2000
È TEMPO DI GIUBILEO

Il 25 dicembre, con la messa concelebrata dai sacerdoti del vicariato, nella Chiesa Giubilare di Zogno, abbiamo dato inizio al Giubileo del 2000. Durante la celebrazione è stata intronizzata la Lampada del Giubileo che è stata consegnata dal Vescovo ad una delegazione di parrocchiani presenti nel duomo di Bergamo durante il solenne pontificale del mattino. Riportiamo di seguito l'omelia tenuta da don Lucio nella quale viene evidenziato il significato di ciò che siamo chiamati a vivere in quest'anno giubilare.
“Vi annuncio una grande gioia. Oggi è nato, carne della nostra carne, il Signore nostro Gesù Cristo. Annunziatelo anche voi a tutto il mondo” Carissimi, così, nella Notte Santa, nella Basilica di S. Pietro in Roma e poi questa mattina, nella nostra cattedrale di Bergamo, come in tutte le cattedrali del mondo, è stato proclamato il mistero della Incarnazione e della Nascita del Signore e quindi il tempo del Giubileo come memoria, due volte millenaria di questo evento. È un evento straordinario il passaggio di millennio! È carico del valore spirituale e simbolico del 2000. C'è però il rischio che l'evento assuma un tono puramente mondano o carnevalesco, quasi una celebrazione di Capodanno un po’ più fastosa, più costosa e più pazza di altre notti di Capodanno. La celebrazione del 2000 e il Giubileo sono invece eventi che ci invitano a contemplare con stupore e riconoscenza il disegno di Dio sull'umanità. Non hanno importanza le nostre iniziative tese a celebrare il Giubileo; occorre invece guardare con stupore a ciò che Dio ha fatto e continua a fare grazie a Gesù, risorto e vivo nella storia. A questo si aggiunge il Giubileo, che è un modo possibile, tra i tanti, di celebrare la ricorrenza del bimillenario della nascita di Gesù, richiamandosi ai valori di penitenza, di perdono, di riconciliazione, evocati dal giubileo biblico. Il Giubileo, detto anche Anno Santo, è un tempo particolarmente consacrato al Signore; un anno in cui gli si deve rendere grazie in modo singolare per la salvezza ottenuta attraverso i suoi meriti; un anno in cui prendere maggiore coscienza della presenza e del ruolo della Chiesa nel mondo, della comunione dei santi, di essere vere membra del Corpo mistico che è la Chiesa. È un anno di grazia, perché si traduce in un prolungato e intenso invito alla santità, un anno volto a incrementare la disponibilità di ognuno di noi nell’accettare le grazie di santificazione, un anno che sollecita con insistenza il rinnovamento spirituale di ciascuno attraverso una fede più coerente e arricchita dalle opere della giustizia e della carità. È un anno in cui a una maggiore generosità di Dio, dispensata dalla Chiesa, deve corrispondere un adeguato impegno personale. L’abbondanza di grazia è un privilegio che però ci ricorda – ricordiamo la parabola dei “talenti” - la responsabilità del renderne conto in proporzione.
Perché il Giubileo?
Si potrebbe dire: bene, ma tutta questa attenzione a Cristo e alla sua opera di salvezza, questo rendersi pienamente disponibili alla sua grazia, questo “mendicare” indulgenza da colui che è il Giubileo fatto persona, non dovrebbe essere un atteggiamento quotidiano, un comportamento “normale” in quella che è la struttura portante della vita spirituale del cristiano? Perché dunque il Giubileo?
Una risposta possibile: è normale per le creature, essere soggetti all’alternanza almeno nei ritmi o nell’intensità e avere bisogno di un continuo rinnovarsi, cogliendo occasioni più o meno favorevoli e importanti, personali o sociali. È questa una legge vitale che troviamo sia nell’ordine naturale - varietà di stagioni, cicli vegetali, ritmi della vita animale, esigenze psicologiche e sociologiche - che nella vita soprannaturale, con i diversi periodi della liturgia, la periodicità di accesso al sacramento del perdono, gli impegni di particolare e intensa adesione al Signore, legati alla partecipazione all’Eucaristia, all’ascolto e alla meditazione della Parola di Dio che inducono il nostro cuore a un’autentica conversione. Il Giubileo è quindi un evento che diventa uno stimolo fuori del comune, una particolare iniziativa di generosità della chiesa che deve trasformarsi per ognuno di noi in un ulteriore mezzo di santificazione e impegno personale.
Il Giubileo biblico
Fu forse un’utopia mai realizzata concretamente che ha due elementi fondamentali: il riposo della terra e la remissione dei debiti.
Il riposo della terra suggerisce per l’oggi una riconquista del senso dei fenomeni naturali e dei loro ritmi, fenomeni e ritmi minacciati fortemente dall’accelerazione della tecnica. Perciò questo riposo è un valore ecologico, che può essere ben compreso da tutti.
Il secondo elemento è la remissione dei debiti, che comportava: il ritorno delle proprietà ereditarie ai primitivi possessori affinché non venissero spartite e sperdute; la liberazione degli schiavi; la remissione dei debiti.
Dunque una serie di gesti di grande implicazione sociale, gesti che, pur nel loro carattere in parte utopistico, indicano il bisogno di riequilibrare continuamente nella storia le conseguenze della competitività sociale, di non sottostare all’imperativo del guadagno a qualunque costo.
Come tradurre i valori ideali del Giubileo biblico
• Ripensare il tema del debito che le nazioni povere hanno verso i paesi ricchi.
Qualche Stato ha lanciato in proposito delle iniziative, un po’ timide in verità.
Se ne parla pure a livello ecclesiale: i Vescovi italiani hanno proposto una iniziativa che vorrebbe coinvolgere la società civile e la Chiesa in un gesto simbolico, ma dinsignificato reale, in vista di aiutare alla remissione del debito, di farne comprendere l’importanza.
• Il Papa ha indicato poi il cammino di purificazione delle memorie, cioè la revisione storica di atteggiamenti emersi lungo i secoli nella storia della Chiesa, in particolare nel II millennio e in questo secolo. Si tratta di un nuovo modo, coraggioso, di guardare al passato, senza aspettarsi niente in cambio, perché sentiamo il bisogno di compiere questo cammino, per guardare con più realismo e fiducia al futuro.
• Una terza linea di traduzione concreta è proposta dal Papa in cammini diversi di penitenza cristiana -pellegrinaggi, percorsi giubilali di preghiera e di rinuncia-, miranti alla conversione, al riconoscimento delle proprie colpe personali, alla richiesta di perdono a Dio, al cambiamento di vita.
In tale contesto si collocano varie iniziative dell’anno giubilare che verranno proposte a livello di Diocesi, di Zona pastorale della nostra Valle Brembana, del Vicariato e delle parrocchie. Le Chiese giuhilari della nostra Diocesi e la nostra Chiesa Giubilare di Zogno, intendono essere un luogo dove le comunità del territorio si ritrovano in spirito di fraternità, per i vari momenti del percorso giubilare. Esse sono segno di attenzione materna da parte della Chiesa che quasi avvicina le basiliche di Roma o la nostra cattedrale di Bergamo alla gente che, nella sua stragrande maggioranza, per motivi vari, non può compiere grandi viaggi.
Auguriamoci in questo Natale e impegnamoci, perché il Giubileo riesca a confermare nei cristiani di oggi la fede in Dio rivelatosi in Cristo; sostenere la speranza protesa nell’aspettativa della vita eterna; ravvivare la carità, operosamente impegnata nel servizio dei fratelli. Il riecheggiare del Giubileo nella nostra vita, in quella delle nostre comunità e nel mondo, dovrà diventare cassa di risonanza dell’annuncio cristiano da portare a coloro che non conoscono Cristo sufficientemente o che si dimostrano indifferenti nei suoi confronti.
Dal Giubileo vissuto in profondità da ognuno di noi e dalla Chiesa dovrà venire trasmesso al mondo un messaggio capace di ricordare a tutti il valore e la dignità della persona umana oggetto dell’amore sconfinato di Dio e chiamata a vivere la pienezza dell’amore, e di ripetere a ogni uomo la proposta di costituire effettivamente un’unica famiglia in cui vivere in pace, con giustizia e solidarietà.
“Vi annuncio una grande gioia. Oggi è nato, carne della nostra carne, il Signore nostro Gesù Cristo. Annunziatelo anche voi a tutto il mondo” Carissimi, così, nella Notte Santa, nella Basilica di S. Pietro in Roma e poi questa mattina, nella nostra cattedrale di Bergamo, come in tutte le cattedrali del mondo, è stato proclamato il mistero della Incarnazione e della Nascita del Signore e quindi il tempo del Giubileo come memoria, due volte millenaria di questo evento. È un evento straordinario il passaggio di millennio! È carico del valore spirituale e simbolico del 2000. C'è però il rischio che l'evento assuma un tono puramente mondano o carnevalesco, quasi una celebrazione di Capodanno un po’ più fastosa, più costosa e più pazza di altre notti di Capodanno. La celebrazione del 2000 e il Giubileo sono invece eventi che ci invitano a contemplare con stupore e riconoscenza il disegno di Dio sull'umanità. Non hanno importanza le nostre iniziative tese a celebrare il Giubileo; occorre invece guardare con stupore a ciò che Dio ha fatto e continua a fare grazie a Gesù, risorto e vivo nella storia. A questo si aggiunge il Giubileo, che è un modo possibile, tra i tanti, di celebrare la ricorrenza del bimillenario della nascita di Gesù, richiamandosi ai valori di penitenza, di perdono, di riconciliazione, evocati dal giubileo biblico. Il Giubileo, detto anche Anno Santo, è un tempo particolarmente consacrato al Signore; un anno in cui gli si deve rendere grazie in modo singolare per la salvezza ottenuta attraverso i suoi meriti; un anno in cui prendere maggiore coscienza della presenza e del ruolo della Chiesa nel mondo, della comunione dei santi, di essere vere membra del Corpo mistico che è la Chiesa. È un anno di grazia, perché si traduce in un prolungato e intenso invito alla santità, un anno volto a incrementare la disponibilità di ognuno di noi nell’accettare le grazie di santificazione, un anno che sollecita con insistenza il rinnovamento spirituale di ciascuno attraverso una fede più coerente e arricchita dalle opere della giustizia e della carità. È un anno in cui a una maggiore generosità di Dio, dispensata dalla Chiesa, deve corrispondere un adeguato impegno personale. L’abbondanza di grazia è un privilegio che però ci ricorda – ricordiamo la parabola dei “talenti” - la responsabilità del renderne conto in proporzione.
Perché il Giubileo?
Si potrebbe dire: bene, ma tutta questa attenzione a Cristo e alla sua opera di salvezza, questo rendersi pienamente disponibili alla sua grazia, questo “mendicare” indulgenza da colui che è il Giubileo fatto persona, non dovrebbe essere un atteggiamento quotidiano, un comportamento “normale” in quella che è la struttura portante della vita spirituale del cristiano? Perché dunque il Giubileo?
Una risposta possibile: è normale per le creature, essere soggetti all’alternanza almeno nei ritmi o nell’intensità e avere bisogno di un continuo rinnovarsi, cogliendo occasioni più o meno favorevoli e importanti, personali o sociali. È questa una legge vitale che troviamo sia nell’ordine naturale - varietà di stagioni, cicli vegetali, ritmi della vita animale, esigenze psicologiche e sociologiche - che nella vita soprannaturale, con i diversi periodi della liturgia, la periodicità di accesso al sacramento del perdono, gli impegni di particolare e intensa adesione al Signore, legati alla partecipazione all’Eucaristia, all’ascolto e alla meditazione della Parola di Dio che inducono il nostro cuore a un’autentica conversione. Il Giubileo è quindi un evento che diventa uno stimolo fuori del comune, una particolare iniziativa di generosità della chiesa che deve trasformarsi per ognuno di noi in un ulteriore mezzo di santificazione e impegno personale.
Il Giubileo biblico
Fu forse un’utopia mai realizzata concretamente che ha due elementi fondamentali: il riposo della terra e la remissione dei debiti.
Il riposo della terra suggerisce per l’oggi una riconquista del senso dei fenomeni naturali e dei loro ritmi, fenomeni e ritmi minacciati fortemente dall’accelerazione della tecnica. Perciò questo riposo è un valore ecologico, che può essere ben compreso da tutti.
Il secondo elemento è la remissione dei debiti, che comportava: il ritorno delle proprietà ereditarie ai primitivi possessori affinché non venissero spartite e sperdute; la liberazione degli schiavi; la remissione dei debiti.
Dunque una serie di gesti di grande implicazione sociale, gesti che, pur nel loro carattere in parte utopistico, indicano il bisogno di riequilibrare continuamente nella storia le conseguenze della competitività sociale, di non sottostare all’imperativo del guadagno a qualunque costo.
Come tradurre i valori ideali del Giubileo biblico
• Ripensare il tema del debito che le nazioni povere hanno verso i paesi ricchi.
Qualche Stato ha lanciato in proposito delle iniziative, un po’ timide in verità.
Se ne parla pure a livello ecclesiale: i Vescovi italiani hanno proposto una iniziativa che vorrebbe coinvolgere la società civile e la Chiesa in un gesto simbolico, ma dinsignificato reale, in vista di aiutare alla remissione del debito, di farne comprendere l’importanza.
• Il Papa ha indicato poi il cammino di purificazione delle memorie, cioè la revisione storica di atteggiamenti emersi lungo i secoli nella storia della Chiesa, in particolare nel II millennio e in questo secolo. Si tratta di un nuovo modo, coraggioso, di guardare al passato, senza aspettarsi niente in cambio, perché sentiamo il bisogno di compiere questo cammino, per guardare con più realismo e fiducia al futuro.
• Una terza linea di traduzione concreta è proposta dal Papa in cammini diversi di penitenza cristiana -pellegrinaggi, percorsi giubilali di preghiera e di rinuncia-, miranti alla conversione, al riconoscimento delle proprie colpe personali, alla richiesta di perdono a Dio, al cambiamento di vita.
In tale contesto si collocano varie iniziative dell’anno giubilare che verranno proposte a livello di Diocesi, di Zona pastorale della nostra Valle Brembana, del Vicariato e delle parrocchie. Le Chiese giuhilari della nostra Diocesi e la nostra Chiesa Giubilare di Zogno, intendono essere un luogo dove le comunità del territorio si ritrovano in spirito di fraternità, per i vari momenti del percorso giubilare. Esse sono segno di attenzione materna da parte della Chiesa che quasi avvicina le basiliche di Roma o la nostra cattedrale di Bergamo alla gente che, nella sua stragrande maggioranza, per motivi vari, non può compiere grandi viaggi.
Auguriamoci in questo Natale e impegnamoci, perché il Giubileo riesca a confermare nei cristiani di oggi la fede in Dio rivelatosi in Cristo; sostenere la speranza protesa nell’aspettativa della vita eterna; ravvivare la carità, operosamente impegnata nel servizio dei fratelli. Il riecheggiare del Giubileo nella nostra vita, in quella delle nostre comunità e nel mondo, dovrà diventare cassa di risonanza dell’annuncio cristiano da portare a coloro che non conoscono Cristo sufficientemente o che si dimostrano indifferenti nei suoi confronti.
Dal Giubileo vissuto in profondità da ognuno di noi e dalla Chiesa dovrà venire trasmesso al mondo un messaggio capace di ricordare a tutti il valore e la dignità della persona umana oggetto dell’amore sconfinato di Dio e chiamata a vivere la pienezza dell’amore, e di ripetere a ogni uomo la proposta di costituire effettivamente un’unica famiglia in cui vivere in pace, con giustizia e solidarietà.
L’ANIMA DEL GIUBILEO
Lo sguardo amoroso della Chiesa in questo tempo è rivolto alla contemplazione di Gesù Cristo, l’“Emanuele, che significa Dio con noi”, Colui che fa “nuove tutte le cose”. Nell’anno giubilare la Chiesa celebra e rivive il mistero del Verbo Incarnato, nel quale Dio parla ad ogni uomo ed ogni uomo è reso capace di rispondere a Dio. Più ancora, in quest’Uomo risponde a Dio l’intera creazione. “Obiettivo primario del Giubileo è il rinvigorimento della fede e della testimonianza dei cristiani".
