1989
LA PARROCCHIA
La parrocchia costituisce il tema proposto a livello diocesano per una riflessione nell'ambito dei Vicariati e delle Parrocchie in occasione della celebrazione del terzo centenario della Cattedrale di Bergamo. La Parrocchia è l'ambiente storico in cui Cristo diventa Comunità di fede in mezzo a noi e con noi proclama, celebra e testimonia la parola del Padre. È così che si realizza il nostro incontro con Cristo che assume la nostra umanità per divinizzarla promuovendoci come suoi fratelli e figli dello stesso Padre. Tutto ciò che il Conco Vat. II° ha affermato della Chiesa va considerato nel suo ambiente naturale dove si svela e si realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo (cfr. Gaudium et Spes, n. 45), cioè nella diocesi in generale e più in particolare nella parrocchia. Difatti nella parrocchia si vive il mistero della chiesa:
1) sperimentando in essa l'evento di salvezza, cioè la comunione con Dio,
2) sperimentando in essa la comunione coi fratelli.
1) La parrocchia è luogo di esperienza della comunione con Dio. Per il Vat. II°, il mistero non significa soltanto una verità superiore alla ragione umana, ma significa meglio il disegno di salvezza che il Padre ha manifestato in Gesù Cristo e reso visibile con segni sensibili a tutti gli uomini. Pertanto vivere nella parrocchia significa vivere in una comunità concreta in cui ci si incontra con Gesù Cristo per poter fare con lui la conoscenza del Padre che ci ama e ci vuole tutti salvi. Vivere in parrocchia significa quindi vivere la chiesa come mistero che si concretizza nella comunione con Dio. La chiesa infatti è costituita da un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Lumen Gentium, n. 4):
a) La chiesa è l'assemblea convocata dal Padre che cammina per tornare a Lui (cfr. Lumen Gentium, n. 2). Il Figlio è stato inviato a radunare tutti i giusti anche quelli che non vediamo in atto appartenere alla comunità visibile. Ciò significa che la vocazione, o la chiamata del Padre alla salvezza, è universale (LG n. 13) e avrà il suo pieno compimento alla fine dei tempi. Vivere come chiesa in comunione col Padre significa vivere l'ansia di universalità pastorale e missionaria camminando verso la consumazione escatologica nella pazienza di Cristo che si riveste della dimensione storica nell'ambito delle nostre comunità parrocchiali.
b) Il Padre attua attraverso Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne, la sua volontà di salvezza (LG n. 3). Cristo si è fatto comunità visibile in noi per realizzare storicamente la volontà del Padre di salvezza per tutti gli uomini. Qui ci troviamo di fronte allo scandalo dell'incarnazione e della croce da superare, siamo di fronte a un Dio annientatosi per poter fare questo servizio all'umanità da redimere nell'umiliazione della croce che esplode poi nella gloria della risurrezione, prima di Cristo e poi di tutta l'umanità redenta (LG n. 8). La chiesa è pertanto chiamata a rivivere in Cristo l'esperienza più disarmante della povertà e della sofferenza del proprio Capo da cui scaturisce la speranza culminante nella consolazione del risorto, primizia di tutti coloro che risorgeranno.
c) vivere la chiesa significa fare l'esperienza della comunione col padre in Gesù Cristo guidati e animati dallo Spirito Santo che è lo Spirito di Cristo risorto e vivente, che è l'anima della chiesa e quindi di ogni cristiano e che è la compiacenza del padre per tutti noi che diventiamo suoi figli per mezzo della parola, dei sacramenti e della carità di Cristo. Vivere la chiesa significa passare dal timore servile del Dio della religione opprimente e della legge inesorabile che ci rende schiavi alla gioia della libertà dei figli di Dio per condividerne la paternità coi fratelli chiamandolo Padre. Vivere la libertà dello Spirito non significa tuttavia opporre l'esaltazione dei carismi a una situazione magari d'inerzia del popolo di Dio, ma affermarsi nella dimensione contemplativa della vita interiore evitando il rischio di cadere in forme intimistiche e individualiste presumendo, a negazione della comunità, di poter privatizzarne i gesti e i segni della salvezza. Tutti i gesti dei fedeli devono risuonare come espressione della comunità di fede a cui appartengono e in cui diventano i gesti di Cristo che salvano attraverso l'opera della sua chiesa.
