1973
Un argomento di riflessione
LE TRE CHIESE DI ZOGNO
A proposito della relazione annuale della Parrocchia. Fin che si tratta dell'aspetto finanziario, è subito detto: trenta milioni di entrate e altrettanti circa di uscite. Così pure se si rileva il movimento anagrafico bastano pochi numeri: 73 nati, 45 morti, 51 matrimoni. Qualora poi si volesse precisare anche il numero dei sacramenti amministrati o la frequenza alla chiesa si possono fornire dati abbastanza esatti come ad esempio: L. 152.000 spese per 1.000.000 particole circa. Potremmo così, in maniera spiccia, aiutarci a mettere il cuore in pace o a tentare la soluzione di ogni problema con le sfuriate di qualche predicozzo. Ma quando si tratta di diagnosticare realmente la situazione morale della parrocchia non c'è altra scelta che affidare a ciascun componente la parrocchia stessa il compito di esaminarsi sinceramente alla luce della propria coscienza cristiana perché ciascuno possa dire a sé di se stesso ciò che nessun altro potrebbe dire, ossia che razza di chiesa è la propria, quella costituita da se stesso nella propria dimensione strettamente personale. La nostra piccola chiesa che riscopriamo in noi diventa come un balcone spalancato sulla grande chiesa da cui possiamo esplorarne meglio la realtà. Per l'osservatore sensibile, che vuol prendersi l'impegno di concretizzare alcuni rilievi pratici per sé e per quanti hanno la compiacenza di accettarli, a Zogno, sembra di poter ravvisare tuttora una triplice chiesa: quella alta, quella media e quella bassa. Cerchiamo d'intenderci. Quella alta, cioé la chiesa classica dei puritani, la migliore chiesa di sempre, quella che detta leggi a tutti senza misericordia per nessuno, tranne che per se stessa, che è al servizio dei forti e a castigo dei deboli. È temuta perché manovra la terribile arma della maldicenza. Col pretesto che «la gente dice», si mette in salvo da qualsiasi rischio quando esplode i suoi malefici strali. Questa è la chiesa della ribalta, sempre pronta a dare spettacolo di sé e a proporsi come esempio di vita a tutti perché è l'unica chiesa al mondo che sa di non sbagliare mai, mentre «gli altri» diventano facile bersaglio del suo sadico apostolato senza tregua! Questa è la chiesa che resta a fronte alta davanti alt altare con l'inno sonoro sulle labbra: «Ti ringrazio, Signore, perché io non sono come gli altri: adultero, ladro, assassino ...». Ovvero è la chiesa che, come al tempo dei massacri predetti dal profeta Daniele, si precipita fuori dal tempio santo di Dio urlando forsennata: «Scandalo e desolazione: è stato profanato!»: non è quindi la chiesa del dialogo auspicata dal Concilio Vaticano II. Questa è l'unica chiesa che deve assolutamente passare di moda perché già rinnegata da Cristo! Quella media, andante, fatta di povera gente, confusa e mortificata, che sa di essere peccatrice, indegna di Dio, ma sinceramente fiduciosa per sé e soprattutto per gli altri, fortunatamente è la più numerosa. È il gregge, il mistico gregge di Cristo, sempre docile alle vergate dei pastori e sempre mite nelle prove dure della vita. Questa è la chiesa dei cristiani onesti, che sanno di sbagliare, che riconoscono le proprie colpe e le sanno pagare di persona. Questa è la chiesa bersagliata dall'alto e dal basso e fa di solito le spese per tutti: i troppo buoni e i troppo cattivi! È la vera chiesa da incrementare e da santificare! Quella bassa, propria di chi non ha nessuna religione o vive ai margini di essa, magari senza nessuna colpa specifica, ma soltanto perché si è trovata la porta chiusa della chiesa ufficiale, o non è mai stata invitata a entrarvi con convinzione e con garbo, oppure perché se ne è andata sfiduciata della chiesa che, erroneamente, riteneva fosse la vera chiesa di Cristo. Non è di solito gente peggiore degli altri, anzi, spesso è la più sensibile a ogni problema umano. E' comunque la chiesa dei pubblicani, che se per caso un giorno sconfinassero in chiesa, li sorprenderemmo appena dentro la porta a battersi il petto. Ecco un terreno vergine, per lo più, assai adatto alla semina di un cristianesimo genuino, meno bastardo del nostro. Certo, se Cristo tornasse, tornerebbe soprattutto per loro! Chiedo scusa se involontariamente posso aver offeso qualcuno. Ma è ora che anch'io torni subito con ciascuno di voi alla riflessione personale e sincera che mi faccia capire a quale di questa triplice chiesa appartengo; se all'una, o all'altra, ovvero se sono ben rappresentato in tutte tre! Se posso esprimere un voto a Dio per il bene vostro, cari parrocchiani, e per il mio, è questo: che possa sempre appartenere con tutti voi all'unico gregge di Cristo, sempre docile alle vergate, sempre gioioso e riconoscente di rimanere lì, nella chiesa di mezzo, in rispettoso atteggiamento di fronte all'alta chiesa dei farisei, ma sempre pronto, con le porte spalancate, a ricevere festosamente la chiesa bassa, quella ritenuta dei peccatori classici, per la quale Cristo, Buon Pastore, tornerebbe se non ci fossimo noi a riceverla!
Con affetto.
DON GIULIO GABANELLI
Con affetto.
DON GIULIO GABANELLI
Nel ricordo di Mons. Speranza
Benedetta da Mons. Dolci
la nuova Madonnina del Carmine
Il primo gennaio 1973, alle ore 10,30 nel Santuario nuovo di Maria Ss.ma Regina al Carmine, Monsignor Teodoro Dolci, alla presenza di molti fedeli accorsi per la solenne circostanza, ha benedetto la statua della Vergine col Bambino, o, più semplicemente, la «Madonnina del Carmine» collocata a ricordo di Mons. Giuseppe Speranza nel terzo anniversario della sua morte per incrementare la devozione mariana in questi nostri tempi in cui sono posti con la fede in pericolo anche tutti i valori umani. Subito dopo l'annuncio del Vangelo, impartita la benedizione, Monsignor Dolci ha pronunciato un discorso che gli è sgorgato dal cuore in maniera spontanea e commovente. Fra l'altro ha detto: «È un vero miracolo che questa scultura, opera di Francesco Laurana, abbia scelto di tornare in venerazione proprio in questa Chiesa così indicata ad accoglierli... Poteva benissimo finire in una importante raccolta privata dove più nessuno l'avrebbe potuta vedere ovvero in un grande museo, ne sarebbe stata più che degna accanto magari ad altre sculture profane dove più nessuno l'avrebbe potuta venerare ... Ma al contrario. e questo per me è un vero prodigio, ha scelto Zogno e precisamente questo bel santuario... in cui, ha portato con la sua materna presenza un tenero richiamo alla fede. La Vergine, tenera, anzi ancora tenerissima fanciulla ... è meravigliosamente perfetta ..., il Bambino invece, a parer mio, è appena abbozzato. Forse l'autore, che si era già impegnato a scolpire con sorprendente e ammirevole perfezione la Madre, non si è più sentito in grado di eseguire il Bambino con altrettanta o superiore bellezza, o forse perché l'autore non ha voluto che accennarlo semplicemente come una idea volendo indicarlo ai fedeli come un sublime pensiero in omaggio alla sua tenerissima madre ... L'opera diventa ancora più significativa e preziosa ... se pensiamo di averla voluta anche a ricordo di Mons. Speranza ... mio amico ... che fu veramente un santo ...!». Ora «... come un grazioso gioco del fumo o come una candida nuvola» la Vergine sta alla destra dell'altare del Sacrificio per indicarci il valore infinito nella celebrazione, per ispirare sentimenti di amore a Dio e ai fratelli e per esprimere il richiamo più forte e più tenero della Chiesa ai peccatori e per donare fiducia e consolazione agli afflitti e agli oppressi.
