1997
LA QUARESIMA
La Quaresima deve servire a curare l’anima e il corpo. Il proverbio afferma: «Mens sana in corpore sano!» (La mente sana appartiene a un corpo sano). Un altro proverbio, questa volta nostro bergamasco, afferma: «La dièta tòcc i mài i a quièta!» (La dieta tutti i mali li acquieta). E altro proverbio ancora di casa nostra afferma: «Se t'ò sta bé, màia mài assé» (Se vuoi salute, alzati da tavola con appetito). Questi ammonimenti esprimono la sapienza dei nostri antenati e, almeno in alcuni periodi dell'anno, soprattutto quando cambia la stagione, teniamoli presenti perché abbiamo bisogno di cambiare anche il sangue, o meglio di purificarlo. Non si invita a fare uso di medicinali particolari, ma a sapersi curare per conto proprio: «Medice, cura teipsum!» (Medico, cura te stesso). «Ol migliùr dutùr, l’è de chèi che i se ciira de per lùr!» Ci sono altri due proverbi importanti per la salute del corpo e dell’anima da tener presenti almeno durante la Quaresima: «Ne uccide di più la gola che la spada!» e «Ne uccide di più la lingua che la spada!». Sono infatti paralleli tra di loro e se accettati seriamente sono in grado di risolvere i problemi del nostro comportamento fisico e spirituale in piena armonia con la salute del corpo e dell’anima. Se la Chiesa impone il magro e il digiuno per il mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo e il magro per tutti i Venerdì dell’anno, è perché intende richiamare l’uomo al suo duplice dovere di curare in una sola volta lo spirito e il corpo per mettersi nella condizione di vivere meglio sotto ogni aspetto. San Paolo afferma «Castigo corpus meum et in serviturem redigo!» (Castigo il mio corpo per poterlo dominare). Oltre che al digiuno e all’astinenza, la Chiesa invita alla preghiera e a compiere opere di bene. La preghiera ci aiuta a ristabilire i nostri rapporti con Dio, verticalmente parlando, anche se il tutto avviene dentro di noi nell’ambito del cielo della nostra vita interiore. Le opere di bene ci aiutano a ricuperare i nostri rapporti con Dio nei fratelli sul piano orizzontale della testimonianza che costituisce la prova pratica della nostra fede in Dio: «Se non amiamo i fratelli che vediamo come faremo ad amare Dio che non vediamo!» afferma S. Giovanni Evangelista (Gv 4,20). La Quaresima è il tempo che dobbiamo sottrarre alle nostre eccessive preoccupazioni per le cose terrene che ci procurano il mancafiato e ci distolgono dai nostri doveri nei riguardi di Dio e dei fratelli. «Che cosa giova all’uomo se guadagna anche tutto il mondo se poi perde la propria anima!» (Mt 16,26 e Mc 8,36). La Parrocchia, soprattutto in questo tempo di Quaresima, propone un programma di catechesi per ogni fascia di età e in particolare per gli adulti, ogni martedì e venerdì alle ore 9,00 nella parrocchiale. Invita i fedeli alla celebrazione della Via Crucis ogni venerdì, alle ore 15,00 sempre nella parrocchiale. Richiama ai fedeli l’obbligo di partecipare alla S. Messa in giorno di festa per celebrare insieme la Pasqua del Signore unendoci in assemblea liturgico sacerdotale ed evitando di disperdersi attorno nella navata o di assembrarci alla porta della Chiesa come gente sopraggiunta di mala voglia che non partecipa neppure al banchetto eucaristico. Ci sollecita a interessarci dei problemi della sofferenza e dell’emarginazione uscendo dalla latitanza e dal mondo delle deleghe per affrontare personalmente la testimonianza dell’amore al prossimo in maniera che non si debba aspettare da chissà dove gli aiuti che possiamo prestare noi nell’ambiente in cui viviamo ai bisognosi. Si chiede ancora di porre fine al malcostume di condire squallidamente con la maldicenza le persone assenti che non possono neppure difendersi, ciò che è nel diritto naturale di ogni accusato riconosciuto anche dai tribunali delle nazioni libere, e che sono così costrette a portare le conseguenze del veleno che disseminiamo attorno incoscientemente. I cristiani di questa razza vengono definiti dal proverbio bergamasco come «I màia Signùr e i vomita diàoi». La Quaresima ci trovi quindi riuniti fraternamente nell’amore vicendevole anche a livello di comunità praticante per fare insieme il cammino di fede che ci condurrà con Gesù Cristo attraverso il Calvario, suprema testimonianza dell’amore di Dio per l’uomo, alla celebrazione della Pasqua di Risurrezione, conclusione della nostra conversione e salvezza.
don Giulio
don Giulio
IN VISTA DELLA FORMAZIONE
DEL PROGRAMMA PASTORALE
Alla ricerca di Dio: «Il Tuo volto io cerco, Signore» (GV 26,8)
In Cristo siamo alla ricerca del volto del Padre. Gesù a Filippo che gli chiedeva di mostrargli il Padre, rispose: «Filippo, chi vede me vede anche il Padre... perché io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 14,8). Gesù Cristo infatti è l’icona del Padre, è il volto di Dio nella storia dell’umanità. È quel volto che Dio Creatore ha già impresso nell’uomo quando l’ha creato a sua immagine e somiglianza. È quel volto che attraversa tutta la storia umana con tutte le sue vicissitudini. Ogni epoca coglie qualche scintilla dal volto di Dio in Gesù Cristo di cui il mistero nascosto nei secoli si rivela attraverso le nostre realtà corporali. Il volto di Dio in Gesù Cristo e quindi nell’uomo ora rigurgita di splendore, ora è offuscato dalla colpa e ora è sfigurato nel sacrificio della passione e morte di croce e nell’agonia e morte dell’umanità martoriata e distrutta. «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, fammi vedere il tuo volto» supplica Mosè (Es 33,13). Dio si è spogliato in Gesù Cristo di tutti i suoi attributi per essere più vicino all’uomo e continua a spogliarsi della sua gloria in ciascuno di noi per essere sempre con noi nell’abisso del nostro traviamento fin là dove si può affermare che la morte di Dio è la morte dell’uomo, là dove, negato Dio, c’è il vuoto assoluto. E da lì che Dio può così ripartire di nuovo a ricostruire il suo disegno divino di salvezza che ha fatto per l’uomo in Gesù Cristo annientato sul patibolo del Calvario perché nel grande sconfitto per amore ogni peccatore potesse risalire dall’abisso della colpa per ritrovare la salvezza sospinto dall’amore di Dio che non può morire. Lui è l’unico Salvatore dal momento che incorpora in sè, come uomo e come Dio, tutta la storia umana del passato, del presente e del futuro. Soltanto Lui può riempire il vuoto assoluto della dimensione del peccato. Il peccato infatti è la distanza tra ciò che io sono e ciò che dovrei essere nel disegno di Dio che ha fatto l’uomo per sè e lo ricupera così dalla sua perdizione. Sarebbe stato contrario al disegno di Dio se Cristo avesse rifiutato il patibolo della croce e Cristo non sarebbe più stato Colui, che abbiamo meritato con la felice colpa di Adamo, e con la nostra, come si afferma nel preconio pasquale della Veglia di Pasqua. Dio in Cristo doveva annientarsi per ricuperare l’umanità medesima innabissatasi nel baratro della morte, non avrebbe potuto essere presente, divinamente parlando, per ripartire da capo come Salvatore a ridare vita al suo disegno di amore per l’uomo. Ecco perché Dio si è così associato all’uomo, non nella colpa perché Dio, ma nelle conseguenze della colpa che sarebbero state diversamente irreparabili. Pertanto si può a questo punto azzardare l’affermazione, post-moderna o nichilista, che il Dio della nostra religione è veramente morto con l’uomo per risorgere in Gesù Cristo con l’uomo perché Dio non può perdere se stesso! Se Dio, in Gesù Cristo, è venuto a perdersi insieme all'umanità peccatrice per esserne il salvatore, anche noi dobbiamo associarci a lui per la salvezza nostra e dei fratelli. Se l’umanità sta naufragando, come affermano gli autori del mal augurio, noi siamo sì spettatori, ma anche naufraghi insieme e corresponsabili. La sicurezza dello spettatore non sussiste più infatti quando è coinvolto nel naufragio trovandosi sulla medesima imbarcazione. O ci si salva insieme o ci si perde insieme. Bisogna pertanto ricorrere ai ripari navigando tra la speranza e la responsabilità. Tra la speranza poiché Dio stesso si è impegnato alla nostra salvezza dal momento che si è imbarcato con noi in Gesù Cristo per salvarci; tra la responsabilità per ciò che dipende da noi se vogliamo collaborare con Dio dentro la storia dell'umanità in cui ha fatto irruzione e attende la nostra collaborazione per dare successo alla sua opera di salvezza. Se Dio non si fosse mosso per primo o non si fosse mosso affatto, saremmo tutti irrimediabilmente perduti. Ma Dio in Gesù Cristo è salito sulla nostra barca fingendo di dormire, come sull'imbarcazione degli apostoli sul mare di Genesaret in tempesta (Mc 4,39), e attende la nostra invocazione per venire in nostro soccorso. Il giorno che l’uomo torna a pregare è il giorno della sua salvezza perché Dio è già con noi quando noi vogliamo essere con lui. Ma il nostro grido «Salvaci, o Signore!» deve rappresentare tutta l'umanità che sta varcando le soglie della catastrofe. Dio attende il nostro grido sincero e generoso come l’invocazione di Mosè sul monte Sinai per la salvezza del suo popolo tornato all’idolatria adorando il vitello d’oro. L'uomo per salvarsi deve ripartire da Dio, come afferma il Cardinal Martini, perché Dio non può accettare di essere uno sconfitto, di averci creati per la dannazione e di subire così la vittoria di satana, suo e nostro antico nemico. Ciò che non può venire dagli uomini, può sempre venire da Dio affinché tutti possiamo finalmente arrenderci al suo amore e ritrovare in lui e soltanto in lui la salvezza. Dio guarda al mondo nel suo travia- mento in Gesù Cristo in cui vuole continuare a essere il grande sconfitto e subire insieme la disfatta di ogni peccatore per salvarlo. Dio infatti non vuole la morte del peccatore, che è già morto, ma che si converta e viva. Soltanto la presenza di Dio nel peccatore medesimo può operare questo miracolo, riportare in vita un morto. Il mistero di Cristo nascosto nei secoli passa attraverso la tragica esperienza della morte che Cristo ha sconfitto per tutti con la sua morte. I redenti tuttavia devono contribuire coi propri patimenti a compietare ciò che manca ai patimenti di Cristo nelle sue membra, che è la Chiesa (S. Paolo). Se Dio si associa all'uomo nella perdizione, l'uomo deve associarsi a Dio nella redenzione a salvezza dei suoi simili. Se l’umanità non s’arresta Dio la insegue! Sinora forse non abbiamo saputo intuire le vie che Dio percorre per la nostra salvezza. Diversamente di fronte all’umanità incamminata sulla china del baratro del proprio traviamento, chi la potrà arrestare. Il volto di Dio che si riflette sul volto di ogni uomo in Gesù Cristo, che non avrebbe potuto conseguire la risurrezione senza subire la passione e la morte, deve riportare in ciascuno di noi la speranza che la salvezza è vicina quanto è vicino a noi il Signore poiché la passione di Cristo diventa quotidianamente la passione di ogni creatura umana. La morte è un passo obbligato anche per Dio, secondo l’economia della salvezza così intesa, per cui giustamente o impropriamente s’è potuto parlare della morte di Dio nei tempi recentemente passati. La sconfitta di Dio si tramuta pertanto in vittoria per Lui e per tutti noi. Solo così si può dire che la morte cancella ogni colpa. Dio trae infatti occasione dal mio peccato per amarmi di più perché senza di me non può avere il suo cuore in pace finché non mi abbia riconquistato al suo amore come Padre. Il mondo migliore forse non possiamo aspettarcelo a questo mondo come se appartenesse al tempo, ma si realizza in un Dio che festeggia il peccatore, secondo la parabola del figliol prodigo. È così che Dio mi libera dalla mia perdizione condividendo la mia sventura come fosse la sua a cui trova alla fin fine la conclusione definitiva nel banchetto di nozze per il figlio perduto che ha ritrovato, per il figlio che era morto ed è tornato a vivere! Spero possa servire questo discorso a dissipare il nostro pessimismo sul comportamento dell’umanità e sulla sua salvezza così come spero che dall’incredibile testimonianza dell’amore di Dio per l'uomo possa insorgere anche la nostra corrispondenza.