La gioia La gioia (giubileo) per la venuta e la presenza di Gesù nel mondo. Riecheggia per noi la parola dell’evangelista Luca “Non temete, ecco, vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo Signore". L'invito alla gioia, nella chiesa, è unito allo sforzo di creare le condizioni affinché le energie salvifiche possano essere comunicate a ciascuno. Così si esprimeva Papa Paolo VI in occasione del Giubileo del 1975) "Il raggio primo della Pasqua, cioè della vita risorta in Cristo e in noi che cristiani vogliamo essere, è la gioia. Cristo è la gioia, la vera gioia del mondo. La vita cristiana, sì, è austera: essa conosce il dolore e la rinuncia, esige la penitenza, fa proprio il sacrificio, accetta la croce e, quando occorre, affronta la sofferenza e la morte. Ma nella sua espressione risolutiva, la vita cristiana è beatitudine. Ricordate il discorso-programma di Cristo, appunto sulle beatitudini. Così che essa è sostanzialmente positiva; essa è liberatrice, purificatrice, trasformatrice: tutto in essa si riduce a bene, tutto perciò a felicità nella vita cristiana. Essa è più che umana per la presenza viva e ineffabile dello Spirito che la abilita e dispone a credere, a sperare, ad amare. È creativa. È felice oggi, in attesa di una piena felicità domani” E Madre Teresa di Calcutta “Continuate a dare Gesù alla vostra gente, non con le parole, ma con l'esempio, amando Gesù, irradiando la sua santità e diffondendo la sua fragranza d'amore ovunque andate. La gioia di Gesù sia la vostra forza. Siate felici e in pace. Accettate tutto quello che vi dà, e date con un largo sorriso tutto quello che vi toglie. Appartenete a Lui. Ditegli: “Sono tua. Se mi tagliassi a pezzi, ogni frammento sarebbe ancora tutto tuo” La riconoscenza La riconoscenza per il dono più grande che l’umanità ha ricevuto. “Tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre" dice San Paolo. Ringraziamento per il dono della Chiesa fondata come “segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano". Ringraziamento esteso ai frutti di santità maturati nella vita di tanti uomini e donne che in ogni generazione e in ogni epoca hanno saputo accogliere il dono della redenzione. “Lo spirito del Magnificat è lo spirito del Giubileo: nel cantico Maria dà voce al giubilo che Le colma il cuore perché Dio ha guardato l’umiltà della sua serva. Il Giubileo sia tutto un Magnificat che unisca la terra e il cielo in un cantico di lode e di ringraziamento per la mirabile opera dell’Incarnazione” (Giov.Paolo II). La conversione La conversione per aderire totalmente al Signore e per ricuperare ogni passato. Sconfiggere il male è proprio della Redenzione. È Gesù che “toglie i peccati del mondo” e porta la pienezza della vita. Anche il volto della Sindone contiene un invito alla vera riforma del cuore, a uscire da sé e dare attenzione alle cose grandi, non facili da vivere, alle quali la vita cosidetta “normale” bada troppo poco. Il Giubileo è nato come richiesta di perdono. Esso diventa un momento peculiare durante il quale il cristiano riflette più seriamente sulla sua vita e sulla testimonianza che deve dare della sua fede. La vita personale, tuttavia, è carica di contraddittorietà e il peso del peccato è parte integrante dell’esistenza. Essendo il giubileo “anno di misericordia”, è destinato a far sperimentare più da vicino il perdono di Dio che è l’espressione più piena dell’amore. A differenza delle altre religioni, il perdono cristiano è rivolto non solo a Dio perché abbia pietà e misericordia, ma anche verso la persona che ha offeso, sull’esempio di Gesù che, innocente, ha perdonato ai suoi crocifissori. Ai suoi discepoli Gesù ha insegnato la pienezza del perdono fino a settanta volte sette e nel Padre nostro fa trovare l’idea portante di esso con la corrispondenza tra il perdono del Padre e il perdono tra figli che ne è la condizione. Perdono è l’ultima parola pronunciata da chi ama. Solo l’amore infatti permette di comprendere appieno la necessità di ammettere la propria colpa e di dimenticare quanto si è ricevuto. La diffusa perdita del senso di Dio dell’esistenza umana pervade anche i cristiani toccati dal secolarismo e dal relativismo etico. Quanta parte di responsabilità devono anch’essi riconoscere, di fronte alla dilagante irreligiosità, per non aver manifestato il genuino volto di Dio, a causa dei difetti della propria vita religiosa, morale e sociale! La fraternità La fraternità propria del seguire Gesù insieme. Dice il Concilio “Piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza legame fra di loro, ma volle costituire in Cristo un popolo che ha per legge il nuovo precetto dell’amore e per fine il suo regno e che per l’umanità sia germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza “Per poter essere “fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio”, la chiesa deve permanere nell’unità e crescere nella sua vita di comunione “La comunione, nascosta nella profondità di Dio, rivelata e portata sulla terra da Gesù, è destinata ad incarnarsi nella storia ed è attuata nella misura in cui la carità tra i credenti viene sperimentata concretamente. L’amore evangelico porta il peso dei peccati e mantiene aperta la possibilità di conversione. Quando i cristiani diventano “un cuor solo ed un ’anima sola”, rivelano il volto di Dio e attirano gli uomini a Lui. Il dono dell’unità viene dato a tutti: il luogo ordinario di questa esperienza è la parrocchia”. La Chiesa (e quindi la parrocchia che ne è la dimensione a portata d’uomo) non è solo segno, ma è strumento dell’unione tra Dio e gli uomini e degli uomini tra loro. Segno e strumento significano “sacramento”. In certo qual modo si può dire: ciò che i sacramenti sono per il singolo, la Chiesa lo è per l’umanità intera. “Potremmo definire le comunità ecclesiali come dislocazioni terrene, agenzie periferiche, riduzioni in scala, di quella esperienza misteriosa che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo fanno in cielo. Nel cielo più persone eguali e distinte vivono a tal punto la comunione da formare un solo Dio. Sulla terra, più persone uguali e distinte devono vivere la comunione, così da formare un solo uomo: l'uomo nuovo, Cristo Gesù. Ogni aggregazione ecclesiale, ha il compito di presentarsi come icona della Trinità. Luogo di relazioni vere, cioè, in cui si riconoscano i volti delle persone, se ne promuova l’uguaglianza, e se ne impedisca l’omologazione nell’anonimato della massa” Una nuova Evangelizzazione Impegno di evangelizzazione. “È doveroso, in questa speciale circostanza, ritornare con rinsaldata fedeltà all’insegnamento del Concilio Vaticano II, che ha gettato nuova luce sull’impegno missionario della Chiesa dinanzi alle odierne esigenze della evangelizzazione”. "L'evangelizzazione è la ragione ultima per cui la Chiesa propone e incoraggia il pellegrinaggio, così da renderlo una esperienza di fede profonda e matura” (Pontificio Consiglio dei migranti, Il giubileo del 2000, 25.4.98). La radice gioiosa del giubileo, di fronte alla venuta del Salvatore e alla sua presenza garantita nei secoli, è destinata a caratterizzare e favorire l’evangelizzazione. Paolo VI sottolinea che il mondo ha bisogno di ricevere la bella notizia "non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradia di fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia di Cristo”. Una parola che in certo modo esprime il Pontificato di Giovanni Paolo II è “nuova evangelizzazione”. In molti interventi suoi viene affermato che questo è tempo di “impegno, non di rievangelizzazione, ma bensì di evangelizzazione nuova. Nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nella sua espressione”. Dinanzi al "continuo diffondersi dell’indifferentismo, del secolarismo e dell’ateismo che ispirano e sostengono una vita vissuta come se Dio non esistesse, solo una nuova evangelizzazione può assicurare la crescita di una fede limpida e profonda. Essa è destinata alla formazione di comunità ecclesiali mature nelle quali la fede sprigioni e realizzi tutto il suo significato originario di adesione alla persona di Cristo e al suo Vangelo. Si tratta di rifare il tessuto delle comunità ecclesiali per poter rifare il tessuto cristiano della società umana”. |
Condivisione e servizio di carità
Spirito di condivisione e di servizio di carità. È significativo che, stimolo ad attuare il messaggio dell’amore che è centro del cristianesimo, le disposizioni per l’acquisto dell’indulgenza giubilare indichino come uno dei “luoghi” “il rendere visita per un congruo tempo ai fratelli che si trovano in necessità o difficoltà (infermi, carcerati, anziani in solitudine, handicappati, ecc.), quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro. Così l’astenersi almeno durante un giorno da consumi superflui (ad. es. dal fumo, dalle bevande alcoliche, digiunando e praticando l’astinenza) e devolvendo una proporzionata somma in denaro ai poveri; sostenere con un significativo contributo opere di carattere religioso o sociale (in specie dell’infanzia abbandonata, della gioventù in difficoltà, degli anziani bisognosi, degli stranieri nei vari paesi in cerca di migliori condizioni di vita) dedicando parte del proprio tempo libero ad attività che rivestono interesse per la comunità, o altre simili forme di personale sacrificio” Dice il Vescovo di Milano, il Cardinal Martini: “Sei Tu, Signore crocifisso per noi, Colui che, buon samaritano, ci hai raccolto per via, che hai avuto compassione di noi, ci hai guarito, ci hai fatto rinascere alla vita. Tu sei colui che prima di ordinare agli Apostoli di rendersi il servizio vicendevole alla lavanda dei piedi, ti sei chinato ai piedi di ciascuno e ci hai lavato con amore. Noi ci sentiamo sotto il tuo sguardo e sotto la tua croce. Dalla coscienza di essere stati guardati ed amati così, nasce quella riflessione che forse ha fatto colui che scendeva da Gerusalemme a Gerico ed è stato soccorso dall’uomo di Samaria: “Che cosa potrei fare per chi ha fatto tanto per me? E se capitasse a me di passare vicino a qualcuno che si trovasse nelle mie condizioni, che cosa farei?”. Nell’intimo c’è la risposta: “Così come lui ha fatto a me, così come lui ha guardato me e mi sta guardando dalla croce, così come lui mi ha amato, così come lui mi ha lavato i piedi, così come lui mi ha accolto e rialzato, così anch'io, così anche noi” Tu, o Signore, modello, forma, guida, forza, sostegno della nostra carità! Tu Figlio del Padre, rivelatore dell'amore del Padre per l'uomo! Tu che soffi su di noi lo Spirito d'amore, il quale ci conduce verso la pienezza della verità nella carità. E Padre Turoldo: “L’amore è comandamento antico già il punto più importante dell'Antico Testamento e presente in vari strati dell’umanità. Ciò che è specifico del cristianesimo è il modo con cui viene proposto il comandamento dell'amore, che perciò viene detto “nuovo" e “unico". Così Cristo dice: “Amatevi come io vi ho amato". Ed è in questo come che sta la diversità assoluta del cristianesimo Con Maria Con Maria viventi in Cristo. I documenti che guidano al Grande Giubileo fanno riferimento ad una via mariana per viverlo. Il Papa indica in Maria “la Stella che guida con sicurezza i passi incontro al Signore". Ancora afferma che “la gioia giubilare non sarebbe completa se lo sguardo non si portasse a Colei che nell’obbedienza piena al Padre ha generato per noi nella carne il Figlio di Dio.... che ha vissuto pienamente la sua maternità portandola a coronamento sul Calvario ai piedi della Croce. Per dono mirabile di Cristo poi, qui Ella è diventata Madre della Chiesa, indicando a tutti la via che conduce al Figlio. Dischiudendoci la sua esperienza di vita, Maria è guida che apre al mistero del Dio di Gesù Cristo, che introduce al mistero della Chiesa che si esprime come le molte membra che formano l’unico corpo del Dio fatto uomo, che pone di fronte al mistero dell'interiorità della persona davanti a Gesù Cristo. Il collegamento tra la nascita del Verbo Incarnato e la comunità cristiana di oggi è indicato nel legame tra l’Annunciazione e la Pentecoste come lo mette in evidenza il Papa: “Nell’economia della grazia, attuata sotto l'azione dello Spirito Santo, c’è una singolare corrispondenza tra il momento della Incarnazione del Verbo e quello della nascita della Chiesa. La persona che unisce questi due momenti è Maria: Maria a Nazareth e Maria nel Cenacolo di Gerusalemme. In entrambi i casi, la sua presenza discreta, ma essenziale, indica la via della nascita dello Spirito. Così colei che è presente nel mistero della nascita di Cristo come madre, diventa presente nel mistero della Chiesa”. |
UNA LAMPADA ILLUMINA IL GIUBILEO
Nella semplice luce di una lampada tutta l’intensità sul Giubileo del Duemila: la Chiesa di Bergamo si affida ad una simbologia immediata ma ricca di significato per comunicare agli uomini che, come scrive il vescovo monsignor Roberto Amadei nella lettera pastorale per l'anno 1999-2000, “Cristo sta al centro della storia personale e generale, dice la verità su Dio, su noi, sulla nostra vita, sulla storia” La Lampada vuole rappresentare la verità di Dio che si fa carne per appartenere sino in fondo alla storia dell’uomo. È realizzata in ferro, il metallo del “secolo tecnologico" che si chiude, e richiama vagamente l’effigie di un grattacielo, simbolo della casa del tipo più ricercato di casa, che l’umanità ha realizzato. In questa dimensione domestica, che è in fondo quella in cui si cala la Parola nella vita quotidiana, appaiono però fessure, tagli profondi: guardando il cilindro sembra di ritrovarsi di fronte alle finestre dello stesso grattacielo, ma a uno sguardo più attento si comprende che quei segni richiamano anche le ferite di una civiltà lacerata; i drammi di una società che si porta sulle spalle il peso di tante tragedie che non possiamo dimenticare. Il Giubileo, però, è speranza, e allora ecco che alla base dell’opera scaturisce la luce di tre fiammelle: è questa la sorgente di luce che inonda la vita quotidiana, che irrora del suo raggio anche la grande lama innestata nel cilindro: si svela il mistero della Trinità che si radica profondamente nella vita umana. Esso illumina anche la figura di Cristo fatto uomo che, proprio come una lama, si incarna e si innesta nella storia dell’uomo portandovi la luce piena e compiuta della Trinità. Sarà questa Lampada a guidare il cammino della Chiesa di Bergamo durante l’Anno Santo: dalla Cattedrale, dove tutte le comunità sono invitate a convenire per vivere in comunione l’inizio del Giubileo, essa spanderà il suo messaggio, attraverso le chiese giubilari, a tutti i pellegrini che vi si accosteranno animati dal desiderio di una fede rinnovata, di riconciliazione e di pace. È il cammino che, nei prossimi dodici mesi, attende ogni cristiano chiamato a vivere anzitutto nella propria comunità e nella vita quotidiana, prima che nei grandi pellegrinaggi, la gioia del tempo di grazia.
|
LA PARROCCHIA DI ZOGNO IN INTERNET

http://web.tiscalinet.it/parrocchiadizogno.
É questo l’indirizzo nella rete telematica della parrocchia di Zogno, un sito in cui sono raccolti cenni storici, un percorso fotografico attraverso il museo parrocchiale, notizie sul Giubileo e iniziative a livello vicariale. La chiesa di S. Lorenzo martire è per il momento l’unica delle chiese giubilari bergamasche con un sito Internet.
«E solo un modo per comunicare - spiega il parroco, don Lucio Carminati - per facilitare rincontro con chi vuol vivere il Giubileo. Per alcune iniziative siamo ancora in una fase di progettazione, per altre abbiamo già concordato alcune date.
In accordo con i vicariati delle Valli Brembana e Imagna abbiamo pensato per esempio a celebrazioni a tema. Il 23 febbraio celebreremo il Giubileo per i catechisti, il 18 giugno per gli ammalati e gli anziani. Alla fine di maggio ci sarà anche una giornata dedicata agli sportivi. Le polisportive sono realtà presenti in tutti i nostri paesi e sarà possibile in quella giornata confrontarsi sugli obiettivi che appartengono sia agli oratori che alle associazioni sportive. I paesi della valle sono anche meta per numerosi villeggianti, abbiamo quindi previsto due mattinate dedicate a loro, rispettivamente il 17 luglio e il 17 agosto».
Perdono e comunione sono gli aspetti che vengono valorizzati in modo particolare in questi momenti.
«La solennità del Corpus Domini - continua don Lucio - sarà vissuta come giornata comunitaria, con una celebrazione vicariale. Si sta definendo anche il programma per la giornata del Perdono d’Assisi.
Una grande attenzione è rivolta poi al mondo della scuola e dei giovani. Ci saranno momenti per le scuole materne, le elementari e le medie. Una giornata sarà dedicata ai ragazzi che frequentano il grande plesso scolastico di Zogno.
Stiamo inoltre lavorando per prepararci a partecipare alla giornata mondiale dei giovani».
Sono molti i modi per vivere il pellegrinaggio alle chiese giubilari. Ogni singola parrocchia potrà concordare un programma personalizzato per vivere questo momento.
Un possibile percorso prevede un primo momento penitenziale, presso il monastero delle monache Francescane. Ad esso segue un percorso con processione verso la chiesa di S. Lorenzo in cui si celebra l’Eucarestia. La giornata si può concludere con la visita al ricco Museo d’Arte Sacra (dove c’è la possibilità di essere accompagnati da una guida). L’oratorio rimarrà a disposizione come spazio d’incontro e di comunione».
Per i momenti penitenziali, nella chiesa parrocchiale di Zogno è garantita durante tutto l’anno la presenza di un sacerdote al mattino e uno la sera, dalle 18 alle 20. Questa disponibilità è offerta dai sacerdoti della zona, per permettere a chi lavora di accostarsi a questo sacramento. Il Giubileo è un tempo in cui si pone maggior attenzione al prossimo. Per questo è anche allo studio, come atto giubilare, la realizzazione di una Casa della Carità, un luogo che accolga e affronti le esigenze dei bisognosi.
Non mancheranno gli appuntamenti culturali, alcuni concerti si sono già svolti nel mese di dicembre e gennaio in collaborazione con l’Amministrazione Comunale.
In cantiere ci sono anche molte altre iniziative, ancora da definire.
Da “La Nostra Domenica”
É questo l’indirizzo nella rete telematica della parrocchia di Zogno, un sito in cui sono raccolti cenni storici, un percorso fotografico attraverso il museo parrocchiale, notizie sul Giubileo e iniziative a livello vicariale. La chiesa di S. Lorenzo martire è per il momento l’unica delle chiese giubilari bergamasche con un sito Internet.
«E solo un modo per comunicare - spiega il parroco, don Lucio Carminati - per facilitare rincontro con chi vuol vivere il Giubileo. Per alcune iniziative siamo ancora in una fase di progettazione, per altre abbiamo già concordato alcune date.
In accordo con i vicariati delle Valli Brembana e Imagna abbiamo pensato per esempio a celebrazioni a tema. Il 23 febbraio celebreremo il Giubileo per i catechisti, il 18 giugno per gli ammalati e gli anziani. Alla fine di maggio ci sarà anche una giornata dedicata agli sportivi. Le polisportive sono realtà presenti in tutti i nostri paesi e sarà possibile in quella giornata confrontarsi sugli obiettivi che appartengono sia agli oratori che alle associazioni sportive. I paesi della valle sono anche meta per numerosi villeggianti, abbiamo quindi previsto due mattinate dedicate a loro, rispettivamente il 17 luglio e il 17 agosto».
Perdono e comunione sono gli aspetti che vengono valorizzati in modo particolare in questi momenti.
«La solennità del Corpus Domini - continua don Lucio - sarà vissuta come giornata comunitaria, con una celebrazione vicariale. Si sta definendo anche il programma per la giornata del Perdono d’Assisi.
Una grande attenzione è rivolta poi al mondo della scuola e dei giovani. Ci saranno momenti per le scuole materne, le elementari e le medie. Una giornata sarà dedicata ai ragazzi che frequentano il grande plesso scolastico di Zogno.
Stiamo inoltre lavorando per prepararci a partecipare alla giornata mondiale dei giovani».
Sono molti i modi per vivere il pellegrinaggio alle chiese giubilari. Ogni singola parrocchia potrà concordare un programma personalizzato per vivere questo momento.
Un possibile percorso prevede un primo momento penitenziale, presso il monastero delle monache Francescane. Ad esso segue un percorso con processione verso la chiesa di S. Lorenzo in cui si celebra l’Eucarestia. La giornata si può concludere con la visita al ricco Museo d’Arte Sacra (dove c’è la possibilità di essere accompagnati da una guida). L’oratorio rimarrà a disposizione come spazio d’incontro e di comunione».
Per i momenti penitenziali, nella chiesa parrocchiale di Zogno è garantita durante tutto l’anno la presenza di un sacerdote al mattino e uno la sera, dalle 18 alle 20. Questa disponibilità è offerta dai sacerdoti della zona, per permettere a chi lavora di accostarsi a questo sacramento. Il Giubileo è un tempo in cui si pone maggior attenzione al prossimo. Per questo è anche allo studio, come atto giubilare, la realizzazione di una Casa della Carità, un luogo che accolga e affronti le esigenze dei bisognosi.
Non mancheranno gli appuntamenti culturali, alcuni concerti si sono già svolti nel mese di dicembre e gennaio in collaborazione con l’Amministrazione Comunale.
In cantiere ci sono anche molte altre iniziative, ancora da definire.
Da “La Nostra Domenica”
QUARESIMA É…
Stiamo per iniziare la Quaresima. Arriva di nuovo anche anche se noi, forse, ce ne siamo un po’ dimenticati. Ma attenzione, non lasciamoci ingannare: la quaresima non ci mette un altro peso sulle spalle! Non abbiamo paura di una quaresima che - secondo i più - è solo tempo di penitenze pesanti e ingrate, di noie da sopportare, di mali da patire, di impegni che fanno soffrire...! Se è questa la Quaresima che cerchiamo, dubito che quest'anno la possiamo trovare! E non perché è l’anno del Giubileo o perché quaresime simili siano passate di moda o perché i fondi di magazzino siano ormai esauriti... No, semplicemente perché la quaresima non è mai stata così! Quindi non preoccupiamoci di indossare «la faccia della Quaresima»! Diffidiamo dalle contraffazioni! La Quaresima che quest’anno è venuta a visitarci, è la quaresima di colui che dice: «I tuoi peccati sono perdonati... Va’, e d'ora in poi non peccare più!». Sì, ancora prima di domandare perdono, prima ancora di aver potuto pronunciare un atto di pentimento, Dio dice «I tuoi peccati sono perdonati...». Vediamo bene che non sono i nostri sforzi, né i nostri sacrifici, né le prodezze penitenziali che possiamo inventare, che perdonano i nostri peccati. Il perdono non si compra, non si paga; non è un debito. È qualcosa che Dio offre gratuitamente. Allora, approfittiamo di questa Quaresima per abbandonare una buona volta tutti quei sensi di colpa che ci hanno fatto scivolare in tasca fin dalla nostra infanzia. No! Dio non ha un grande libro su cui segnare con cura le nostre colpe; non mette una nota sul registro; non ci sorveglia giorno e notte con l'occhio del gendarme. Dio non ha che una premura: che ci lasciamo amare. La quaresima non è un tempo per maltrattarsi, ma una stagione per piantare l’amore, innaffiarlo e farlo crescere.
|
Occasione di missione e di carità. Un libretto per…
Vivere la Quaresima in famiglia

La Quaresima del 2000 è un’occasione preziosa per ritrovare il tempo da dare a Dio nella preghiera e soprattutto di una preghiera condivisa in casa, in famiglia. Ecco il perché anche nel tempo quaresimale verrà distribuito a tutte le famiglie un piccolo strumento, come già in Avvento, per sostenerci nel cammino di conversione verso la Pasqua di Resurrezione di Gesù Cristo. Il ritmo giornaliero della preghiera è accompagnato dall’incontro con i cinque continenti e dalla testimonianza della missione e della carità. Ogni settimana una delle colombe che compone il logo del Giubileo visita la famiglia e porta con sé l’attenzione al continente ed alcune testimonianze provenienti da quelle terre. Sulla mensa della famiglia si compone così, di settimana in settimana, il logo del Giubileo ed il mondo è accolto nelle mura di ogni casa. Il venerdì diventa un giorno di particolare attenzione al problema della povertà, che si presenta nel mondo con diversi volti, non ultimo, il richiamo alla Campagna per la remissione del debito dei paesi poveri promosso dalla Chiesa italiana. Il “cammino della croce”, proposto al venerdì, vuole mettere sempre più in evidenza il legame profondo tra Fesperienza di Gesù e quella dei poveri. I progetti di carità sono invito che la famiglia è chiamata a rivolgere alla realtà della povertà e diventano attenzione all’impegno di sobrietà personale, famigliare e comunitario, che deve caratterizzare il tempo quaresimale.
La nostra mensa è un progetto...
Proprio nel momento della mensa la famiglia è invitata a porre la preghiera ed il gesto che accompagna il cammino quaresimale dell’anno giubilare. “progetto” missionario - caritativo che è suggerito ad ogni famiglia e trova nella famiglia parrocchiale una indispensabile collocazione a promozione, vuole aiutare ogni casa a prendere coscienza che la propria mensa non può essere sorda all’appello del mondo, della storia e dell’uomo. Un appello che noi raccogliamo particolarmente grazie alla testimonianza dei sacerdoti e laici che vivono nelle missioni diocesane di Bolivia, Costa d’Avorio e Cuba il servizio di comunione ecclesiale e cooperazione della nostra diocesi. Non si tratta solamente di raccogliere soldi, ma di fare in modo che la raccolta nasca da una consapevolezza sempre più profonda della vocazione profetica - missionaria che si accompagna ad ogni gesto di carità. La comunità parrocchiale e nel suo cuore le singole famiglie sono chiamate a preparare un posto a tavola per le missioni e ad offrire in cibo l’impegno della carità perché cresca nell’intera famiglia umana il dono dell’accoglienza, della condivisione, della solidarietà. Ogni famiglia è dunque invitata a scegliere, come ritiene più opportuno, l’adesione ad un momento del progetto e a condividere tale scelta con la comunità parrocchiale. Gli atteggiamenti, le proposte e le diverse iniziative le potete trovare all’inizio del libretto a partire da pagina sette.
La nostra mensa è un progetto...
Proprio nel momento della mensa la famiglia è invitata a porre la preghiera ed il gesto che accompagna il cammino quaresimale dell’anno giubilare. “progetto” missionario - caritativo che è suggerito ad ogni famiglia e trova nella famiglia parrocchiale una indispensabile collocazione a promozione, vuole aiutare ogni casa a prendere coscienza che la propria mensa non può essere sorda all’appello del mondo, della storia e dell’uomo. Un appello che noi raccogliamo particolarmente grazie alla testimonianza dei sacerdoti e laici che vivono nelle missioni diocesane di Bolivia, Costa d’Avorio e Cuba il servizio di comunione ecclesiale e cooperazione della nostra diocesi. Non si tratta solamente di raccogliere soldi, ma di fare in modo che la raccolta nasca da una consapevolezza sempre più profonda della vocazione profetica - missionaria che si accompagna ad ogni gesto di carità. La comunità parrocchiale e nel suo cuore le singole famiglie sono chiamate a preparare un posto a tavola per le missioni e ad offrire in cibo l’impegno della carità perché cresca nell’intera famiglia umana il dono dell’accoglienza, della condivisione, della solidarietà. Ogni famiglia è dunque invitata a scegliere, come ritiene più opportuno, l’adesione ad un momento del progetto e a condividere tale scelta con la comunità parrocchiale. Gli atteggiamenti, le proposte e le diverse iniziative le potete trovare all’inizio del libretto a partire da pagina sette.
La catechesi quaresimale per conoscere e vivere il Giubileo
Nel tempo quaresimale, siamo invitati a vivere con più intensità il cammino del Giubileo. Verranno proposti cinque incontri nei quali, con l’aiuto di audiovisivi e di persone competenti, potremo conoscere meglio questo tempo di grazia che siamo chiamati a vivere Nel primo incontro verrà proiettato il filmato “Giubileo e i luoghi della fede in Bergamasca” che è il film preparato appositamente dalla Diocesi di Bergamo. Gli incontri si terranno il martedì alle ore 20,30 presso l’oratorio nei giorni:
Martedì 14 marzo: Il Giubileo nella Bibbia – Gabriella Michetti.
