perché diventi luce e alimento per il cammino che ci attende.
Camminare insieme non è facile e l’esperienza dell’impegno richiesto è cresciuta proprio dentro lo stile del Cammino. Unitamente alla fatica, abbiamo assaporato anche la forza della “comunione”, dell’unione su ciò che unisce più che su ciò che divide, con la consapevolezza sempre più avvertita e gioiosa che lo Spirito Santo è protagonista decisivo di questo “andare insieme” verso il compimento della missione di Gesù.
Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia è diventato concreta possibilità di condividere il dono di Dio e della fede per la gioia di tutti e per tutti.
“Non c’è infatti gioia cristiana senza inserimento pieno nella storia, senza coinvolgimento attivo nelle vicende della gente, senza lettura dei segni dei tempi, senza amore per tutti, soprattutto per quanti si trovano relegati, loro malgrado, nelle periferie esistenziali. La gioia che vogliamo annunciare è dunque ‘nostra’ nel senso che è di tutta la Chiesa ed è anche aperta, offerta con rara gratuità a ogni donna e uomo di questo nostro tempo. Il Cammino sinodale ci ha insegnato a non restare soli, a non pensarci da soli arrivando a temere di perderci, noi che siamo chiamati a essere lievito, luce, sale e che siamo ammoniti quando viviamo per noi stessi non quando comunichiamo il Vangelo”.
In attesa delle indicazioni che ci verranno consegnate nei prossimi mesi, desidero porre all’attenzione di tutti alcune evidenze che sono emerse in questi anni. La “sinodalità” che merita tutto l’approfondimento teologico necessario alla identità e alla forma della Chiesa è certamente uno stile di vivere la comunità cristiana e ispira anche un metodo con cui la vita della comunità si organizza e si propone. Uno stile e un metodo che implica un’articolata responsabilità da parte di ogni battezzato nella missione che la Chiesa è chiamata a compiere, a partire dal dono e dalla testimonianza della comunione. In questo orizzonte si collocano certamente i ministeri istituiti, gli organismi di partecipazione e di comunione, una adeguata formazione dei presbiteri, un rinnovato impegno nell’annuncio del Vangelo, una particolare consapevolezza della rilevanza della liturgia e della sua inesauribile ricchezza, una responsabilità trasparente nella gestione dei beni e delle opere promosse dalla Chiesa.
Abbiamo adottato come “inno della gioia evangelica” il Magnificat. In questa ultima parte, vogliamo comporre una piccola partitura che ci permetta di cantare il servizio alla vita e alla gioia di vivere nelle nostre comunità.
NOTE DI GIOIA
NASCERE
“La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21).
La vita umana, perché si dia e ci sia, perché cresca e perché si esprima, domanda che qualcuno vi si chini sopra benevolmente, vi si accosti con meraviglia, la accolga con senso di responsabilità, con attesa indifesa e con la decisione ferma e tenace di mettere a disposizione ad ogni passo tutto ciò che quella vita richiede per essere custodita, protetta, alimentata, fatta crescere, educata.
- La Comunità condivida la gioia e la trepidazione dell’attesa con la preghiera, con la vicinanza premurosa, con l’attenzione a necessità materiali, relazionali e spirituali alla famiglia e in particolar modo alle mamme.
- Predisponga un’accoglienza cordiale della domanda del Battesimo, una preparazione e un accompagnamento successivo alla celebrazione promuovendo un’adesione e una partecipazione alla vita comunitaria che sia di aiuto alla vita familiare.
- Proponga alcune feste liturgiche come riconoscimento del dono di Dio per la famiglia e nella famiglia e celebri adeguatamente gli anniversari che scandiscono la vita familiare, le giornate dedicate alla famiglia e la giornata per la vita.
- Condivida l’impegno delle scuole dell’infanzia parrocchiali e degli asili nido, come espressione dell’accoglienza dei piccoli e come servizio alle famiglie, sostenendole nei primi passi educativi.
- Alimenti la sensibilità nei confronti dei percorsi di accoglienza, affido e adozione.
- Sostenga economicamente le famiglie in difficoltà economica.
- Sia attrezzata nell’indicare servizi alla famiglia promossi a livello territoriale o diocesano: ufficio famiglia, consultori diocesani, Centri di Aiuto Vita.