don Giulio
don Giulio
SEMPRE IN VISTA
DEL PROGRAMMA PASTORALE
Lo spirito Santo ringiovanisce la Chiesa
La teologia occidentale ha sempre preferito un modello cristologico mentre la teologia orientale ha privilegiato un modello pneumatologico. Col Concilio Vat. II c’è stato l’impegno di colmare questa lacuna. Lo Spirito nella Chiesa occupa un ruolo di primo piano nei suoi rapporti di rinnovamento, di fraternità e di promessa.
1) - Rapporto di rinnovamento in quanto lo Spirito immette nella Chiesa un’ondata di giovinezza per stanarla dal suo immobilismo che la costringe a un invecchiamento che le viene imputato su diversi fronti e l’allontana dall’uomo del suo tempo. La Chiesa non deve ritenersi fatta una volta per sempre, in un tempo del passato, ma deve sempre sentirsi in cammino per raggiungere la sua pienezza. Lo Spirito impedisce che la Chiesa si consideri fine a se stessa come se fosse malata di narcisismo. Lo Spirito infatti è fonte di vita nuova che non ristagna e non ha paura dei cambiamenti. Lo Spirito diventa sinonimo di perenne giovinezza, come afferma la Lumen Gentium, in maniera che tutti abbiano a sentirsi rinnovati nello Spirito e tutti abbiano a sentirsi responsabili di questo rinnovamento per costruire la Chiesa del nostro tempo. Sarebbe farisaica la Chiesa se si limitasse a offrire una lista di comportamenti anziché le verità che costituiscono la salvezza nel tessuto della vita. Il dogmaticismo dovrebbe avere finito il suo tempo per rendere libero lo Spirito di operare la nuova primavera che tutti attendiamo per questo mondo che abbiamo lasciato invecchiare.
2) - Spirito di fraternità. Per capire lo Spirito la parola chiave è l’amore. È l’amore di Dio che lega il Padre al Figlio e viceversa (per S. Agostino) e (per S. Tommaso e Pietro Lombardo) è lo Spirito di amore di Dio rivelato nei nostri cuori. È praticamente la vita trinitaria di Dio partecipata a noi. S. Paolo infatti afferma: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato in dono (Rm 5,5). «Vi darò il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,27). Perciò, chi cammina nello Spirito cammina nell’amore perché “Frutto dello Spirito è l’amore” (Gv 5,12). L’opera instancabile dello Spirito è di creare comunione tra i fratelli. Fin dal giorno della Pentecoste «dies natalis» per la Chiesa, i discepoli si rendono conto che il dono dello Spirito S. è la fraternità universale. La Pentecoste infatti è l’opposto di Babele perché ricupera il dono delle lingue per cui gli uomini di ogni razza e nazione possono intendersi.
3) - Spirito del presente e del futuro. Lo Spirito è creatore della Trinità sul piano dell’amore e dell’umanità nuova attraverso la comunione. Se non c’è lo Spirito non c’è tolleranza. Gruppi rivali si dilaniano tra di loro. La pace è un’utopia senza lo spirito dell’amore. La Chiesa deve aprirsi agli uomini del proprio tempo sotto l’impulso dello Spirito S. per risolvere il problema cruciale della vita ecclesiale nei rapporti tra istituzione e carisma, fra gerarchia e laicato, burocrazia e spontaneità. I movimenti ecclesiali intaccano all’istituzione il diritto di arrogarsi il monopolio dello Spirito S. e di identificarsi con l’azione dello Spirito S. col rischio di privare lo Spirito S. medesimo della sua libertà di spirare dove vuole, su chi vuole, quando vuole e come vuole. Lo Spirito S. apre pertanto la Chiesa all’universalità come spirito di comunione con gli uomini ma anche col creato. Lo Spirito S. ha imparentato infatti la divinità con l’umanità che stà al vertice del creato per cui tutto l’universo creato geme come una partoriente in attesa di essere rinnovato attraverso la nuova creazione su cui lo spirito, come già all’inizio della creazione, torna ad alitare. Se l’universo è stato travolto nella corruzione a causa del peccato, finalmente verrà liberato dall’opera dello Spirito S. per partecipare con tutta l’umanità alla libertà e alla gloria dei figli di Dio. Si veda S. Paolo nella lettera ai Romani (Rom 8,19-24). Purtroppo la morte è il passaggio obbligato, come per Cristo nostro primogenito nella morte e nella risurrezione, per conseguire la nuova creazione sempre per opera dello Spirito Santo. La salvezza quindi, sia dell’umanità che del creato, passa attraverso la Chiesa aperta all’universalità sotto la spinta dello Spirito di Dio, Spirito dell’amore, che farà nuova ogni cosa in Gesù Cristo che vive e regna con Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo. Amen.
1) - Rapporto di rinnovamento in quanto lo Spirito immette nella Chiesa un’ondata di giovinezza per stanarla dal suo immobilismo che la costringe a un invecchiamento che le viene imputato su diversi fronti e l’allontana dall’uomo del suo tempo. La Chiesa non deve ritenersi fatta una volta per sempre, in un tempo del passato, ma deve sempre sentirsi in cammino per raggiungere la sua pienezza. Lo Spirito impedisce che la Chiesa si consideri fine a se stessa come se fosse malata di narcisismo. Lo Spirito infatti è fonte di vita nuova che non ristagna e non ha paura dei cambiamenti. Lo Spirito diventa sinonimo di perenne giovinezza, come afferma la Lumen Gentium, in maniera che tutti abbiano a sentirsi rinnovati nello Spirito e tutti abbiano a sentirsi responsabili di questo rinnovamento per costruire la Chiesa del nostro tempo. Sarebbe farisaica la Chiesa se si limitasse a offrire una lista di comportamenti anziché le verità che costituiscono la salvezza nel tessuto della vita. Il dogmaticismo dovrebbe avere finito il suo tempo per rendere libero lo Spirito di operare la nuova primavera che tutti attendiamo per questo mondo che abbiamo lasciato invecchiare.
2) - Spirito di fraternità. Per capire lo Spirito la parola chiave è l’amore. È l’amore di Dio che lega il Padre al Figlio e viceversa (per S. Agostino) e (per S. Tommaso e Pietro Lombardo) è lo Spirito di amore di Dio rivelato nei nostri cuori. È praticamente la vita trinitaria di Dio partecipata a noi. S. Paolo infatti afferma: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato in dono (Rm 5,5). «Vi darò il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,27). Perciò, chi cammina nello Spirito cammina nell’amore perché “Frutto dello Spirito è l’amore” (Gv 5,12). L’opera instancabile dello Spirito è di creare comunione tra i fratelli. Fin dal giorno della Pentecoste «dies natalis» per la Chiesa, i discepoli si rendono conto che il dono dello Spirito S. è la fraternità universale. La Pentecoste infatti è l’opposto di Babele perché ricupera il dono delle lingue per cui gli uomini di ogni razza e nazione possono intendersi.
3) - Spirito del presente e del futuro. Lo Spirito è creatore della Trinità sul piano dell’amore e dell’umanità nuova attraverso la comunione. Se non c’è lo Spirito non c’è tolleranza. Gruppi rivali si dilaniano tra di loro. La pace è un’utopia senza lo spirito dell’amore. La Chiesa deve aprirsi agli uomini del proprio tempo sotto l’impulso dello Spirito S. per risolvere il problema cruciale della vita ecclesiale nei rapporti tra istituzione e carisma, fra gerarchia e laicato, burocrazia e spontaneità. I movimenti ecclesiali intaccano all’istituzione il diritto di arrogarsi il monopolio dello Spirito S. e di identificarsi con l’azione dello Spirito S. col rischio di privare lo Spirito S. medesimo della sua libertà di spirare dove vuole, su chi vuole, quando vuole e come vuole. Lo Spirito S. apre pertanto la Chiesa all’universalità come spirito di comunione con gli uomini ma anche col creato. Lo Spirito S. ha imparentato infatti la divinità con l’umanità che stà al vertice del creato per cui tutto l’universo creato geme come una partoriente in attesa di essere rinnovato attraverso la nuova creazione su cui lo spirito, come già all’inizio della creazione, torna ad alitare. Se l’universo è stato travolto nella corruzione a causa del peccato, finalmente verrà liberato dall’opera dello Spirito S. per partecipare con tutta l’umanità alla libertà e alla gloria dei figli di Dio. Si veda S. Paolo nella lettera ai Romani (Rom 8,19-24). Purtroppo la morte è il passaggio obbligato, come per Cristo nostro primogenito nella morte e nella risurrezione, per conseguire la nuova creazione sempre per opera dello Spirito Santo. La salvezza quindi, sia dell’umanità che del creato, passa attraverso la Chiesa aperta all’universalità sotto la spinta dello Spirito di Dio, Spirito dell’amore, che farà nuova ogni cosa in Gesù Cristo che vive e regna con Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo. Amen.