2) La parrocchia è luogo di esperienza della comunione fraterna. La "Lumen Gentium" al n. 9 afferma: "Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse". Comunione con Dio e comunione coi fratelli che costituiscono l'unico evento di salvezza: dalla comunione con Dio in Gesù Cristo scaturisce coi fratelli come la pianta dal suo seme. Il rifiuto del fratello costituisce pertanto il rifiuto di Dio. Il padre ci provoca infatti in Gesù Cristo (Mt 25,31): "Ho fame, ho sete, sono ignudo, sono malato, sono pellegrino, sono carcerato". L'umanità si scinderà alla fine dei tempi tra coloro che avranno riconosciuto Dio nei fratelli e tra coloro che l'avranno rinnegato conseguendo la salvezza i primi e dannandosi alla perdizione eterna i secondi. "Conosceranno gli uomini che siete miei discepoli se vi amerete gli uni gli altri" (Gv 13,35). Centro della comunione fraterna è l'eucaristia che incentra in sè anche tutti gli altri sacramenti, segni comunitari di salvezza, nella visione e all'insegna del grande banchetto in cui Dio si asside con gli uomini per offrire in Cristo sè stesso come nutrimento di vita eterna ''Io son il pane che dà la vita ... Chi mangia il mio pane e beve il mio sangue ha la vita eterna ... " (Gv 6, 35 e 54). Bisogna resistere alla tentazione che si sta verificando in questi nostri tempi di voler scindere la chiesa élite dalla chiesa massa o popolo per la difficoltà che incontra la gente ad assimilare la spiritualità ecclesiale promossa dal Vat. 11°. La chiesa non è una élite di illuminanti riformaori nè una cristianità ovvero una massa culturalmente, socialmente e politicamente identificata. È un popolo che dal battesimo all'eucarestia compie, intorno ai ministri espressi dal suo seno, il cammino di conformazione a Cristo, di assimilazione dello Spirito santificatore, di ritorno al Padre al di fuori delle misure conformi al nostro metro umano. Fare esperienza di comunione fraterna significa essere premurosi verso tutta la chiesa con particolare attenzione ai poveri e ai peccatori da considerare nell'ottica delle nostre miserie e dei nostri peccati per crescere tutti insieme nell'amore di Cristo nella gioia e nel dolore, nelle affermazioni e nelle delusioni.
don Giulio
1) sperimentando in essa l'evento di salvezza, cioè la comunione con Dio,
2) sperimentando in essa la comunione coi fratelli.
1) La parrocchia è luogo di esperienza della comunione con Dio. Per il Vat. II°, il mistero non significa soltanto una verità superiore alla ragione umana, ma significa meglio il disegno di salvezza che il Padre ha manifestato in Gesù Cristo e reso visibile con segni sensibili a tutti gli uomini. Pertanto vivere nella parrocchia significa vivere in una comunità concreta in cui ci si incontra con Gesù Cristo per poter fare con lui la conoscenza del Padre che ci ama e ci vuole tutti salvi. Vivere in parrocchia significa quindi vivere la chiesa come mistero che si concretizza nella comunione con Dio. La chiesa infatti è costituita da un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Lumen Gentium, n. 4):
a) La chiesa è l'assemblea convocata dal Padre che cammina per tornare a Lui (cfr. Lumen Gentium, n. 2). Il Figlio è stato inviato a radunare tutti i giusti anche quelli che non vediamo in atto appartenere alla comunità visibile. Ciò significa che la vocazione, o la chiamata del Padre alla salvezza, è universale (LG n. 13) e avrà il suo pieno compimento alla fine dei tempi. Vivere come chiesa in comunione col Padre significa vivere l'ansia di universalità pastorale e missionaria camminando verso la consumazione escatologica nella pazienza di Cristo che si riveste della dimensione storica nell'ambito delle nostre comunità parrocchiali.