FESTEGGIARE
“Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: ≪Non hanno vino≫. … ≪Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora≫” (Gv 2).
Parte integrante della festa è la gioia. La festa si può organizzare, la gioia no. Essa può soltanto essere offerta in dono e, di fatto, ci è stata donata in abbondanza: per questo siamo riconoscenti. Friedrich Nietzsche ha detto una volta: “L’abilità non sta nell’organizzare una festa, ma nel trovare le persone capaci di trarne gioia”.
- La Comunità celebri la gioia del Vangelo nella forma della festa. La preparazione, l’organizzazione e lo svolgimento delle feste liturgiche e di parrocchia richiedono una cura particolare: la comunità cristiana è festiva e festosa. Il “comandamento” della festa si accompagna ad alcune condizioni che ne custodiscono il senso. Se ragioni di natura economica e aggregativa hanno la loro importanza, non possono prevalere sulla logica fondamentale che muove come Chiesa a “festeggiare”, cioè la gioia del Vangelo.
- È importante predisporre il calendario delle “feste” liturgiche e comunitarie, non solo per prevedere la necessaria organizzazione, ma per condividerne il senso, particolarmente con coloro che la realizzano, in modo tale che anche chi vi partecipa possa avvertirlo.
- La festa “domenicale” merita una cura particolare sia per quanto riguarda la celebrazione eucaristica, sia per quanto riguarda incontri comunitari che trasmettano la gioia della Pasqua settimanale. La cura del canto e della musica contribuisce in modo speciale al clima festoso delle celebrazioni e degli incontri: “Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso”.
- Anche le feste patronali o quelle che celebrano luoghi, tradizioni, anniversari, sono occasioni preziose per declinare l’esperienza della festa con la sua sorgente evangelica.
- Anche alcune ricorrenze civili o determinati momenti di particolare coinvolgimento locale possono essere occasioni di annuncio della gioia del Vangelo per servire la vita e il bene comune, là dove accade la vita sociale, istituzionale, politica.
- L’Oratorio è “casa della gioia”: una caratteristica che nessun altro ambiente o organizzazione riesce a rappresentare. La Comunità in tutte le sue espressioni è chiamata non solo a garantire questa caratteristica, ma a promuoverla con il senso di appartenenza, la collaborazione alla molteplicità delle iniziative e al mantenimento delle strutture, la consapevolezza della sua fondamentale missione educativa. Molte sono le occasioni di festa in oratorio: si privilegino quelle che coinvolgono tutta la comunità e in modo speciale le giovani generazioni. Spesso gli ambienti dell’oratorio sono richiesti e offerti per feste di compleanno o comunque “private”. Anche in questo caso, il contributo economico non può cancellare la fisionomia propria di questa struttura e delle sue finalità.
- La Comunità ponga un’attenzione cordiale ed esprima un particolare apprezzamento alle “feste familiari” vissute nelle diverse circostanze della vita di una famiglia. Nella misura del possibile offra la sua disponibilità perché tutte le famiglie le possano vivere con serenità.
CONDIVIDERE
“Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (Atti 2).
La parola condivisione non è passata di moda, anzi è diventata una forma di comunicazione e di vita attuata quotidianamente. Il mondo di internet, del web, delle piattaforme, dei social ha assunto e rappresenta una forma di condivisione che è stile di vita e mentalità diffusa. La “rete” è un’immagine che dice di diverse forme di connessione (infrastrutturale, commerciale, di servizi…), ma la “Rete” con la maiuscola è oggi quella informatica: grande possibilità e grande tentazione. La tentazione di immaginare che la “Rete”, essenzialmente organizzativa e strumentale, possa sostituire la “Relazione” che è una forma di condivisione che coinvolge la persona nella sua interezza e la sua vita in tutte le dimensioni.
- La Comunità curi con convinzione le dimensioni relazionali della vita familiare e sociale, offrendosi come segno e primizia di incontro e di rapporto nel segno dell’accoglienza, della prossimità e della fraternità ispirata dal Vangelo e dal dono della relazione di Dio e con Dio, che prende la forma della sua stessa Vita: la “comunione”.