PASQUA 1997
È sempre Pasqua per il cristiano ogni volta che si celebra la santa Messa di cui si trova il suo più profondo significato nell’annuncio del celebrante subito dopo la consacrazione con le parole: «Mistero della fede» a cui i partecipanti rispondono: «Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta». Mistero significa «progetto divino di salvezza» che si riveste di mille sfaccettature con le quali si manifesta a noi nella vita di Cristo e dei cristiani attraverso le realtà umane che fanno da filtro alla luce della divina presenza di Dio che ci salva. Se ci è concesso il paragone: in un impianto elettrico, pur essendoci la corrente, senza l’inserimento di una lampada, o se la lampada è bruciata, non può manifestarsi la luce; così è la presenza di Dio nell’ambito della storia di questa nostra povera umanità, senza la fede non se ne ottiene la luce destinata a illuminare le tenebre addensatesi sul mondo a causa della colpa. In Gesù Cristo l’uomo di fede torna a ricuperare la capacità di rivelarne il Mistero. Mentre la lampada bruciata è da gettare, l’uomo peccatore è da riconquistare all’amore quando si arrende alla presenza di Dio che fa irruzione nella sua vita. Tutto il Mistero della salvezza passa attraverso le nostre realtà corporali perché possa rivelarsi come progetto salvifico di Dio, ripeto, in Cristo e nei cristiani (Lc 28). Il progetto divino di salvezza infatti è alla maniera dell’alleanza che comporta la presenza delle due parti: Dio e l’uomo. «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» (Si vis ad vitam ingredi, observa mandata. Mc, 10,17 ss.). È un patto a due con cui Dio si impegna a darci la salvezza se noi accettiamo l’osservanza dei suoi comandamenti. S. Agostino afferma: «Chi ha creato te senza di te, non può salvare te senza di te». Dio pertanto ha bisogno del nostro consenso per suggellare questo patto di alleanza. Già il figlio di Dio unigenito fece riecheggiare in cielo la sua disponibilità a realizzare il progetto di salvezza per gli uomini affermando: “Eccomi, o Dio, io vengo a fare la tua volontà» (Eb 10,7-9). Maria Vergine pure ha dato il suo assenso al disegno di Dio col suo «Sì» all’arcangelo Gabriele che l’ha annunziata madre di Dio (Lc 1,38). Anche ciascuno di noi è chiamato in causa per esprimere la propria adesione al disegno di Dio per la nostra salvezza. Pasqua è quindi il Mistero della fede che si è manifestato in Cristo e nella Vergine Maria e che deve manifestarsi nei cristiani affinché abbia pieno compimento il progetto divino di salvare l’uomo. Il Mistero rimane sempre Mistero, che non trova cioè la soluzione nella ragione umana, ma che manifesta la realtà della sua presenza per chi la vuole accogliere come luce che illumina la nostra vita e che noi possiamo poi riflettere sui fratelli con la testimonianza delle opere. La Pasqua riporta l’uomo alle dipendenze di Dio e ne rivela il progetto salvifico, che, rinnegato all’origine dell’umanità, viene accolto e attuato da Gesù Cristo come capo e primogenito dei figli di Dio che rinascono a vita nuova. Sul piano pratico, se vogliamo far Pasqua, dobbiamo riconciliarci con Dio attraverso il sacramento della penitenza e ricuperare l’impegno di praticare la vita cristiana con la preghiera, con l’ascolto e la celebrazione della parola di Dio e con la testimonianza delle buone opere. «Chi cammina da solo è nelle tenebre, ma chi cammina con Cristo è nella luce» (Gv 8,2). Camminare con Cristo significa più precisamente camminare con la Chiesa e nella Chiesa, ossia con tutti i fratelli uniti in Cristo morto e risorto che ci guida nel regno del Padre.
Buona Pasqua di tutto cuore a tutta la popolazione.
Vostro don Giulio
Buona Pasqua di tutto cuore a tutta la popolazione.
Vostro don Giulio
IL GIUBILEO
Il papa, Giovanni Paolo II, nella sua lettera apostolica «Tertio millennio ad veniente» afferma che il Giubileo del 2000 deve essere preceduto da tre anni di preparazione dedicati rispettivamente a Cristo, allo Spirito Santo e al Padre. Il primo anno, 1997, deve essere dedicato quindi alla riflessione su Cristo, Verbo del Padre, scaturito dal seno del Padre, fattosi uomo nel tempo nel seno della Madre Maria S.ma per opera dello Spirito Santo. Occorre pertanto mettere in luce il carattere spiccatamente cristologico del Giubileo che celebrerà l’incarnazione del Figlio di Dio, mistero di salvezza per tutto il genere umano. Questo Anno Santo è ormai sulla bocca di tutti, anche di tanti indifferenti e non credenti, ma ora che si sta avvicinando ci si chiede pure che senso abbia questa celebrazione. La risposta ce la dà un arco di storia di settecento anni. Il tutto ebbe inizio esattamente il 25 dicembre 1299, a Roma. Era Natale e stava per cominciare il 1300° anno dell’era cristiana. Allora gli anni si calcolavano partendo dal Natale e non dal 1° gennaio. All’improvviso una grande folla si era radunata nella basilica di S. Pietro in Vaticano poiché si era sparsa la voce che chi avesse in quei giorni visitato la basilica avrebbe ottenuto il perdono di tutti i peccati. Tutto ciò avvenne in maniera spontanea. Il papa Bonifacio VIII rimase sorpreso e fece condurre un’inchiesta per scoprire da chi fosse partita l’iniziativa, ma senza nessun risultato. Intanto la folla cresceva, come ricorda Dante Alighieri, al punto che si dovette provvedere a regolare il traffico dei pellegrini sull’unico ponte allora esistente davanti a S. Pietro, detto di castel S. Angelo. Le elemosine abbondarono ma di monete così piccole, poiché si trattava di povera gente, che la Curia romana ci guadagnò ben poco. Quel movimento era sorto per motivi spirituali e rimase sempre un fenomeno spirituale anche se col tempo diede pure la sua copiosa rendita pecuniaria. Bonifacio VIII comprese il bisogno di assecondare il desiderio della gente per cui il 16 febbraio 1300, festa della cattedra di S. Pietro, proclamò nella basilica vaticana il primo Anno Santo della storia leggendo il documento di inaugurazione che tuttora troviamo scolpito sul marmo presso la Porta Santa dal lato sinistro. Tra l’altro si decise che il Giubileo si dovesse celebrare ogni cento anni, al termine di ogni secolo. La richiesta tuttavia fu così insistente che si dovette dimezzare il periodo riducendolo a cinquant’anni. Il secondo Anno Santo venne infatti celebrato nel 1350. In seguito gli Anni Santi vennero celebrati con maggior frequenza data l’insistenza dei fedeli e per altri particolari motivi. Gregorio XI ridusse infatti ulteriormente l’intervallo riducendolo a trentatrè anni in ricordo degli anni della vita di N. S. Gesù Cristo, anche se il terzo Anno Santo venne celebrato in ritardo, non nel 1383 bensì nel 1390. Nel 1400 si celebrò ugualmente il quarto Anno Santo. Il papa Martino V lo promosse anche nel 1423. Nicolò V celebrò il sesto nel 1450 e Sisto IV celebrò il settimo nel 1475 stabilendo l’intervallo di venticinque anni così come rimase poi in seguito. Gli Anni Santi celebrati sinora sono in numero di venticinque anziché di ventisette poiché nel 1800 era morto in esilio Pio V, e nel 1850 non si potè celebrare a causa delle rivoluzioni scoppiate nel 1848-’49. Il prossimo Giubileo del 2000 sarà il ventiseiesimo. Nella storia della Chiesa vennero frequentemente celebrati altri mini giubilei destinati alla riconciliazione dei peccatori che non spuntano soltanto ogni venticinque anni. È per questo che bisogna risalire a Cristo che si collegò al giubileo ebraico, che durava pure un anno, ma caduto in disuso, per proclamare un anno di misericordia del Signore rifacendosi al profeta Isaia (61,1-2) di cui lesse nella sinagoga di Nazaret il brano che applicò a se stesso (Lc 4,21). Il Giubileo pertanto è Cristo che continua in ogni tempo a esercitare la sua misericordia e il suo perdono per mezzo della Chiesa a vantaggio di tutti i peccatori che fanno ricorso a Lui. Per ogni cristiano, il Giubileo, è quando si riceve con le dovute disposizioni i sacramenti accettando di uniformarsi sempre alla volontà di Dio nella salute e nella malattia, nella gioia e nella sofferenza, in vita e in morte. Guai se il cristiano dovesse aspettare il 2000 per celebrare il Giubileo della propria vita anche se quel Giubileo costituirà un dono straordinario in più dei doni che Dio ei concede incessantemente per la nostra conversione e santificazione. Il Giubileo del 2000 costituisce comunque un’occasione preziosa perché tutto il mondo cristiano possa risvegliarsi dal torpore delle mondanità da cui rischia di essere travolto in questi tempi di grande confusione in ogni campo, non ultimo quello morale che compromette la nostra fede.
don Giulio
don Giulio
PREMESSA AL
PROGRAMMA PASTORALE 1997/1998
Il programma pastorale diocesano 1997/1998, riferito allo Spirito Santo, dopo il programma 1996/1997, riferito a Gesù Cristo, ci riporta ai quattro obiettivi del Convegno di Palermo:
1) Valorizzazione del laicato: la Chiesa non è fatta soltanto di preti e di religiosi o religiose, ma soprattutto di laici che devono trovare accesso, accoglienza e responsabilità per rivestire e svolgere ciascuno il proprio ruolo nell’ambito della pastorale a cui sono chiamati dall’opera e dall’ispirazione dello Spirito Santo.
2) Presa in carico della crisi nel rapporto tra Chiesa e mondo alla ricerca di una nuova identità cristiana e di una nuova pastorale della laicità in un ambiente complesso che suscita nuovi problemi circa i rapporti interculturali di carattere religioso e laicale.
3) Ridefinizione della vita comunitaria e dello stile pastorale capace di coinvolgere nella comunione seguendo le linee proposte dall’Anno Liturgico. La liturgia deve creare la comunità in Cristo se ben preparata.
4) Orientamento della prassi pastorale alla vita secondo lo Spirito nella formazione, nella comunione, nella missione e nella testimonianza. Per noi si presenta subito l’impegno di coniugare le scadenze diocesane con quelle universali:
• La Visita Pastorale del Vescovo alla Diocesi.
• Il cammino verso il terzo millennio e il Giubileo dell'anno duemila.
• La celebrazione del XVI centenario della morte di S. Alessandro.
Gli ambiti d’intervento per la realizzazione del programma pastorale 1997/1998 sono pertanto:
1) La revisione delle prassi pastorali. Quindi: analisi e verifiche sul piano pratico e dottrinale circa la loro incidenza nell’ambito della fede e della vita cristiana.