b) Il Padre attua attraverso Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne, la sua volontà di salvezza (LG n. 3). Cristo si è fatto comunità visibile in noi per realizzare storicamente la volontà del Padre di salvezza per tutti gli uomini. Qui ci troviamo di fronte allo scandalo dell'incarnazione e della croce da superare, siamo di fronte a un Dio annientatosi per poter fare questo servizio all'umanità da redimere nell'umiliazione della croce che esplode poi nella gloria della risurrezione, prima di Cristo e poi di tutta l'umanità redenta (LG n. 8). La chiesa è pertanto chiamata a rivivere in Cristo l'esperienza più disarmante della povertà e della sofferenza del proprio Capo da cui scaturisce la speranza culminante nella consolazione del risorto, primizia di tutti coloro che risorgeranno.
c) vivere la chiesa significa fare l'esperienza della comunione col padre in Gesù Cristo guidati e animati dallo Spirito Santo che è lo Spirito di Cristo risorto e vivente, che è l'anima della chiesa e quindi di ogni cristiano e che è la compiacenza del padre per tutti noi che diventiamo suoi figli per mezzo della parola, dei sacramenti e della carità di Cristo. Vivere la chiesa significa passare dal timore servile del Dio della religione opprimente e della legge inesorabile che ci rende schiavi alla gioia della libertà dei figli di Dio per condividerne la paternità coi fratelli chiamandolo Padre. Vivere la libertà dello Spirito non significa tuttavia opporre l'esaltazione dei carismi a una situazione magari d'inerzia del popolo di Dio, ma affermarsi nella dimensione contemplativa della vita interiore evitando il rischio di cadere in forme intimistiche e individualiste presumendo, a negazione della comunità, di poter privatizzarne i gesti e i segni della salvezza. Tutti i gesti dei fedeli devono risuonare come espressione della comunità di fede a cui appartengono e in cui diventano i gesti di Cristo che salvano attraverso l'opera della sua chiesa.
2) La parrocchia è luogo di esperienza della comunione fraterna. La "Lumen Gentium" al n. 9 afferma: "Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse". Comunione con Dio e comunione coi fratelli che costituiscono l'unico evento di salvezza: dalla comunione con Dio in Gesù Cristo scaturisce coi fratelli come la pianta dal suo seme. Il rifiuto del fratello costituisce pertanto il rifiuto di Dio. Il padre ci provoca infatti in Gesù Cristo (Mt 25,31): "Ho fame, ho sete, sono ignudo, sono malato, sono pellegrino, sono carcerato". L'umanità si scinderà alla fine dei tempi tra coloro che avranno riconosciuto Dio nei fratelli e tra coloro che l'avranno rinnegato conseguendo la salvezza i primi e dannandosi alla perdizione eterna i secondi. "Conosceranno gli uomini che siete miei discepoli se vi amerete gli uni gli altri" (Gv 13,35). Centro della comunione fraterna è l'eucaristia che incentra in sè anche tutti gli altri sacramenti, segni comunitari di salvezza, nella visione e all'insegna del grande banchetto in cui Dio si asside con gli uomini per offrire in Cristo sè stesso come nutrimento di vita eterna ''Io son il pane che dà la vita ... Chi mangia il mio pane e beve il mio sangue ha la vita eterna ... " (Gv 6, 35 e 54). Bisogna resistere alla tentazione che si sta verificando in questi nostri tempi di voler scindere la chiesa élite dalla chiesa massa o popolo per la difficoltà che incontra la gente ad assimilare la spiritualità ecclesiale promossa dal Vat. 11°. La chiesa non è una élite di illuminanti riformaori nè una cristianità ovvero una massa culturalmente, socialmente e politicamente identificata. È un popolo che dal battesimo all'eucarestia compie, intorno ai ministri espressi dal suo seno, il cammino di conformazione a Cristo, di assimilazione dello Spirito santificatore, di ritorno al Padre al di fuori delle misure conformi al nostro metro umano. Fare esperienza di comunione fraterna significa essere premurosi verso tutta la chiesa con particolare attenzione ai poveri e ai peccatori da considerare nell'ottica delle nostre miserie e dei nostri peccati per crescere tutti insieme nell'amore di Cristo nella gioia e nel dolore, nelle affermazioni e nelle delusioni.