- La condivisione comunitaria identifichi e valorizzi luoghi e tempi di condivisione concreta e promuova questo criterio evangelico: nessuno è così povero da non poter donare. La condivisione valorizza il contributo di ciascuno per quanto limitato nelle forze e nelle possibilità.
- Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia, di cui abbiamo scritto nella prima parte, è tutto caratterizzato dal criterio della condivisione evangelica. In questo orizzonte il rilancio, la cura e il riconoscimento degli Organismi di partecipazione parrocchiali e diocesani e di tutte le forme di comunione ecclesiale vanno promosse e sostenute: non vi sono ragioni che possano giustificare la rinuncia a vivere la condivisione della responsabilità evangelica anche in forme istituite.
- Stanno crescendo numericamente e sviluppandosi nella propositività, forme di vita condivisa da parte dei giovani, che si collocano in ambienti parrocchiali con un orizzonte valoriale, educativo e vocazionale che appartiene alla Comunità che li accoglie. Meritano particolare cura, organizzandosi in maniera non esclusivamente parrocchiale, ma anche territoriale e diocesana.
- Condivisione secondo il Vangelo è anche la messa in comune dei diversi doni, carismi, vocazioni presenti nella Comunità. L’unità come segno evangelico della comunione, dono di Dio, non è uniformità o omologazione, ma è ricchezza di diversità che si accolgono, riconoscono e si fanno dono per la missione evangelica.
ACCOGLIERE
“Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio” (Rm 15,7). “Siate accoglienti, ospitali gli uni verso gli altri, senza mormorare” (1Pt 4,9). “Fratelli, l’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb 13,1).
“L’amore ci fa tendere verso la comunione universale. Nessuno matura né raggiunge la propria pienezza isolandosi. Per sua stessa dinamica, l’amore esige una progressiva apertura, maggiore capacità di accogliere gli altri, in un’avventura mai finita che fa convergere tutte le periferie verso un pieno senso di reciproca appartenenza… Nella misura in cui viene permeata da questo atteggiamento di apertura e di accoglienza, una società diventa capace di integrare tutti i suoi membri, anche quelli che per vari motivi sono ‘stranieri esistenziali’ o ‘esiliati occulti’, come a volte, ad esempio, si trovano ad essere le persone con disabilità, o gli anziani” (Papa Francesco, Evangelii Gaudium).
- La Comunità curi la testimonianza di una fraternità ospitale. Ogni forma di chiusura e di esclusione contraddice l’insegnamento evangelico.
- La prima e originale testimonianza di accoglienza è quella che ogni cristiano può offrire nel momento in cui riconosce che la sua vita è caratterizzata dall’accoglienza del dono di Dio e dalla meraviglia e gioia che ne scaturisce. Dio ci accoglie sempre e la fede è accoglienza di Lui e del suo Dono. “Mettere l’accento sulla grazia non significa sminuire il senso del dovere e dell’impegno a cui la struttura del cristianesimo tradizionale ci aveva allenati, ma non farne il punto di partenza della fede quanto piuttosto l’eco riconoscente e gioioso della grazia che, quando è seriamente accolta, ci rende più responsabili e generosi” (cfr sopra).
- La pratica dell’accoglienza è particolarmente impegnativa e i “muri” si moltiplicano non solo ai confini delle “nazioni”, ma anche dentro le società, le comunità, addirittura le famiglie. È una pratica che richiede cura in ogni ambiente di vita e di fronte ad ogni persona umana.
- L’Oratorio parrocchiale è sempre stato caratterizzato da un’accoglienza generosa, gratuita e universale. Per mantenere queste caratteristiche è richiesto un impegno notevole, sostenuto da forti convincimenti e organizzato con competenze e collaborazioni che rappresentino la testimonianza dell’accoglienza come valore evangelico. I cambiamenti intervenuto ormai da anni, chiedono una riflessione e delle scelte che coinvolgano tutta la Comunità e non siano riconducibili a provvedimenti puramente restrittivi.
- La nostra Diocesi e le nostre Parrocchie hanno offerto generose testimonianze di accoglienza di persone provenienti da Paesi attraversati da condizioni di vita insostenibili (fame, malattie, carestie…) o da guerre, violenze, ingiustizie, dittature disumane. Sempre più siamo consapevoli che le migrazioni che hanno sempre caratterizzato la storia e certamente quella del nostro Paese, non sono un’emergenza, ma una dimensione strutturale della vita sociale e globale. Le risposte a questo fenomeno non possono essere concepite solo in termini di emergenza e di sicurezza, ma innanzi tutto in termini di umanità e di nuove opportunità, non solo economiche.