Un impegno pasquale
RISPETTA
CHI NON LA PENSA COME TE
Cari parrocchiani,
è il quarto anno che celebro con voi la Pasqua a Zogno. «Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi», dice il proverbio. Ma per me non sarebbe Pasqua se non la celebrassi con voi con ciascuno di voi anche se mi capiterà di non incontrarvi neppure tutti in questo periodo di tempo. Vi sentirò ugualmente presenti così intimamente presenti da ritenervi sinceramente insostituibili come fratelli e amici. Quando si vivono insieme a lungo gioie e dolori si ha la consolante sorpresa di sentirsi reciprocamente in una sola famiglia in cui ci si appartiene a vicenda. Ci si accetta così come si è e si forma una meravigliosa comunità che supera tutti i confini di qualsiasi struttura o barriera politica e religiosa. Questa convivenza umana matura, con la buona volontà di tutti, il superamento di ogni difficoltà o contrasto della vita e ci fa riscoprire come gente meno difficile e più cristiana. Da questo momento si comincia a capirsi finalmente anzi ci si è già capiti perché ci si vuole bene. Continueremo ad avere ancora gli stessi difetti e peccati, ma questi non saranno assolutamente un motivo per volerci male. Si dice che il sacerdote in mezzo alla sua gente è padre e pastore. Sinceramente non mi sento né padre, né pastore, ma semplicemente amico. Neppure Cristo si sentì padre, ma ci indicò il nostro vero padre che sta nei cieli, Dio. Soltanto Cristo invece è il buon pastore di questo nostro mistico gregge perché Lui l'ha generato, lo nutre e lo guida. Tutti gli altri sono o pecore o mercenari. Io mi sento di essere un po' mercenario in mezzo a voi ma con la forte tentazione di volermi sostituire al pastore medesimo innamorandomi delle pecore come se fossero mie pur sapendo che non sono mie e che alla fine, ne dovrò rendere conto al vero pastore. Questo mio desiderio d'inserirmi nel vivo della vostra vita per realizzare insieme una comunità di fede e di amore in chiesa e fuori dovunque può essere frainteso come segno di integralismo, a volte così radicato nella Chiesa da provocare la reazione di chi vuole essere lasciato in pace o vuole rimanere estraneo al mondo della religione. Penso che il mio integralismo non sia offensivo per nessuno anche se mi capita di scontrarmi a volte con qualcheduno. Non si tratta qui di voler fare a tutti i costi «di ogni erba un fascio», ma per chi ha buon intendimento il mio vuole essere soltanto un timido e tacito riconoscimento della Chiesa come realtà salvifica aperta a tutti gli uomini perché Dio li vuole tutti salvi! Può essere questa una nuova forma valida di fare proselitismo e di essere missionaria da parte della Chiesa, che, finalmente, non costringe più i popoli a rinnegare se stessi per appartenerle ma esige tuttavia che ciascuno rinneghi se stesso il proprio egoismo, in testimonianza di fede e di amore a tutti i fratelli affinché tutti si sentano il diritto e il dovere di essere una sola comunità umana che dispone universalmente anche del dono della salvezza. Questa è la grande novità che si è inserita già con la Redenzione nella storia dell'umanità in maniera così vitale di non permettere più a nessuno di poterle sfuggire. Pertanto chi obietta: «A me interessa la verità, soltanto la verità, e mi rifiuto di andare in chiesa a fare sia il fariseo che il pubblicano» se è sincero in questo suo comportamento già vive nella vera Chiesa in una maniera assai forte! Là dove c’è un richiamo all’uomo un invito all'amore alla verità al bene la chiesa ha già affondato le sue radici ha costituito già una realtà autentica e consolante. Se ciascuno di noi si impegnasse a fare la propria strada in questa ricerca in chiesa o fuori poco importa ci ritroveremmo fra non breve, tutti riuniti. Il sacerdote in mezzo alla sua popolazione deve essere pertanto missionario come e più di ogni fedele, aperto a tutti senza discriminazioni che neppure il Padre-eterno si permette di fare, in atteggiamento di sincero e profondo rispetto per tutti «Rispetta chi non la pensa come te», impegnato non a cambiare la testa degli altri, bensì la propria, e non proteso come una tagliola per catturare abbondante preda o selvaggina al presunto regno di Dio, bensì presente in mezzo ai suoi per convertirsi coi suoi a Dio e ai fratelli e per attendere tutti insieme la salvezza! Qualora poi succedesse nella chiesa di Dio, come nell'ambito anche della vita civile, che chi rappresenta la chiesa o la patria, chi esercita la giustizia, chi detiene il potere sia con la divisa e i gradi o senza, risulti il più indegno, non concludete: «lo rispetto la Chiesa o la Patria, ma non i rappresentanti! » perché non cambia nulla della realtà che bene o male viene rappresentata, poiché tutti insieme siamo la Chiesa e la Patria. Rispettiamoci dunque sempre a vicenda e aiutiamoci amorevolmente a riconfermarci nella fratellanza e nell'amicizia! Con questi sentimenti mi dispongo a «fare Pasqua» con tutti voi. Vi sarò assai riconoscente se anche voi vorrete disporvi a «fare Pasqua» con me animati dai medesimi sentimenti.