2) L’acquisizione di una nuova coscienza pastorale alla luce dei repentini cambiamenti che coinvolgono il fatto religioso e il costume condizionati dalla mentalità che cambia.
3) Il rinnovamento delle pratiche pastorali che esige un progetto pensato, verificato e applicato, capace di costituire alternative migliori ed efficaci sulla misura delle necessità locali.
4) La costante verifica comunitaria dovrebbe poi impedire di sprecare tempo a zappare senza seminare.
Il tema del programma pastorale non può essere che la Parola di Dio:
• nello spirito del Vaticano II;
• nell’impegno della predicazione e della catechesi;
• nell’impegno della preghiera e della celebrazione liturgica, vissuta.
Gli aspetti pratici delle scadenze andranno accuratamente osservati.
don Giulio
1) Valorizzazione del laicato: la Chiesa non è fatta soltanto di preti e di religiosi o religiose, ma soprattutto di laici che devono trovare accesso, accoglienza e responsabilità per rivestire e svolgere ciascuno il proprio ruolo nell’ambito della pastorale a cui sono chiamati dall’opera e dall’ispirazione dello Spirito Santo.
2) Presa in carico della crisi nel rapporto tra Chiesa e mondo alla ricerca di una nuova identità cristiana e di una nuova pastorale della laicità in un ambiente complesso che suscita nuovi problemi circa i rapporti interculturali di carattere religioso e laicale.
3) Ridefinizione della vita comunitaria e dello stile pastorale capace di coinvolgere nella comunione seguendo le linee proposte dall’Anno Liturgico. La liturgia deve creare la comunità in Cristo se ben preparata.
4) Orientamento della prassi pastorale alla vita secondo lo Spirito nella formazione, nella comunione, nella missione e nella testimonianza. Per noi si presenta subito l’impegno di coniugare le scadenze diocesane con quelle universali:
• La Visita Pastorale del Vescovo alla Diocesi.
• Il cammino verso il terzo millennio e il Giubileo dell'anno duemila.
• La celebrazione del XVI centenario della morte di S. Alessandro.
Gli ambiti d’intervento per la realizzazione del programma pastorale 1997/1998 sono pertanto:
1) La revisione delle prassi pastorali. Quindi: analisi e verifiche sul piano pratico e dottrinale circa la loro incidenza nell’ambito della fede e della vita cristiana.
2) L’acquisizione di una nuova coscienza pastorale alla luce dei repentini cambiamenti che coinvolgono il fatto religioso e il costume condizionati dalla mentalità che cambia.
3) Il rinnovamento delle pratiche pastorali che esige un progetto pensato, verificato e applicato, capace di costituire alternative migliori ed efficaci sulla misura delle necessità locali.
4) La costante verifica comunitaria dovrebbe poi impedire di sprecare tempo a zappare senza seminare.
Il tema del programma pastorale non può essere che la Parola di Dio:
• nello spirito del Vaticano II;
• nell’impegno della predicazione e della catechesi;
• nell’impegno della preghiera e della celebrazione liturgica, vissuta.
Gli aspetti pratici delle scadenze andranno accuratamente osservati.
don Giulio
CRISTO, CUORE DEL MONDO
Il mese di giugno è dedicato al Cuore S.mo di Gesù ed è anche l’ultimo mese dell’anno che, prima delle vacanze estive, ci impegna ancora pastoralmente nell’ambito della parrocchia. È pertanto un tempo prezioso da dedicare al tema del programma del primo anno (1996/1997) che ci deve preparare alla celebrazione del 2000 imminente: Gesù Cristo, Verbo eterno di Dio che si è fatto carne nel grembo di Maria Vergine per opera dello Spirito Santo. Nella lettera apostolica «Tertio Millennio Adveniente» Giovanni Paolo II afferma: «Soprattutto nella fase celebrativa l’obiettivo del Grande Giubileo sarà la glorificazione della Trinità, dalla quale tutto viene e alla quale tutto si dirige, nel mondo e nella storia». Il Giubileo del 2000 sarà quindi trinitario. Come già sappiamo, sono stati predisposti tre anni di preparazione: il primo dedicato alla riscoperta di Cristo, anno che sta ormai tramontando; il secondo, che è imminente, dedicato allo Spirito Santo; e il terzo verrà dedicato al Padre per concludere con l’anno 2000 che, come già detto, sarà la glorificazione della Trinità. Ma ritornando al tema «Gesù Cristo unico Salvatore del mondo ieri, oggi e sempre», il Papa ha affermato che a Cristo appartengono tutti i millenni della storia, ma in modo speciale i due che noi computiamo a partire dalla sua venuta nel mondo. S. Paolo (Gal 4,4) precisa: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna». La «pienezza del tempo» è l’apertura del tempo sul l’eternità, Dio che si fa uomo spalancando per così dire un balcone sull’eternità medesima. Afferma ancora il Papa: «In Gesù Cristo, Verbo incarnato, il tempo diventa una dimensione di Dio, che in sè stesso è eterno». Gesù Cristo fa come da spartiacque nella storia dell'umanità: prima e dopo Cristo, poiché ne costituisce il centro unificatore. Così tutta la storia umana deve guardare a Cristo come al compimento del proprio evolversi. In Lui è il fine della storia umana medesima così come del singolo uomo. Cristo infatti, quale novello Adamo, rivela il disegno del Padre nell'uomo. «Svela pienamente l’uomo all’uomo e gli rende manifesta la sua altissima vocazione» (Gs 22). Ancora il Papa: «Cristo è l’immagine del Dio invisibile, è l’uomo perfetto che restituisce ai figli di Adamo la somiglianza con Dio deformata dal peccato» (TMA). Il Verbo con l’incarnazione rinnova l’ordine cosmico della creazione. Lo stesso S. Paolo nella sua lettera agli Efesini (Ef 1,10) afferma che, nel disegno di Dio, Cristo ricapitola in sè tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra. Tempo e spazio, cioè l’universo, dal momento della sua creazione a quello del suo compimento in cieli nuovi e terra nuova, sono consacrati dalla liturgia che nell’anno solare riproduce l’intero svolgimento del mistero dellTncarnazione e della Redenzione (TMA, 10). Il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro quindi del cosmo e della storia dell’umanità. Questo nostro tempo è già vicino al 2000, anzi è già il 2000 perché Dionigi il Piccolo, sbagliando i calcoli, che sono stati applicati in seguito al calendario dell’era cristiana, ha fatto nascere Gesù Cristo circa sei-sette anni dopo. L’anno 2000 sarà comunque l’anno del grande Giubileo che ci ricorderà il fatto che l’evangelista S. Giovanni sintetizza così: «Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna» e aggiunge, o meglio fa precedere, «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Questa è una presenza che rimane perché Dio non muta mai la sua volontà di salvarci tutti mediante l’opera di Cristo suo Figlio unigenito. Così Cristo diventa il cuore del mondo che palpita e deve far palpitare ogni cuore dell'amore per cui il Padre ha inviato il suo Figlio unigenito nel mondo come unico Salvatore. Si dovrà pure riservare una particolare attenzione anche alla Vergine Maria, alla sua divina maternità, se nel suo grembo ha preso carne il Verbo eterno di Dio per opera dello Spirito Santo. Concludiamo quindi il primo anno di preparazione al Giubileo del 2000 riconoscendo in Cristo, soprattutto sulla Croce, la rivelazione dell’amore supremo del Padre per noi che non esita a sacrificare suo Figlio perché nell’abisso della morte, conseguenza estrema della colpa umana, potesse raggiungerci per ridonarci la vita.
d.g.
d.g.
PROPOSTA PRATICA DI PROGRAMMA PASTORALE
PER IL 1997/’98/’99/2000 ALL’INSEGNA DELLA S.MA TRINITÀ
Analisi:
C’è sempre qualcosa da cambiare pastoralmente se vogliamo inseguire l’uomo dove vive, come dice il nostro Vescovo. Ma prima bisogna rendersi conto della situazione. Fin che non ci si vede chiaro non si devono rischiare cambiamenti. L’analisi, a ogni livello, deve percorrere la strada dei cambiamenti che oggi mutano tanto in fretta. Il fenomeno della secolarizzazione è sempre più accentuato per cui aumentano le distanze tra la pastorale tradizionale e l’uomo mentre il mondo cattolico è carente di responsabilità per mancanza di consapevolezza.
Comportamento:
Se da una parte la gente non si considera atea, dall’altra parte vive come se Dio non esistesse. Dio decide ben poco nella vita della nostra gente che si ispira più facilmente alle proposte del mondo del consumismo e dei mass-media, di un mondo capace di creare soprattutto problemi di dipendenza in ogni campo. La ricerca di Gesù deve tornare al centro del nostro agire. La strada maestra per raggiungerlo è la sua parola: la Bibbia, il Vangelo in particolare, la Tradizione, cioè i santi Padri, e il Magistero della Chiesa. I Sacramenti non sono soltanto da celebrare ma da vivere. Occorre formare presto gruppi del Vangelo e della lectio divina.
Cambiamenti:
Cambiare per cambiare significa distruggere! Come s’è detto sopra. I cambiamenti che non coinvolgono la comunità sono ristretti a gruppi che come i funghi sorgono in fretta tanto quanto in fretta scompaiono senza lasciare tracce pastoralmente significative, sono quelle piccole chiese che qualcuno si diverte a costruire mentre altri si divertono ugualmente a distruggere. Anche il fatto di mettere troppa carne al fuoco non ti permette di andare troppo lontano. Si finisce per zappare senza seminare. Il Vescovo chiede il cambiamento nell’annunzio del Vangelo, ma bisognerà intendersi meglio.
Coordinamento:
Sul piano pastorale è indispensabile il coordinamento delle attività e dell’impegno di tutti i gruppi ecclesiali riferiti al Consiglio Pastorale Parrocchiale, luogo di proposte, di verifiche e di promozione. Ogni attività pastorale deve comunque ritrovare il suo centro vitale di ispirazione e di sostegno nell’Eucaristia. Si rende necessaria la formazione di un gruppo liturgico capace di predisporre e di animare ogni celebrazione con la più larga partecipazione dei fedeli.
Discernimento:
Il discernimento dei carismi non può che avvenire sul piano pratico del saper fare e congiuntamente alla buona volontà. I carismi infatti sono destinati al servizio della comunità. Nessuno può farsi sostituire in fatto di fede e di testimonianza sotto l’impulso dello Spirito Santo che chiama tutti a rivestire un proprio ruolo nell’ambito della Chiesa santa di Dio.
