1985
DON GIACOMO INVERNIZZI
LA VOCE DELL’ORATORIO
CI INVITA A RIFLETTERE SUL TEMA: DIO TRA LE MANI
Natale, si prepara il presepe: grotta, ponti, fiumi, montagne, statuine, manca solo una presenza. Una presenza che i bambini amano molte volte tenere tra le mani.
Mani unite, come se questo bambino avesse bisogno di calore umano.
Immagine, sentimenti, ricordi, eppure non so se ci sia immagine più bella di questa per significare il Natale: Dio con l’uomo, l’uomo culla di Dio.
Dio si pone nelle nostre mani, e sembra avere bisogno del nostro calore, della nostra protezione, di toccare carne calda per poter crescere, per sentirsi sicuro.
Dio ha bisogno per crescere di genitori che sappiano essere tali, altrimenti questo Dio cresce chiuso, freddo, scontroso. Ha bisogno di fratelli, di amici, di giovani che sappiano aiutarlo a scoprire il suo mondo, altrimenti cresce come un Dio egoista rannicchiato su se stesso, con gli occhi chiusi, i pugni stretti: un Dio che non vuole nascere, ma rimane contento nell’utero materno. Ha bisogno di una società che lo aiuti a esprimersi per quello che è, in tutta la sua capacità e non lo faccia correre dietro a illusioni. Sto riscoprendo in questo periodo una parabola: i Talenti.
Mi piace immaginare questo Dio, lodato o bestemmiato, da tutti comunque ritenuto come qualcosa di grande, che nella sua onnipresenza si sposta un pochettino e nel nulla di questo vuoto, crea una libertà, pone l’uomo.
Non una statua, dai contorni ben definiti, ma una persona con le mani aperte, pronta ad accogliere un dono: i Talenti.
L’uomo da questo momento è chiamato a giocare e Dio si gioca. È un Dio che si pone nelle mani dell’uomo, accetta il rischio della sua libertà i suoi ritmi di crescita. Dove l’uomo piange, ride, soffre, non è libero, non riesce a esprimersi, è bidonato, è strumentalizzato, è illuso. Li c’è sempre un Dio che con difficoltà vorrebbe affermare il suo essere Signore del mondo, pechè l’uomo sia signore, e invece è soppresso. Credo che per una comunità che si avvicina a celebrare il Natale, non ci sia momento migliore per scoprirsi, per togliere tutti i veli, tutte le maschere, per dire quello che è. Che ne facciamo di questo bambino che è tra noi? L’abbiamo accantonato, l’abbiamo abortito?
È facile scoprirlo in una comunità apatica, in cui i nostri occhi non sono per vedere il volto che mi sta di fronte, in cui le mani non sono per una stretta, in cui le orecchie non sono per udire il grido di un Dio che in noi soffre e urla perchè il suo crescere è legato al crescere della nostra sensibilità.
Il Natale è festa. È festa del Dio e dell’uomo che giocano insieme. È un invito a guardare tra le nostre mani e tra le tante mani a forma di culla, per fare il gesto di chinarci e buttare fuori calore.
Dio ha creato l’uomo con il suo soffio. Ora il mantenerci in vita dipende dal nostro soffio. Proviamo la notte di Natale a guardare tra le mani e domandarci cosa ne ho fatto del mio Dio, ovvero cosa ne ho fatto dell’uomo?
don Giacomo Invernizzi
Mani unite, come se questo bambino avesse bisogno di calore umano.
Immagine, sentimenti, ricordi, eppure non so se ci sia immagine più bella di questa per significare il Natale: Dio con l’uomo, l’uomo culla di Dio.
Dio si pone nelle nostre mani, e sembra avere bisogno del nostro calore, della nostra protezione, di toccare carne calda per poter crescere, per sentirsi sicuro.
Dio ha bisogno per crescere di genitori che sappiano essere tali, altrimenti questo Dio cresce chiuso, freddo, scontroso. Ha bisogno di fratelli, di amici, di giovani che sappiano aiutarlo a scoprire il suo mondo, altrimenti cresce come un Dio egoista rannicchiato su se stesso, con gli occhi chiusi, i pugni stretti: un Dio che non vuole nascere, ma rimane contento nell’utero materno. Ha bisogno di una società che lo aiuti a esprimersi per quello che è, in tutta la sua capacità e non lo faccia correre dietro a illusioni. Sto riscoprendo in questo periodo una parabola: i Talenti.
Mi piace immaginare questo Dio, lodato o bestemmiato, da tutti comunque ritenuto come qualcosa di grande, che nella sua onnipresenza si sposta un pochettino e nel nulla di questo vuoto, crea una libertà, pone l’uomo.
Non una statua, dai contorni ben definiti, ma una persona con le mani aperte, pronta ad accogliere un dono: i Talenti.
L’uomo da questo momento è chiamato a giocare e Dio si gioca. È un Dio che si pone nelle mani dell’uomo, accetta il rischio della sua libertà i suoi ritmi di crescita. Dove l’uomo piange, ride, soffre, non è libero, non riesce a esprimersi, è bidonato, è strumentalizzato, è illuso. Li c’è sempre un Dio che con difficoltà vorrebbe affermare il suo essere Signore del mondo, pechè l’uomo sia signore, e invece è soppresso. Credo che per una comunità che si avvicina a celebrare il Natale, non ci sia momento migliore per scoprirsi, per togliere tutti i veli, tutte le maschere, per dire quello che è. Che ne facciamo di questo bambino che è tra noi? L’abbiamo accantonato, l’abbiamo abortito?
È facile scoprirlo in una comunità apatica, in cui i nostri occhi non sono per vedere il volto che mi sta di fronte, in cui le mani non sono per una stretta, in cui le orecchie non sono per udire il grido di un Dio che in noi soffre e urla perchè il suo crescere è legato al crescere della nostra sensibilità.
Il Natale è festa. È festa del Dio e dell’uomo che giocano insieme. È un invito a guardare tra le nostre mani e tra le tante mani a forma di culla, per fare il gesto di chinarci e buttare fuori calore.
Dio ha creato l’uomo con il suo soffio. Ora il mantenerci in vita dipende dal nostro soffio. Proviamo la notte di Natale a guardare tra le mani e domandarci cosa ne ho fatto del mio Dio, ovvero cosa ne ho fatto dell’uomo?
don Giacomo Invernizzi