Vostro aff.mo
DON GIULIO GABANELLI
è il quarto anno che celebro con voi la Pasqua a Zogno. «Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi», dice il proverbio. Ma per me non sarebbe Pasqua se non la celebrassi con voi con ciascuno di voi anche se mi capiterà di non incontrarvi neppure tutti in questo periodo di tempo. Vi sentirò ugualmente presenti così intimamente presenti da ritenervi sinceramente insostituibili come fratelli e amici. Quando si vivono insieme a lungo gioie e dolori si ha la consolante sorpresa di sentirsi reciprocamente in una sola famiglia in cui ci si appartiene a vicenda. Ci si accetta così come si è e si forma una meravigliosa comunità che supera tutti i confini di qualsiasi struttura o barriera politica e religiosa. Questa convivenza umana matura, con la buona volontà di tutti, il superamento di ogni difficoltà o contrasto della vita e ci fa riscoprire come gente meno difficile e più cristiana. Da questo momento si comincia a capirsi finalmente anzi ci si è già capiti perché ci si vuole bene. Continueremo ad avere ancora gli stessi difetti e peccati, ma questi non saranno assolutamente un motivo per volerci male. Si dice che il sacerdote in mezzo alla sua gente è padre e pastore. Sinceramente non mi sento né padre, né pastore, ma semplicemente amico. Neppure Cristo si sentì padre, ma ci indicò il nostro vero padre che sta nei cieli, Dio. Soltanto Cristo invece è il buon pastore di questo nostro mistico gregge perché Lui l'ha generato, lo nutre e lo guida. Tutti gli altri sono o pecore o mercenari. Io mi sento di essere un po' mercenario in mezzo a voi ma con la forte tentazione di volermi sostituire al pastore medesimo innamorandomi delle pecore come se fossero mie pur sapendo che non sono mie e che alla fine, ne dovrò rendere conto al vero pastore. Questo mio desiderio d'inserirmi nel vivo della vostra vita per realizzare insieme una comunità di fede e di amore in chiesa e fuori dovunque può essere frainteso come segno di integralismo, a volte così radicato nella Chiesa da provocare la reazione di chi vuole essere lasciato in pace o vuole rimanere estraneo al mondo della religione. Penso che il mio integralismo non sia offensivo per nessuno anche se mi capita di scontrarmi a volte con qualcheduno. Non si tratta qui di voler fare a tutti i costi «di ogni erba un fascio», ma per chi ha buon intendimento il mio vuole essere soltanto un timido e tacito riconoscimento della Chiesa come realtà salvifica aperta a tutti gli uomini perché Dio li vuole tutti salvi! Può essere questa una nuova forma valida di fare proselitismo e di essere missionaria da parte della Chiesa, che, finalmente, non costringe più i popoli a rinnegare se stessi per appartenerle ma esige tuttavia che ciascuno rinneghi se stesso il proprio egoismo, in testimonianza di fede e di amore a tutti i fratelli affinché tutti si sentano il diritto e il dovere di essere una sola comunità umana che dispone universalmente anche del dono della salvezza. Questa è la grande novità che si è inserita già con la Redenzione nella storia dell'umanità in maniera così vitale di non permettere più a nessuno di poterle sfuggire. Pertanto chi obietta: «A me interessa la verità, soltanto la verità, e mi rifiuto di andare in chiesa a fare sia il fariseo che il pubblicano» se è sincero in questo suo comportamento già vive nella vera Chiesa in una maniera assai forte! Là dove c’è un richiamo all’uomo un invito all'amore alla verità al bene la chiesa ha già affondato le sue radici ha costituito già una realtà autentica e consolante. Se ciascuno di noi si impegnasse a fare la propria strada in questa ricerca in chiesa o fuori poco importa ci ritroveremmo fra non breve, tutti riuniti. Il sacerdote in mezzo alla sua popolazione deve essere pertanto missionario come e più di ogni fedele, aperto a tutti senza discriminazioni che neppure il Padre-eterno si permette di fare, in atteggiamento di sincero e profondo rispetto per tutti «Rispetta chi non la pensa come te», impegnato non a cambiare la testa degli altri, bensì la propria, e non proteso come una tagliola per catturare abbondante preda o selvaggina al presunto regno di Dio, bensì presente in mezzo ai suoi per convertirsi coi suoi a Dio e ai fratelli e per attendere tutti insieme la salvezza! Qualora poi succedesse nella chiesa di Dio, come nell'ambito anche della vita civile, che chi rappresenta la chiesa o la patria, chi esercita la giustizia, chi detiene il potere sia con la divisa e i gradi o senza, risulti il più indegno, non concludete: «lo rispetto la Chiesa o la Patria, ma non i rappresentanti! » perché non cambia nulla della realtà che bene o male viene rappresentata, poiché tutti insieme siamo la Chiesa e la Patria. Rispettiamoci dunque sempre a vicenda e aiutiamoci amorevolmente a riconfermarci nella fratellanza e nell'amicizia! Con questi sentimenti mi dispongo a «fare Pasqua» con tutti voi. Vi sarò assai riconoscente se anche voi vorrete disporvi a «fare Pasqua» con me animati dai medesimi sentimenti.
Vostro aff.mo
DON GIULIO GABANELLI
Ancora un argomento
per la nostra riflessione
Ribelliamoci contro una chiesa anonima, senza un volto umano e familiare) che ci permette di vivere da indifferenti gli uni accanto agli altri come tra gente estranea giunta da chissà quali parti per mettersi in coda ad attendere il proprio turno agli sportelli di una agenzia bancaria. La chiesa presuppone e promuove tra gli uomini una forte solidarietà umana prima che possa cominciare ad essere la grande realtà sovrumana dei figli di Dio. Pertanto non .può essere fatta di persone che pensano soltanto ai fatti propri, che non disturbano per non essere disturbate, che ammettono la presenza di Dia ma escludono quella dell'uomo, che sostano in preghiera di fronte al Dio invisibile «Dues absconditus» mentre calpestano il Dio fatto uomo negli uomini, che osservano scrupolosamente tutti i precetti tranne quello fondamentale e insostituibile dell'amore per i fratelli! Si spiega così la grande crisi del nostro tempo: «Abbiamo creduto a Dio ma non al!' amore»! Siamo perciò caduti vittime della più incredibile delle contraddizioni «Dio non è amore che per se stesso»! Noi dalla chiesa siamo stati chiamati in causa secondo questo esemplare assurdo e disumano, mentre Cristo ci ha indicato in Dio un esemplare di amore paterno da imitare tra di noi. Dio ci ha fatti per se stesso, è vero! Ma non come un bambino che non trovando possibile la vita coi fratelli si rifugia nelle braccia tenere del padre buono. Le braccia di Dio sono le braccia degli uomini. Forse mai in nessun tempo come in questi nostri, detti di riforma anziché di disorientamento, noi cattolici abbiamo manifestato segni di preoccupante insicurezza dottrinale per questa visione troppo indiretta di Dio e agghiacciante, sprovvista di calore umano. La nostra insicurezza si ripercuote oramai in ogni campo della vita cristiana. Siamo lutti d'accordo nel dichiarare morta la catechesi del nozionismo ma non sappiamo imbastirne una più valida, in