don Giulio
È SEMPRE PASQUA
PER IL CRISTIANO NELLA PROPRIA PARROCCHIA
La parrocchia è la comunità in festa che celebra incessantemente la Pasqua del Signore. La parrocchia infatti è l'ambiente storico in cui Cristo diventa comunità di fede con l'annuncio della sua parola ascoltata celebrata testimoniata. È così che si realizza il nostro incontro con Cristo Risorto che assume nel suo corpo, che è la Chiesa, la nostra umanità per divinizzarla. Dio in Cristo è diventato nostro fratello perchè noi in Cristo diventassimo suoi figli. Gesù ha detto: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Sono coloro che ascoltano la mia parola e la mettono in pratica" (Mt 12,49). Dall'ascolto della parola di Dio scaturisce la nuova fratellanza tra gli uomini e con Dio. È la parola di Dio che rigenera l'uomo alla vita divina. Dice infatti Cristo ai suoi interlocutori: "La Bibbia chiama Dei coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio ... e la Bibbia non si può cambiare" (Gv 10,34-35). È la parola di Dio, in cui si crede, che salva: "Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato" (Mc 16,16). Nella comunità parrocchiale Cristo torna a essere il Maestro buono (Gv 1,38); il buon Pastore (Gv 10,1-11); il buon Samaritano (Le IO, 30); il Padre buono che festeggia il ritorno del figlio prodigo (Lc I5,12). Nella comunità parrocchiale è Cristo che prega, è Cristo che battezza, è Cristo che celebra l'eucaristia, è Cristo che assolve e perdona, è Cristo che vive e muore con noi. Ogni atto della comunità è atto di Cristo che si fa comunità di fede in mezzo a noi quando dedichiamo la nostra presenza personale e insostituibile all'edificazione del regno di Dio con tutti i fratelli cristiani. Si toglie quindi ogni spazio all'intimismo e all'individualismo che tende a privatizzare gli atti di Cristo nella comunità parrocchiale estraniandovisi e riducendo a un fatto personale il rapporto con Cristo nella Chiesa. Senza comunità non è più Pasqua per il cristiano e la domenica non è più la festa del popolo di Dio che celebra la propria liberazione. La festa della vita che si celebra nella comunità parrocchiale è già dentro di noi come capacità di vedere, di capire, di costruire, di amare. Ma fin che tutto ciò non lo condividiamo coi fratelli rimane sempre latente, in potenza, come un albero in germe racchiuso nel suo piccolo seme che potrà svilupparsi soltanto se verrà seminato nel suo campo con gli altri semi per divenire insieme la messe di Cristo. È Dio la festa dell'uomo perchè è Dio che gli ridona la vita attraverso la comunità che celebra insieme questa avventura di fede. È Dio che in Cristo guida questa nostra avventura umana così come con Mosè ha guidato l'avventura del popolo d'Israele nel deserto alla conquista della Terra Promessa. La domenica è il giorno del Signore, è il giorno in cui, per così dire, Dio riposa per stare con gli uomini. La domenica è anche il giorno degli uomini che dedicano il proprio riposo per stare col Signore come preludio alla vita eterna. La domenica è pertanto la festa del popolo di Dio che celebra la propria liberazione da tutto ciò che è condizionante nella vita e lo distoglie del conseguimento del proprio fine. Celebrare la festa significa celebrare l'amore di Cristo con cui ha affrontato sulla croce quel prodigioso duello con la morte che è rimasta ingoiata dalla vita. Quindi è sempre Pasqua per il cristiano anche quando muore perchè Cristo torna a morire con lui per ingoiarne la morte e ridonargli la vita. Quando il cristiano rinuncia alla festa, rinuncia alla vita. È il rifiuto della propria comunità per condannarsi all'isolamento e alla incomunicabilità pur essendo costretto dalla sorte a languire insieme come in una folla indifferente assiepata in una stazione ferroviaria in disuso ad attendere invano un convoglio che non potrà mai giungere. L'uomo è fatto per la festa perchè è fatto per la vita, la vera vita, che può celebrare solo nell'incontro con Cristo e coi fratelli nell'ambito della comunità di fede che è la Parrocchia.