Pianeta giovani:
Il mondo dei giovani è la speranza dell’avvenire, è il vivaio dove lavora preferibilmente lo Spirito Santo per lo svecchiamento della Chiesa. Da lì possiamo attingere le migliori risorse per la pastorale. È indispensabile quindi fare spazio ai giovani dando loro fiducia e responsabilità in ogni campo della pastorale. Essi non si lasciano aggregare per una presenza soltanto passiva lontana dall’esistenza dell’uomo.
Umanizzare:
Perde credito qualsiasi annuncio di fede e qualsiasi iniziativa pastorale sprovvista del supporto umano. La carica umana è indispensabile in ogni ambiente per rendere efficace il rapporto finalizzato all’educazione come la famiglia, la scuola, il lavoro, lo sport, la politica, il volontariato, la Chiesa. La fede ci porta poi a riconoscere e a testimoniare la presenza di Cristo in ogni persona soprattutto se bisognosa e sofferente. Se vogliamo credito bisogna farsi carico della persona con tutti i suoi problemi. Dio sembra che voglia salvare più anime con l’amicizia che con i dogmi. Andiamo dove l’uomo vive, dice il Vescovo, ma andiamo soprattutto dove l’uomo soffre e muore.
Missionarietà:
L’inculturazione ci porta a riconoscere la uguale dignità di tutte le persone, come afferma anche il Papa. Non esiste al mondo una persona meno degna dell’altra. Siamo tutti fratelli, figli di Dio, alla stessa maniera per quel che dipende dalla volontà divina. Dio non fa discriminazioni di nessun genere. Missionarietà pertanto significa che bisogna togliere tutte le barriere che ci dividono e che abbiamo costruito noi, sia all’interno che all’esterno della nostra chiesa, affinché Cristo sia amato e testimoniato in tutti i fratelli. Odia se stesso chi non ama i suoi simili!
Vocazioni:
Senza vocazioni non c’è avvenire nella chiesa santa di Dio! Le tasse a Dio si pagano con le primizie umane che si consacrano al suo servizio. Tutta la comunità di fede deve concorrere con la preghiera, col buon esempio, con le buone opere a esprimersi nella maniera più generosa in ogni persona che si consacra a Dio come un campo ben preparato in cui Dio medesimo semina le sue primizie che affida alle nostre cure.
Confronto:
Ogni incontro pastorale è tempo di confronto in cui ci si dispone a riconoscere i propri limiti e a riconoscere quanto negli altri serve al nostro arricchimento umano e cristiano nella reciproca condivisione. La nostra conversione a Dio passa orizzontalmente attraverso il rapporto con le persone in un confronto sincero carico di buona volontà. La verifica ci aiuta a rimediare agli sbagli fatti e a evitarne altri quando è condotta con umiltà e col desiderio di poter servire meglio la nostra comunità. Il servizio pastorale deve mirare a servire Dio nelle persone. Santifichiamoci perché Dio sia santificato tutto in tutti.
Conclusione:
Non dimentichiamoci mai che è Dio che ci salva sia quando si degna di servirsi di noi e sia quando vuole servirsi di altri. La parrocchia è ferma, come dice il Vescovo, quando ritiene di essere autosufficiente con esclusione di quelle persone che Dio immette sul nostro cammino, come S. Paolo sul cammino del collegio apostolico, e ogni volta che rifiutiamo di accettare quei cambiamenti che la provvidenza di Dio ci propone per fare spazio a tutte le pecorelle che il buon Pastore vuole ricondurre al suo ovile che è la Chiesa.
d.g.
C’è sempre qualcosa da cambiare pastoralmente se vogliamo inseguire l’uomo dove vive, come dice il nostro Vescovo. Ma prima bisogna rendersi conto della situazione. Fin che non ci si vede chiaro non si devono rischiare cambiamenti. L’analisi, a ogni livello, deve percorrere la strada dei cambiamenti che oggi mutano tanto in fretta. Il fenomeno della secolarizzazione è sempre più accentuato per cui aumentano le distanze tra la pastorale tradizionale e l’uomo mentre il mondo cattolico è carente di responsabilità per mancanza di consapevolezza.
Comportamento:
Se da una parte la gente non si considera atea, dall’altra parte vive come se Dio non esistesse. Dio decide ben poco nella vita della nostra gente che si ispira più facilmente alle proposte del mondo del consumismo e dei mass-media, di un mondo capace di creare soprattutto problemi di dipendenza in ogni campo. La ricerca di Gesù deve tornare al centro del nostro agire. La strada maestra per raggiungerlo è la sua parola: la Bibbia, il Vangelo in particolare, la Tradizione, cioè i santi Padri, e il Magistero della Chiesa. I Sacramenti non sono soltanto da celebrare ma da vivere. Occorre formare presto gruppi del Vangelo e della lectio divina.
Cambiamenti:
Cambiare per cambiare significa distruggere! Come s’è detto sopra. I cambiamenti che non coinvolgono la comunità sono ristretti a gruppi che come i funghi sorgono in fretta tanto quanto in fretta scompaiono senza lasciare tracce pastoralmente significative, sono quelle piccole chiese che qualcuno si diverte a costruire mentre altri si divertono ugualmente a distruggere. Anche il fatto di mettere troppa carne al fuoco non ti permette di andare troppo lontano. Si finisce per zappare senza seminare. Il Vescovo chiede il cambiamento nell’annunzio del Vangelo, ma bisognerà intendersi meglio.
Coordinamento:
Sul piano pastorale è indispensabile il coordinamento delle attività e dell’impegno di tutti i gruppi ecclesiali riferiti al Consiglio Pastorale Parrocchiale, luogo di proposte, di verifiche e di promozione. Ogni attività pastorale deve comunque ritrovare il suo centro vitale di ispirazione e di sostegno nell’Eucaristia. Si rende necessaria la formazione di un gruppo liturgico capace di predisporre e di animare ogni celebrazione con la più larga partecipazione dei fedeli.
Discernimento:
Il discernimento dei carismi non può che avvenire sul piano pratico del saper fare e congiuntamente alla buona volontà. I carismi infatti sono destinati al servizio della comunità. Nessuno può farsi sostituire in fatto di fede e di testimonianza sotto l’impulso dello Spirito Santo che chiama tutti a rivestire un proprio ruolo nell’ambito della Chiesa santa di Dio.
Pianeta giovani:
Il mondo dei giovani è la speranza dell’avvenire, è il vivaio dove lavora preferibilmente lo Spirito Santo per lo svecchiamento della Chiesa. Da lì possiamo attingere le migliori risorse per la pastorale. È indispensabile quindi fare spazio ai giovani dando loro fiducia e responsabilità in ogni campo della pastorale. Essi non si lasciano aggregare per una presenza soltanto passiva lontana dall’esistenza dell’uomo.
Umanizzare:
Perde credito qualsiasi annuncio di fede e qualsiasi iniziativa pastorale sprovvista del supporto umano. La carica umana è indispensabile in ogni ambiente per rendere efficace il rapporto finalizzato all’educazione come la famiglia, la scuola, il lavoro, lo sport, la politica, il volontariato, la Chiesa. La fede ci porta poi a riconoscere e a testimoniare la presenza di Cristo in ogni persona soprattutto se bisognosa e sofferente. Se vogliamo credito bisogna farsi carico della persona con tutti i suoi problemi. Dio sembra che voglia salvare più anime con l’amicizia che con i dogmi. Andiamo dove l’uomo vive, dice il Vescovo, ma andiamo soprattutto dove l’uomo soffre e muore.
Missionarietà:
L’inculturazione ci porta a riconoscere la uguale dignità di tutte le persone, come afferma anche il Papa. Non esiste al mondo una persona meno degna dell’altra. Siamo tutti fratelli, figli di Dio, alla stessa maniera per quel che dipende dalla volontà divina. Dio non fa discriminazioni di nessun genere. Missionarietà pertanto significa che bisogna togliere tutte le barriere che ci dividono e che abbiamo costruito noi, sia all’interno che all’esterno della nostra chiesa, affinché Cristo sia amato e testimoniato in tutti i fratelli. Odia se stesso chi non ama i suoi simili!
Vocazioni:
Senza vocazioni non c’è avvenire nella chiesa santa di Dio! Le tasse a Dio si pagano con le primizie umane che si consacrano al suo servizio. Tutta la comunità di fede deve concorrere con la preghiera, col buon esempio, con le buone opere a esprimersi nella maniera più generosa in ogni persona che si consacra a Dio come un campo ben preparato in cui Dio medesimo semina le sue primizie che affida alle nostre cure.
Confronto:
Ogni incontro pastorale è tempo di confronto in cui ci si dispone a riconoscere i propri limiti e a riconoscere quanto negli altri serve al nostro arricchimento umano e cristiano nella reciproca condivisione. La nostra conversione a Dio passa orizzontalmente attraverso il rapporto con le persone in un confronto sincero carico di buona volontà. La verifica ci aiuta a rimediare agli sbagli fatti e a evitarne altri quando è condotta con umiltà e col desiderio di poter servire meglio la nostra comunità. Il servizio pastorale deve mirare a servire Dio nelle persone. Santifichiamoci perché Dio sia santificato tutto in tutti.
Conclusione:
Non dimentichiamoci mai che è Dio che ci salva sia quando si degna di servirsi di noi e sia quando vuole servirsi di altri. La parrocchia è ferma, come dice il Vescovo, quando ritiene di essere autosufficiente con esclusione di quelle persone che Dio immette sul nostro cammino, come S. Paolo sul cammino del collegio apostolico, e ogni volta che rifiutiamo di accettare quei cambiamenti che la provvidenza di Dio ci propone per fare spazio a tutte le pecorelle che il buon Pastore vuole ricondurre al suo ovile che è la Chiesa.
d.g.