sostituzione, perché ci manca una esperienza umana capace di ricuperare l'uomo che ci è sfuggito paurosamente dalle mani. La nostra predicazione vaga incerta tra l'annuncio della parola di Dio e la riflessione timida fatta ad alta voce proprio di chi, trovandosi solo nel buio, alza la voce per sentirsi almeno in compagnia di se stesso. Nella confessione si è passati da un estremo all' altro: prima decideva tutto il sacerdote, mentre ora decide tutto il penitente. Al reo si lascia decidere la colpevolezza e la pena, al sacerdote non resta che di accettare la situazione di fatto, come un padrone di casa, che sopraffatto dall'invasore, cerca di scendere a patti per non essere almeno estromesso. I sacramenti vengono amministrati a una chiesa da iniziati che restano sempre da indiziare al senso umano dell'azione salvifica della chiesa. L'autorità ecclesiastica vacilla tra l'assemblearismo di gruppi invadenti e irresponsabili e la presunzione del dialogo con il popolo di Dio. Siamo disorientati nella ricerca di una filosofia forte, azzeccata per questi nostri tempi deboli, che abbia la potenza di sfondare finalmente la resistenza dello scetticismo moderno e che ci aiuti a riproporre in modo travolgente le verità della fede ad alto e a basso livello per ricuperare il credito perduto. Purtroppo siamo alla ricerca di metodi e di filosofie e di dottrine, ma non ancora alla ricerca dell'uomo. Rifiutiamo la via dell'esperienza umana per indugiare preoccupati a dimostrare che l'aria è l'aria, che la luce è la luce, che l'acqua è l'acqua, ecc. prima di ammetterne l'esistenza. La fede è per i semplici e non può essere affidata ai grandi discorsi fatti o richiesti dalla gente presuntuosa. La vera religione non può essere che fondata sull'amore e comporta sempre una viva esperienza umana testimoniata incondizionatamente ed esclusivamente dall'amore. Su questo principio basilare dobbiamo applicare tutta la vita e deciderci a stare in pace, in quella pace che è dono di serenità interiore a chi si è donato generosamente ai fratelli così come Dio in Cristo si è donato agli uomini. Nella pratica dei sacramenti, amministrati a una maniera piuttosto che all'altra, abbiamo l'espressione, il Segno, dell'amore di Dio per noi; ma non servono a niente se non diventano anche l'espressione, il Segno, dell'amore nostro per i fratelli! In sintesi: la nostra insicurezza dipende dal fatto che continuiamo ad ammettere una chiesa divina, troppo divina, ma per nulla umana e troppo condizionata da noi.
DON GIULIO G.
DON GIULIO G.
... dal diario di un prete parroco ...
“È più difficile oggi fare il prete”
Il prete in una parrocchia comincia a vivere partendo dalla notizia della sua nomina. In fretta, per sentito dire, si improvvisano le prime radiografie della sua esistenza. Se ne fa una montatura che suscita interesse, che provoca curiosità. Man mano giungono nuove informazioni, sollecitate di proposito, si apportano i dovuti ritocchi e le doverose modifiche alla caricatura in maniera che quando quel povero sventurato compare finalmente in paese per la prima volta, tra la sua gente, sia già diffamato anche se sulle cantonate delle vie, sui muri e sugli stipiti delle case e della chiesa figurano già affissi striscioni osannanti al novello pastore. I promotori dell'avvenimento sono di solito i paladini della fede e del buon costume. Là dove, per caso, trova posto qualche confratello (prete) le cose acquistano naturalmente maggior rilievo e vengono perfezionate meglio, con arte impareggiabile, tutto ben inteso a edificazione del buon popolo di Dio! In paese c'è chi non lo vuole affatto e chi ne tollera a malapena la presenza. Ma sono pochi. La maggior parte della gente tuttavia lo vuole ma purtroppo secondo un esemplare che non esiste. Infatti se è giovane è inesperto, e se anziano è retrogrado. Se è dinamico «tuttofare» contrasta con la sua missione spirituale, «Faccia il prete» si dice; ma diversamente è un buono a nulla che si lascia sopraffare o che lascia andare tutto alla malora. Se è festaiolo è giù di moda, altrimenti è senza vita. Se è tutto casa e chiese trascura il gregge smarrito; al contrario non si trova mai. a disposizione della pecorella fedele che cerca il buon pastore all'ovile. Se ama vestire bene o svestire la tonaca è un mondano, all'opposto è un pedagnone o un trasandato. Se è facile al discorso è un parolaio che stanca, se no è un cane muto o un tipo freddo. Se cerca le elemosine è un palancaio «don palanca», ovvero, se non cerca niente a nessuno, non fa il suo dovere e danneggia la chiesa, oppure ha scoperto il tesoro! Se asseconda la gente è un debole e se la contraddice è un prepotente. Non può capire i problemi delle famiglie perché non è sposato; ma se sposasse tradirebbe la sua missione! Se gli interessa la questione sociale è un maoista, altrimenti è un venduto ai ricchi ... Quale dimensione può occupare a queste condizioni il prete in una parrocchia? Nessuna! Ma dal momento che c'è, tutti dicono che ha buon tempo. I preti morti tuttavia sono sempre i migliori perché ormai non danno più fastidio a nessuno! Anzi: si erigono monumenti, come nell'antichità, ai profeti lapidati tra il tempio e l'altare. Sembra pesi una terribile maledizione sulla testa del prete. Sarà forse perché è imparentato con quelli che misero a morte Gesù? Tuttavia il prete è sempre necessario in un paese, almeno come capro-espiatorio, perché tutti lo vogliono da criticare. Per classificare meglio la situazione dobbiamo dire che i preti, soprattutto oggi, sono come quei frati condannati dalla sventura, perché devono fare penitenza, a cavare acqua dal pozzo con la cesta. Ma vale la pena di fare una così grande fatica soltanto per il gusto d'intorbidare l'acqua del pozzo? Forse si tratta soltanto di sostituire la cesta con un secchio. Purtroppo sono, tutte inutili le cose che si possono fare al mondo, compresa la redenzione, qualora per qualsiasi verso si trova la maniera di rifiutarle! Il prete non vale niente se la gente lo rifiuta. Anche il prete di buona volontà non può che valere quello che la gente vuole perché è capo soltanto di chi gli crede sinceramente così come è!
DON GABANELLI
DON GABANELLI
La parola del Parroco
IL PIANO
PASTORALE PARROCCHIALE 1973-1974
S'incentra sui temi:
1°) «Iniziazione cristiana» proposto dai Vescovi come aspetto particolare e pratico dello studio su «Evangelizzazione e Sacramenti» che impegna tutti nel corrente triennio '73-'76 e che si concluderà a Roma col prossimo Sinodo dei Vescovi medesimi. Per iniziazione cristiana s'intende che non si devono improvvisare né la fede, né i sacramenti, né i cristiani! Si esige un tirocinio di preparazione alla fede e ai sacramenti che ci aiuta a dire di sì con la nostra testa, e non con quella degli altri, alla proposta di salvezza della Chiesa; e ci aiuta a ricevere e a vivere i sacramenti nel!' arco di tutta la vita nella incessante crescita della vita cristiana e non soltanto in circostanze particolari di convenienza o di età. Basta quindi coi pagani battezzati!