Martedì 21 marzo: Presentazione del video: “itinerari della fede in terra bergamasca” - don Massimo Maffioletti.
Martedì 28 marzo: I luoghi e i tempi del Giubileo a Bergamo - Anna Maria Pagani.
Martedì 4 aprile: I pellegrini e l’indulgenza giubilare - don Silvio Agazzi.
Martedì 11 aprile: Il Congresso Eucaristico Diocesano - don Silvio Agazzi.
Martedì 14 marzo: Il Giubileo nella Bibbia – Gabriella Michetti.
Martedì 21 marzo: Presentazione del video: “itinerari della fede in terra bergamasca” - don Massimo Maffioletti.
Martedì 28 marzo: I luoghi e i tempi del Giubileo a Bergamo - Anna Maria Pagani.
Martedì 4 aprile: I pellegrini e l’indulgenza giubilare - don Silvio Agazzi.
Martedì 11 aprile: Il Congresso Eucaristico Diocesano - don Silvio Agazzi.
Quaresima
Quaranta giorni per convertirci a Dio
Il tempo di Quaresima ha lo scopo di preparare la Pasqua mediante il ricordo del Battesimo e la penitenza. Inizia il Mercoledì delle ceneri e termina il Giovedì santo con la Messa “in Cena Domini” esclusa. Dura quaranta giorni. Questo tempo richiama il grande significato simbolico che ha il numero quaranta nella Bibbia (i giorni che Gesù passò nel deserto; gli anni trascorsi da Israele nel deserto; i giorni che Mosè passò sul monte Sinai;... ). Il carattere originario fu riposto nella penitenza di tutta la comunità e dei singoli, protratta per quaranta giorni.
COME NASCE NELLA STORIA IL TEMPO DELLA QUARESIMA
La celebrazione della Pasqua nei primi tre secoli della vita della Chiesa non aveva un periodo di preparazione. La comunità cristiana viveva così intensamente l’impegno cristiano fino alla testimonianza del martirio da non sentire la necessità di un periodo di tempo per rinnovare la conversione già avvenuta col Battesimo. Nel IV secolo, l’unica settimana di digiuno era quella che precedeva la Pasqua. L'uso di iscrivere i peccatori alla penitenza pubblica quaranta giorni prima di Pasqua, determinò la formazione di una quadragesima (quaresima) che cadeva nella VI Domenica prima di Pasqua. Dal momento poi che la Domenica non si celebravano riti penitenziali, si fissò questo atto al Mercoledì precedente. Ogni Mercoledì era infatti giorno di digiuno. Così è nato il “Mercoledì delle ceneri”. In sintesi: allo sviluppo della Quaresima ha contribuito prima di tutto la pratica del digiuno in preparazione alla Pasqua, poi la disciplina penitenziale, infine la preparazione dei catecumeni che saranno battezzati la notte di Pasqua.
LA SPIRITUALITÀ DELLA QUARESIMA
La spiritualità della Quaresima è caratterizzata da un più attento e prolungato ascolto della Parola di Dio perché è questa Parola che illumina a conoscere i propri peccati. L’esame di coscienza cristiano non è un ripiegamento su se stessi, ma un aprirsi alla Parola della salvezza e un confronto col Vangelo.
LE OPERE DELLA PENITENZA
Le opere della penitenza quaresimale devono essere compiute nella consapevolezza del loro valore di segno sacramentale (cioè di segno efficace).
- Il digiuno: anche se limitato al Mercoledì delle ceneri e al Venerdì santo, e l’astinenza dalle carni il venerdì, devono esprimere l’intimo rapporto che c’è tra questo segno e la conversione interiore. Sarebbe inutile astenersi dai cibi, se non ci si astenesse dal peccato. In questo modo il cristiano accetta la faticosa lotta al peccato con la mortificazione per allargare sempre di più all’iniziativa di Dio.
- La preghiera: La Quaresima è tempo di più assidua e intensa preghiera, legata molto strettamente alla conversione, per lasciare sempre più spazio a Dio. La preghiera cristiana così intesa non può essere il tentativo di accaparrarsi Dio per averlo garante dei propri progetti, ma è disponibilità piena alla sua volontà. La preghiera va fatta anche comunitariamente per significare che tutta la Chiesa è comunità che prega e perciò penitente.
- La carità: La Quaresima è tempo di più forte impegno di carità verso i fratelli. Non c'è vera conversione a Dio senza conversione all’amore fraterno.
COME POSSIAMO VIVERLA
- È questo il momento per ripensare i nuclei fondamentali della vita cristiana: la conversione a Cristo e il Battesimo per cui siamo inseriti in Cristo e come ci richiama il Papa nel suo messaggio, far rifiorire le virtù della fede, della speranza e della carità.
- Potremmo valorizzare il tempo della Quaresima nella partecipazione consapevole alla messa della domenica e nella preghiera in famiglia servendoci del libretto distribuito. Facciamo in modo cioè che la Quaresima non sia orientata a una Pasqua fatta solo di una confessione e di una comunione.
- Potremmo poi, dare importanza e trovare tempo per formarci partecipando alla catechesi degli adulti e alle celebrazioni che verranno proposte nella comunità.
- Potremmo infine ritrovare il senso del digiuno cristiano, destinando l’equivalente delle nostre rinunce in aiuto in favore dei fratelli più bisognosi.
COME NASCE NELLA STORIA IL TEMPO DELLA QUARESIMA
La celebrazione della Pasqua nei primi tre secoli della vita della Chiesa non aveva un periodo di preparazione. La comunità cristiana viveva così intensamente l’impegno cristiano fino alla testimonianza del martirio da non sentire la necessità di un periodo di tempo per rinnovare la conversione già avvenuta col Battesimo. Nel IV secolo, l’unica settimana di digiuno era quella che precedeva la Pasqua. L'uso di iscrivere i peccatori alla penitenza pubblica quaranta giorni prima di Pasqua, determinò la formazione di una quadragesima (quaresima) che cadeva nella VI Domenica prima di Pasqua. Dal momento poi che la Domenica non si celebravano riti penitenziali, si fissò questo atto al Mercoledì precedente. Ogni Mercoledì era infatti giorno di digiuno. Così è nato il “Mercoledì delle ceneri”. In sintesi: allo sviluppo della Quaresima ha contribuito prima di tutto la pratica del digiuno in preparazione alla Pasqua, poi la disciplina penitenziale, infine la preparazione dei catecumeni che saranno battezzati la notte di Pasqua.
LA SPIRITUALITÀ DELLA QUARESIMA
La spiritualità della Quaresima è caratterizzata da un più attento e prolungato ascolto della Parola di Dio perché è questa Parola che illumina a conoscere i propri peccati. L’esame di coscienza cristiano non è un ripiegamento su se stessi, ma un aprirsi alla Parola della salvezza e un confronto col Vangelo.
LE OPERE DELLA PENITENZA
Le opere della penitenza quaresimale devono essere compiute nella consapevolezza del loro valore di segno sacramentale (cioè di segno efficace).
- Il digiuno: anche se limitato al Mercoledì delle ceneri e al Venerdì santo, e l’astinenza dalle carni il venerdì, devono esprimere l’intimo rapporto che c’è tra questo segno e la conversione interiore. Sarebbe inutile astenersi dai cibi, se non ci si astenesse dal peccato. In questo modo il cristiano accetta la faticosa lotta al peccato con la mortificazione per allargare sempre di più all’iniziativa di Dio.
- La preghiera: La Quaresima è tempo di più assidua e intensa preghiera, legata molto strettamente alla conversione, per lasciare sempre più spazio a Dio. La preghiera cristiana così intesa non può essere il tentativo di accaparrarsi Dio per averlo garante dei propri progetti, ma è disponibilità piena alla sua volontà. La preghiera va fatta anche comunitariamente per significare che tutta la Chiesa è comunità che prega e perciò penitente.
- La carità: La Quaresima è tempo di più forte impegno di carità verso i fratelli. Non c'è vera conversione a Dio senza conversione all’amore fraterno.
COME POSSIAMO VIVERLA
- È questo il momento per ripensare i nuclei fondamentali della vita cristiana: la conversione a Cristo e il Battesimo per cui siamo inseriti in Cristo e come ci richiama il Papa nel suo messaggio, far rifiorire le virtù della fede, della speranza e della carità.
- Potremmo valorizzare il tempo della Quaresima nella partecipazione consapevole alla messa della domenica e nella preghiera in famiglia servendoci del libretto distribuito. Facciamo in modo cioè che la Quaresima non sia orientata a una Pasqua fatta solo di una confessione e di una comunione.
- Potremmo poi, dare importanza e trovare tempo per formarci partecipando alla catechesi degli adulti e alle celebrazioni che verranno proposte nella comunità.
- Potremmo infine ritrovare il senso del digiuno cristiano, destinando l’equivalente delle nostre rinunce in aiuto in favore dei fratelli più bisognosi.
Giubileo: un cammino a tappe
Viviamolo nella comunità parrocchiale

Il Pellegrinaggio: un percorso di fede
Il Pellegrinaggio giubilare non è innanzi tutto un viaggio in senso fisico, ma spirituale e vuole portare il credente ad aderire più fortemente al Signore. Infatti vivere il Giubileo, mettere Cristo al centro della vita e riscoprire l’Eucaristia come fulcro di tutta l’esperienza cristiana implica che si faccia un cammino. «Il pellegrinaggio è sempre stato un momento significativo nella vita dei credenti, rivestendo nelle varie epoche espressioni culturali diverse. Esso evoca il cammino personale del credente sulle orme del Redentore: è esercizio di ascesi operosa, di pentimento per le umane debolezze, di costante vigilanza sulla propria fragilità, di preparazione interiore alla riforma del cuore. Mediante la veglia, il digiuno, la preghiera, il pellegrino avanza sulla strada della perfezione cristiana sforzandosi di giungere, col sostegno della grazia di Dio, allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo (Ef 4,13)». È evidente come non si possa confondere il pellegrinaggio con il generico vagabondare dell’uomo di oggi, sempre in movimento, ma difficilmente legato a una verità e neppure con la corsa ininterrotta sfrenata tra i mille impegni e i molti beni di consumo che occupano la nostra società. Il pellegrinaggio è piuttosto il desiderio di dare alla propria vita un punto di riferimento. Dice il nostro Vescovo nel Programma Pastorale “Per vivere l’esistenza come un progressivo cammino di comunione con il Risorto e l’intera famiglia umana, è necessario rendere abituale il pellegrinaggio interiore”. E, continua il Vescovo, “se lo faremo, ci accorgeremo di come una porzione abbondante della nostra vita non è stata ancora illuminata dalla sua parola, e il pellegrinaggio giubilare sarà vissuto come confessione della nostra distanza da Lui, e della volontà di continuare, con perseveranza, a camminare verso di Lui”. Se pensiamo poi che al termine del pellegrinaggio interiore il Giubileo propone la Porta Santa il messaggio è ancora più chiaro: Entrare nella Porta Santa è decidere di credere in Gesù, è dire con il proprio corpo che non c’è altro modo di stare nel tempo se non quello di aderire a Cristo con tutta la propria vita. Oltrepassare con l’intera persona la soglia della Porta Santa è come dire che con tutto di noi vogliamo aver a che fare con Cristo: niente di noi persona, della nostra storia, delle nostre relazioni deve rimanere fuori dal riferimento al Signore risorto. Ecco perché oltre la soglia della porta c’è la chiesa e al centro di essa lo spazio per la celebrazione eucaristica. È l’Eucaristia il vero culmine del Pellegrinaggio; un momento che raccoglie un effettivo cammino di conversione e che, nell’anno giubilare, offre anche il dono dell’Indulgenza prima di rilanciare nel tempo della storia come testimoni del Signore risorto. La Diocesi di Bergamo ha scelto il capitolo 21 del vangelo di Giovanni per accompagnarci nel cammino del Giubileo. Ecco cosa dice: Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare ”. Gli dissero: “ Veniamo anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla. Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”. Allora disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore!”. Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso or ora ”, Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: “Venite a mangiare”. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti. Questo brano è come una “mappa ” per quanti decideranno di compiere il cammino interiore del Giubileo. La meta del pellegrinaggio potrà essere poi Roma, oppure la Cattedrale di Bergamo o la nostra Chiesa Giubilare di Zogno o una delle altre sei chiese giubilari presenti nella diocesi di Bergamo, ma il punto di riferimento per tutti sarà Gesù così come lo incontriamo nell’Eucaristia e come questo testo ce lo presenta.
Il Pellegrinaggio giubilare non è innanzi tutto un viaggio in senso fisico, ma spirituale e vuole portare il credente ad aderire più fortemente al Signore. Infatti vivere il Giubileo, mettere Cristo al centro della vita e riscoprire l’Eucaristia come fulcro di tutta l’esperienza cristiana implica che si faccia un cammino. «Il pellegrinaggio è sempre stato un momento significativo nella vita dei credenti, rivestendo nelle varie epoche espressioni culturali diverse. Esso evoca il cammino personale del credente sulle orme del Redentore: è esercizio di ascesi operosa, di pentimento per le umane debolezze, di costante vigilanza sulla propria fragilità, di preparazione interiore alla riforma del cuore. Mediante la veglia, il digiuno, la preghiera, il pellegrino avanza sulla strada della perfezione cristiana sforzandosi di giungere, col sostegno della grazia di Dio, allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo (Ef 4,13)». È evidente come non si possa confondere il pellegrinaggio con il generico vagabondare dell’uomo di oggi, sempre in movimento, ma difficilmente legato a una verità e neppure con la corsa ininterrotta sfrenata tra i mille impegni e i molti beni di consumo che occupano la nostra società. Il pellegrinaggio è piuttosto il desiderio di dare alla propria vita un punto di riferimento. Dice il nostro Vescovo nel Programma Pastorale “Per vivere l’esistenza come un progressivo cammino di comunione con il Risorto e l’intera famiglia umana, è necessario rendere abituale il pellegrinaggio interiore”. E, continua il Vescovo, “se lo faremo, ci accorgeremo di come una porzione abbondante della nostra vita non è stata ancora illuminata dalla sua parola, e il pellegrinaggio giubilare sarà vissuto come confessione della nostra distanza da Lui, e della volontà di continuare, con perseveranza, a camminare verso di Lui”. Se pensiamo poi che al termine del pellegrinaggio interiore il Giubileo propone la Porta Santa il messaggio è ancora più chiaro: Entrare nella Porta Santa è decidere di credere in Gesù, è dire con il proprio corpo che non c’è altro modo di stare nel tempo se non quello di aderire a Cristo con tutta la propria vita. Oltrepassare con l’intera persona la soglia della Porta Santa è come dire che con tutto di noi vogliamo aver a che fare con Cristo: niente di noi persona, della nostra storia, delle nostre relazioni deve rimanere fuori dal riferimento al Signore risorto. Ecco perché oltre la soglia della porta c’è la chiesa e al centro di essa lo spazio per la celebrazione eucaristica. È l’Eucaristia il vero culmine del Pellegrinaggio; un momento che raccoglie un effettivo cammino di conversione e che, nell’anno giubilare, offre anche il dono dell’Indulgenza prima di rilanciare nel tempo della storia come testimoni del Signore risorto. La Diocesi di Bergamo ha scelto il capitolo 21 del vangelo di Giovanni per accompagnarci nel cammino del Giubileo. Ecco cosa dice: Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: “Io vado a pescare ”. Gli dissero: “ Veniamo anche noi con te”. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla. Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”. Allora disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “È il Signore!”. Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso or ora ”, Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: “Venite a mangiare”. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti. Questo brano è come una “mappa ” per quanti decideranno di compiere il cammino interiore del Giubileo. La meta del pellegrinaggio potrà essere poi Roma, oppure la Cattedrale di Bergamo o la nostra Chiesa Giubilare di Zogno o una delle altre sei chiese giubilari presenti nella diocesi di Bergamo, ma il punto di riferimento per tutti sarà Gesù così come lo incontriamo nell’Eucaristia e come questo testo ce lo presenta.
La prima tappa
Riflessione su di sé e ascolto della Parola di Dio

Domenica 20 febbraio, nelle nostre comunità, abbiamo iniziato il cammino della prima tappa di questo "pellegrinaggio interiore”. Ci hanno fatto da guida i primi versetti del capitolo 21 del vangelo di Giovanni: Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. Gli risposero: “No”. Allora disse loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. All’inizio del testo i discepoli si trovano in una situazione di assoluta povertà: non hanno nulla da mangiare e non riconoscono neppure Gesù. Il vangelo ci racconta come vengono guidati ad iniziare il loro “pellegrinaggio”. L’invito è innanzi tutto quello di guardare dentro le reti, di rendersi conto della propria situazione e di descriverla; poi viene la grande “provocazione” di ascoltare le parole “assurde” di uno sconosciuto che pretende di insegnare in che modo essi dovrebbero gettare le reti. Tutto questo non è affatto scontato: non è facile accettare di riconoscere la propria situazione di fallimento, così come è ancora più difficile rimanere in ascolto di una parola che chiede di fare in una maniera assolutamente nuova e poco sensata ciò che neppure con tanta esperienza e buon senso aveva dato risultati. Questa parola è rivolta a noi: il primo passo all’inizio del pellegrinaggio interiore è di guardare dentro la nostra vita e di metterci poi in ascolto della Parola di Dio. Sono due operazioni impegnative e per nulla scontate: sappiamo che è difficile guardarsi dentro così come fare la fatica di capire ciò che sta accadendo attorno a noi, ma questo è il primo passo da compiere se vogliamo vivere il Giubileo. Ugualmente sappiamo che la Parola di Dio tante volte - se la ascoltiamo veramente - ci può sembrare assurda e poco sensata; certamente diversa dai criteri che normalmente guidano le nostre giornate. Ma solo ascoltando questa Parola la nostra esistenza si riempie di vita. L’invito del nostro Vescovo è esplicito: “Il passaggio da un secolo a un altro e dal secondo al terzo millennio dell'era cristiana, non può non suscitare interrogativi sul senso della storia umana (...). É un passaggio che invita seriamente a chiedersi se l’unico bene possibile per l'uomo sia il benessere economico e sociale, individuale o collettivo, oppure vi sia un “Bene" capace di portare a compimento la tensione verso la vita piena, presente in ogni cuore umano’’. “La Bibbia ci ricorda come ha affrontato la storia il Figlio di Dio e come dovrebbero viverla tutti gli uomini chiamati a condividere questo rapporto filiale". Anche il Papa nella Bolla di indizione del Giubileo fa diverse volte esplicito riferimento alla necessità di ascoltare la Parola di Dio, ma ugualmente e in modo molto forte richiama ciascuno e l'umanità intera a guardare la propria storia: “L’esame di coscienza, è uno dei momenti più qualificanti dell’esistenza personale. Con esso, infatti, ogni uomo è posto dinanzi alla verità della propria vita (...). É doveroso riconoscere che la storia registra anche non poche vicende che costituiscono una contro-testimonianza nei confronti del cristianesimo’’.
Come possiamo vivere la prima tappa?
Molteplici sono gli aiuti che vengono offerti a coloro che con serietà intendono vivere questo cammino interiore che l’Anno Santo ci invita a percorrere
Attraverso i mezzi di comunicazione sociale
Oltre alla recensione degli eventi giubilari sul quotidiano “L’Eco di Bergamo”, la Diocesi offrirà ai lettori diversi contributi:
- L’opuscolo, distribuito nelle famiglie per vivere, giorno per giorno, il tempo della quaresima
- Zogno Notizie presenterà le varie tappe del “Pellegrinaggio interiore” e informerà sulle varie iniziative proposte per vivere il Giubileo nelle comunità.
- Bergamo TV presenterà ogni sabato sera alle 19,50 (con replica la domenica alle 11,30) una trasmissione dedicata al Giubileo (con intervento del Vescovo nel periodo di Quaresima).
- La catechesi degli Adulti che, nei cinque martedì della quaresima, ci aiuterà a capire i vari aspetti del Giubileo.
I luoghi e i tempi dello Spirito
Sono presenti nella nostra diocesi un gran numero di luoghi (case di spiritualità e monasteri) e di iniziative che offrono la possibilità di esperienze più o meno prolungate di silenzio, di riflessione, di ascolto della Parola di Dio e di preghiera. Ognuno può cercare la proposta che più corrisponde alle sue esigenze. In occasione di questo Anno Santo sarebbe molto significativo prendere in considerazione la possibilità di dedicare un’intera settimana ad un’esperienza come questa (es. Esercizi Spirituali). Alcuni “luoghi e i tempi dello Spirito” in questo numero del notiziario; puoi contattarli direttamente o rivolgendoti al parroco.
Come possiamo vivere la prima tappa?
Molteplici sono gli aiuti che vengono offerti a coloro che con serietà intendono vivere questo cammino interiore che l’Anno Santo ci invita a percorrere
Attraverso i mezzi di comunicazione sociale
Oltre alla recensione degli eventi giubilari sul quotidiano “L’Eco di Bergamo”, la Diocesi offrirà ai lettori diversi contributi:
- L’opuscolo, distribuito nelle famiglie per vivere, giorno per giorno, il tempo della quaresima
- Zogno Notizie presenterà le varie tappe del “Pellegrinaggio interiore” e informerà sulle varie iniziative proposte per vivere il Giubileo nelle comunità.
- Bergamo TV presenterà ogni sabato sera alle 19,50 (con replica la domenica alle 11,30) una trasmissione dedicata al Giubileo (con intervento del Vescovo nel periodo di Quaresima).
- La catechesi degli Adulti che, nei cinque martedì della quaresima, ci aiuterà a capire i vari aspetti del Giubileo.
I luoghi e i tempi dello Spirito
Sono presenti nella nostra diocesi un gran numero di luoghi (case di spiritualità e monasteri) e di iniziative che offrono la possibilità di esperienze più o meno prolungate di silenzio, di riflessione, di ascolto della Parola di Dio e di preghiera. Ognuno può cercare la proposta che più corrisponde alle sue esigenze. In occasione di questo Anno Santo sarebbe molto significativo prendere in considerazione la possibilità di dedicare un’intera settimana ad un’esperienza come questa (es. Esercizi Spirituali). Alcuni “luoghi e i tempi dello Spirito” in questo numero del notiziario; puoi contattarli direttamente o rivolgendoti al parroco.