- Da tempo, come Diocesi, abbiamo scelto di privilegiare la cosiddetta “accoglienza diffusa” che corrisponde in modo più appropriato alla condizione di persone e di famiglie che sono giunte in una terra nuova e in un orizzonte culturale diverso da quello delle loro origini. Il mondo della scuola dello sport e quello del lavoro sono abitati da queste persone, che spesso si rivelano un’autentica risorsa. Ma non basta. Rimane una resistenza da parte della società civile e delle istituzioni pubbliche che rende difficile il processo di accoglienza integrale, compreso quello delle generazioni ormai nate nel nostro Paese, a cominciare dalla disponibilità della casa e dai processi di scambio culturale che rendano apprezzabile la convivenza. Queste due attenzioni, meritano un rinnovato slancio da parte delle nostre Comunità.
- Un aspetto particolare dell’esercizio dell’accoglienza e rappresentato dalle modalità con cui vengono accolte le domande dei Sacramenti o comunque delle richieste presentate alla Comunità. Si tratta di una pratica spesso vissuta con sofferenza, proprio perché spesso si deve confrontare con l’incongruità della domanda. Il criterio che non vogliamo abbandonare è proprio quello di accompagnare la domanda verso i valori che rappresentano l’originalità della Comunità cristiana, rispetto ad ogni altra forma di servizio sociale.
SERVIRE
“Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mt 20).
“Per servire gli altri bisogna veramente farsi piccoli, umili, fino a sapersi inginocchiare davanti a loro, mettersi ai loro piedi. È difficile, perché il nostro io è duro a morire; ma in questo sacrificio non c'è tristezza, anzi proprio da esso scaturisce la vera gioia. Gesù stesso ha detto: «C'è più gioia nel dare che nel ricevere», e l'apostolo Paolo afferma: «Dio ama chi dona con gioia». Queste parole di vita sono da ricordare sempre. Chi si fa «servo» per amore di Cristo e dei fratelli si trova libero e felice di godere, insieme con tutti, il tesoro del Regno dei Cieli. Come cambierebbe il mondo se ogni mattino ciascuno di noi si proponesse di rivestirsi di Cristo assumendone i pensieri e i sentimenti per riprodurne le opere; se con risolutezza ci mettessimo al lavoro come buoni operai dicendo: «Per me servire è regnare: oggi voglio cominciare a vivere così!” (Annamaria Canopi).
- La Comunità vive del servizio di tutti e si pone al servizio di tutti, particolarmente dei piccoli, dei deboli, dei poveri.
- La varietà delle forme di servizio è alimentata da bisogni concreti, dal volto del prossimo, dalla propositività creativa, dai convincimenti personali, da motivazioni evangeliche. Sono necessarie forme di servizio per la vita della Comunità e forme di servizio con cui la Comunità “serve la vita dove la vita accade”.
- Il servizio ha assunto in molte circostanze la forma del “volontariato”: quello parrocchiale e quello testimoniato dal mondo associativo e dal mondo civile in tutte le sue espressioni. L’apprezzamento e il sostegno alle diverse forme di volontariato sia accompagnato dal riconoscimento e dalla promozione del suo valore formativo. Il servizio non è un criterio da adottare soltanto quando si esercita il “volontariato”, ma appartiene allo stile di vita del cristiano e di tutte le persone di “buona volontà”. Non si tratta solo di moltiplicare i “servizi” ma di alimentare lo “spirito di servizio”.
- Proprio per questo, la Comunità riconosce e apprezza tutte le forme in cui il servizio si dispiega: nella vita familiare, nei rapporti tra generazioni diverse, nella quotidiana premura nei confronti del prossimo, nell’esercizio del “buon vicinato” e nella vicinanza rispettosa e premurosa alle situazioni di bisogno non appariscenti.