2°) «Conversione e Riconciliazione con Dio e coi fratelli» proposto dal Papa Paolo VI per la celebrazione .dell' Anno Santo indetto per il 1973-'74 nelle parrocchie e singole diocesi e per il 1974-'75 a Roma, dove convergerà tutto il mondo cattolico a conclusione.
La grande novità che apre l'imminente anno di pastorale è il nuovo catechismo dei bambini, da zero a sei anni, col quale si dà il via al piano stesso sulla «iniziazione per i piccoli» e sulla «conversione per gli adulti».
La catechesi dei bambini impegna innanzitutto gli adulti e in particolare i genitori, che sono i primi e insostituibili responsabili, a promuovere una autentica esperienza di fede partendo dalla base della famiglia affinché l'uomo sia integralmente coinvolto fin dalla sua nascita e per tutta la sua vita nel problema vivo della salvezza. Finalmente si precisano in maniera chiara, fra l'altro, i seguenti capisaldi:
1°) «La scuola autentica naturale di catechesi» è la famiglia, senza surrogati! E i primi e insostituibili catechisti dei figli sono i genitori ai quali si offre la collaborazione di persone esperte e impegnate, come i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i catechisti preparati per questo scopo.
2°) «I destinatari della nuova catechesi» in primo luogo non sono i piccoli che non sanno leggere, ma gli adulti, i quali devono subito rendersi, idonei a educare con la coerenza della vita, illuminata dalla fede vissuta pienamente nelle opere. Infatti la prima risposta ai bambini, che interrogano con la loro presenza, prima ancora che con le parole deve essere data coi fatti e con la condotta esemplare di tutti i responsabili della loro educazione.
3°) «La materia d'insegnamento» non sono perciò le formulette da studiarsi a memoria, ma la vita integralmente vissuta, con tutto ciò che la riguarda. Punto di partenza pertanto è la realtà concreta «quel che siamo», cioé peccatori, ma in comunione con Cristo che riscopriamo come segno di misericordia per noi e come invito pressante all'amore nell'innocenza dei bambini, per camminare insieme, grandi e piccoli, verso la grande mèta « quel che dobbiamo essere », cioé «veri figli di Dio e fratelli tutti in Gesù Cristo»!
4°) «Come metodo» bisogna sapere sempre conciliare due aspetti fondamentali a proposito della religione:
a) che sia sempre una proposta di amore, e perciò libera. È assurdo imporre di amare. Questa è una proposta che esige una libera scelta;
b) che sia sempre una risposta seriamente vincolante per tutta la vita.
Chi decide di amare deve sacrificarsi per rendersi capace di vita umana e soprattutto di vita cristiana. Il cristiano è come il seme che ricupera la sua vera vita nel solco sacrificandosi. «Chi prende in mano l'aratro e si volta indietro, non è più degno di me», dice Gesù nel Vangelo! Dopo questa lunga premessa, ecco qualche indirizzo pratico per le nostre realizzazioni pastorali nell'anno 1973-'74:
I - Si torna anche quest'anno, meno incerti e titubanti, a chiedere ospitalità a ogni singola famiglia interessata alla catechesi dei fanciulli. Anzi, si desidera un cortese invito, nei limiti di ogni discrezione e possibilità, da parte dei genitori medesimi, insostituibili responsabili diretti dei bambini.
II - S parla tanto di voler restituire l'ordine del diaconato per il servizio alle comunità parrocchiali. Il primo diaconato da istituire è quello dei catechisti per i quali si esige una vera scuola: teorica nella parrocchia e pratica nelle famiglie, dove bambini e genitori sono i testi viventi della catechesi più viva ed efficace. Si presentino quindi quanto prima tutti quelli che si sentono generosamente disponibili per questa scuola.
III - Si promuoveranno piccoli e grandi incontri:
- Piccoli incontri con piccoli gruppi, anche nelle singole frazioni, per intendersi meglio e per raggiungere meglio, più capillarmente, tutti gli interessati, genitori e figli.
- Grandi incontri in Parrocchia e al Carmine per un confronto di testimonianze cristiane soprattutto nella celebrazione della Santa Messa, negli incontri di preghiera, e nelle circostanze solenni dell' amministrazione dei Santi Sacramenti, al fine anche di ottenere la massima partecipazione di tutta la comunità parrocchiale come espressione forte d'intesa e di unità con Dio e coi fratelli.
IV - Avremo un'attenzione particolare:
- Per l'amministrazione del Battesimo, sia nella preparazione dei genitori e sia in una maggiore comunitarietà nella celebrazione.
- Per il Matrimonio: nel richiedere una maggiore preparazione remota e prossima e nell'inculcare la celebrazione comunitaria quando si presenti l'occasione.
- Per l'assistenza agli ammalati, ammettendo la celebrazione della Santa Messa nella camera degli infermi che lo desiderano, soprattutto in occasione dell' amministrazione dell'Olio degli Infermi e del Santo Viatico.
V - Gli argomenti trattati nelle omelie e nella predicazione comunitaria festiva saranno identici in tutta la diocesi. Accoglieremo pure con impegno tutte le iniziative della zona pastorale e della diocesi che riguarderanno soprattutto l'iniziazione cristiana, il mondo del lavoro, e l'Anno Santo.
Che Dio benedica la nostra buona volontà.
DON GIULIO GABANELLI
1°) «Iniziazione cristiana» proposto dai Vescovi come aspetto particolare e pratico dello studio su «Evangelizzazione e Sacramenti» che impegna tutti nel corrente triennio '73-'76 e che si concluderà a Roma col prossimo Sinodo dei Vescovi medesimi. Per iniziazione cristiana s'intende che non si devono improvvisare né la fede, né i sacramenti, né i cristiani! Si esige un tirocinio di preparazione alla fede e ai sacramenti che ci aiuta a dire di sì con la nostra testa, e non con quella degli altri, alla proposta di salvezza della Chiesa; e ci aiuta a ricevere e a vivere i sacramenti nel!' arco di tutta la vita nella incessante crescita della vita cristiana e non soltanto in circostanze particolari di convenienza o di età. Basta quindi coi pagani battezzati!
2°) «Conversione e Riconciliazione con Dio e coi fratelli» proposto dal Papa Paolo VI per la celebrazione .dell' Anno Santo indetto per il 1973-'74 nelle parrocchie e singole diocesi e per il 1974-'75 a Roma, dove convergerà tutto il mondo cattolico a conclusione.