Rinnovo del Consiglio Pastorale Parrocchiale
A seguito delle decisioni prese nel Consiglio Pastorale è stato inviato nelle famiglie della Comunità Parrocchiale il materiale informativo e la scheda per esprimere i candidati che don Lucio ha accompagnato con una lettera alle famiglie. Riportiamo tutto di seguito.
Carissimi, mi rivolgo a voi per chiedere la vostra collaborazione per un avvenimento importante che coinvolge la nostra Comunità Parrocchiale: il rinnovo del Consiglio Pastorale Parrocchiale. Nei fogli allegati alla presente lettera trovate il materiale che illustra di che cosa si tratta: che cos’è il Consiglio Pastorale, cosa non è, i suoi compiti la mentalità che deve ispirare i membri del Consiglio. Come potrete rendervi conto leggendo, compito del Consiglio Parrocchiale è dare il proprio aiuto per promuovere l’attività e le iniziative pastorali della parrocchia; deve cioè pensare e progettare un po’ tutta quella che è l’azione pastorale della parrocchia, sia per quanto riguarda le celebrazioni liturgiche, la formazione umana e cristiana dei ragazzi, dei giovani e adulti, sia la vita di fede che deve farsi carità e rendersi visibile nell’agire cristiano. Con l’attuale Consiglio Parrocchiale si è pensato che il modo più appropriato per la formazione del nuovo Consiglio fosse quello dell’elezione da parte di tutti i fedeli della parrocchia. Vi chiedo perciò la cortesia di collaborare indicando sull’apposita scheda nominativi di uomini, donne, giovani e signorine che, a vostro giudizio, ritenete opportuno facciano parte di questo organismo e possano dare così la loro collaborazione al buon andamento della comunità parrocchiale. Le persone da voi indicate e che avranno avuto il maggior numero di segnalazioni, saranno da me contattate per accertare la loro disponibilità a far parte del Consiglio Parrocchiale. Certo della vostra disponibilità e collaborazione per continuare a costruire una comunità sempre più capace di parlare al cuore degli uomini di oggi e di essere di aiuto per farli incontrare con il Signore, vi ringrazio di cuore e vi ricordo nella preghiera.
Che il Signore ci benedica e protegga tutti.
Don Lucio
Carissimi, mi rivolgo a voi per chiedere la vostra collaborazione per un avvenimento importante che coinvolge la nostra Comunità Parrocchiale: il rinnovo del Consiglio Pastorale Parrocchiale. Nei fogli allegati alla presente lettera trovate il materiale che illustra di che cosa si tratta: che cos’è il Consiglio Pastorale, cosa non è, i suoi compiti la mentalità che deve ispirare i membri del Consiglio. Come potrete rendervi conto leggendo, compito del Consiglio Parrocchiale è dare il proprio aiuto per promuovere l’attività e le iniziative pastorali della parrocchia; deve cioè pensare e progettare un po’ tutta quella che è l’azione pastorale della parrocchia, sia per quanto riguarda le celebrazioni liturgiche, la formazione umana e cristiana dei ragazzi, dei giovani e adulti, sia la vita di fede che deve farsi carità e rendersi visibile nell’agire cristiano. Con l’attuale Consiglio Parrocchiale si è pensato che il modo più appropriato per la formazione del nuovo Consiglio fosse quello dell’elezione da parte di tutti i fedeli della parrocchia. Vi chiedo perciò la cortesia di collaborare indicando sull’apposita scheda nominativi di uomini, donne, giovani e signorine che, a vostro giudizio, ritenete opportuno facciano parte di questo organismo e possano dare così la loro collaborazione al buon andamento della comunità parrocchiale. Le persone da voi indicate e che avranno avuto il maggior numero di segnalazioni, saranno da me contattate per accertare la loro disponibilità a far parte del Consiglio Parrocchiale. Certo della vostra disponibilità e collaborazione per continuare a costruire una comunità sempre più capace di parlare al cuore degli uomini di oggi e di essere di aiuto per farli incontrare con il Signore, vi ringrazio di cuore e vi ricordo nella preghiera.
Che il Signore ci benedica e protegga tutti.
Don Lucio
BUONA PASQUA
Pasqua. È il tempo in cui il passato si fa presente: ritorna, liberato dalla nostalgia e dai rimpianti sterili, per rivelare ciò che è essenziale e per aiutare a vivere. Celebrare la Pasqua e il tempo della memoria significa rileggere, nella vita di ognuno di noi e nella storia dell'intera umanità, la traccia di Dio «che scrive diritto su righe storte». Significa credere che anche la storia del nostro mondo moderno è una storia sacra, proprio come quella del popolo ebreo. Significa possedere l’udito talmente fine, lo sguardo talmente innamorato, l’intelligenza talmente aperta da saper conservare – di là dalle azioni rumorose e dai segni grandiosi - la parola, il volto, il segno apportatori di speranza e di risurrezione. Significa - quando «i morti seppelliscono i loro morti» - essere consapevoli che l’aprire una nuova via su un avvenire migliore è il più bel culto che possiamo rendere ai nostri defunti. Significa rifiutare di chiudersi nella nostalgia del passato-sempre-migliore-dell’oggi, nella tomba dei ricordi imbalsamati, per affrontare il rischio dell’avvenire. Celebrare il tempo della Pasqua significa assomigliare a Dio, il quale, quando ricorda il passato, parla di avvenire; a Dio che ricorda il futuro.
O Dio, concedici quella fede che non fa soltanto memoria del passato, ma che diventa capace di far memoria dell'avvenire in Gesù, il Risorto |
Il Pellegrinaggio Interiore
La seconda tappa: cambiamento – conversione

Nella prima domenica di quaresima, lo scorso 12 marzo, nella nostra comunità si è dato inizio alla seconda tappa del cammino giubilare. Mentre continuiamo ad essere sollecitati dalla Parola di Dio a “Rientrare in noi stessi” (prima tappa), in questa seconda tappa, siamo chiamati al cambiamento e alla conversione. Il tempo della quaresima ci sollecita ulteriormente a mettere in atto tutti quegli atteggiamenti della penitenza cristiana - preghiera, digiuno ed elemosina - che ci aiutano ad operare la conversione del nostro cuore. In questa seconda tappa ci farà da guida e da stimolo la seconda parte del capitolo 21 del vangelo di Giovanni: "La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: “É il Signore!”. Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri”. Il racconto mostra come, dopo l'ascolto della Parola, viene una serie di gesti concreti: il lancio delle reti in mare, il tuffo di Pietro, la fatica e la gioia di trascinare le reti a riva. E al centro di tutto sta la possibilità di riconoscere chi è la fonte sconosciuta della Parola: “È il Signore!”. Questo ci dice come nel cammino del Giubileo potremo veramente riconoscere il Signore solo passando dalle parole ai fatti, solo compiendo qualche gesto coraggioso e profetico che cambi il nostro modo usuale di agire proprio a partire dall’ascolto della Parola di Dio. A questo punto la tradizione cristiana ci parla di opere di penitenza, di ascesi, di digiuno. Il Papa in modo molto forte indica la pratica della carità: “Devono essere eliminate le sopraffazioni che portano al predominio degli uni sugli altri: esse sono peccato e ingiustizia. Chi è intento ad accumulare tesori solamente sulla terra (cfr Mt 6,19) non arricchisce dinanzi a Dio” (Lc 12, 21). Si deve altresì creare una nuova cultura di solidarietà e cooperazione internazionali, in cui tutti — specialmente i Paesi ricchi e il settore privato — assumano la loro responsabilità per un modello di economia al servizio di ogni persona. Non deve essere ulteriormente dilazionato il tempo in cui anche il povero Lazzaro potrà sedersi accanto al ricco per condividerne lo stesso banchetto e non essere più costretto a nutrirsi con quanto cade dalla mensa (cfr Lc 16,19-31). L’estrema povertà è sorgente di violenze, di rancori e di scandali. Portare rimedio ad essa è fare opera di giustizia e pertanto di pace”. Sappiamo anche come egli abbia chiesto in modo molto esplicito e forte che si proceda all’annullamento o almeno alla riduzione del debito estero di Paesi più poveri.
“Senza ascesi, sobrietà nell’uso del tempo e delle cose, dominio di sé e impegno per aprirsi gratuitamente all’altro, l’amore di Dio non può iscriversi nella nostra esistenza e, analogamente, in quella della comunità. (...). Occorre impegnarsi per cambiare il modo di considerare la vita e per orientare la società in un senso autenticamente solidale; impegnarsi là dove si forma l’uomo, dove si elaborano le mentalità e i progetti per la società. Impegnarsi con competenza, non per dominare ma per servire, in collaborazione con tutti, la crescita globale e concreta di ogni uomo e della società. (...) si auspica la costituzione della Caritas in ogni parrocchia durante il decennio che si sta concludendo”.
“Senza ascesi, sobrietà nell’uso del tempo e delle cose, dominio di sé e impegno per aprirsi gratuitamente all’altro, l’amore di Dio non può iscriversi nella nostra esistenza e, analogamente, in quella della comunità. (...). Occorre impegnarsi per cambiare il modo di considerare la vita e per orientare la società in un senso autenticamente solidale; impegnarsi là dove si forma l’uomo, dove si elaborano le mentalità e i progetti per la società. Impegnarsi con competenza, non per dominare ma per servire, in collaborazione con tutti, la crescita globale e concreta di ogni uomo e della società. (...) si auspica la costituzione della Caritas in ogni parrocchia durante il decennio che si sta concludendo”.
Cosa possiamo fare per vivere la seconda tappa?
La purificazione della memoria e la ricomposizione dei conflitti Innanzi tutto si rivolge l’invito a ciascuna persona, famiglia e comunità affinché si impegni in un serio esame di coscienza e cerchi di purificare la memoria (cioè di scorgere nel proprio passato quei momenti di peccato e di controtestimonianza che hanno impoverito anziché costruire la fraternità e la testimonianza del vangelo). E importante quindi che se ci sono dei conflitti irrisolti o delle offese che non sono state perdonate si faccia il primo passo per la riconciliazione. Il Pellegrinaggio verso il povero - Le settimane di carità Si tratta della proposta di dedicare alcuni giorni (una o due settimane) ad un’esperienza di condivisione, di spiritualità e di servizio con fratelli più poveri o colpiti da particolari situazioni di sofferenza e disagio. Ciò che viene richiesto non è quindi una semplice esperienza di volontariato, ma una vera e propria condivisione con chi soffre nello spirito di carità che il Giubileo propone. All’interno di questo stesso numero di Zogno Notizie, trovate la pagina “I luoghi della Carità: Il pellegrinaggio verso il povero - le settimane di carità ” che contiene tutte le indicazioni e gli indirizzi utili. L’iniziativa a favore della riduzione del debito estero dei Paesi poveri La Conferenza Episcopale Italiana ha accolto l’invito del Papa e si è fatta promotrice di un’iniziativa a favore della riduzione del debito estero di alcuni Paesi poveri. È prevista una campagna di sensibilizzazione e una raccolta di fondi per realizzare questo progetto. In ogni parrocchia della diocesi verrà dedicata una domenica nel corso del Giubileo a presentare e sostenere l’iniziativa. Il termine ultimo per la raccolta dei fondi è fissato per il giorno 6 gennaio 2001. Come celebrare la seconda tappa? Dal punto di vista liturgico il gesto forte che caratterizza questa parte del cammino è la Celebrazione del sacramento del Perdono. “È soprattutto nell’esame di coscienza e dell’assunzione di un gesto concreto di penitenza che appare la dimensione pratica che la conversione richiede, ma è importante che il tutto sia direttamente collegato con l’accoglimento del perdono dei peccati da parte di Dio”. |
Il Vescovo a ottobre in Visita Pastorale
Da mercoledì 4 fino alla festa dell’Immacolata
nella Comunità del nostro Vicariato.
Si tratta di un avvenimento molto importante.
Monsignor Amadei cercherà di incontrare tutti
Da Mercoledì 4 ottobre fino alla festa dell’Immacolata, l’8 dicembre, il nostro Vescovo, Mons. Roberto Amadei, sarà nelle comunità del nostro Vicariato per la Visita Pastorale. Si tratta di un avvenimento molto importante per la nostra comunità parrocchiale e per le altre parrocchie del Vicariato. La parola “Visita” dice già quanto il Vescovo farà qui da noi. “La Visita Pastorale è una delle forme tutta particolare con le quali il Vescovo mantiene i contatti personali con i sacerdoti e con gli altri membri del popolo di Dio per conoscerli, aiutarli nella fede e nella vita cristiana, nonché per vedere con i propri occhi nella loro concreta efficienza e quindi valutare le strutture e gli strumenti destinati al servizio pastorale“. Il Vescovo, sospinto dalla passione per il Vangelo, come Gesù, cercherà di incontrare tutti, per dire a tutti la gioia del Vangelo. Incontrerà i bambini e i ragazzi a scuola e al catechismo per dire loro che Gesù è un amico vero e che ha molto da dire loro; incontrerà i genitori dei ragazzi per condividere con loro le difficoltà e le preoccupazioni educative; incontrerà gli ammalati nelle loro case per dire loro come Gesù sia vicino a chi soffre; incontrerà tutte le persone impegnate nei Gruppi Parrocchiali che hanno a cuore il bene della comunità, per aiutarli a costruire una parrocchia che sappia comunicare Gesù; incontrerà tutti coloro che avranno il cuore aperto e disponibile ad accogliere colui che ci è fratello e padre nella fede e che come il Buon Pastore ha cura e si preoccupa delle sue pecore. Maria ci aiuti a prepararci e a far si che la Visita del Vescovo segni un passo significativo nella crescita della nostra fede.
Don Lucio |
Vivere il Giubileo
Terza tappa del pellegrinaggio interiore
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso or ora”. Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: “Venite a mangiare ”. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.
Celebrazione del Giubileo ed Eucarestia
Siamo alla fine del testo ed è il momento culminante:
Gesù viene riconosciuto da tutti i discepoli come colui che offre da mangiare. È il momento dell’Eucaristia, qui la Chiesa è pienamente se stessa. È molto significativo il fatto che dopo tanto agitarsi i discepoli giungono gradatamente al silenzio assoluto e si dispongano semplicemente ad accogliere. Nel segno del pane e del pesce essi riconoscono definitivamente il Signore: Egli è il crocifisso risorto che continua a servire i suoi amici e regala esattamente il suo corpo. Un discepolo, una comunità cristiana che hanno compiuto un pellegrinaggio interiore non possono che concludere il loro cammino nell’Eucaristia e accogliere in questo momento, con tutti gli altri, anche il dono dell’Indulgenza. È attorno al banchetto eucaristico che la vita si riconosce come dono ricevuto e salvato da Dio. Ed è esattamente da qui che nasce la vita nuova e la testimonianza dei cristiani (la quarta tappa del giubileo). Il Papa ci ricorda come nell’Eucaristia il nostro cammino giubilare e tutta la vita cristiana non è la rievocazione di una serie di valori, ma rincontro vivo con la persona di Cristo. “Nel segno del Pane e del Vino consacrati, Cristo Gesù risorto e glorificato, luce delle genti (cfr Le 2, 32), rivela la continuità della sua Incarnazione. Egli rimane vivo e vero in mezzo a noi per nutrire i credenti con il suo Corpo e il suo Sangue”. L’intero Programma Pastorale della diocesi di Bergamo e in particolare la conclusione della Lettera pastorale del nostro vescovo ci aiuta a comprendere il legame tra Giubileo ed Eucaristia. Ciò che qui più ci interessa è sottolineare come nell’Eucaristia si raccolga tutta la vita cristiana e quindi, in particolare, l’esperienza del Pellegrinaggio se vissuto in modo profondo. “Vivendo il Giubileo non come insieme di gesti spettacolari ma nel modo ricordato, riscopriremo il valore singolare della celebrazione eucaristica, cuore dell’esperienza cristiana, sorgente inesauribile della realtà e della missione della Chiesa come luogo dell’accoglienza, della presenza e dell’irradiazione dell’amore di Dio Uno e Trino. Saremo aiutati a riscoprirne e viverne realmente la centralità sia nella vita della comunità ecclesiale che in quella personale; a viverla come la fonte che illumina e vivifica ogni momento e settore dell’esistenza”. Ogni pellegrinaggio giubilare dovrà quindi arrivare all’Eucaristia e da essa ripartire verso una vita di autentica testimonianza.
Celebrazione del Giubileo ed Eucarestia
Siamo alla fine del testo ed è il momento culminante:
Gesù viene riconosciuto da tutti i discepoli come colui che offre da mangiare. È il momento dell’Eucaristia, qui la Chiesa è pienamente se stessa. È molto significativo il fatto che dopo tanto agitarsi i discepoli giungono gradatamente al silenzio assoluto e si dispongano semplicemente ad accogliere. Nel segno del pane e del pesce essi riconoscono definitivamente il Signore: Egli è il crocifisso risorto che continua a servire i suoi amici e regala esattamente il suo corpo. Un discepolo, una comunità cristiana che hanno compiuto un pellegrinaggio interiore non possono che concludere il loro cammino nell’Eucaristia e accogliere in questo momento, con tutti gli altri, anche il dono dell’Indulgenza. È attorno al banchetto eucaristico che la vita si riconosce come dono ricevuto e salvato da Dio. Ed è esattamente da qui che nasce la vita nuova e la testimonianza dei cristiani (la quarta tappa del giubileo). Il Papa ci ricorda come nell’Eucaristia il nostro cammino giubilare e tutta la vita cristiana non è la rievocazione di una serie di valori, ma rincontro vivo con la persona di Cristo. “Nel segno del Pane e del Vino consacrati, Cristo Gesù risorto e glorificato, luce delle genti (cfr Le 2, 32), rivela la continuità della sua Incarnazione. Egli rimane vivo e vero in mezzo a noi per nutrire i credenti con il suo Corpo e il suo Sangue”. L’intero Programma Pastorale della diocesi di Bergamo e in particolare la conclusione della Lettera pastorale del nostro vescovo ci aiuta a comprendere il legame tra Giubileo ed Eucaristia. Ciò che qui più ci interessa è sottolineare come nell’Eucaristia si raccolga tutta la vita cristiana e quindi, in particolare, l’esperienza del Pellegrinaggio se vissuto in modo profondo. “Vivendo il Giubileo non come insieme di gesti spettacolari ma nel modo ricordato, riscopriremo il valore singolare della celebrazione eucaristica, cuore dell’esperienza cristiana, sorgente inesauribile della realtà e della missione della Chiesa come luogo dell’accoglienza, della presenza e dell’irradiazione dell’amore di Dio Uno e Trino. Saremo aiutati a riscoprirne e viverne realmente la centralità sia nella vita della comunità ecclesiale che in quella personale; a viverla come la fonte che illumina e vivifica ogni momento e settore dell’esistenza”. Ogni pellegrinaggio giubilare dovrà quindi arrivare all’Eucaristia e da essa ripartire verso una vita di autentica testimonianza.
Eletto il nuovo
CONSIGLIO PASTORALE
Si sono concluse le consultazioni per il rinnovo del Consiglio pastorale Parrocchiale. Vorrei innanzitutto ringraziare gli incaricati che hanno distribuito il materiale per le elezioni e hanno reso possibile la formazione del Consiglio. Grazie inoltre a tutti coloro che, numerosissimi, hanno dato la loro preziosa collaborazione indicando nominativi di persone appassionate del bene della comunità parrocchiale. Grazie poi, a tutti i candidati che hanno accolto le indicazioni della popolazione. Si tratta di un onore che gratifica per la stima di cui si gode nella comunità, ma anche di un onere da portare avanti con impegno e responsabilità. A tutti i nuovi membri gli auguri di un buon lavoro a servizio della comunità.