S. LORENZO RITORNA FRA NOI
IL 10/08/1997
La festa patronale di S. Lorenzo toma puntualmente ogni anno per riportare in mezzo a noi la gloriosa testimonianza giovanile di fede e di amore per Dio e per i fratelli del nostro santo protettore. Se non tornasse questa solennità sarebbe per noi come se non tornasse la primavera e il sole col suo splendore e la forza del suo calore a ridonare vita e ogni cosa. La Chiesa necessita sempre del rinnovamento spirituale per ricuperare il suo slancio di fede e di amore, autentica primavera dello spirito che rinnova la nostra giovinezza (Ps. 42,1-5). Ma tutto ciò non può pervenire che dai giovani, soprattutto, perché sono loro esuberanti di vita capaci di dedicarsi, come S. Lorenzo, ai grandi ideali senza mai risparmiarsi. Se mancano i giovani, la Chiesa è già vecchia ed è condannata a estinguersi come una famiglia rimasta senza discendenza. S. Lorenzo ritorna a riproporre l’ardore della sua giovinezza di fede e di amore alla nostra gioventù per impedirle di addormentarsi sotto l’effetto velenoso delle scelte mondane che scaturiscono dalla cultura della morte disseminata ormai dovunque come una pestilenza micidiale che non ha mai conosciuto simili precedenti. È assai triste dover convivere con dei giovani che sembrano nati stanchi e che sono prematuramente invecchiati, incapaci di affrontare, i grandi ideali della vita. Mentre da una parte sembrano voler esaurire tutte le esperienze precoci della loro esistenza, come se le potessero cavare da una gettoniera, per ridursi gioventù bruciata, dall’altra parte non hanno fatto ancora in tempo a cominciare a vivere, prostrati come aquile che ignorano di possedere le ali per decidersi a spiccare il volo. Se ora, da noi fortunatamente possiamo affermare che si tratta di casi sporadici, comunque in crescita, tuttavia bisogna intervenire tempestivamente, anzi subito, prima che le già troppe eccezioni abbiano a diventare la regola. Occorre riproporre ai giovani dei modelli, come S. Lorenzo, a cui possano far riferimento per la loro crescita sotto ogni aspetto. La effimera civiltà dei nostri tempi ha spinto l’uomo alla ricerca di tutto ciò che può prolungare la vita e di tutti i mezzi per godersela, ma purtroppo ciò che può essere ritenuto una conquista si riversa su di noi come micidiale sventura. La vera civiltà non è data dalle cose che si possono godere ma dai valori che si vivono. Questa è la testimonianza che ripropone ai giovani e a chi non è più giovane il nostro patrono S. Lorenzo. Vogliamo anche quest’anno cogliere l’occasione della festa patronale per considerare insieme i gravi problemi che si affliggono all’interno delle nostre famiglie e della nostra comunità e per riproporci quella soluzione e quei rimedi che l’esempio di S. Lorenzo ci riporta come maestro di vita cristiana e di santità. Pregustando la gioia del prossimo incontro del dieci agosto in cui festeggeremo in particolare, in quest’anno, il 30° di sacerdozio di Padre Cristoforo Zambelli, nostro concittadino, beneauguro e saluto.
Con tanto affetto, don Giulio |
IMPEGNO PASTORALE 1997/1998
Il Vescovo: torna a riproporre, per il programma pastorale 1997/1998, l’urgenza del problema della Parola di Dio come voce dello Spirito Santo che illumina il nostro cammino in preparazione al grande Giubileo del 2000. La Rivelazione è il cammino di Dio incontro all’uomo. Il cristiano che ne trascura le fonti, non cammina con Cristo che è la pienezza della Rivelazione di Dio nell’incarnazione del suo Figlio unigenito. Il programma dello scorso anno si è incentrato infatti sulla seconda persona della S.ma Trinità, Gesù Cristo, unico Salvatore ieri, oggi e sempre, così come continua a ribadire Giovanni Paolo II. Nel prossimo anno, il programma pastorale, s’incentra sulla terza persona della S.ma Trinità, lo Spirito Santo, ma senza sganciarsi logicamente dal tema cristologico, per proseguire poi, nell’anno successivo 1998/1999, a considerare la prima persona della S.ma Trinità, cioè il Padre, e, infine, per concludere all’insegna della S.ma Trinità medesima nel 2000. I cattolici devono decidersi a prendere in mano la Bibbia, il libro più diffuso e il meno letto, e quindi a promuovere i gruppi biblici o del Vangelo per nutrirsi della parola di Dio mirando a coinvolgere tutta la comunità di fede della parrocchia. La Parola di Dio infatti è la persona di Gesù Cristo medesimo in cui ha avuto compimento tutta la rivelazione della Vecchia e della Nuova Alleanza, la Vecchia come figura o promessa e la Nuova come realizzazione. Cristo, parola di Dio, celebrato e vissuto nei segni sacramentali si rende presente in noi come nuova vita divina che ci trasforma in nuove creature divine per opera dello Spirito Santo destinate a realizzare il regno eterno di Dio. I Vescovi: nella 43a assemblea generale della CEI, hanno considerato «La centralità della parola di Dio nella vita della comunità» riflettendo sul tema: «Gesù, il maestro risorto, cammina con loro e spiegava le Scritture» (Le. 24,13-55). E rincontro con Gesù attraverso la Bibbia. Costituisce sempre il tema cristologico in preparazione al grande Giubileo del 2000 a cui si attiene anche il Congresso Eucaristico Nazionale di Bologna del 20-28 settembre 1997. Tutto ciò come seguito alla nota pastorale «La Bibbia nella vita della Chiesa» (CEI: 18 novembre 1995). Se si sono avvertiti miglioramenti nella Chiesa circa la parola di Dio, da una parte, dall’altra tuttavia non sempre la proclamazione del testo viene fatta respirare nel suo contesto letterario e celebrativo o esistenziale, così come spesso sussiste separazione della Parola dalla vita della comunità. Non vengono pertanto rispettate le dimensioni che la Parola di Dio deve rivestire: la proclamazione, la celebrazione, la meditazione, la contemplazione e, sul piano pratico della vita, l’azione o la testimonianza. È indispensabile, come premessa, riprendere in mano la Costituzione Dogmatica «Dei Verbum» sulla divina rivelazione, del Concilio Vaticano II, documento insostituibile, che forse non ci siamo mai preso la briga di leggere e di meditare, se vogliamo affrontare seriamente e con frutto la conoscenza della S. Scrittura. Per comodità di tutti si ritiene di fare cosa buona riprodurre qui integralmente almeno i primi due capitoli della Costituzione medesima riservandoci eventualmente di riprodurre in seguito i capitoli successivi.
A NOVEMBRE TORNA PER TUTTI
IL PENSIERO DELLA BUONA MORTE
Il tema della morte torna ancora a galla in questi tempi dopo un periodo di rigorosa schifiltosità a parlarne come se seppellendone il discorso se ne potesse cancellare la realtà. Ora si torna a parlare di morte più liberamente senza tanti complessi. Si celebrano seminari e convegni sull'argomento. Basti ricordare il 6° Congresso a Clusone dal 19 al 21 agosto 1994 su Il trionfo della Morte e le Danze macabre, raffigurazioni disseminate ai tempi in Italia e all'estero, di cui, nello scorso marzo 1997, si sono pubblicati gli atti in una voluminosa edizione presso la Tipolitografia Presservice 80 di Rovetta, a cura della Città di Clusone. Vogliamo ricordare anche il seminario sulla morte tenuto a San Pellegrino nell’aprile-maggio 1991 di cui si sono pubblicate le relazioni nel volume I segni della morte nella cultura della Val Brembana presso l’Editrice Ferrari di Clusone. Quando l’uomo pensa alla morte si rende conto della propria caducità e dei limiti del tempo entro cui è chiamato ad operare (Gal 6, 19), poiché nella vita non si torna più indietro come l’acqua del fiume che passata non macina più. Ciascuno porterà le proprie opere al tribunale di Dio. Il pensiero della morte ci sprona pertanto a predisporci seriamente al nostro incontro conclusivo con Dio. «Estote parati...» ci ammonisce Gesù Cristo, perché nell’ora che meno pensate il Figlio dell’uomo verrà (Mt 24, 44). Pensare alla morte è la maniera più seria di pensare alla vita presente come premessa alla vita futura. Si presenta tuttavia il pericolo che ci si abbia ad abituare anche al fatto della morte, avendola sott’occhio ogni giorno, soprattutto quando si tratta della morte degli altri. «Assueta vilescunt» dice il proverbio latino: «L’abitudine svilisce ogni cosa», o come usiamo dire noi bergamaschi: «Con l’abitudine si fa l’osso». La morte divora inesorabilmente la nostra vita e nessuno può sottrarsi a questa sorte che Gesù stesso ha voluto condividere con noi per rimediare alle conseguenze del nostro peccato, che è mancanza o rifiuto di amore a Dio e ai fratelli. Il rimedio alla nostra morte corporale avverrà quando alla fine del tempo risorgeranno con Cristo a vita nuova, mentre dalla morte causata dal peccato ci possiamo liberare esclusivamente con la conversione nella vita presente facendo ricorso alla misericordia di Dio, sinceramente pentiti delle nostre colpe, attraverso il sacramento della Riconciliazione. Ora si torna sì a parlare di morte più liberamente, ma purtroppo non la si considera ancora come la porta che si spalanca una sola volta per il nostro passaggio alla vita eterna, poiché la vita cambia, ma non viene eliminata. A volte sappiamo avvertire la vicinanza della morte degli altri, mentre non sappiamo renderci conto della nostra che ci sta spiando, in agguato, dietro l’uscio di casa. È pure frequente il fatto che i familiari, per un pietismo ingiustificabile, spediscano i propri cari all'eternità privati dei conforti religiosi provocando così, cristianamente parlando, un vuoto incolmabile che non si può certamente riempire con le pompe funebri, coi cori rumoreggianti durante i riti funebri o con i monumenti sontuosi recanti lusinghiere epigrafi e adornati di lumi e di fiori freschi.
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La miglior maniera di ricordare i propri defunti è la preghiera e l’esame di coscienza sul proprio comportamento di fronte al problema della salvezza. E da questo impegno che scaturisce la nostra capacità di saper convivere coi nostri cari morti in piena comunione in Cristo che è la vera vita con cui possiamo vincere definitivamente la nostra morte sia corporale che spirituale.