La grande novità che apre l'imminente anno di pastorale è il nuovo catechismo dei bambini, da zero a sei anni, col quale si dà il via al piano stesso sulla «iniziazione per i piccoli» e sulla «conversione per gli adulti».
La catechesi dei bambini impegna innanzitutto gli adulti e in particolare i genitori, che sono i primi e insostituibili responsabili, a promuovere una autentica esperienza di fede partendo dalla base della famiglia affinché l'uomo sia integralmente coinvolto fin dalla sua nascita e per tutta la sua vita nel problema vivo della salvezza. Finalmente si precisano in maniera chiara, fra l'altro, i seguenti capisaldi:
1°) «La scuola autentica naturale di catechesi» è la famiglia, senza surrogati! E i primi e insostituibili catechisti dei figli sono i genitori ai quali si offre la collaborazione di persone esperte e impegnate, come i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i catechisti preparati per questo scopo.
2°) «I destinatari della nuova catechesi» in primo luogo non sono i piccoli che non sanno leggere, ma gli adulti, i quali devono subito rendersi, idonei a educare con la coerenza della vita, illuminata dalla fede vissuta pienamente nelle opere. Infatti la prima risposta ai bambini, che interrogano con la loro presenza, prima ancora che con le parole deve essere data coi fatti e con la condotta esemplare di tutti i responsabili della loro educazione.
3°) «La materia d'insegnamento» non sono perciò le formulette da studiarsi a memoria, ma la vita integralmente vissuta, con tutto ciò che la riguarda. Punto di partenza pertanto è la realtà concreta «quel che siamo», cioé peccatori, ma in comunione con Cristo che riscopriamo come segno di misericordia per noi e come invito pressante all'amore nell'innocenza dei bambini, per camminare insieme, grandi e piccoli, verso la grande mèta « quel che dobbiamo essere », cioé «veri figli di Dio e fratelli tutti in Gesù Cristo»!
4°) «Come metodo» bisogna sapere sempre conciliare due aspetti fondamentali a proposito della religione:
a) che sia sempre una proposta di amore, e perciò libera. È assurdo imporre di amare. Questa è una proposta che esige una libera scelta;
b) che sia sempre una risposta seriamente vincolante per tutta la vita.
Chi decide di amare deve sacrificarsi per rendersi capace di vita umana e soprattutto di vita cristiana. Il cristiano è come il seme che ricupera la sua vera vita nel solco sacrificandosi. «Chi prende in mano l'aratro e si volta indietro, non è più degno di me», dice Gesù nel Vangelo! Dopo questa lunga premessa, ecco qualche indirizzo pratico per le nostre realizzazioni pastorali nell'anno 1973-'74:
I - Si torna anche quest'anno, meno incerti e titubanti, a chiedere ospitalità a ogni singola famiglia interessata alla catechesi dei fanciulli. Anzi, si desidera un cortese invito, nei limiti di ogni discrezione e possibilità, da parte dei genitori medesimi, insostituibili responsabili diretti dei bambini.
II - S parla tanto di voler restituire l'ordine del diaconato per il servizio alle comunità parrocchiali. Il primo diaconato da istituire è quello dei catechisti per i quali si esige una vera scuola: teorica nella parrocchia e pratica nelle famiglie, dove bambini e genitori sono i testi viventi della catechesi più viva ed efficace. Si presentino quindi quanto prima tutti quelli che si sentono generosamente disponibili per questa scuola.
III - Si promuoveranno piccoli e grandi incontri:
- Piccoli incontri con piccoli gruppi, anche nelle singole frazioni, per intendersi meglio e per raggiungere meglio, più capillarmente, tutti gli interessati, genitori e figli.
- Grandi incontri in Parrocchia e al Carmine per un confronto di testimonianze cristiane soprattutto nella celebrazione della Santa Messa, negli incontri di preghiera, e nelle circostanze solenni dell' amministrazione dei Santi Sacramenti, al fine anche di ottenere la massima partecipazione di tutta la comunità parrocchiale come espressione forte d'intesa e di unità con Dio e coi fratelli.
IV - Avremo un'attenzione particolare:
- Per l'amministrazione del Battesimo, sia nella preparazione dei genitori e sia in una maggiore comunitarietà nella celebrazione.
- Per il Matrimonio: nel richiedere una maggiore preparazione remota e prossima e nell'inculcare la celebrazione comunitaria quando si presenti l'occasione.
- Per l'assistenza agli ammalati, ammettendo la celebrazione della Santa Messa nella camera degli infermi che lo desiderano, soprattutto in occasione dell' amministrazione dell'Olio degli Infermi e del Santo Viatico.
V - Gli argomenti trattati nelle omelie e nella predicazione comunitaria festiva saranno identici in tutta la diocesi. Accoglieremo pure con impegno tutte le iniziative della zona pastorale e della diocesi che riguarderanno soprattutto l'iniziazione cristiana, il mondo del lavoro, e l'Anno Santo.
Che Dio benedica la nostra buona volontà.
DON GIULIO GABANELLI
"Il pensiero della morte ci riporti
al senso esatto della vita”
"Odia il cielo chi non ama la terra"
In questi tempi sprovvisti di spiritualità sembra urgente un richiamo alla terra affinché abbiamo a metterei almeno una solida base sotto i piedi e si risenta una profonda nostalgia dei valori spirituali buttati via coi rifiuti della società dei consumi.