Don Lucio
Don Lucio
Il Vescovo in Visita Pastorale
Lo scopo della Visita Pastorale
“La visita pastorale è una delle forme, ma tutta particolare, con le quali un Vescovo mantiene i contatti personali con i sacerdoti e con gli altri membri del popolo di Dio per conoscerli e dirigerli, esortarli alla fede e alla vita cristiana, nonché per vedere coi propri occhi nella loro concreta efficienza, e quindi valutarli, le strutture e gli strumenti destinati al servizio pastorale. La carità pastorale è come l’anima della visita; il suo scopo non tende ad altro che al buon andamento delle comunità e delle istituzioni ecclesiastiche”. Che cosa è la Visita Pastorale "La visita pastorale è un evento di grazia che riflette in qualche modo l’immagine di quella singolarissima e del tutto meravigliosa visita, per mezzo della quale “il pastore sommo” (1 Pt. 5,4), il Vescovo delle nostre anime (cf. I Pt. 2,25), Gesù Cristo ha visitato e redento il suo popolo (cf. Le. 1,68). Con la visita pastorale il Vescovo si presenta in modo concreto come principio e fondamento visibile dell’unità nella chiesa particolare affidatagli”. Chi incontrerà il Vescovo durante la Visita Pastorale "Poiché la visita pastorale tocca tutta la diocesi con le sue varie categorie di persone, di luoghi sacri, strutture ed istituzioni, essa offre al Vescovo una felice occasione di lodare, stimolare, consolare gli operai evangelici, di rendersi conto personalmente delle difficoltà dell’evangelizzazione e dell’apostolato, di riesaminare e rivalutare il programma della pastorale organica, di raggiungere i cuori dei fratelli e di ravvivare le energie forse illanguidite, di chiamare, insomma, tutti i fedeli al rinnovamento della propria coscienza e ad una più intensa attività apostolica. Quindi il primo posto nella visita l’hanno le persone, sia individualmente sia in associazioni, specialmente quelle che prendono parte all’apostolato. Per i sacerdoti, parroci e curati, la visita è un servizio di aiuto da parte del Vescovo piuttosto che uno strumento di inchiesta”. I collaboratori del Vescovo nella Visita Pastorale “Il compito di esaminare i registri della parrocchia e degli altri istituti, di ispezionare i luoghi sacri e la suppellettile, di controllare l’amministrazione dei beni, il Vescovo lo lascia a presbiteri idonei, in giorni antecedenti o susseguenti alla visita: cosi egli potrà dedicare il tempo della visita piuttosto ai colloqui e ai sacri ministeri, come ben s’addice alla sua missione di capo, maestro e pastore della comunità cristiana”. |
Vivere l’EUCARESTIA

Dal Giubileo una spinta per prepararci alla festa patronale di San Lorenzo, al congresso eucaristico e alla Visita Pastorale del Vescovo
Domenica 25 giugno, festa del Corpus Domini, abbiamo celebrato il Giubileo del nostro vicariato attorno all’eucaristia: a settembre il Congresso Eucaristico raccoglierà i diversi cammini pastorali fatti dalle comunità parrocchiali. A fare da riferimento a questo cammino della nostra Chiesa è il brano di Gv 21: il Risorto, all’alba di una notte difficile, viene incontro, sul mare, a uomini sfiduciati e discepoli smarriti. Si fa presente nel segno dell’eucaristia che conferma il suo testamento e il senso di tutta la sua vita e della sua Pasqua: Gesù è il dono di sé che Dio fa all’uomo; dà, così, fede ai discepoli e li costituisce come sua Chiesa. Quella descritta da Giovanni è una vibrante lettura della nostra situazione: in questi uomini che, nella notte, non prendono nulla c’è la parabola dell’uomo in cerca di senso nell’immensità e nella vanità del mondo, sul mare infecondo di una vita che non dà frutto che rimane. C’è la parabola dell’uomo moderno, viaggiatore frenetico e disorientato di un mondo accelerato e complesso: viaggiatore senza bussola, in prova, provvisorio, indeciso: in sospensione di senso e di verità. A quest’uomo il racconto cristiano propone la sua verità: il venire di Cristo incontro all’uomo ha il valore di una rivelazione della Verità: della parola buona, della promessa assoluta e incondizionata che rende possibile all’uomo la decisione della fede; l’uomo può decidere di sé e del senso della vita, può credere e dedicarsi alla verità della sua decisione in quanto la Verità gli viene incontro, anticipa il suo dono e autorizza la nostra dedizione. È questo il senso profondo dell’evento di Cristo, che avviene nella fede: Gesù è il Signore; il Signore della mia vita; la mia salvezza. “É il Signore”; crediamo; siamo salvi. L’evento di Cristo ha la forma della Chiesa. Il Signore si rende presente nella fede dei discepoli e nel loro spezzare il pane in sua memoria. E, come si vede nel racconto di Giovanni, ma anche nelle nostre riunioni di ogni domenica, la preoccupazione del Risorto è quella di riunire e formare la comunità dei discepoli, perché la sua vita e il suo Vangelo restino vivi nel mondo. Di rimando, l’incontro e il riconoscimento del Signore sono possibili nella modalità concreta della Chiesa; in quegli uomini e quelle donne che credono in Gesù Cristo e cercano di vivere come lui: in mezzo al mondo, tra gli altri uomini, sostenuti dalla sua memoria, da come lui ha vissuto l’esistenza umana, e sicuri nell’attesa del suo ritorno. Per tener viva la memoria di Gesù e alimentare la sua attesa la Chiesa dispone dei vangeli e della Bibbia che è il contesto necessario dei vangeli. Ai vangeli la Chiesa è attaccata come il fiume alla sorgente; perché essa vive della parola di Gesù. Della parola e dell’eucaristia; della parola che ha la forma del dono: Gesù che si fa cibo e nutre la nostra fede. A sostenere la memoria e l’attesa di Gesù, la Chiesa dispone dunque, oltre che della Bibbia, dell’eucaristia. Anzi, non è l’eucaristia che appartiene alla Chiesa, come fosse una sua cosa; è piuttosto la Chiesa che appartiene all’eucaristia. L’eucaristia, infatti, è Gesù Cristo: la presenza reale, vera, di Gesù Cristo. È presenza di Gesù, certo, di un tipo particolare, che la teologia dice “sacramentale” o “simbolica”. Presente non come una mummia, ma in tutta la sua vicenda che ha avuto il momento culminante e riassuntivo nella morte, nel sacrificio del Calvario. La Chiesa è il risultato di questo sacrificio, di questo dono perfetto che Gesù Cristo fa di sé. Dono che Gesù aveva profeticamente anticipato nell’ultima Cena, istituendo l’eucaristia, presentando il pane come il suo corpo “dato” e il vino come il suo sangue “versato”; dono concluso con la raccomandazione fatta ai discepoli di ripetere il gesto in sua memoria: “Fate questo in memoria di me”. Raccomandazione non da intendere nel senso riduttivo di ripetere semplicemente il gesto, ma nel senso comprensivo del rimando al sacrificio della croce. In altri termini: come nell’azione di Gesù il gesto eucaristico non è separabile dal sacrificio della croce, così la ripetizione del gesto di Gesù da parte dei discepoli non può ridursi al gesto rituale, ma richiede di spingersi fino al sacrificio e al dono di sé. In conclusione: l’eucaristia è l’invito alla comunione di vita con Gesù Cristo: sedere alla stessa tavola, mangiare lo stesso pane, bere allo stesso calice, significa condividere la stessa sorte, essere invitati a dare il proprio corpo, il proprio sangue, la propria vita, come ha fatto lui, al suo seguito, come suoi discepoli. È questo il senso, lo scopo della presenza del Risorto nell’eucaristia, del suo continuo venire incontro a questi uomini dispersi per farne dei discepoli; per riunire e formare la comunità dei suoi: il corpo formato da un popolo che rende grazie con una vita vissuta come quella di Gesù; perché sia annunciato al mondo, a favore di tutti, il Vangelo di Gesù Cristo. Al centro dell’eucaristia non c’è tanto il banchetto, quanto l’azione di grazie legata alla memoria dell’evento pasquale; non c’è tanto il gesto singolo del mangiare, quanto l’assemblea in stato eucaristico. Il primo frutto inteso dall’eucaristia è la costituzione di un “corpo eucaristico”, formato da una comunità di uomini e donne che rendono grazie con una vita come quella di Gesù. L’eucaristia è efficace se costruisce una comunità viva; se riesce a riunire dal mondo uomini e donne che credono in Gesù, lo seguono e cercano di vivere come lui. Si capisce perché la Chiesa di Bergamo, in questo esame di coscienza epocale che sta cercando di fare con i programmi pastorali del Vescovo, si riunisca attorno all’eucaristia e cerchi di fare un discernimento di sé; per valutare quali assemblee, quali comunità si riuniscono attorno all’eucaristia, e a quali cammini di fede e a quale pastorale dà luogo l’eucaristia. Dimmi come celebri e ti dirò chi sei. Approfondendo e ricomprendendo le “pratiche eucaristiche”, e cioè: la Messa della domenica, la devozione eucaristica, l’eucaristia e l’iniziazione cristiana, l’eucaristia e la morte, si entra nel profondo della vita della nostra comunità, là dove il Signore sta formando i suoi discepoli. Questo sarà il nostro modo di portare effettivamente il cammino della nostra comunità al “Congresso eucaristico”, per vivere il Giubileo appena celebrato, per rinnovare la nostra fedeltà alla testimonianza del Patrono San Lorenzo e per prepararci ad accogliere il Vescovo nella Visita Pastorale.
Domenica 25 giugno, festa del Corpus Domini, abbiamo celebrato il Giubileo del nostro vicariato attorno all’eucaristia: a settembre il Congresso Eucaristico raccoglierà i diversi cammini pastorali fatti dalle comunità parrocchiali. A fare da riferimento a questo cammino della nostra Chiesa è il brano di Gv 21: il Risorto, all’alba di una notte difficile, viene incontro, sul mare, a uomini sfiduciati e discepoli smarriti. Si fa presente nel segno dell’eucaristia che conferma il suo testamento e il senso di tutta la sua vita e della sua Pasqua: Gesù è il dono di sé che Dio fa all’uomo; dà, così, fede ai discepoli e li costituisce come sua Chiesa. Quella descritta da Giovanni è una vibrante lettura della nostra situazione: in questi uomini che, nella notte, non prendono nulla c’è la parabola dell’uomo in cerca di senso nell’immensità e nella vanità del mondo, sul mare infecondo di una vita che non dà frutto che rimane. C’è la parabola dell’uomo moderno, viaggiatore frenetico e disorientato di un mondo accelerato e complesso: viaggiatore senza bussola, in prova, provvisorio, indeciso: in sospensione di senso e di verità. A quest’uomo il racconto cristiano propone la sua verità: il venire di Cristo incontro all’uomo ha il valore di una rivelazione della Verità: della parola buona, della promessa assoluta e incondizionata che rende possibile all’uomo la decisione della fede; l’uomo può decidere di sé e del senso della vita, può credere e dedicarsi alla verità della sua decisione in quanto la Verità gli viene incontro, anticipa il suo dono e autorizza la nostra dedizione. È questo il senso profondo dell’evento di Cristo, che avviene nella fede: Gesù è il Signore; il Signore della mia vita; la mia salvezza. “É il Signore”; crediamo; siamo salvi. L’evento di Cristo ha la forma della Chiesa. Il Signore si rende presente nella fede dei discepoli e nel loro spezzare il pane in sua memoria. E, come si vede nel racconto di Giovanni, ma anche nelle nostre riunioni di ogni domenica, la preoccupazione del Risorto è quella di riunire e formare la comunità dei discepoli, perché la sua vita e il suo Vangelo restino vivi nel mondo. Di rimando, l’incontro e il riconoscimento del Signore sono possibili nella modalità concreta della Chiesa; in quegli uomini e quelle donne che credono in Gesù Cristo e cercano di vivere come lui: in mezzo al mondo, tra gli altri uomini, sostenuti dalla sua memoria, da come lui ha vissuto l’esistenza umana, e sicuri nell’attesa del suo ritorno. Per tener viva la memoria di Gesù e alimentare la sua attesa la Chiesa dispone dei vangeli e della Bibbia che è il contesto necessario dei vangeli. Ai vangeli la Chiesa è attaccata come il fiume alla sorgente; perché essa vive della parola di Gesù. Della parola e dell’eucaristia; della parola che ha la forma del dono: Gesù che si fa cibo e nutre la nostra fede. A sostenere la memoria e l’attesa di Gesù, la Chiesa dispone dunque, oltre che della Bibbia, dell’eucaristia. Anzi, non è l’eucaristia che appartiene alla Chiesa, come fosse una sua cosa; è piuttosto la Chiesa che appartiene all’eucaristia. L’eucaristia, infatti, è Gesù Cristo: la presenza reale, vera, di Gesù Cristo. È presenza di Gesù, certo, di un tipo particolare, che la teologia dice “sacramentale” o “simbolica”. Presente non come una mummia, ma in tutta la sua vicenda che ha avuto il momento culminante e riassuntivo nella morte, nel sacrificio del Calvario. La Chiesa è il risultato di questo sacrificio, di questo dono perfetto che Gesù Cristo fa di sé. Dono che Gesù aveva profeticamente anticipato nell’ultima Cena, istituendo l’eucaristia, presentando il pane come il suo corpo “dato” e il vino come il suo sangue “versato”; dono concluso con la raccomandazione fatta ai discepoli di ripetere il gesto in sua memoria: “Fate questo in memoria di me”. Raccomandazione non da intendere nel senso riduttivo di ripetere semplicemente il gesto, ma nel senso comprensivo del rimando al sacrificio della croce. In altri termini: come nell’azione di Gesù il gesto eucaristico non è separabile dal sacrificio della croce, così la ripetizione del gesto di Gesù da parte dei discepoli non può ridursi al gesto rituale, ma richiede di spingersi fino al sacrificio e al dono di sé. In conclusione: l’eucaristia è l’invito alla comunione di vita con Gesù Cristo: sedere alla stessa tavola, mangiare lo stesso pane, bere allo stesso calice, significa condividere la stessa sorte, essere invitati a dare il proprio corpo, il proprio sangue, la propria vita, come ha fatto lui, al suo seguito, come suoi discepoli. È questo il senso, lo scopo della presenza del Risorto nell’eucaristia, del suo continuo venire incontro a questi uomini dispersi per farne dei discepoli; per riunire e formare la comunità dei suoi: il corpo formato da un popolo che rende grazie con una vita vissuta come quella di Gesù; perché sia annunciato al mondo, a favore di tutti, il Vangelo di Gesù Cristo. Al centro dell’eucaristia non c’è tanto il banchetto, quanto l’azione di grazie legata alla memoria dell’evento pasquale; non c’è tanto il gesto singolo del mangiare, quanto l’assemblea in stato eucaristico. Il primo frutto inteso dall’eucaristia è la costituzione di un “corpo eucaristico”, formato da una comunità di uomini e donne che rendono grazie con una vita come quella di Gesù. L’eucaristia è efficace se costruisce una comunità viva; se riesce a riunire dal mondo uomini e donne che credono in Gesù, lo seguono e cercano di vivere come lui. Si capisce perché la Chiesa di Bergamo, in questo esame di coscienza epocale che sta cercando di fare con i programmi pastorali del Vescovo, si riunisca attorno all’eucaristia e cerchi di fare un discernimento di sé; per valutare quali assemblee, quali comunità si riuniscono attorno all’eucaristia, e a quali cammini di fede e a quale pastorale dà luogo l’eucaristia. Dimmi come celebri e ti dirò chi sei. Approfondendo e ricomprendendo le “pratiche eucaristiche”, e cioè: la Messa della domenica, la devozione eucaristica, l’eucaristia e l’iniziazione cristiana, l’eucaristia e la morte, si entra nel profondo della vita della nostra comunità, là dove il Signore sta formando i suoi discepoli. Questo sarà il nostro modo di portare effettivamente il cammino della nostra comunità al “Congresso eucaristico”, per vivere il Giubileo appena celebrato, per rinnovare la nostra fedeltà alla testimonianza del Patrono San Lorenzo e per prepararci ad accogliere il Vescovo nella Visita Pastorale.
GRAZIE A TUTTI
Un grande grazie a tutti i giovani e agli adulti che si sono impegnati per la buona riuscita della festa patronale, sia nelle celebrazioni liturgiche che nell’allestimento degli spettacoli e del ristoro legati alla “sagra”. Un grazie di cuore a tutta la Comunità per la partecipazione ai vari momenti. È stato davvero tutto bello.
IL LUOGO DELLA PACE
Andiamo dai nostri morti

Il luogo dove noi seppelliamo i nostri morti si chiama Cimitero o Campo Santo o Sepolcri. Fra le tre dizioni la nostra speranza cristiana preferisce Campo Santo.
- Santo perché quei corpi che giacciono nel sepolcro sono stati santificati un giorno dal Santo Battesimo, hanno ospitato lo Spirito Santo.
- Santo perché dalla santità di Dio è venuta la promessa della Risurrezione.
Un giorno alla fine dei tempi, essi risorgeranno. Non sappiamo ne come ne quando, perché la Risurrezione è una nuova Creazione e la Nuova Creazione è opera di Dio insondabile, ineffabile, imprevedibile.
Oggi il consumismo, il benessere, il gusto architettonico hanno trasformato i nostri cimiteri. Sono cresciute le tombe di famiglia, i loculi; pochi vengono seppelliti nella terra. Tuttavia in alcuni paesi resiste la tradizione della sepoltura nel prato sotto lo strato verde della natura, fra cespugli di rose e di fiori. Il rispetto per i nostri defunti esige che si mantenga al Campo Santo un aspetto di grande decoro e di grande silenzio, ne tale rispetto può impedire tutto ciò che manifesta la gratitudine, il ricordo, il segno di una presenza e di un passaggio.
ABBIAMO PAURA DELLA NOSTRA FEDE
Occorre che nella trasformazione della tomba non si perda di vista la nostra fede e i suoi simboli: la Croce, il volto di Cristo, il volto di Maria promessa di vita, il simbolo della speranza (l’ancora), il simbolo della carità (la lucerna accesa) il simbolo della Pentecoste (la colomba). Abbiamo paura di narrare la nostra fede con simboli della tradizione cristiana? Poiché la nostra fede e la fede in cui hanno creduto i nostri cari viene dalla Parola di Dio, è bene introdurre sulle lapidi dei nostri cimiteri versetti della Bibbia. Poiché noi quando andiamo a visitare la tomba abbiamo bisogno di credere, di pensare al destino che Dio ci prepara, di meditare sul senso della vita, è bene che la tomba non ci dica soltanto quel nome che ci è caro, ma anche le Parole che scrivono le promesse del Signore. Infatti dobbiamo sapere che cosa significa oggi rivisitare il cimitero. I significati sono tanti ed c bene ripensarli. C’è chi va al cimitero per essere coerente al proprio gusto di eleganza, di immagine sociale, per il proprio buon nome. E un’ambizione legittima, ma è anche una ambizione molto limitata. C’è chi va al cimitero per affetto, gli sembra di stare vicino alla persona cara, tributargli tutto l’onore e l’affetto che merita. Un gesto di grande amore e carico di grandi e nobili sentimenti.
OGNI VISITA HA UN SUO SIGNIFICATO
C’è chi va al cimitero per riprendere coraggio, nel senso che la memoria dei nostri cari stimola nel nostro pensiero il ricordo di ciò che essi ci hanno dato e che cosa avrebbero voluto da noi. Tante volte nel Campo Santo avvengono silenziosi dialoghi di amore e di ripensamento, piccoli esami di coscienza che si costruiscono sul confronto fra quella vita e la nostra, fra quei doveri e i nostri doveri, fra quello stile di vita e il nostro stile di vita. La tomba è sovente un richiamo, un appello a seguire con maggior fedeltà la nostra vocazione. Al cimitero si va per ricomporre l’unità della famiglia: ci siamo tutti, siamo tutti attorno a questo segno di amore, tutti a ricordare la storia dei doni ricevuti, delle speranze costruite insieme, delle parole che la morte non ha sotterrato. C’è chi va al cimitero per ritrovare il gusto del silenzio e della preghiera. Per ritrovare il senso più profondo della vita. Ogni visita ha il suo significato. Noi credenti abbiamo ricevuto la promessa di un arrivederci e di una comunione in Dio dove i nostri cari vivono, riposano e sono nella pace.
ANDIAMO A RILEGGERE LA NOSTRA VITA
Non è solo ambizione, ricordo, affetto che ci porta a questa visita. Andiamo a rileggere il principio della nostra vita e la sua destinazione. Andiamo senza tanti fiori, ma con il cuore che batte la preghiera della fede e della speranza; andiamo a rendere conto dei doni ricevuti, delle promesse mantenute o ancora da mantenere, andiamo per una preghiera di famiglia. Oggi visitiamo i cimiteri perché è convenzione che oggi si celebrino queste tombe. Ma la nostra fede ci dice che il tempo non è solo una data o una convenzione sociale, ma una esigenza di profonda comunione e di rinnovamento. Allora la visita può avvenire in qualsiasi momento, nel cuore dell’anno, nelle tappe silenziose della nostra meditazione. Entra, fai il segno di croce, guarda e accarezza quella tomba, accetta il suo invito a essere più uomo, più vero, più buono Vai al cimitero non per sfoggiare, ma per meditare. Vai in quel luogo di tutti per riconoscere la casa di tutti. Entra con la speranza che quel filo non si è spezzato e quella grande Croce ha vinto la morte. Va senza paura: è il luogo della pace.
- Santo perché quei corpi che giacciono nel sepolcro sono stati santificati un giorno dal Santo Battesimo, hanno ospitato lo Spirito Santo.
- Santo perché dalla santità di Dio è venuta la promessa della Risurrezione.
Un giorno alla fine dei tempi, essi risorgeranno. Non sappiamo ne come ne quando, perché la Risurrezione è una nuova Creazione e la Nuova Creazione è opera di Dio insondabile, ineffabile, imprevedibile.
Oggi il consumismo, il benessere, il gusto architettonico hanno trasformato i nostri cimiteri. Sono cresciute le tombe di famiglia, i loculi; pochi vengono seppelliti nella terra. Tuttavia in alcuni paesi resiste la tradizione della sepoltura nel prato sotto lo strato verde della natura, fra cespugli di rose e di fiori. Il rispetto per i nostri defunti esige che si mantenga al Campo Santo un aspetto di grande decoro e di grande silenzio, ne tale rispetto può impedire tutto ciò che manifesta la gratitudine, il ricordo, il segno di una presenza e di un passaggio.
ABBIAMO PAURA DELLA NOSTRA FEDE
Occorre che nella trasformazione della tomba non si perda di vista la nostra fede e i suoi simboli: la Croce, il volto di Cristo, il volto di Maria promessa di vita, il simbolo della speranza (l’ancora), il simbolo della carità (la lucerna accesa) il simbolo della Pentecoste (la colomba). Abbiamo paura di narrare la nostra fede con simboli della tradizione cristiana? Poiché la nostra fede e la fede in cui hanno creduto i nostri cari viene dalla Parola di Dio, è bene introdurre sulle lapidi dei nostri cimiteri versetti della Bibbia. Poiché noi quando andiamo a visitare la tomba abbiamo bisogno di credere, di pensare al destino che Dio ci prepara, di meditare sul senso della vita, è bene che la tomba non ci dica soltanto quel nome che ci è caro, ma anche le Parole che scrivono le promesse del Signore. Infatti dobbiamo sapere che cosa significa oggi rivisitare il cimitero. I significati sono tanti ed c bene ripensarli. C’è chi va al cimitero per essere coerente al proprio gusto di eleganza, di immagine sociale, per il proprio buon nome. E un’ambizione legittima, ma è anche una ambizione molto limitata. C’è chi va al cimitero per affetto, gli sembra di stare vicino alla persona cara, tributargli tutto l’onore e l’affetto che merita. Un gesto di grande amore e carico di grandi e nobili sentimenti.
OGNI VISITA HA UN SUO SIGNIFICATO
C’è chi va al cimitero per riprendere coraggio, nel senso che la memoria dei nostri cari stimola nel nostro pensiero il ricordo di ciò che essi ci hanno dato e che cosa avrebbero voluto da noi. Tante volte nel Campo Santo avvengono silenziosi dialoghi di amore e di ripensamento, piccoli esami di coscienza che si costruiscono sul confronto fra quella vita e la nostra, fra quei doveri e i nostri doveri, fra quello stile di vita e il nostro stile di vita. La tomba è sovente un richiamo, un appello a seguire con maggior fedeltà la nostra vocazione. Al cimitero si va per ricomporre l’unità della famiglia: ci siamo tutti, siamo tutti attorno a questo segno di amore, tutti a ricordare la storia dei doni ricevuti, delle speranze costruite insieme, delle parole che la morte non ha sotterrato. C’è chi va al cimitero per ritrovare il gusto del silenzio e della preghiera. Per ritrovare il senso più profondo della vita. Ogni visita ha il suo significato. Noi credenti abbiamo ricevuto la promessa di un arrivederci e di una comunione in Dio dove i nostri cari vivono, riposano e sono nella pace.