dg |
L’AMORE PREFERENZIALE
PER I POVERI
L’amore preferenziale per i poveri, scelta fatta dal nostro vicariato nei miniconvegni post-Palermo, è un passaggio obbligato per il Giubileo del 2000. Mentre la nostra società è ormai insensibile ai discorsi sulla verità, si conserva ancora sensibile sul problema della carità e si potrà ripartire da qui per ricondurre l’uomo al riconoscimento della verità. Non potremo quindi celebrare il grande Giubileo del 2000 senza ricuperare la nostra attenzione ai poveri e senza condividere col nostro comportamento la dimensione povertà-carità come complemento di giustizia. Se Gesù ha detto «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8, 26), non deve mancare questa veste nelle nostre celebrazioni per il 2000 che ci faccia riconoscere come i seguaci di Cristo. San Giovanni Crisostomo afferma: «Vuoi onorare il Corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra, cioè nei poveri... Che vantaggio vuoi che abbia Cristo se la mensa del suo sacrificio è ricoperta di vasi d’oro mentre poi egli muore di fame e di stenti nella persona del povero? Il povero è il tempio vivo di Cristo più prezioso di qualsiasi altro tempio». «Ricordatevi che Gesù è venuto a evangelizzare i poveri» (Mt 11, 5 e Lc 7, 22), ci esorta il Papa nella TMA, 51. È necessario quindi che i poveri siano parte attiva della Chiesa e non soltanto un oggetto al quale destinare delle elemosine. I poveri bisogna amarli come reale presenza di Gesù che ha detto: «Io ho avuto fame e mi avete dato o non dato da mangiare...» (Mt 25, 35). Uno stato assistenziale è uno stato che non ha risolto il problema dei poveri e della loro condivisione. È segno che trionfa l’egoismo, radice di tutti i mali (Tm 6, 10). Da qui la necessità di percorrere tutte le vie della carità: nel civile, nella politica, nell’economia, nell’impegno per lo sviluppo e per la pace e l’attenzione quotidiana a tutte le sofferenze e a tutte le forme di povertà. Il Papa insiste sul fatto che non possiamo evitare questa circostanza del Giubileo senza riconoscere e accusare le nostre responsabilità e i nostri ritardi e inadeguatezze nei confronti degli ultimi. Il Giubileo attende di essere vissuto come anno di grazia, anno della remissione dei peccati (che si possono definire disamore per Dio e per i fratelli), anno del condono delle pene per le colpe, anno della riconciliazione e della conversione e della penitenza sacramentale ed extrasacramentale (TMA 14 e EV 14/1/1736). Tutto ciò deve diventare visibile seguendo Cristo che «da ricco si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8, 9). La presenza tra noi di immigrati richiede la nostra conversione da atteggiamenti razzisti e xenofobi. Ma anche tra noi va rimarcandosi sempre più la distinzione tra quanti sono tutelati e quanti invece sono svantaggiati sia per i mezzi finanziari e sia per la cultura, sperequazioni queste che attendono di essere livellate attraverso un nesso inevitabile tra carità e giustizia. I credenti sono chiamati dentro le istituzioni a partecipare ai processi democratici in difesa e per lo sviluppo dei principi e dei valori a vantaggio dei più deboli e di quanti rimangono senza voce negli atti legislativi, nelle decisioni del governo, nella politica degli enti locali e nel funzionamento dei servizi alla persona. Anche la famiglia deve conquistare la sua centralità nel ruolo dei processi sociali e nell’ambito dei vari problemi sanitari, assistenziali e sociali. Riconoscere Gesù nell’Eucaristia da una parte per poi misconoscerlo nei poveri dall’altra è una imperdonabile contraddizione per noi cristiani. Anche il fatto di ammettere discriminazioni tra poveri e poveri, come ad esempio tra i poveri tradizionali e i nuovi poveri che pullulano ormai anche nei nostri ambienti di paese che nascono a causa di situazioni incontrollate, oppure anche promosse nell’odierna società, generatrici di insanabili squilibri di comportamento e di miseria morale.
Obiettivi da proporre non mancano, come:
• limitare i consumi sganciandoci dalle necessità, volute dal buontempo, che creano dipendenza in ogni campo;
• sostenere di più le iniziative comunitarie aperte alla solidarietà;
• celebrare le feste e i sacramenti evitando sprechi per aprirsi di più all’accoglienza e alla solidarietà per i poveri;
• non permettersi di delegare mai per tutto ciò che è nelle nostre possibilità personali da compiere, la carità non si delega;
• rendersi finalmente conto che questi problemi così enormi non possono essere risolti se affrontati da poche persone mentre richiedono l’impegno e lo sforzo di tutta una comunità di fede, se così si vuol definire.
Non dimentichiamo che tutto ciò che siamo e abbiamo è dono di Dio che vuole essere Padre amoroso di tutti, soprattutto se piccoli, poveri e indifesi.
Obiettivi da proporre non mancano, come:
• limitare i consumi sganciandoci dalle necessità, volute dal buontempo, che creano dipendenza in ogni campo;
• sostenere di più le iniziative comunitarie aperte alla solidarietà;
• celebrare le feste e i sacramenti evitando sprechi per aprirsi di più all’accoglienza e alla solidarietà per i poveri;
• non permettersi di delegare mai per tutto ciò che è nelle nostre possibilità personali da compiere, la carità non si delega;
• rendersi finalmente conto che questi problemi così enormi non possono essere risolti se affrontati da poche persone mentre richiedono l’impegno e lo sforzo di tutta una comunità di fede, se così si vuol definire.
Non dimentichiamo che tutto ciò che siamo e abbiamo è dono di Dio che vuole essere Padre amoroso di tutti, soprattutto se piccoli, poveri e indifesi.
CATECUMENATO PER GLI ADULTI
Siamo impegnati a non lasciar cadere nel dimenticatoio la Nota pastorale della CEI firmata il 30 marzo 1997 e diffusa il 29 aprile 1997 col titolo: «L’iniziazione cristiana - orientamento per il catecumenato degli adulti» composta da una introduzione e da tre capitoli. Purtroppo, essendo troppo ponderosa rispetto alle possibilità del nostro notiziario, dobbiamo limitarci a prendere in considerazione soltanto la Premessa, sempre assai importante, con la speranza di poter dedicare un adeguato spazio di tempo a questo documento così rilevante con cui la CEI sollecita ad affrontare una nuova lettura della realtà pastorale italiana per aprirsi a una nuova evangelizzazione attenta alle situazioni emergenti, come la presenza di ragazzi, giovani, adulti non battezzati che offrono alla Chiesa la propria disponibilità alla fede e come i cristiani che dopo il battesimo, avendo abbandonato la pratica religiosa, chiedono di poter rivivere l’esperienza della fede in maniera più consapevole e operosa. Sono richieste a cui bisogna dare una risposta, non improvvisata e sbrigativa, ma da costruire insieme sotto la guida delle direttive che la Chiesa ci propone per l’iniziazione cristiana e per il catecumenato degli adulti quale cammino di ricupero della fede indirizzato alla vera conversione. Consideriamo ora in sintesi la Premessa alla Nota della CEI. Le profonde trasformazioni socio-culturali-religiose richiedono dalla Chiesa continua attenzione per offrire una chiara risposta all’ansia di salvezza presente in ogni strato della popolazione e per tutte quelle persone dentro e fuori della Chiesa in cerca di un cammino di fede. Da qui la CEI offre un progetto che indica contenuti, finalità e modalità per un itinerario iniziatico capace di guidare l’uomo a diventare cristiano adulto, membro cosciente e attivo nella Chiesa. La fonte a cui riferirsi è sempre la S. Scrittura e la Tradizione ecclesiale con attenzione alla situazione italiana che richiede un profondo rinnovamento della pastorale poiché la tradizionale non sembra più in grado di poter dare dei risultati concreti.
Sono tre le tappe previste:
1) per le persone adulte che oltre i 14 anni non hanno ricevuto il battesimo e chiedono di entrare nella Chiesa;
2) per i fanciulli i ragazzi, dai 7 ai 14 anni, che chiedono i sacramenti della iniziazione;
3) per coloro che, battezzati, hanno abbandonato la pratica religiosa e desiderano risvegliare la fede per vivere cristianamente più consapevoli e operosi.
Il Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti, a norma dei decreti del Concilio Vaticano II, del 16 gennaio 1972, diffuso in Italia il 30 gennaio 1978. Ha già dato una risposta al problema, ma è stata disattesa, per cui si propone un documento sull’iniziazione cristiana che ora la CEI consegna alle nostre Chiese indirizzato alle persone adulte.
Vengono così precisati dei criteri da seguire:
1) Un primo criterio a cui deve ispirarsi l’iniziazione è di discernimento. Si tratta di un processo formativo all’esperienza di vita cristiana che abbraccia quattro aspetti:
a) l’annuncio di Cristo morto e risorto per suscitare la fede nell’adesione a Lui e al suo messaggio di salvezza nella globalità;
b) la catechesi finalizzata all’approfondimento in forma organica del messaggio in vista della conversione e progressivo cambiamento della mentalità e stile di vita;
c) l’esperienza liturgico-sacramentale per educare alla preghiera e per realizzare l’inserimento pieno nel mistero pasquale di Cristo e nella vita della Chiesa:
d) l’impegno della testimonianza e del servizio per una partecipazione corresponsabile nella vita della comunità e nella missione.
C’è un precatecumenato in cui deve predominare l’annuncio della parola di Dio.
2) Un secondo criterio riguarda la funzione materna che la Chiesa è chiamata a svolgere in quanto è la Chiesa che genera la Chiesa! Nel processo iniziatico si manifesta e si edifica la Chiesa come sacramento, segno e strumento della comunione di Dio con gli uomini. La Chiesa si fa incontro all'uomo e gli annuncia Cristo Signore educandolo alla conversione e sostenendolo con la preghiera, la penitenza e la carità e lo inserisce col dono dello Spirito Santo nel mistero di Cristo.
3) Un terzo criterio: il Vescovo, responsabile dell’azione evangelizzatrice adatta il cammino dell'iniziazione alle esigenze e possibilità locali, tenendo presente la situazione che si diversifica nelle varie chiese particolari. Tocca al Vescovo fissare le norme per la catechesi da impartire affinché si realizzi una profonda osmosi tra gli organismi diocesani e la peri-
feria.
4) Un quarto criterio: occorre farsi attenti alla domanda, verificarne i motivi e le spinte attraverso il dialogo per riuscire a proporre un cammino che risponda alle esigenze di ciascuno e nello stesso tempo sia fedele allo spirito del Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti pur adattandolo all’ambiente e alle persone interessate.
5) Un quinto e ultimo criterio che guida questa nota pastorale è il primato da dare all’evangelizzazione che presiede a tutta la pastorale del catecumenato di fronte alle mutate condizioni socio-culturali-religiose della società che esigono una pastorale permanente di missione che impegna seriamente ogni nostra comunità di fede.
L’iniziazione cristiana ha una durata limitata nel tempo. Il cristiano diventa iniziato con la celebrazione del battesimo, confermazione ed eucaristia. La formazione del neo-battezzato, invece continua per tuta la vita. Per questo la cura materna della Chiesa deve proseguire anche dopo l’iniziazione. I neofiti hanno il diritto e il dovere di crescere nella fede. Per questo bisogna offrire loro un continuo aiuto per un sempre maggior inserimento nella comunità cristiana. È un problema che non si risolve con la ricezione dei sacramenti, ma col viverli in una sempre maggior adesione a Cristo e alla Chiesa.
Sono tre le tappe previste:
1) per le persone adulte che oltre i 14 anni non hanno ricevuto il battesimo e chiedono di entrare nella Chiesa;
2) per i fanciulli i ragazzi, dai 7 ai 14 anni, che chiedono i sacramenti della iniziazione;
3) per coloro che, battezzati, hanno abbandonato la pratica religiosa e desiderano risvegliare la fede per vivere cristianamente più consapevoli e operosi.
Il Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti, a norma dei decreti del Concilio Vaticano II, del 16 gennaio 1972, diffuso in Italia il 30 gennaio 1978. Ha già dato una risposta al problema, ma è stata disattesa, per cui si propone un documento sull’iniziazione cristiana che ora la CEI consegna alle nostre Chiese indirizzato alle persone adulte.