* * *
Riprendiamo senza indugio la via del ritorno alla terra. Siamo partiti per una guerra fratricida! Neppure ci accorgemmo di avere abbandonato nostra madre la terra. Non la salutammo, anzi, con la partenza, ci sentimmo sollevati dal peso fastidioso della sua presenza e del suo insistente richiamo alla nostra umile origine. È esplosa in noi una invincibile e melanconica ambizione di sentirei come esseri piovuti da chissà quale astro celeste che vorremmo riconquistare ad ogni costo rinnegando la terra. Noi le siamo sfuggiti come figli ribelli ripudiandola. E anche quando siamo costretti a ricercarla in morte ricondotti a lei dalla ineluttabile necessità di ricomporre i nostri resti mortali inariditi nel suo grembo fecondo, osiamo dire che si riparte per il cielo anziché per la terra, come se non fosse questa la nostra porzione di cielo che Dio ci ha assegnato da possedere e da migliorare. Odia il cielo chi non ama la terra! La terra infatti ci ha germogliato alla vita per inviarci in una missione che esige il nostro ritorno come il seme che sale dalla terra alla vita e ritorna nel solco per risalire nuovamente a una vita più nuova e sovrabbondante. Riprendiamo senza indugio la via del ritorno cogliendo umilmente la grande lezione del rifiuto che affidato gelosamente alla terra ritorna sulla mensa e sull'altare nella rigogliosa ricchezza dei frutti e dei fiori. Ritorniamo alla terra che purifica e risuscita alla vita ogni essere che a lei fa ritorno. In essa Cristo vinse la morte! Quando la tua lampada si estingue e la società ti rigetta una sola madre ti accoglie: «la terra»! Ma ti accoglie come ha accolto Cristo: «per la risurrezione»! Ogni segno di vita infatti proviene dalla terra ed è sempre segno eli risurrezione. L'umanità oggi agonizza dilaniata dalla febbre di voler essere ciò che non può essere. Siamo nuovamente ricaduti nella colpa di origine quando i nostri pro· genitori disdegnando la terra fissarono il cielo macchiandone la scalata per imporre il proprio confronto con Dio. Ecco perché siamo diventati tutti siderofagi e, come larve in metamorfosi, stiamo trasformandoci orribilmente in una gabbia di acciaio folgorante ma senza vita! È molto meglio essere dei burattini di legno come Pinocchio, anche col rischio di risvegliarci un bel mattino trasformati in somarelli, piuttosto che robotizzati, con la maschera antigas e scagliati nel 'vuoto come meteoriti spaziali erratiche senza meta! Noi abbiamo avvelenato la terra per sfruttarla vergognosamente derubandola di tutti i suoi doni destinati anche ai fratelli che verranno dopo di noi e che forse non potranno neppure venire perché li abbiamo già dilaniati nel grembo di questa nostra tenera madre. La confusione di babele si rinnova oggi nella dimensione sbalorditiva della intera umanità che sta sopprimendosi sul proprio pianeta nel tentativo assurdo e micidiale di ritentare la scalata all'Olimpo degli dei. Stiamo comportandoci stoltamente come gli inquilini di un grattacielo che, impazziti, appiccano fuoco all'edificio e salgono orgogliosi sul tetto per assistere allo spettacolo dell'incendio; ma, raggiunti dalle fiamme, prima di essere divorati, si buttano nel vuoto per salvarsi. Arrestiamoci nella nostra stoltezza e facciamo ritorno alla terra per riconoscerla madre e per coltivarne i doni che ci allieteranno coi nostri fratelli. Difendiamo la terra rimasta inerme a subire la violenza dei suoi figli che, impazziti, si accaniscono sadicamente implacabili contro di essa. I figli della maledizione non conoscano l'orribile delitto dei loro padri, ma sopraggiungendo ritroviamo la terra purificata e madre tenera e venerata da tutti i viventi.
d. g.
* * *
Riprendiamo senza indugio la via del ritorno alla terra. Siamo partiti per una guerra fratricida! Neppure ci accorgemmo di avere abbandonato nostra madre la terra. Non la salutammo, anzi, con la partenza, ci sentimmo sollevati dal peso fastidioso della sua presenza e del suo insistente richiamo alla nostra umile origine. È esplosa in noi una invincibile e melanconica ambizione di sentirei come esseri piovuti da chissà quale astro celeste che vorremmo riconquistare ad ogni costo rinnegando la terra. Noi le siamo sfuggiti come figli ribelli ripudiandola. E anche quando siamo costretti a ricercarla in morte ricondotti a lei dalla ineluttabile necessità di ricomporre i nostri resti mortali inariditi nel suo grembo fecondo, osiamo dire che si riparte per il cielo anziché per la terra, come se non fosse questa la nostra porzione di cielo che Dio ci ha assegnato da possedere e da migliorare. Odia il cielo chi non ama la terra! La terra infatti ci ha germogliato alla vita per inviarci in una missione che esige il nostro ritorno come il seme che sale dalla terra alla vita e ritorna nel solco per risalire nuovamente a una vita più nuova e sovrabbondante. Riprendiamo senza indugio la via del ritorno cogliendo umilmente la grande lezione del rifiuto che affidato gelosamente alla terra ritorna sulla mensa e sull'altare nella rigogliosa ricchezza dei frutti e dei fiori. Ritorniamo alla terra che purifica e risuscita alla vita ogni essere che a lei fa ritorno. In essa Cristo vinse la morte! Quando la tua lampada si estingue e la società ti rigetta una sola madre ti accoglie: «la terra»! Ma ti accoglie come ha accolto Cristo: «per la risurrezione»! Ogni segno di vita infatti proviene dalla terra ed è sempre segno eli risurrezione. L'umanità oggi agonizza dilaniata dalla febbre di voler essere ciò che non può essere. Siamo nuovamente ricaduti nella colpa di origine quando i nostri pro· genitori disdegnando la terra fissarono il cielo macchiandone la scalata per imporre il proprio confronto con Dio. Ecco perché siamo diventati tutti siderofagi e, come larve in metamorfosi, stiamo trasformandoci orribilmente in una gabbia di acciaio folgorante ma senza vita! È molto meglio essere dei burattini di legno come Pinocchio, anche col rischio di risvegliarci un bel mattino trasformati in somarelli, piuttosto che robotizzati, con la maschera antigas e scagliati nel 'vuoto come meteoriti spaziali erratiche senza meta! Noi abbiamo avvelenato la terra per sfruttarla vergognosamente derubandola di tutti i suoi doni destinati anche ai fratelli che verranno dopo di noi e che forse non potranno neppure venire perché li abbiamo già dilaniati nel grembo di questa nostra tenera madre. La confusione di babele si rinnova oggi nella dimensione sbalorditiva della intera umanità che sta sopprimendosi sul proprio pianeta nel tentativo assurdo e micidiale di ritentare la scalata all'Olimpo degli dei. Stiamo comportandoci stoltamente come gli inquilini di un grattacielo che, impazziti, appiccano fuoco all'edificio e salgono orgogliosi sul tetto per assistere allo spettacolo dell'incendio; ma, raggiunti dalle fiamme, prima di essere divorati, si buttano nel vuoto per salvarsi. Arrestiamoci nella nostra stoltezza e facciamo ritorno alla terra per riconoscerla madre e per coltivarne i doni che ci allieteranno coi nostri fratelli. Difendiamo la terra rimasta inerme a subire la violenza dei suoi figli che, impazziti, si accaniscono sadicamente implacabili contro di essa. I figli della maledizione non conoscano l'orribile delitto dei loro padri, ma sopraggiungendo ritroviamo la terra purificata e madre tenera e venerata da tutti i viventi.
d. g.
L’augurio del Parroco
BUON NATALE A TUTTI!
Rinasca in noi la fratellanza in Dio fatto uomo.