ANDIAMO A RILEGGERE LA NOSTRA VITA
Non è solo ambizione, ricordo, affetto che ci porta a questa visita. Andiamo a rileggere il principio della nostra vita e la sua destinazione. Andiamo senza tanti fiori, ma con il cuore che batte la preghiera della fede e della speranza; andiamo a rendere conto dei doni ricevuti, delle promesse mantenute o ancora da mantenere, andiamo per una preghiera di famiglia. Oggi visitiamo i cimiteri perché è convenzione che oggi si celebrino queste tombe. Ma la nostra fede ci dice che il tempo non è solo una data o una convenzione sociale, ma una esigenza di profonda comunione e di rinnovamento. Allora la visita può avvenire in qualsiasi momento, nel cuore dell’anno, nelle tappe silenziose della nostra meditazione. Entra, fai il segno di croce, guarda e accarezza quella tomba, accetta il suo invito a essere più uomo, più vero, più buono Vai al cimitero non per sfoggiare, ma per meditare. Vai in quel luogo di tutti per riconoscere la casa di tutti. Entra con la speranza che quel filo non si è spezzato e quella grande Croce ha vinto la morte. Va senza paura: è il luogo della pace.
Il 3 ottobre scorso è iniziata la Visita Pastorale nel nostro Vicariato. Nella celebrazione di apertura, don Lucio ha salutato il Vescovo dicendo le attese e le speranze che sono nel cuore delle comunità.
Vescovo Roberto,
Lei ci ha scritto che: “La visita pastorale vuole essere un piccolo, fraterno e sincero aiuto per il cammino di fede delle vostre comunità, affinché, riconoscendo nella loro storia passata le grandi opere del Signore e le proprie inadempienze, lodino con riconoscenza il Signore, e siano in continua conversione per dire anche oggi la misericordia infinita della Croce. E noi accogliamo la sua visita con tanto affetto, con riconoscenza c con il cuore aperto a ciò che lo Spirito Santo vorrà suscitare nei nostri cuori attraverso le parole che ci dirà e i gesti che compirà. Accogliamo con gioia e gratitudine la sua visita, che tanto La impegna, mentre il cuore di noi tutti si riempie di attese e di speranze. Speranze che sono: In noi sacerdoti che lavoriamo nelle comunità del vicariato e condividiamo le gioie, le amarezze le fatiche e le preoccupazioni delle persone che ci sono affidate. Che il suo insegnamento e il suo discernimento ci aiuti ad uscire dalle vie solite della pastorale, ormai divenute infruttuose, per individuarne nuove e più capaci di parlare al cuore degli uomini. Attese che sono nelle Suore che testimoniano tra noi la gioia e la bellezza del donarsi interamente a Cristo nel servizio alla comunità e nella preghiera. La Sua presenza faccia comprendere sempre meglio il messaggio che la vita consacrata porta dentro. Speranze che sono in tutti coloro che si dedicano alla crescita delle comunità nei vari settori della catechesi, della liturgia, delia carità, della missionarietà, nelle associazioni di volontariato, dell’animazione fra ragazzi, adolescenti e giovani. Alle volte sono tentati di cedere alla delusione per gli scarsi successi e di abbandonare il loro servizio; La Sua presenza li rinnovi nell’entusiasmo e susciti la voglia della collaborazione tra tutti per essere stimolo delle nostre comunità. L’Accolgono le amministrazioni comunali. Le Sue parole aiutino gli uomini e le donne, lì impegnate, a non dimenticare mai che il loro servizio è per un vivere insieme armonioso, è per il bene comune e per la crescita della partecipazione di tutti. L’aspettano i nostri malati e i nostri anziani: sono tanti nelle nostre comunità! Lei li visiterà nelle loro case che molte volte sono luoghi di sofferenza, li incontrerà uno per uno, per mostrar loro l’amore premuroso di Cristo per i più deboli. La sua visita faccia sentire che tutti noi li amiamo, li apprezziamo e che loro possono ancora donarci molto. L’attendono i nostri bambini, i ragazzi, gli adolescenti. Essi sono al centro dell’attenzione, delle premure di tutti: famiglia, scuola, oratori e gruppi sportivi. Ci aiuti eccellenza a capire che è indispensabile la collaborazione tra tutti costoro per aiutare i nostri ragazzi a crescere guardando verso l’alto e a non appiattirsi in un orizzonte puramente materiale. L’accolgono eccellenza i giovani. Sia quelli che vivono la vita delle comunità cristiane e che, seppur con fatica, trovano in Gesù una sorgente inesauribile di amore di vita e di gioia. Sia coloro che stanno consumando la giovinezza nell’effimero e non conoscono la gioia profonda di chi ha scoperto in Gesù Cristo l’amico che non delude. Ci aiuti, vescovo Roberto, con la Sua presenza a trovare l’amore, la pazienza, il coraggio, la fantasia necessarie per stare accanto a loro e per andare verso di loro. Ci aiuti a far si che ciò che è stato seminato nel cuore di tanti giovani nella giornata mondiale della gioventù a Roma, non vada disperso ma possa trovare nelle parrocchie, stimoli e aiuti per crescere e maturare. L’accolgono le nostre comunità parrocchiali. E chiediamo aiuto per crescere nella corresponsabilità, e nella partecipazione. Ci aiuti a capire, eccellenza, che celebrare l’Eucarestia nel giorno del Signore, significa essere chiamati a donarci agli altri a spenderci personalmente e a dare il proprio contributo alla vita della comunità. E ci aiuti a fare il cammino necessario perché nelle comunità del nostro vicariato cresca sempre di più la collaborazione e che questa non sia solo episodica e volta solo ad aspetti organizzativi, ma diventi mentalità comune a pensare e a ricercare insieme le vie perché, attraverso le nostre comunità, gli uomini possano ancora oggi, incontrare il Signore.
Lei ci ha scritto che: “La visita pastorale vuole essere un piccolo, fraterno e sincero aiuto per il cammino di fede delle vostre comunità, affinché, riconoscendo nella loro storia passata le grandi opere del Signore e le proprie inadempienze, lodino con riconoscenza il Signore, e siano in continua conversione per dire anche oggi la misericordia infinita della Croce. E noi accogliamo la sua visita con tanto affetto, con riconoscenza c con il cuore aperto a ciò che lo Spirito Santo vorrà suscitare nei nostri cuori attraverso le parole che ci dirà e i gesti che compirà. Accogliamo con gioia e gratitudine la sua visita, che tanto La impegna, mentre il cuore di noi tutti si riempie di attese e di speranze. Speranze che sono: In noi sacerdoti che lavoriamo nelle comunità del vicariato e condividiamo le gioie, le amarezze le fatiche e le preoccupazioni delle persone che ci sono affidate. Che il suo insegnamento e il suo discernimento ci aiuti ad uscire dalle vie solite della pastorale, ormai divenute infruttuose, per individuarne nuove e più capaci di parlare al cuore degli uomini. Attese che sono nelle Suore che testimoniano tra noi la gioia e la bellezza del donarsi interamente a Cristo nel servizio alla comunità e nella preghiera. La Sua presenza faccia comprendere sempre meglio il messaggio che la vita consacrata porta dentro. Speranze che sono in tutti coloro che si dedicano alla crescita delle comunità nei vari settori della catechesi, della liturgia, delia carità, della missionarietà, nelle associazioni di volontariato, dell’animazione fra ragazzi, adolescenti e giovani. Alle volte sono tentati di cedere alla delusione per gli scarsi successi e di abbandonare il loro servizio; La Sua presenza li rinnovi nell’entusiasmo e susciti la voglia della collaborazione tra tutti per essere stimolo delle nostre comunità. L’Accolgono le amministrazioni comunali. Le Sue parole aiutino gli uomini e le donne, lì impegnate, a non dimenticare mai che il loro servizio è per un vivere insieme armonioso, è per il bene comune e per la crescita della partecipazione di tutti. L’aspettano i nostri malati e i nostri anziani: sono tanti nelle nostre comunità! Lei li visiterà nelle loro case che molte volte sono luoghi di sofferenza, li incontrerà uno per uno, per mostrar loro l’amore premuroso di Cristo per i più deboli. La sua visita faccia sentire che tutti noi li amiamo, li apprezziamo e che loro possono ancora donarci molto. L’attendono i nostri bambini, i ragazzi, gli adolescenti. Essi sono al centro dell’attenzione, delle premure di tutti: famiglia, scuola, oratori e gruppi sportivi. Ci aiuti eccellenza a capire che è indispensabile la collaborazione tra tutti costoro per aiutare i nostri ragazzi a crescere guardando verso l’alto e a non appiattirsi in un orizzonte puramente materiale. L’accolgono eccellenza i giovani. Sia quelli che vivono la vita delle comunità cristiane e che, seppur con fatica, trovano in Gesù una sorgente inesauribile di amore di vita e di gioia. Sia coloro che stanno consumando la giovinezza nell’effimero e non conoscono la gioia profonda di chi ha scoperto in Gesù Cristo l’amico che non delude. Ci aiuti, vescovo Roberto, con la Sua presenza a trovare l’amore, la pazienza, il coraggio, la fantasia necessarie per stare accanto a loro e per andare verso di loro. Ci aiuti a far si che ciò che è stato seminato nel cuore di tanti giovani nella giornata mondiale della gioventù a Roma, non vada disperso ma possa trovare nelle parrocchie, stimoli e aiuti per crescere e maturare. L’accolgono le nostre comunità parrocchiali. E chiediamo aiuto per crescere nella corresponsabilità, e nella partecipazione. Ci aiuti a capire, eccellenza, che celebrare l’Eucarestia nel giorno del Signore, significa essere chiamati a donarci agli altri a spenderci personalmente e a dare il proprio contributo alla vita della comunità. E ci aiuti a fare il cammino necessario perché nelle comunità del nostro vicariato cresca sempre di più la collaborazione e che questa non sia solo episodica e volta solo ad aspetti organizzativi, ma diventi mentalità comune a pensare e a ricercare insieme le vie perché, attraverso le nostre comunità, gli uomini possano ancora oggi, incontrare il Signore.
È INIZIATA LA VISITA PASTORALE
Il Vescovo, dopo aver ringraziato don Lucio, ha rivolto un saluto a tutte le comunità del Vicariato, in particolare ai Sacerdoti, alle Religiose e a coloro che soffrono fisicamente e moralmente e che incontrerà nel corso della Visita Pastorale.
Mons. Amadei ha sottolineato il significato e l’importanza di essere raccolti davanti al Signore nell’Eucarestia, per chiedere a Lui la grazia per rendere fecondo per ciascuno rincontro della Visita Pastorale. Il programma è lungo e impegnativo, e rincontro sarà fecondo se, con l’ascolto reciproco e la preghiera insieme, ci si aiuterà a comprendere meglio e a seguire con maggiore decisione e gioia il Signore Gesù, che quest’anno ricordiamo con particolare intensità nel Giubileo. La Visita Pastorale sarà riuscita se si arriverà al termine avendo conosciuto un po’ di più Gesù Cristo e avendolo seguito con più decisione, perché questo è il cuore della fede cristiana: comprendere Gesù come persona viva, perché tante volte pensiamo a Lui come un vago e sfumato ricordo; comprenderlo come il vivente, per sempre, cioè colui che ha superato prima di noi e per noi la morte e che condivide la vita piena di Dio; comprenderlo e conoscerlo nel suo programma di vita, cioè nel modo in cui ha vissuto la sua vita. Guardando come egli ha vissuto e amato gli uomini noi possiamo comprendere chi è Dio. Nessuno mai ha visto il Padre, ma Gesù è venuto a raccontarcelo e a mostrarci il volto e il cuore di Dio: guardando Lui capiremo che Dio è Padre benevolo e misericordioso, sempre rivolto agli uomini e desideroso di allearsi con noi e di condividere la sua vita con quella dell’umanità intera. La carità di cui S. Paolo parla non è ciò che facciamo, ma è Dio. Sappiamo che è così guardando la vita di Gesù e come egli si è comportato. Comprendere Gesù ci permette di capire chi siamo e come vivere la vita di ogni giorno: siamo come Lui dei figli amatissimi di Dio Padre che hanno il diritto datoci da Lui di chiamarlo Abbà, Padre. Siamo chiamati a divenire amore con e come Gesù e come il Padre, ora e per sempre, per tutta l’eternità. Questa è la vocazione dell’uomo, chiamato alla vita perché diventi sempre più come il Signore, carità e amore, e chiamato a condividere la gioia di Dio, che sta nella carità, chiamato a divenire Amore come Dio. L’Amore è l’unico più forte della morte e fa passare oltre la morte nella vita piena. È possibile scoprire cosa significa amare come Dio rileggendo la vita e risentendo le parole di Gesù: si comprende cosa significa amare anche quando si è rifiutati, amare gratuitamente e amare aperti a tutti, amare nel perdono, amare chi si allontana. La vera scuola dell’amore sono la croce e l’Eucarestia. Comprendere Gesù vuol dire comprendere che Dio è Dio con noi e per noi, al nostro totale servizio, in noi perché abita nel nostro cuore, anche se spesso è un ospite dimenticato. Questa è la realtà più bella, che dà valore inestimabile ad ogni vita umana, realtà che nessun peccato o rifiuto può distruggere; realtà consolante e liberante, perché ci dice che siamo sempre nelle sue mani e Lui è sempre in nostra compagnia. Comprendiamo la preziosità della nostra vita, di ogni suo momento e di ogni età. Comprendere Gesù implica deciderci per Lui consegnando a Lui la nostra vita e le nostre giornate, vivendole alla luce della sua parola, volendo vivere i rapporti con gli altri, le gioie e le sofferenze come Lui ha vissuto e come la sua Parola ci dice, con la convinzione che questo non è uno dei tanti modi per vivere, ma è l’unico modo valido per vivere la nostra esistenza perché è l’unico che porta alla pienezza di vita. Soltanto vivendo con e come Lui, pensando come Lui e comportandosi con gli altri come fa Lui con noi, diventeremo risorti come Lui e saremo delle persone veramente riuscite. Consegnare la vita a Lui vuol dire credere: credere non significa solo sapere che Lui esiste e vivere poi come se non esistesse. Credere vuol dire sapere che Lui ò questo amore immenso che circonda la nostra vita, e quindi significa accoglierlo e consegnargli il vivere quotidiano, facendogli illuminare ogni momento di gioia e fatica, seguendo ogni parola. Questo è l’obiettivo principale della Visita Pastorale, aiutarci a vicenda a tornare al cuore della fede cristiana, che è questo rapporto personale con Gesù. Il cuore del cristianesimo non sono delle pratiche ma è una persona, Lui. Occorre accoglierlo come la guida, l’amico, la luce, come colui che illumina gli aspetti più problematici e più belli della nostra esistenza, come colui che ci dice che anche nel piccolo gesto di dare un po’ d’acqua a chi ha sete, Lui è presente, e quel gesto assume un valore immenso. Lui è presente per dirci che il lavoro quotidiano, nella professione o in famiglia, non serve soltanto a guadagnare per vivere, ma per costruire noi e gli altri come Lui ci vuole e per far avanzare il suo regno. Quindi l’obiettivo è di aiutarci a ritornare al cuore della fede cristiana che sta nella risposta personale all’amore personale di Gesù, risposta che non è delegabile. Ognuno è amato personalmente, e a ciascuno il Signore dice di seguirlo. Nessuno può delegare, ma ciascuno è chiamato ad accogliere o rifiutare questo dono immenso. Se torniamo davvero al cuore della fere cristiana (e oggi ce n’è davvero bisogno) allora scopriremo la preziosità unica della fede, unica perché ci permette di conoscere veramente chi siamo, da chi veniamo e verso chi stiamo andando, e ci permette di capire cos’è questa vita umana. Scopriremo la gioia di essere credenti appunto perché sappiamo chi siamo, da chi veniamo e dove stiamo andando. Sentiremo la responsabilità di testimoniare agli altri la gioia che noi proviamo nel sentirci del Signore, di testimoniare questo amore perché anch’essi se vogliono possono condividere questa gioia e possono arrivare a questa scoperta. Saremo credibili solo se nella nostra vita continueremo nella scoperta e riscoperta dell’amore inesauribile del Signore, scoperta che si fa preghiera, impegno per seguirlo nella nostra vita di ogni giorno, impegno per tener viva con la nostra testimonianza la speranza di tutti nell’amore del Signore, la speranza che il Signore non ha mai abbandonato e mai abbandonerà questa storia: ha dato suo figlio non perché il mondo venga giudicato, ma salvato. Questo è quanto ci dice il Giubileo: tener viva la speranza e la scoperta che Dio è appassionatamente per noi, sempre, anche nella morte e oltre la morte. Il legame di fiducia, di amore, obbedienza e speranza con Gesù ci aiuterà a comprendere meglio e a vivere con più responsabilità il nostro essere Chiesa.
Mons. Amadei ha sottolineato il significato e l’importanza di essere raccolti davanti al Signore nell’Eucarestia, per chiedere a Lui la grazia per rendere fecondo per ciascuno rincontro della Visita Pastorale. Il programma è lungo e impegnativo, e rincontro sarà fecondo se, con l’ascolto reciproco e la preghiera insieme, ci si aiuterà a comprendere meglio e a seguire con maggiore decisione e gioia il Signore Gesù, che quest’anno ricordiamo con particolare intensità nel Giubileo. La Visita Pastorale sarà riuscita se si arriverà al termine avendo conosciuto un po’ di più Gesù Cristo e avendolo seguito con più decisione, perché questo è il cuore della fede cristiana: comprendere Gesù come persona viva, perché tante volte pensiamo a Lui come un vago e sfumato ricordo; comprenderlo come il vivente, per sempre, cioè colui che ha superato prima di noi e per noi la morte e che condivide la vita piena di Dio; comprenderlo e conoscerlo nel suo programma di vita, cioè nel modo in cui ha vissuto la sua vita. Guardando come egli ha vissuto e amato gli uomini noi possiamo comprendere chi è Dio. Nessuno mai ha visto il Padre, ma Gesù è venuto a raccontarcelo e a mostrarci il volto e il cuore di Dio: guardando Lui capiremo che Dio è Padre benevolo e misericordioso, sempre rivolto agli uomini e desideroso di allearsi con noi e di condividere la sua vita con quella dell’umanità intera. La carità di cui S. Paolo parla non è ciò che facciamo, ma è Dio. Sappiamo che è così guardando la vita di Gesù e come egli si è comportato. Comprendere Gesù ci permette di capire chi siamo e come vivere la vita di ogni giorno: siamo come Lui dei figli amatissimi di Dio Padre che hanno il diritto datoci da Lui di chiamarlo Abbà, Padre. Siamo chiamati a divenire amore con e come Gesù e come il Padre, ora e per sempre, per tutta l’eternità. Questa è la vocazione dell’uomo, chiamato alla vita perché diventi sempre più come il Signore, carità e amore, e chiamato a condividere la gioia di Dio, che sta nella carità, chiamato a divenire Amore come Dio. L’Amore è l’unico più forte della morte e fa passare oltre la morte nella vita piena. È possibile scoprire cosa significa amare come Dio rileggendo la vita e risentendo le parole di Gesù: si comprende cosa significa amare anche quando si è rifiutati, amare gratuitamente e amare aperti a tutti, amare nel perdono, amare chi si allontana. La vera scuola dell’amore sono la croce e l’Eucarestia. Comprendere Gesù vuol dire comprendere che Dio è Dio con noi e per noi, al nostro totale servizio, in noi perché abita nel nostro cuore, anche se spesso è un ospite dimenticato. Questa è la realtà più bella, che dà valore inestimabile ad ogni vita umana, realtà che nessun peccato o rifiuto può distruggere; realtà consolante e liberante, perché ci dice che siamo sempre nelle sue mani e Lui è sempre in nostra compagnia. Comprendiamo la preziosità della nostra vita, di ogni suo momento e di ogni età. Comprendere Gesù implica deciderci per Lui consegnando a Lui la nostra vita e le nostre giornate, vivendole alla luce della sua parola, volendo vivere i rapporti con gli altri, le gioie e le sofferenze come Lui ha vissuto e come la sua Parola ci dice, con la convinzione che questo non è uno dei tanti modi per vivere, ma è l’unico modo valido per vivere la nostra esistenza perché è l’unico che porta alla pienezza di vita. Soltanto vivendo con e come Lui, pensando come Lui e comportandosi con gli altri come fa Lui con noi, diventeremo risorti come Lui e saremo delle persone veramente riuscite. Consegnare la vita a Lui vuol dire credere: credere non significa solo sapere che Lui esiste e vivere poi come se non esistesse. Credere vuol dire sapere che Lui ò questo amore immenso che circonda la nostra vita, e quindi significa accoglierlo e consegnargli il vivere quotidiano, facendogli illuminare ogni momento di gioia e fatica, seguendo ogni parola. Questo è l’obiettivo principale della Visita Pastorale, aiutarci a vicenda a tornare al cuore della fede cristiana, che è questo rapporto personale con Gesù. Il cuore del cristianesimo non sono delle pratiche ma è una persona, Lui. Occorre accoglierlo come la guida, l’amico, la luce, come colui che illumina gli aspetti più problematici e più belli della nostra esistenza, come colui che ci dice che anche nel piccolo gesto di dare un po’ d’acqua a chi ha sete, Lui è presente, e quel gesto assume un valore immenso. Lui è presente per dirci che il lavoro quotidiano, nella professione o in famiglia, non serve soltanto a guadagnare per vivere, ma per costruire noi e gli altri come Lui ci vuole e per far avanzare il suo regno. Quindi l’obiettivo è di aiutarci a ritornare al cuore della fede cristiana che sta nella risposta personale all’amore personale di Gesù, risposta che non è delegabile. Ognuno è amato personalmente, e a ciascuno il Signore dice di seguirlo. Nessuno può delegare, ma ciascuno è chiamato ad accogliere o rifiutare questo dono immenso. Se torniamo davvero al cuore della fere cristiana (e oggi ce n’è davvero bisogno) allora scopriremo la preziosità unica della fede, unica perché ci permette di conoscere veramente chi siamo, da chi veniamo e verso chi stiamo andando, e ci permette di capire cos’è questa vita umana. Scopriremo la gioia di essere credenti appunto perché sappiamo chi siamo, da chi veniamo e dove stiamo andando. Sentiremo la responsabilità di testimoniare agli altri la gioia che noi proviamo nel sentirci del Signore, di testimoniare questo amore perché anch’essi se vogliono possono condividere questa gioia e possono arrivare a questa scoperta. Saremo credibili solo se nella nostra vita continueremo nella scoperta e riscoperta dell’amore inesauribile del Signore, scoperta che si fa preghiera, impegno per seguirlo nella nostra vita di ogni giorno, impegno per tener viva con la nostra testimonianza la speranza di tutti nell’amore del Signore, la speranza che il Signore non ha mai abbandonato e mai abbandonerà questa storia: ha dato suo figlio non perché il mondo venga giudicato, ma salvato. Questo è quanto ci dice il Giubileo: tener viva la speranza e la scoperta che Dio è appassionatamente per noi, sempre, anche nella morte e oltre la morte. Il legame di fiducia, di amore, obbedienza e speranza con Gesù ci aiuterà a comprendere meglio e a vivere con più responsabilità il nostro essere Chiesa.