- Manteniamo la memoria e, dove sono presenti, alimentiamo la riconoscenza nei confronti delle tante persone consacrate, soprattutto suore, che hanno testimoniato il servizio evangelico in diversi modi, nelle nostre Comunità. La contrazione numerica non diventi alibi alla memoria grata e renda ancor più consapevole la Comunità della loro preziosa testimonianza.
- Il servizio assume forme ecclesiali e civili istituite e riconosciute. Pur mantenendo le caratteristiche dello “spirito di servizio” esse diventano espressione di assunzione di responsabilità nei confronti della Comunità. Nel mondo ecclesiale queste forme assumono la denominazione di “ministeri ordinati e istituiti”: il ministero ordinato del Vescovo, del presbitero, del diacono. Papa Francesco ha rafforzato anche altre forme di ministero battesimale: il ministero del lettore, dell’accolito e quello del catechista. Da tempo è stata costituita la figura del ministro straordinario della comunione eucaristica. Altri “ministeri” stanno assumendo sempre più rilevanza , in una Chiesa che articola le responsabilità in ordine alla vita comunitaria e alla missione evangelica.
- È di particolare rilevanza la consapevolezza della Comunità cristiana in ordine al servizio al “bene comune” compiuto dalle figure istituzionali nelle loro diverse responsabilità politiche e amministrative. La stima e la considerazione di queste forme di servizio va alimentata proprio attingendo alle convinzioni che scaturiscono dalla fedeltà al Vangelo.
CONCLUSIONE
In questi anni, abbiamo organizzato la nostra pastorale a partire dal criterio del servizio evangelico: “servire la vita dove la vita accade”. Servire la vita dell’umanità e di ogni persona nella sua condizioni reale, a partire dalla Parola di Gesù: “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Servire la vita con la vita: la nostra e, prima di tutto, con la stessa vita di Dio, che ci è donata nella persona di Gesù, per opera dello Spirito Santo.
A partire da questo criterio sono state costituite le Comunità Ecclesiali Territoriali, chiamate a rappresentarlo e alimentarlo nelle realtà che le costituiscono.
Da questo criterio è scaturita la scelta pastorale delle Terre esistenziali che, alimentate dalla Parola di Dio, dai Sacramenti e dal dono della Carità, rappresentano la disposizione della comunità cristiana al servizio della vita.
Da questo criterio è scaturita una riorganizzazione degli Uffici pastorali della Curia diocesana e anche le scelte pastorali di alcune Parrocchie.
Quest’anno, nell’atmosfera giubilare e nella consapevolezza di un orizzonte storico inquietante che genera incertezza, indifferenza e smarrimento, abbiamo declinato la speranza, illuminandola con la gioia del Vangelo, dono di Dio e desiderio di ogni persona umana.
Mentre offro a ciascuno e a tutte le Comunità cristiane questa Lettera, chiedo il ricordo, la condivisione e la preghiera perché le “manifestazioni della speranza”, che hanno trovato una cordiale corrispondenza nelle Comunità Ecclesiali Territoriali, continuino a trovarla anche in quelle in cui si terranno nelle prossime settimane.
Affido alla preghiera la conclusione del mio Pellegrinaggio pastorale che approderà alle Parrocchie della Città, dopo aver attraversato le Parrocchie della Comunità Ecclesiale Settima (Ponte-Val San Martino).
Condivido con tutti la gioia del compimento di alcune opere diocesane (Casa Marina Lerma de l’Angelo Custode; Comunità de “La Casa” in San Paolo d’Argon, Museo diocesano Adriano Bernareggi nella nuova sede in Piazza del Duomo) che hanno visto l’assiduo impegno di coloro che ne sono responsabili, ma che esigono la consapevolezza, la condivisione e l’impegno di tutta la comunità diocesana.
Care sorelle e fratelli, come “pellegrini di speranza” camminiamo giubilando mentre passo per passo attraversiamo e abitiamo le terre esistenziali della quotidianità dove siamo chiamati ad essere “testimoni della gioia” del Vangelo. Nascere, festeggiare, condividere, accogliere, servire siano note che intonano una melodia di pace e di giustizia per servire la vita servendo la gioia di vivere. Ve lo auguro di cuore, nel nome di Gesù e con le sue parole, “perché la vostra gioia sia piena”!
Dice l’Apostolo: “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù”.
Con questi sentimenti vi abbraccio e benedico
+Francesco, vescovo