Vengono così precisati dei criteri da seguire:
1) Un primo criterio a cui deve ispirarsi l’iniziazione è di discernimento. Si tratta di un processo formativo all’esperienza di vita cristiana che abbraccia quattro aspetti:
a) l’annuncio di Cristo morto e risorto per suscitare la fede nell’adesione a Lui e al suo messaggio di salvezza nella globalità;
b) la catechesi finalizzata all’approfondimento in forma organica del messaggio in vista della conversione e progressivo cambiamento della mentalità e stile di vita;
c) l’esperienza liturgico-sacramentale per educare alla preghiera e per realizzare l’inserimento pieno nel mistero pasquale di Cristo e nella vita della Chiesa:
d) l’impegno della testimonianza e del servizio per una partecipazione corresponsabile nella vita della comunità e nella missione.
C’è un precatecumenato in cui deve predominare l’annuncio della parola di Dio.
2) Un secondo criterio riguarda la funzione materna che la Chiesa è chiamata a svolgere in quanto è la Chiesa che genera la Chiesa! Nel processo iniziatico si manifesta e si edifica la Chiesa come sacramento, segno e strumento della comunione di Dio con gli uomini. La Chiesa si fa incontro all'uomo e gli annuncia Cristo Signore educandolo alla conversione e sostenendolo con la preghiera, la penitenza e la carità e lo inserisce col dono dello Spirito Santo nel mistero di Cristo.
3) Un terzo criterio: il Vescovo, responsabile dell’azione evangelizzatrice adatta il cammino dell'iniziazione alle esigenze e possibilità locali, tenendo presente la situazione che si diversifica nelle varie chiese particolari. Tocca al Vescovo fissare le norme per la catechesi da impartire affinché si realizzi una profonda osmosi tra gli organismi diocesani e la peri-
feria.
4) Un quarto criterio: occorre farsi attenti alla domanda, verificarne i motivi e le spinte attraverso il dialogo per riuscire a proporre un cammino che risponda alle esigenze di ciascuno e nello stesso tempo sia fedele allo spirito del Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti pur adattandolo all’ambiente e alle persone interessate.
5) Un quinto e ultimo criterio che guida questa nota pastorale è il primato da dare all’evangelizzazione che presiede a tutta la pastorale del catecumenato di fronte alle mutate condizioni socio-culturali-religiose della società che esigono una pastorale permanente di missione che impegna seriamente ogni nostra comunità di fede.
L’iniziazione cristiana ha una durata limitata nel tempo. Il cristiano diventa iniziato con la celebrazione del battesimo, confermazione ed eucaristia. La formazione del neo-battezzato, invece continua per tuta la vita. Per questo la cura materna della Chiesa deve proseguire anche dopo l’iniziazione. I neofiti hanno il diritto e il dovere di crescere nella fede. Per questo bisogna offrire loro un continuo aiuto per un sempre maggior inserimento nella comunità cristiana. È un problema che non si risolve con la ricezione dei sacramenti, ma col viverli in una sempre maggior adesione a Cristo e alla Chiesa.
NATALE 1997
Il Natale è la festa del cuore per chi se lo lascia intenerire di fronte a un bambino che apre gli occhi alla luce e le braccia all’amore soprattutto se si riconosce in quel bimbo il figlio di Dio che si è fatto uomo per essere la luce del mondo e l'amore che si dona attraverso la morte di croce per la nostra salvezza.
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Ogni bimbo che nasce reca con sè il più grande messaggio dell’amore di Dio per l'uomo. Nel suo sguardo si riflette il volto gioioso delle persone disponibili ad assecondare il progetto del suo messaggio. Dio infatti si affaccia sulla scena del mondo con l'incantesimo della semplicità cristallina dei bambini per convincere l’uomo ad arrendersi di fronte alla sua presenza da irriducibile innamorato che si affida indifeso alla nostra volontà e alla nostra responsabilità. In ogni bambino che nasce Dio toma a rivestirsi della nostra fragilità mortale affinché ciascuno di noi abbia a rivestirsi della sua divina immortalità per cui siamo chiamati a diventare in lui, che si è fatto figlio dell’uomo, figli di Dio. Il vero Natale infatti avviene nel momento in cui l’uomo si rende conto di essere amato da Dio e ne avverte il fascino: «Chi ama è nato da Dio» afferma S. Giovanni (1Gv 4,7-13). Il Natale pertanto è la festa di chi si converte all’amore di Dio, a quell’amore che ci vuole tutti salvi: «Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva» poiché, afferma Gesù «Si fa più festa in cielo per un peccatore che si converte che non per novantanove giusti» (Lc 15,17). Dio infatti con la sua venuta ha lasciato che il bene e il male convivano a questo mondo, ma intanto si prodiga a trarre il bene anche dal male. Ricordiamo al riguardo le parabole del figliol prodigo e della pecorella smarrita e i fatti della samaritana, dell’adultera e di Zaccheo. Il Natale di circostanza umilia l’amore e inaridisce i cuori perché viene travolto dal consumismo e divorato dall’egoismo di chi ne fa merce di scambio impedendogli di cambiare l’uomo nel suo intimo. Se a Natale Dio torna a dirci che ci ama è perché attende da noi una risposta. Affrettiamoci pertanto a celebrare il vero Natale, quello che ci intenerisce il cuore, affinché l’amore di Dio non abbia a estinguersi sulla faccia della terra. Questo Natale, del 1997, ci avvicina sempre di più al grande Giubileo del 2000 in cui nessuno al mondo deve mancare a riconoscere che Gesù Cristo è l’unico salvatore di ieri, di oggi e di sempre.
Buon Natale di tutto cuore a tutti indistintamente. Aff.mo don Giulio |
L’ANNO DELLO SPIRITO SANTO
È L’ANNO DELLA BIBBIA E DELL’OPZIONE PREFERENZIALE
PER I POVERI
Sempre in vista del Giubileo del 2000, dopo l’anno dedicato alla seconda persona della S.ma Trinità, Gesù Cristo, abbiamo di fronte, nel 1998, l’anno dedicato alla terza persona della S.ma Trinità, lo Spirito Santo, che è l’Amore del Padre per il Figlio e, viceversa, del Figlio per il Padre. Quell’Amore, come afferma l’Apostolo Paolo, è stato riversato nei nostri cuori, facendoci così partecipi della vita divina, ciò che avviene con l’opera dell’evangelizzazione che consiste nel realizzare rincontro di Dio con l’uomo. Sembriamo tornati ai tempi di Adamo che, dopo avere commesso la colpa, si nascose per non incontrare Dio. Dio infatti cerca l’uomo che si sottrae ai suoi richiami. Ma Dio non desiste. La ricerca di Dio si concretizza praticamente con l’opera dell’incarnazione del Figlio suo unigenito, Gesù Cristo, avvenuta per opera dello Spirito Santo. Ciò che è avvenuto nel grembo di Maria Vergine si rinnova, sempre per opera dello Spirito Santo, anche nel grembo della Madre Chiesa che rigenera in Cristo ciascuno di noi. Noi siamo chiamati con la conversione a incontrare Dio in Gesù Cristo, che è sempre alla nostra ricerca, sotto la guida dello Spirito Santo. Ecco come Gesù Cristo descrive la sua opera: «Quando verrà lo Spirito Santo egli vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13). E prima ancora Gesù afferma: «Quando sarò andato invierò a voi il Consolatore... che convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio...» (Gv 16,7-11). Il peccato, insegna il Papa nella «Dominum et Vivificantem» al n° 27, significa l’incredulità che incontra Cristo tra i suoi che lo condannano a morte. E il peccato contro lo Spirito Santo proprio di chi impugna la verità conosciuta. Oggi, rispetto ai tempi passati, è in crisi il senso del peccato perché lo si giudica senza riferirsi a Dio e alla sua legge, mentre lo Spirito Santo interpella l’uomo nel suo intimo, cioè nel santuario della sua coscienza, là dove l’uomo deve scoprire una legge che non si è data per conto suo ma che deve bensì osservare. La pietà popolare, sorta anche al di fuori della cerchia cattolica, può costituire una pista percorsa dallo Spirito Santo, è un patrimonio del passato da aggiornare, validissimo per illuminare nel senso della fede anche il presente. La spiritualità è il mondo dello Spirito, una realtà incarnata dentro la storia. Mentre la spiritualità del passato comportava la fuga dalle cose del mondo, in questi nostri tempi ribalta il suo obiettivo: le creature sono opere di Dio con le quali manifesta la sua presenza in mezzo a noi. Sono quindi da valorizzare per riscoprirle come messaggere dell’amore di Dio per noi, poste quindi a nostro servizio da contenere pur sempre nella dimensione escatologica tra la croce e la risurrezione comportando sempre il distacco e la rinuncia quando lo si esiga l’amore a Dio e al prossimo. Anche per non dimenticare l’opzione preferenziale per i poveri che abbiamo fatto a livello vicariale dopo il grande convegno di Palermo dello scorso anno, è indispensabile dedicare maggiore attenzione all’opera dello Spirito Santo con cui rende visibile la presenza di Dio in ogni creatura e soprattutto nella creatura umana. Se un fiore apre le sue corolle alla luce del sole, è Dio che ti guarda per manifestarti il suo amore; se un bimbo apre gli occhi alla vita, è Dio che ti sorprende col suo sguardo per dirti: ti voglio bene; se un povero ti rivolge il suo sguardo carico di speranza, è Cristo che ti interroga e che non devi deludere; se un disperato ti spara gli occhi addosso, è Cristo che ti implora e attende il tuo soccorso; se il tuo nemico ti evita o ti rinnega, è Cristo che ti vuole con sé sulla croce del perdono. Senza l’aiuto dell’Amore, cioè lo stimolo dello Spirito Santo, tutto il creato sprofonda in un abisso di morte. Lo Spirito Santo esige la nostra conversione all’amore incondizionatamente perché Dio è Amore. Non basta pertanto l’aggiornamento dei programmi, il linguaggio e gli strumenti di comunicazione per la pastorale e neppure le attività caritative, si esige la santità. È un traditore della parola stessa, che è la persona di Gesù Cristo, chi si permette di proclamare minato dalla contraddizione del proprio comportamento. La parola di Dio non viaggia nella bisaccia della morte. Se non converte il mondo, oggi, la parola di Dio fatta risuonare, come non mai nel passato, con ogni strumento di comunicazione significa che è stata condannata nelle mani dei mercenari. Lo Spirito Santo spira dove vuole e su chi vuole, ma sarebbe una grave sconfitta per noi se fosse costretto a spirare sull’albero degli altri non potendo spirare sul nostro albero inaridito.
d. Giulio
d. Giulio