Abbiamo il bisogno di chiederci cosa è la Parrocchia e cosa significa essere Chiesa. Questo è uno dei punti più problematici della nostra fede di oggi ed è quindi quello che ha più bisogno di essere messo in luce da parte nostra. Siamo Chiesa o Parrocchia non perché la pensiamo nello stesso modo o perché abitiamo nello stesso territorio o perché abbiamo gli stessi interessi, ma perché ci ritroviamo in Lui, perché Lui ci abita, è presente in noi e per questo siamo comunità. Comunità significa avere qualcosa in comune, ma la comunità cristiana è l’insieme di chi ha in comune Gesù Cristo e l’amore del Signore e che quindi cerca di regolare i propri rapporti all’interno e all’esterno della comunità alla luce di questo amore. Questa è la Chiesa, proprio perché nell’ascolto della sua Parola, accogliendolo nell’Eucarestia e facendo comunione con Lui, accogliendo in noi il suo amore e il suo programma di vita, noi diventiamo legati tra di noi dal vincolo del suo amore e abbiamo il compito di manifestarlo nel nostro territorio. Compito di mostrare, seguendo il suo stile di vita che è amore, servizio e carità, che egli è efficacemente presente nella storia dell’uomo, che continua ad essere presente attraverso di noi con l’amore che aveva sulla croce. Chiesa che ha il compito di mostrare qual è il sogno che Dio ha sull’umanità, che non è quello che l’umanità continui a vivere lottando in diversi modi, ma è il sogno è un’umanità che, scoprendo di essere famiglia di questo Padre e scoprendo di essere chiamata a condividere il suo cuore, cerca di amarsi di più. Questo è il compito della Chiesa e di ogni comunità. Per capire la Chiesa bisogna partire da Gesù Cristo che abita in noi e ci rende suo corpo, segno e manifestazione. Comprendendo questo capiremo che ciascuno di noi ha la possibilità e il dovere di dare il proprio contributo perché la propria Parrocchia sia sempre più come il Signore la sogna, una comunità che manifesti l’amore del Signore. Dipende da ciascuno di noi, e si realizza se ciascuno, partendo dal dono che riceve dal Signore, dà il proprio piccolo ma prezioso contributo perché la Parrocchia sia veramente una famiglia nel Signore e testimoni davvero l’amore del Signore, sia nei rapporti all’interno della comunità, sia in quelli nella società e con le altre Parrocchie del vicariato. Dobbiamo mostrare al territorio cosa significa seguire Gesù Cristo. Il Vescovo ha affidato questo desiderio al Signore mediante la preghiera: in questi due mesi pregherà in particolare per noi e ha chiesto alle nostre comunità di pregare per lui, perché insieme con l’aiuto del Signore ci aiutiamo a scoprire la stupenda e preziosa presenza del Signore Gesù in mezzo a noi, presenza che dà speranza, coraggio, fiducia, e perché scopriamo la bellezza di essere Chiesa, dove tutti troviamo tante ombre, peccati e debolezze, ma soprattutto l’amore del Signore.
|
Mons. Amadei ha affidato questo desiderio a Maria, a lei che più di tutti ha conosciuto Gesù, si è consegnata a Lui e non si è mai tirata indietro, nemmeno sulla croce; a lei che è presentata come il modello della Chiesa, modello della comunità che è in ascolto della Parola, che fa comunione con il Signore, che corre sulla strada che conduce a Elisabetta per portare Gesù; a lei che ha condiviso sotto la croce l’amore di Gesù per tutti noi. Il Vescovo ha concluso quindi con una preghiera a Maria, perché ci aiuti a scoprire Gesù, ad amarlo come lei lo ha amato e a seguirlo come lei lo ha seguito, ad essere Chiesa come lei.
Susy Traini |
PROGRAMMA PASTORALE 2000-2001
“Se vuoi essere perfetto”

Premessa generale
Il cammino del programma pastorale di questi anni si è proposto di aiutare le comunità cristiane ad assumere la sfida della nuova evangelizzazione, riprendendo le linee del Concilio Vaticano II. Per fare ciò, ci si è lasciati guidare dalle indicazioni conciliari che ripercorrono le tre dimensioni essenziali della vita cristiana (Parola, Liturgia, Testimonianza), a partire dalle concrete condizioni di vita degli uomini e dalla loro situazione culturale. Questo sforzo sembra incominciare a dare qualche frutto, perché molte persone ormai sono consapevoli che il confronto con la modernità non solo è inevitabile, ma non è neppure necessariamente pericoloso e devastante per la fede cristiana. Tutti portiamo dentro le convinzioni che ci vengono dalla cultura che respiriamo, nel bene e nel male. Proprio nell’ambiente in cui viviamo siamo chiamati a portare il vangelo del Signore. La fatica della nuova evangelizzazione non può, però, essere frutto dell’opera pur geniale di qualcuno, ma deve essere il risultato di una programmazione pastorale più condivisa e più critica, benché non si abbia ancora chiara la percezione di quali comportamenti pastorali assumere per risolvere i problemi che si vanno via via individuando con maggiore chiarezza. Anche il dialogo tra centro e periferia della Diocesi, almeno per quanto riguarda le sussidiazioni e le iniziative di sensibilizzazione sul programma pastorale, inizia a dare i suoi frutti. Si ritiene perciò doveroso continuare sulla linea proposta e terminarla, proprio affrontando l’analisi delle pratiche pastorali presenti nelle nostre comunità e relative alla categoria di testimonianza. Proprio in queste dimensioni si concreta la maggiore difficoltà di presenza della Chiesa nel mondo. Infatti, non sembra immediatamente evidente cogliere azioni ecclesiali efficaci e individuanti nell’educazione della coscienza morale. L’impressione più diffusa è quella che ognuno proceda per conto suo, in modo sparpagliato e con incertezza. Tutti si sentono autorizzati a chiamarsi cristiani, pur tenendo comportamenti molto diversi e spesso contrastanti: lo si vede molto bene in politica, dove molti movimenti e forze politiche si definiscono d’ispirazione cristiana o laici, ma aperti ai valori del cristianesimo. Resta poi da giudicare i comportamenti concreti, sui quali, magari, il Magistero della Chiesa propone sentenze molto dibattute. Senza scomodare la politica, anche le nostre comunità confermano questa impressione di un cristianesimo che va bene a tutti e che non accontenta nessuno: i programmi pastorali degli anni scorsi hanno dimostrato quanto sia difficile oggi ricondurre le scelte della vita quotidiana degli individui e delle comunità alla Parola di Dio e alla Liturgia. Il compito che ci attende è quello di sottoporre a verifica e a programmazione pastorale proprio il comparto della vita di fede nelle tre dimensioni a suo tempo prospettate: educazione della coscienza morale rapporto Chiesa – mondo Chiesa e poveri. Il Congresso Eucaristico Diocesano dovrebbe costituire un momento importante di presa di coscienza dell’urgenza del tempo che stiamo vivendo e dovrebbe segnare una tappa importante nel cammino del programma pastorale. Per questo il tema teologico del Congresso Eucaristico, ripreso dall’attuale programma pastorale, si presta molto bene a costituire lo sfondo teologico su cui impostare il successivo triennio del programma pastorale. Infatti, la centralità della presenza reale del Signore nella testimonianza della Chiesa trova appunto nell’Eucaristia il momento culminante ed efficace e chiede di essere riletta a partire proprio dalle dimensioni eucaristiche che la animano. Il programma pastorale dei prossimi tre anni dovrebbe allora rileggere le pratiche della testimonianza cristiana nella successione proposta, proprio a partire dalle categorie teologico-eucaristiche individuate nel Congresso Eucaristico Diocesano. Il lavoro del programma pastorale prende spunto dalla Parola di Dio. Ascoltare e meditare questa Parola e un atteggiamento che sempre deve alimentare la ricerca della verità e il desiderio di servizio nella Chiesa. Proponiamo come icona biblica di riferimento l’episodio del giovane ricco, nella versione di Matteo. Esso è inserito in un capitolo dedicato a temi importanti per la pratica cristiana: il matrimonio, la condizione di eunuchi per il regno dei cieli, i bambini, le ricchezze. Ila però una sua fisionomia tutta particolare, in quanto propone una riflessione di fondo sul significato del nostro essere discepoli di Gesù. Per questo motivo ci guiderà nel lavoro di revisione delle pratiche pastorali nelle quali si concretizza la cura della formazione della coscienza morale cristiana.
Il cammino del programma pastorale di questi anni si è proposto di aiutare le comunità cristiane ad assumere la sfida della nuova evangelizzazione, riprendendo le linee del Concilio Vaticano II. Per fare ciò, ci si è lasciati guidare dalle indicazioni conciliari che ripercorrono le tre dimensioni essenziali della vita cristiana (Parola, Liturgia, Testimonianza), a partire dalle concrete condizioni di vita degli uomini e dalla loro situazione culturale. Questo sforzo sembra incominciare a dare qualche frutto, perché molte persone ormai sono consapevoli che il confronto con la modernità non solo è inevitabile, ma non è neppure necessariamente pericoloso e devastante per la fede cristiana. Tutti portiamo dentro le convinzioni che ci vengono dalla cultura che respiriamo, nel bene e nel male. Proprio nell’ambiente in cui viviamo siamo chiamati a portare il vangelo del Signore. La fatica della nuova evangelizzazione non può, però, essere frutto dell’opera pur geniale di qualcuno, ma deve essere il risultato di una programmazione pastorale più condivisa e più critica, benché non si abbia ancora chiara la percezione di quali comportamenti pastorali assumere per risolvere i problemi che si vanno via via individuando con maggiore chiarezza. Anche il dialogo tra centro e periferia della Diocesi, almeno per quanto riguarda le sussidiazioni e le iniziative di sensibilizzazione sul programma pastorale, inizia a dare i suoi frutti. Si ritiene perciò doveroso continuare sulla linea proposta e terminarla, proprio affrontando l’analisi delle pratiche pastorali presenti nelle nostre comunità e relative alla categoria di testimonianza. Proprio in queste dimensioni si concreta la maggiore difficoltà di presenza della Chiesa nel mondo. Infatti, non sembra immediatamente evidente cogliere azioni ecclesiali efficaci e individuanti nell’educazione della coscienza morale. L’impressione più diffusa è quella che ognuno proceda per conto suo, in modo sparpagliato e con incertezza. Tutti si sentono autorizzati a chiamarsi cristiani, pur tenendo comportamenti molto diversi e spesso contrastanti: lo si vede molto bene in politica, dove molti movimenti e forze politiche si definiscono d’ispirazione cristiana o laici, ma aperti ai valori del cristianesimo. Resta poi da giudicare i comportamenti concreti, sui quali, magari, il Magistero della Chiesa propone sentenze molto dibattute. Senza scomodare la politica, anche le nostre comunità confermano questa impressione di un cristianesimo che va bene a tutti e che non accontenta nessuno: i programmi pastorali degli anni scorsi hanno dimostrato quanto sia difficile oggi ricondurre le scelte della vita quotidiana degli individui e delle comunità alla Parola di Dio e alla Liturgia. Il compito che ci attende è quello di sottoporre a verifica e a programmazione pastorale proprio il comparto della vita di fede nelle tre dimensioni a suo tempo prospettate: educazione della coscienza morale rapporto Chiesa – mondo Chiesa e poveri. Il Congresso Eucaristico Diocesano dovrebbe costituire un momento importante di presa di coscienza dell’urgenza del tempo che stiamo vivendo e dovrebbe segnare una tappa importante nel cammino del programma pastorale. Per questo il tema teologico del Congresso Eucaristico, ripreso dall’attuale programma pastorale, si presta molto bene a costituire lo sfondo teologico su cui impostare il successivo triennio del programma pastorale. Infatti, la centralità della presenza reale del Signore nella testimonianza della Chiesa trova appunto nell’Eucaristia il momento culminante ed efficace e chiede di essere riletta a partire proprio dalle dimensioni eucaristiche che la animano. Il programma pastorale dei prossimi tre anni dovrebbe allora rileggere le pratiche della testimonianza cristiana nella successione proposta, proprio a partire dalle categorie teologico-eucaristiche individuate nel Congresso Eucaristico Diocesano. Il lavoro del programma pastorale prende spunto dalla Parola di Dio. Ascoltare e meditare questa Parola e un atteggiamento che sempre deve alimentare la ricerca della verità e il desiderio di servizio nella Chiesa. Proponiamo come icona biblica di riferimento l’episodio del giovane ricco, nella versione di Matteo. Esso è inserito in un capitolo dedicato a temi importanti per la pratica cristiana: il matrimonio, la condizione di eunuchi per il regno dei cieli, i bambini, le ricchezze. Ila però una sua fisionomia tutta particolare, in quanto propone una riflessione di fondo sul significato del nostro essere discepoli di Gesù. Per questo motivo ci guiderà nel lavoro di revisione delle pratiche pastorali nelle quali si concretizza la cura della formazione della coscienza morale cristiana.

Solo Dio è buono
Un tale, senza nome, ma di cui Matteo preciserà poi che era un giovane, si avvicina a Gesù per porgli una domanda importante: “Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?”. La domanda è di quelle che contano, perché da esse dipende tutta l’impostazione di un’esistenza; essa riguarda ciò che di buono si deve fare per avere la vita. Il primo passo però che Gesù fa, rispondendo, consiste nel purificare la domanda. Intanto, in Matteo si nota un significativo cambiamento: diversamente dal giovane, Gesù non parla di “avere” (possedere) la vita eterna, bensì di “entrare” in essa. Ma soprattutto egli risponde con una controdomanda: “perché m'interroghi intorno al buono? Uno solo è il Buono”. Gesù non ferma a sé l’attenzione dell’uomo, ma la orienta ad un Altro, a Dio, l’unico del quale si possa dire che è “il Buono”. Tu tal modo è come se dicesse: se vuoi venire a capo della tua vita, non basta che t'interroghi sul “bene”, ma su Dio stesso, il Buono. Nella questione morale è implicita la domanda religiosa: bisogna chiedersi chi è Dio, per interrogarsi sul bene da fare. Nell'elencazione che Gesù farà dei comandamenti del decalogo stupisce la mancanza di quelli che abitualmente costituiscono la “prima tavola”, riguardanti direttamente il rapporto con Dio. Ebbene, possiamo pensare che proprio questa domanda di Gesù e la messa al centro di Dio svolgano qui il ruolo di quella prima parte del decalogo. Quella parte che a sua volta incominciava così: “Io sono il Signore tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla “casa degli schiavi”; non avrai altri dei di fronte a me” (Es 20,2). Quel volto di Dio non è eliminato dall’apparizione di Gesù, ma Gesù caso mai si pone di fronte al giovane come colui che, perfetto adoratore del Padre, gli ricorda la necessità di eliminare ogni idolatria come condizione essenziale per una vera scelta del “bene”. Dio solo è colui che libera, il fondamento della libertà, colui che autorizza la nostra speranza (offrendo il compimento del nostro desiderio), colui che toglie dalla casa degli schiavi, da tutte le complicità schiavizzanti, nelle quali è impossibile intraprendere il cammino della libertà. E lungo il cammino (dall’Egitto o dal Sinai verso la Terra della libertà, la Terra Promessa) sarà necessario eliminare i vari idoli che, orientando lo sguardo a sé, impediscono di camminare nella libertà. Nell’esperienza dell’Esodo appare con sempre maggiore chiarezza che essere liberi è possibile solo tenendo fisso lo sguardo su Dio liberatore, come ben indicato nell’episodio del serpente di rame. La bontà di Gesù non è di tipo generico, ma si caratterizza dal fatto che egli è il Figlio unigenito del Padre. In Lui si manifesta la stessa bontà del Padre, ma in quanto obbedienza del Figlio, perfettamente orientato al Padre. La vera adorazione di Dio Padre che libera i suoi figli attirandoli a sé e rendendoli veramente figli, è possibile solo partecipando alla figliolanza di Gesù. E solo chi è “figlio” abita la vita e il mondo non come “casa degli schiavi”, ma come casa dei figli, casa in cui è libero. Giovanni, con il linguaggio che gli è tipico, metterà in bocca a Gesù queste parole: “La Verità vi farà liberi... Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (C7v 8,32-36). Chi trova Dio come Padre, in Gesù, trova il fondamento ultimo della libertà e del bene. Al giovane che si rivolge a Gesù per interrogarlo sul bene, Gesù risponde dunque che deve orientarsi a Dio, come lui stesso è tutto orientato a Dio, che deve decidersi per Dio, l’unico per il quale valga la pena spendere la vita; alla fine del brano questo discorso verrà riespresso come invito a seguire Gesù: è nella sequela di lui, sequela a cui ciascuno è chiamato con vocazione personale, che è possibile orientarsi a Dio e compiere il bene.
Osserva i comandamenti
Prima però di giungere al discorso della sequela, Gesù richiama alla necessità di rispettare i comandamenti: questi sono introdotti da Gesù non solo per relativizzarli (quantunque sia vero anche questo, che cioè vengono relativizzati), bensì per ribadirne la necessità. I comandamenti sono la parola che Dio ha dato per il cammino, essi, proprio perché orientano la vita verso Dio, sono espressione della alleanza e condizione della libertà che Dio ha donato; sono anzi le vie per custodire questa libertà. Al popolo liberato dall’Egitto, infatti, vengono affidate le dieci parole perché possa vivere in quella libertà che ha ricevuto; dieci parole che traducono la piena ed esclusiva appartenenza a Dio e aiutano ad articolare l’alleanza in una nuova disciplina del tempo, del corpo, dei rapporti, della parola, delle cose: i comandamenti articolano, infatti, le relazioni fondamentali (riprese proprio dal testo di Matteo) - parentale, filiale, matrimoniale, la presenza dell’altro - perché nulla di ciò che l’uo- mo fa resti “fuori” della alleanza. Il giovane confessa di averli già “custoditi”: questo verbo ha un sapore tutto particolare, in quanto indica che quei comandamenti non li ha inventati lui, ma li ha ricevuti e quindi custoditi come tesoro prezioso. Li ha ricevuti dalla tradizione del suo popolo, li ha ricevuti, in particolare, dalla propria educazione familiare (la cosa si intende da sé, nel mondo ebraico, senza bisogno di dirlo esplicitamente); forse per questo il comandamento di onorare i genitori è spostato rispetto all’ordine in cui si trova abitualmente e collocato alla fine dell’elenco. Matteo poi, rispetto a Marco e Luca, aggiunge anche il comandamento dell’amore del prossimo, cui già la tradizione ebraica dà un valore di comandamento che fa sintesi degli altri (cfr. anche Mt 22,34-40). Questi comandamenti costituiscono la “memoria” che il giovane ha già dentro di sé, in quanto li ha ricevuti da una tradizione plasmata dalla Parola, da un popolo abituato a viverli come parole di libertà e di vita, da un popolo insomma la cui forma di vita è modellata da quella Parola. Ma egli ritiene che gli manchi qualcosa: “che mi manca ancora?”; l’annotazione di Matteo che egli sia un giovane significa forse anch’essa che è in una fase decisiva della sua vita, quella del passaggio all’età adulta. Per questo passaggio s’intende che sia necessario qualcosa d'altro, che appunto ancora manca al giovane, dopo che questo ha apertamente riconosciuto il suo debito alla “tradizione” in cui è cresciuto. E qui conviene che esaminiamo parola per parola la risposta di Gesù.
Se vuoi essere perfetto…
È bene sbarazzarsi subito di una lettura che, per quanto diffusa nella tradizione spirituale, non sembra adeguata alla buona comprensione della pagina evangelica. Secondo questa lettura Gesù, dopo aver riconosciuto che il giovane ha già intrapreso la strada della vita eterna, gli proporrebbe un “di più” che proprio perché tale non sarebbe cosa che interessa tutti i discepoli di Gesù, ma solo chi desidera la perfezione: è la lettura che vede qui la base biblica per la vita “religiosa”, intesa come quella che pratica appunto i “consigli” evangelici, che, come tali, sono riservati solo a qualcuno. Questa lettura deriva probabilmente, in gran parte, dal fatto che Gesù chiede al giovane di lasciare tutti i beni e di venderli, cosa che, in effetti, egli non ha chiesto a tutti i discepoli: nel vangelo appaiono persone, come Marta e Maria, annoverati tra gli amici di Gesù (si ricordi in particolare il “complimento” fatto a Maria per aver “scelto la parte migliore”), ai quali però non è chiesto di lasciare casa, famiglia, beni. Proprio il vangelo di Matteo tuttavia, l’unico oltretutto a formulare così la richiesta di Gesù (“se vuoi essere perfetto...”), non permette quella lettura restrittiva: nel discorso della montagna, e in un passo non certo secondario, Gesù formula per tutti i discepoli la richiesta della perfezione, o meglio, apre a tutti questa via e la indica come necessaria: “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” {Mt 5,48).