La fratellanza che abbiamo rinnegato in Dio Creatore rinasca ora in noi con la venuta di Dio Salvatore. Guardiamoci in volto senza temerei finalmente, col più vivo desiderio di scambiarci il meglio della nostra vita, affinché rinasca in noi quella realtà divina autentica che Cristo Gesù ha riportato sulla terra con la Incarnazione, cioè: «l'amore!». L'Amore si è fatto bambino per noi! È nato in una spelonca perché non trovò altro posto al mondo. Ora torni bambino fra noi per rinascere nel nostro cuore e ritrovi in esso il suo autentico posto per manifestarsi nuovamente al mondo! Buon Natale! Aff.mo don GIULIO GABANELLI |
Il nostro Natale
sul monte di Zogno
A Zogno i vivi e i morti gravitano da oltre un millennio attorno allo stesso centro: «Il Monte di S. Lorenzo» su cui sorgono l'antico castello, l'antica chiesa e la nuova col cimitero omonimi; il convento e la chiesa di Santa Maria col rispettivo cimitero; le abitazioni antiche e nuove annidate sui suoi fianchi. Qui si gravita attratti da una misteriosa forza tellurica che crea come un incantesimo magico invincibile. Qui si giunse nomadi in tempi assai remoti; vi si eressero abitazioni e monumenti e si cominciò a vivere e a morire. Tutta la valle gravita su questo centro e ne subisce un forte richiamo. Zogno è il nome del più antico abitante che si conosca di questo monte assai prima che diventasse il monte di S. Lorenzo. Questo nome sopravvive fino al quindicesimo secolo, come fanno fede gli antichi registri parrocchiali di quel tempo. In seguito è rimasto a indicare esclusivamente la località con tutti i suoi abitanti. I figli di Zogno che andarono ad abitare sul monte alto si distinsero con l'appellativo di Sonzogno (= sopra-Zogno), mentre quelli che scesero ad abitare più a valle si chiamarono Linzogno (= sotto-Zogno o sul fiume di Zogno). Subentra anticamente la stirpe dei Panizzolo, ma sono ancora zognesi, dediti alla lavorazione dei panni, che rappresentano il ramo industriale della popolazione del luogo, mentre i Rubis rappresentano il ramo rurale che avevano scelto di abitare sull'altura sconfinante con la Corna Rossa. Una distinzione consimile si affermò anche tra i Sonzogni che si divisero in due grandi rami: quello industriale con lo stemma della cagna, detti anche «Cagnola», e quello rurale con lo stemma del rastrello, detti anche «Restelli». Rinomato, ma meno antico, è il ramo dei Furietti che annovera il Cardinale Giuseppe Alessandro, fondatore -della civica biblioteca di Bergamo, figlio di Giovanni Sonzogni, detto «Furia», nativo di Zogno. Tra i cognomi più antichi di Zogno abbiamo: i Gariboldi, i Coreggi, i Marconi, i Maffeis, i Mussinoni; gli Astulfoni, i Leporini, ecc. Seguono numerosi altri cognomi di famiglie assai antiche ma forse non certamente originarie del luogo, come i Maini, i Ceroni, i Tiraboschi, i Rinaldi, i Ghisalberti, i Pesenti, i Carminati, gli Zambelli, i Cortinovis, i Lazzaroni, i Mazzoleni, i Gervasoni, i Ferrari, i Fustinoni, gli Angelini, i Belotti, i Damiani, i Traini, i Ruggeri, ecc ... È interessante notare come i singoli cognomi si suddistinguano ancora in sottoclassi contraddistinte dai soprannomi che in tanti casi si sono col tempo trasformati in autentici cognomi, come: Cagnola, Restelli, Furietti, Cornelli, Foppa, Pernice, Zucco, Rizzoli, Poletti ecc ... La gente zognese è legata tenacemente alla propria terra, atteggiamento proprio di chi ne ha il possesso millenario, e ne avverte un profondo fascino, persino paradossale a volte, che non si riesce a giustificare senza una ricerca di cause che sfuggono all'osservatore superficiale, ma che si possono precisare meglio attraverso una introspezione profonda radicata nella storia di questo popolo. Noi sappiamo notare e rilevare con facilità i limiti e i livelli o quote delle rocce, delle acque, delle vegetazioni, dei climi quindi e degli animali; ma non sappiamo altrettanto facilmente avvertire i livelli e i climi di richiamo e di insediamento dell'uomo anche se subiamo lo stesso inavvertitamente e istintivamente gli influssi. È l'ambiente che esercita per lo più il suo potente influsso sull'uomo da infligger gli le caratteristiche fondamentali che lo contraddistinguono e qualificano quale abitante di un paese piuttosto che di un altro in maniera che gli osservatori lo possono facilmente decifrare. Zogno è il paese che più di tanti altri imprime ai suoi abitanti un contrassegno peculiare suo proprio, emana un'irradiazione ambientale che irrora persone, animali e cose. Pertanto Zogno non si deve giudicare dalle apparenze o dalle prime impressioni, ma dall'influsso che esercita sui suoi abitanti e dalle condizioni climatiche che realizza demograficamente. È come un'opera altamente artistica di un autore di grande talento che l'osservatore deve scoprire gradualmente man mano ne riemergono o se ne intuiscono le reali componenti che la qualificano. Gli aspetti troppo appariscenti delle cose sono anche i meno reali. Così pure gli individui veramente validi e saggi non sono quelli che stanno oziosamente sulla piazza a fare bella mostra di sé! Chi sa di essere non si preoccupa di produrne la dimostrazione. Altrettanto succede di Zogno che si fa sentire alla sua maniera, ma molto efficacemente, da chi con la pazienza e l'appassionata ricerca, propria dell'esploratore, sopraggiunge in questa terra senza l'ansia del forestiero animato vivamente dal desiderio di fare presto ritorno o di passare oltre, come un viandante d'affari che si trova incidentato sulla strada. Il nostro centro è discreto, quasi riservato o addirittura diffidente, secondo la caratteristica propria del valligiano, ma sovrabbonda di ricchezze naturalistiche, ambientali e storiche, anche se ne rivela la presenza gradualmente a modo di saggio o meglio di premio a chi si appassiona e si entusiasma nella ricerca. Da un primo apparente rifiuto si passa pertanto, come attraverso un rodaggio, a un inserimento pieno proprio di chi nasce e vive a lungo in questo paese. Il monte di Zogno costituisce senz'altro un punto calamitato della rete di attrazione che lega con le sue maglie tutta la terra creando un campo magnetico di interesse demografico e etnologico che incide assai nell'avvicendarsi dei popoli sulla faccia della terra e sul loro orientamento. Si determina così come una selezione etnica che assume da luogo a luogo le proprie caratteristiche distintive. Chi poi dal proprio ambiente connaturale fosse anche costretto dalla sventura a trasferirsi altrove, ne riporta tuttavia una impronta indelebile, e in morte incrocia senz'altro nelle viscere della terra che lo accoglie la forza tellurica travolgente che ripercuote nei millenni gemiti e speranze dei figli di S. Lorenzo, o meglio anzi, dei figli dell'antico Zogno divenuto ormai il popolo di questa valle che rivive in noi il suo perenne ritorno su questo monte!
d. g.
d. g.