Un tale, senza nome, ma di cui Matteo preciserà poi che era un giovane, si avvicina a Gesù per porgli una domanda importante: “Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?”. La domanda è di quelle che contano, perché da esse dipende tutta l’impostazione di un’esistenza; essa riguarda ciò che di buono si deve fare per avere la vita. Il primo passo però che Gesù fa, rispondendo, consiste nel purificare la domanda. Intanto, in Matteo si nota un significativo cambiamento: diversamente dal giovane, Gesù non parla di “avere” (possedere) la vita eterna, bensì di “entrare” in essa. Ma soprattutto egli risponde con una controdomanda: “perché m'interroghi intorno al buono? Uno solo è il Buono”. Gesù non ferma a sé l’attenzione dell’uomo, ma la orienta ad un Altro, a Dio, l’unico del quale si possa dire che è “il Buono”. Tu tal modo è come se dicesse: se vuoi venire a capo della tua vita, non basta che t'interroghi sul “bene”, ma su Dio stesso, il Buono. Nella questione morale è implicita la domanda religiosa: bisogna chiedersi chi è Dio, per interrogarsi sul bene da fare. Nell'elencazione che Gesù farà dei comandamenti del decalogo stupisce la mancanza di quelli che abitualmente costituiscono la “prima tavola”, riguardanti direttamente il rapporto con Dio. Ebbene, possiamo pensare che proprio questa domanda di Gesù e la messa al centro di Dio svolgano qui il ruolo di quella prima parte del decalogo. Quella parte che a sua volta incominciava così: “Io sono il Signore tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla “casa degli schiavi”; non avrai altri dei di fronte a me” (Es 20,2). Quel volto di Dio non è eliminato dall’apparizione di Gesù, ma Gesù caso mai si pone di fronte al giovane come colui che, perfetto adoratore del Padre, gli ricorda la necessità di eliminare ogni idolatria come condizione essenziale per una vera scelta del “bene”. Dio solo è colui che libera, il fondamento della libertà, colui che autorizza la nostra speranza (offrendo il compimento del nostro desiderio), colui che toglie dalla casa degli schiavi, da tutte le complicità schiavizzanti, nelle quali è impossibile intraprendere il cammino della libertà. E lungo il cammino (dall’Egitto o dal Sinai verso la Terra della libertà, la Terra Promessa) sarà necessario eliminare i vari idoli che, orientando lo sguardo a sé, impediscono di camminare nella libertà. Nell’esperienza dell’Esodo appare con sempre maggiore chiarezza che essere liberi è possibile solo tenendo fisso lo sguardo su Dio liberatore, come ben indicato nell’episodio del serpente di rame. La bontà di Gesù non è di tipo generico, ma si caratterizza dal fatto che egli è il Figlio unigenito del Padre. In Lui si manifesta la stessa bontà del Padre, ma in quanto obbedienza del Figlio, perfettamente orientato al Padre. La vera adorazione di Dio Padre che libera i suoi figli attirandoli a sé e rendendoli veramente figli, è possibile solo partecipando alla figliolanza di Gesù. E solo chi è “figlio” abita la vita e il mondo non come “casa degli schiavi”, ma come casa dei figli, casa in cui è libero. Giovanni, con il linguaggio che gli è tipico, metterà in bocca a Gesù queste parole: “La Verità vi farà liberi... Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” (C7v 8,32-36). Chi trova Dio come Padre, in Gesù, trova il fondamento ultimo della libertà e del bene. Al giovane che si rivolge a Gesù per interrogarlo sul bene, Gesù risponde dunque che deve orientarsi a Dio, come lui stesso è tutto orientato a Dio, che deve decidersi per Dio, l’unico per il quale valga la pena spendere la vita; alla fine del brano questo discorso verrà riespresso come invito a seguire Gesù: è nella sequela di lui, sequela a cui ciascuno è chiamato con vocazione personale, che è possibile orientarsi a Dio e compiere il bene.
Osserva i comandamenti
Prima però di giungere al discorso della sequela, Gesù richiama alla necessità di rispettare i comandamenti: questi sono introdotti da Gesù non solo per relativizzarli (quantunque sia vero anche questo, che cioè vengono relativizzati), bensì per ribadirne la necessità. I comandamenti sono la parola che Dio ha dato per il cammino, essi, proprio perché orientano la vita verso Dio, sono espressione della alleanza e condizione della libertà che Dio ha donato; sono anzi le vie per custodire questa libertà. Al popolo liberato dall’Egitto, infatti, vengono affidate le dieci parole perché possa vivere in quella libertà che ha ricevuto; dieci parole che traducono la piena ed esclusiva appartenenza a Dio e aiutano ad articolare l’alleanza in una nuova disciplina del tempo, del corpo, dei rapporti, della parola, delle cose: i comandamenti articolano, infatti, le relazioni fondamentali (riprese proprio dal testo di Matteo) - parentale, filiale, matrimoniale, la presenza dell’altro - perché nulla di ciò che l’uo- mo fa resti “fuori” della alleanza. Il giovane confessa di averli già “custoditi”: questo verbo ha un sapore tutto particolare, in quanto indica che quei comandamenti non li ha inventati lui, ma li ha ricevuti e quindi custoditi come tesoro prezioso. Li ha ricevuti dalla tradizione del suo popolo, li ha ricevuti, in particolare, dalla propria educazione familiare (la cosa si intende da sé, nel mondo ebraico, senza bisogno di dirlo esplicitamente); forse per questo il comandamento di onorare i genitori è spostato rispetto all’ordine in cui si trova abitualmente e collocato alla fine dell’elenco. Matteo poi, rispetto a Marco e Luca, aggiunge anche il comandamento dell’amore del prossimo, cui già la tradizione ebraica dà un valore di comandamento che fa sintesi degli altri (cfr. anche Mt 22,34-40). Questi comandamenti costituiscono la “memoria” che il giovane ha già dentro di sé, in quanto li ha ricevuti da una tradizione plasmata dalla Parola, da un popolo abituato a viverli come parole di libertà e di vita, da un popolo insomma la cui forma di vita è modellata da quella Parola. Ma egli ritiene che gli manchi qualcosa: “che mi manca ancora?”; l’annotazione di Matteo che egli sia un giovane significa forse anch’essa che è in una fase decisiva della sua vita, quella del passaggio all’età adulta. Per questo passaggio s’intende che sia necessario qualcosa d'altro, che appunto ancora manca al giovane, dopo che questo ha apertamente riconosciuto il suo debito alla “tradizione” in cui è cresciuto. E qui conviene che esaminiamo parola per parola la risposta di Gesù.
Se vuoi essere perfetto…
È bene sbarazzarsi subito di una lettura che, per quanto diffusa nella tradizione spirituale, non sembra adeguata alla buona comprensione della pagina evangelica. Secondo questa lettura Gesù, dopo aver riconosciuto che il giovane ha già intrapreso la strada della vita eterna, gli proporrebbe un “di più” che proprio perché tale non sarebbe cosa che interessa tutti i discepoli di Gesù, ma solo chi desidera la perfezione: è la lettura che vede qui la base biblica per la vita “religiosa”, intesa come quella che pratica appunto i “consigli” evangelici, che, come tali, sono riservati solo a qualcuno. Questa lettura deriva probabilmente, in gran parte, dal fatto che Gesù chiede al giovane di lasciare tutti i beni e di venderli, cosa che, in effetti, egli non ha chiesto a tutti i discepoli: nel vangelo appaiono persone, come Marta e Maria, annoverati tra gli amici di Gesù (si ricordi in particolare il “complimento” fatto a Maria per aver “scelto la parte migliore”), ai quali però non è chiesto di lasciare casa, famiglia, beni. Proprio il vangelo di Matteo tuttavia, l’unico oltretutto a formulare così la richiesta di Gesù (“se vuoi essere perfetto...”), non permette quella lettura restrittiva: nel discorso della montagna, e in un passo non certo secondario, Gesù formula per tutti i discepoli la richiesta della perfezione, o meglio, apre a tutti questa via e la indica come necessaria: “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” {Mt 5,48).

Il “se vuoi” rivolto al giovane ricco non indica dunque una proposta ulteriore, solo per qualcuno, ma la perfezione del cammino verso la vita, perfezione che si suppone desiderino e cerchino tutti quelli che intraprendono quel cammino. Esso è già aperto dalla legge, dai comandamenti, ma non bastano i comandamenti a realizzarlo. Sono i comandamenti stessi, con la loro formulazione prevalentemente negativa, a rimandare oltre se stessi: essi, con i loro divieti, sgomberano il campo da scelte negative che impedirebbero ogni cammino di libertà nella buona relazione all’altro; i comandamenti non fermano a se stessi: sono dei no che aprono la strada ai sì che sono ancora tutti da creare, nel cammino personale di ciascuno; il no a certi desideri negativi, che non sarebbero autenticamente liberanti (perchè conducono il desiderio a cadere nella morsa della insaziabilità), sgombera il campo ad altre aspirazioni nelle quali si esplica la singolarità di ciascuno. La forma negativa del comandamento indica che la norma, proibendo, mette in guardia da quei comportamenti nei quali la buona relazione con l’altro nelle sue varie forme verrebbe perduta: uccidere l’altro, per esempio, significa cadere nella tentazione di poterlo possedere, distruggendolo, annullando la sua alterità. È solo a questo punto clic emerge il “se vuoi...”, è cioè solo così che quel giovane potrà veramente “volere” fino in fondo, potrà realizzare la sua personale libertà, nella sua vicenda unica che è ancora tutta da “inventare”. E perciò i comandamenti hanno forma negativa: è chiaro ciò che non si deve fare, ma ciò che devi fare - il bene – lo puoi sapere solo mettendoti in gioco tu stesso. È perciò in questo momento che Gesù dice al giovane: “Vieni, seguimi”. Che cosa gli mancava, dunque? Gli mancava uno che gli dicesse questo “vieni” e gli aprisse così lo spazio per la sua vicenda personale, unica, di esistenza “chiamata” secondo una vocazione singolare. È quella parola di Gesù, fatta solo per lui, che gli permette il cammino verso la perfezione, o, se si vuole, il cammino perfetto verso la vita eterna. Su questo punto è particolarmente efficace l’annotazione di Marco: Gesù, fissato lo sguardo su di lui, lo amò” (Mc 10,21). Anche se Matteo non la riporta, egli ricorda l’essenziale: con il suo “vieni”, Gesù offre al giovane la condizione nuova di una vita come “alleanza”, di una vita abitata da una parola che fa appello alla risposta. È dunque una parola d’amore che raggiunge la vita a rendere possibile il cammino della perfezione (cioè, lo ripetiamo, il cammino che porta davvero a quella vita eterna verso la quale già i comandamenti sono orientati); è nell’appello di una parola d'amore, la quale gli dice “vieni”, che quel giovane entra ora nella sua condizione di adulto. Del resto, è solo per la forza dell’amore che un giovane “lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie” (Mt 19,5), ma più in generale, è solo per aver letto nella propria vita una parola d’amore che la precede che ogni persona intraprende il cammino della propria vita autentica, si decide in favore di quel bene che gli è stato anticipato (l’amore è dare e ricevere). Appare chiaramente che l’osservanza dei comandamenti è necessaria, ma essa non avviene al di fuori della vicenda personale di ciascuno, al di fuori di quella storia nella quale ciascuno è chiamato a venire a capo della sua vita, a costruire creativamente la propria libertà, in risposta all’appello d’amore che sta dentro la vita di ciascuno. Gesù conferma i comandamenti, ma essi non bastano: è necessario trovare la perla preziosa del regno, la “parte migliore” che consiste nell’ascolto che ci fa discepoli. Non la legge sta al centro, ma il personale cammino di sequela, suscitato dalla scoperta della perla. Per questo la morale evangelica non è una morale della legge, ma della fede. E tuttavia la fede esige le sue opere, le opere buone, le opere nelle quali il credente testimonia quell’amore di cui egli continua a fare l’esperienza. Ma la risposta di Gesù su quello che “manca” al giovane deve essere ancora meditata in un aspetto che abbiamo finora trascurato: “va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri”. E a sua volta questa parola contiene almeno due tratti importanti:
- prima ancora di pronunciare il “vieni, seguimi”, Gesù dice a quel giovane: “va’!”. Quasi a suggerire che egli non saprebbe cogliere davvero l’appello personale d’amore del “vieni”, senza essere andato verso gli altri, verso i poveri, verso quel “prossimo” che appunto ora assume più precisamente la forma del povero che fa appello alla sua attenzione e al suo riconoscimento;
- e tutto ciò, a sua volta, mette radicalmente in questione il rapporto di quel giovane con le cose, con i beni; o ancora: mette in questione la qualità del suo “cuore”. È Matteo a riportare la frase di Gesù: “dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,19-21). La parola di Gesù sulle ricchezze ha valore di rivelazione sulla reale condizione del cuore di quel giovane; il tema delle ricchezze è particolarmente adatto a far emergere la qualità del cuore, a mostrare se esso è veramente libero dalla cupidigia, che cancella la sete della parola che salva, o se è ancora idolatra.
Libertà dall’ingordigia dei beni, condivisione, sequela, rapporto con le cose, con gli altri, con Gesù non sono tre dimensioni separabili, ma tre momenti della medesima avventura di una libertà incamminata verso la perfezione (verso Dio). Quel giovane deve porre un atto nel quale si traduce decisamente il fatto che il cuore è ormai sbilanciato nella sequela di Gesù e nel riconoscimento dell’altro come fratello con cui condividere tutto. Le forme concrete della sequela potranno variare, e ciascuno le deve determinare concretamente nella sua vita, ma a ciascuno è richiesto un uguale sbilanciamento che manifesti e traduca la piena libertà del cuore, libertà che si dà nel seguire Gesù.
- prima ancora di pronunciare il “vieni, seguimi”, Gesù dice a quel giovane: “va’!”. Quasi a suggerire che egli non saprebbe cogliere davvero l’appello personale d’amore del “vieni”, senza essere andato verso gli altri, verso i poveri, verso quel “prossimo” che appunto ora assume più precisamente la forma del povero che fa appello alla sua attenzione e al suo riconoscimento;
- e tutto ciò, a sua volta, mette radicalmente in questione il rapporto di quel giovane con le cose, con i beni; o ancora: mette in questione la qualità del suo “cuore”. È Matteo a riportare la frase di Gesù: “dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,19-21). La parola di Gesù sulle ricchezze ha valore di rivelazione sulla reale condizione del cuore di quel giovane; il tema delle ricchezze è particolarmente adatto a far emergere la qualità del cuore, a mostrare se esso è veramente libero dalla cupidigia, che cancella la sete della parola che salva, o se è ancora idolatra.
Libertà dall’ingordigia dei beni, condivisione, sequela, rapporto con le cose, con gli altri, con Gesù non sono tre dimensioni separabili, ma tre momenti della medesima avventura di una libertà incamminata verso la perfezione (verso Dio). Quel giovane deve porre un atto nel quale si traduce decisamente il fatto che il cuore è ormai sbilanciato nella sequela di Gesù e nel riconoscimento dell’altro come fratello con cui condividere tutto. Le forme concrete della sequela potranno variare, e ciascuno le deve determinare concretamente nella sua vita, ma a ciascuno è richiesto un uguale sbilanciamento che manifesti e traduca la piena libertà del cuore, libertà che si dà nel seguire Gesù.
LA CANDELA e il libretto
Per pregare in famiglia nell’Avvento
Ancora una candela per questo tempo di Avvento e di Natale. Un segno che entra nelle nostre case per ricordarci che i giorni non sono tutti uguali e che per questo non possono trascorrere senza che noi ce ne accorgiamo. La proposta si rivolge principalmente alle famiglie, perché è nelle loro case che vuole venire ad abitare il Signore che nasce ed è proprio nelle loro case che si sperimenta la gioia e la fatica di accogliere un figlio, un dono del cielo. Il cammino di preghiera proposto è quotidiano, legato a un gesto: l’accensione ogni giorno della candela che segna il tempo che passa; e istruito da alcune parole della liturgia del giorno e da altre di commento. Riuscire a trovare un tempo in cui riunirsi tutti a pregare è il regalo più bello che possiamo farci gli uni gli altri per il prossimo Natale. L’itinerario di quest’anno ci guiderà al Natale di Gesù, ma poi continuerà fino all’Epifania, giorno in cui si conclude l’anno giubilare, la chiusura della porta santa, ma non certo la fine della misericordia di Dio per i suoi figli. La preghiera della candela si collega a quella dell’anno passato, come se idealmente concludessimo il cammino intrapreso nel ‘99 in vista dell’apertura del Giubileo; perciò in questo libretto ci verrà chiesto di verificare cosa ha portato nelle nostre case questo anno di grazia: se la nostra vita è cambiata, se siamo stati capaci di vivere più intensamente la preghiera e la riconciliazione con Dio e i fratelli. L’anno giubilare vuole mostrare a tutti gli uomini e a tutte le donne che il Signore è vicino ai suoi figli sempre, che è possibile essere fratelli e stringere legami sinceri con l’aiuto del suo Spirito, che nel servizio e nella carità si conosce la gioia vera. Questa è la conversione che ci è richiesta sempre e che la Chiesa ha voluto sostenere in tutti i modi possibili durante questo Giubileo. In questo libretto saranno riportati alcuni brani della liturgia del giorno e un breve commento. Anche se siamo abituati ad andare a messa solo la domenica, la chiesa celebra tutti i giorni l’eucarestia e nel tempo di Avvento i passi delle Scritture che vi sono letti vengono in aiuto alla preparazione del cuore di ognuno per ricevere il Signore che viene. Così questo itinerario di preghiera per le famiglie cercherà di compiere il cammino insieme alla propria comunità parrocchiale e alla chiesa tutta, ascoltando un brano scelto dalla Parola del giorno. Non si tratta semplicemente di una comodità nella scelta delle letture, ma di un preciso intento nel sottolineare che non si può camminare incontro al Signore se non insieme ai fratelli che condividono la nostra stessa fede. La comunione che celebriamo ci lega tra di noi, ma anche con coloro che si raccolgono nel nome del Signore in ogni altra parte del mondo e, grazie al calendario liturgico, ci permette di camminare insieme. Questo è il tesoro prezioso che ci consegna la liturgia, ma noi, a volte, siamo troppo distratti o troppo poco consueti, per accoglierlo. Il cammino proposto sottolinea in particolare due aspetti della vita familiare che ce la faranno scoprire incredibilmente vicina alla preghiera: il primo che non c’è casa, non ci sono legami, senza una parola che viene scambiata, ascoltata e pronunciata; così la preghiera è la forma insegnataci da Gesù e dalla tradizione della Chiesa, per “legarci al Signore”, cioè per accogliere la sua grazia, lasciandola entrare nella nostra vita, per diventare figli di Dio.
|
Il secondo aspetto che si vuole affrontare è che solo ascoltando la Parola di Dio la si può accogliere e in essa scoprire di accogliere Gesù che viene. Ma accogliere Gesù significa impegnarsi ad accogliere ogni fratello bisognoso, ogni sorella in difficoltà. I genitori sanno bene quale rivoluzione della propria vita è la nascita di un figlio, Gesù tra noi ci chiede lo stesso: rivoluzionare la nostra vita per lui. Non dimenticando che la nostra vita di tutti i giorni trova il suo significato profondo nella quiete della preghiera e che la Parola ascoltata porterà frutto solo se sarà se seminata nella vita di sempre.
|
IL TEMPO DELL’ATTESA
Il tempo che ci conduce nel mistero del Natale è tempo di attesa del nostro unico Signore. Il tempo dedicato all’attesa e alla vigilanza nella memoria della sua prima venuta ne affretta il ritorno. È un tempo donato per il silenzio, la quiete interiore, la preghiera, gli spazi che animano la vita della coppia, della famiglia, della chiesa e dell’umanità. Come trovare questo tempo gratuito? Convincendoci innanzitutto della sua disponibilità. Il tempo dell’uomo è elastico. Lo sa ognuno che ha vissuto l’esperienza dell’innamoramento: chi s’innamora trova un tempo straordinario per l’amata, che non supponeva disponibile. L’anima cristiana vive sempre in attesa dello sposo. Il cristiano che attende il Regno ama il tempo di ogni attesa. Non conosce la noia. Sa che può sempre pregare. La sua giornata non ha tempi morti. Gli basta una frase del Vangelo per riempire una giornata d’ospedale. Anche a questo scopo memorizza le parole di Gesù. Non è vero che all’uomo del nuovo millennio sia negato il tempo gratuito: è vero però che lo deve riconquistare. Per dare un orientamento cristiano al tempo è essenziale avvertire il suo trascorrere, la vicenda del giorno e della notte. L’abitante delle nostre città - sempre illuminate a giorno - ha una percezione economica, e quasi commerciale del tempo: lo misura in ore lavorative, restando indifferente all’inizio e alla fine della giornata solare. Raramente considera la parabola del sole, ancora più raramente vede le stelle. Il cristiano deve provare a sottrarsi all’incatenamento del tempo uniforme, stregato dal neon. Il mattino porta il segno della risurrezione di Cristo. «All’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andavano a visitare il sepolcro ed ecco che vi fu un grande terremoto: un angelo del Signore sceso dal Cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa» (Matteo 28,1-2). Ogni nostra alba dovrebbe riportarci quella pietra e quell’angelo seduto su di essa. Ma anche il sole che sale in cielo dovrebbe aiutarci a ricordare il Cristo che nasce dal sepolcro: «Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole» (Marco. 16,2). Alzarsi quando è ancora buio e attendere l’alba in preghiera può essere un utile esercizio nella vita. I monaci lo fanno sempre, il cristiano comune può ben farlo qualche volta all’anno, in preparazione al Natale o in memoria della Pasqua: «Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro» (Giovanni 20,1). Anche la preghiera serale può aiutarci a vivere l’attesa del ritorno di Cristo. Il cristiano del nuovo millennio dovrebbe recuperare il rispetto della sera, tornando a viverla come tempo dell’attesa: si è nel buio, si attende l’alba. Dalle tenebre della condizione umana si attende la luce del Regno.