Aff.mo don Giulio
Aff.mo don Giulio
LA PARROCCHIA È IL LUOGO DELLA MIA PRESENZA DI FEDE
In Parrocchia, mia comunità di fede, io devo essere presente con la mia vocazione e col supporto dei miei carismi ricevuti dallo Spirito Santo come attitudini particolari di fare il bene. Con la mia presenza sono chiamato ad affermarmi e ad esprimermi a un triplice livello d'impegno: personale, di gruppo e di comunità.
A livello personale innanzitutto.
La vocazione comporta la scelta del proprio stato in cui ciascuno è chiamato a determinarsi o come fedele religioso-ordinato o come fedele laico di Cristo. Si tratta di costruire se stessi personalmente come pietre vive per edificare la Chiesa di Cristo. Se preferiamo l'immagine della vite, sappiamo che il Padre, che fà il vignaiuolo, taglia i tralci secchi della sua vigna e li butta al fuoco. Tutti i doni di Dio ci vengono elargiti alla maniera del seme, come potenze quindi da tradurre in atto col nostro impegno personale. Nessuno semina alberi già fioriti e già carichi di frutti. L'albero esige il suo tempo e tante cure per la sua crescita. Così il cristiano perfetto non esiste in partenza ma lo potrà divenire impiegando tutto il tempo della propria vita inteso come problema quotidiano della santità da risolvere in collaborazione con Dio che opera in noi le meraviglie della sua grazia. "Chi ha creato te senza di te, non può salvare te senza di te" (S. Agostino).
A livello di gruppo.
È un itinerario di fede condiviso con chi ci sta a svolgere insieme un particolare impegno di carattere pastorale. Nel gruppo spontaneo si scelgono liberamente le persone con le quali potenziare la nostra capacità di crescita cristiana per un determinato servizio alla Parrocchia in cui nasce e cresce il gruppo medesimo, che non è la Parrocchia e non è la Chiesa ma porta con sè un'autentica analogia di Chiesa. Il fenomeno dell'aggregazione dei laici tra loro, frequentemente in sostituzione delle vecchie forme, costituisce una nuova stagione dello Spirito. Divergono tra di loro, i gruppi: ciascuno si dedica a un aspetto particolare della vita ecclesiale della comunità; ma convergono tra di loro per la finalità che li anima perchè ricercano la partecipazione diretta alla responsabilità missionaria della Chiesa. Il Vat. II° definisce questo comportamento o apostolato di associazione "segno della comunione e dell'unità della Chiesa in Gesù Cristo" e afferma il diritto dei laici ad associarsi liberamente, salvo il dovuto riconoscimento da parte dell'autorità ecclesiastica.
Il nuovo Codice di diritto canonico sancisce questo diritto testualmente: "I fedeli hanno il diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongono un fine di carità e di pietà .... e l'incremento della vocazione cristiana nel mondo". "Christifideles Laici" affermando che la libertà di aggregazione deriva direttamente dal battesimo e non già da una benigna concessione dell'autorità ecclesiastica pur richiedendone la verifica dei criteri di ecclesialità che possono essere riassunti così: primato alla santità, confessione della fede cattolica, obbedienza al Magistero della Chiesa, apertura e servizio alla comunità. Ogni forma di ghetto viene sconfessata.
A livello di Comunità.
Devo sentirmi Chiesa, ma non per conto mio od esclusivamente nel gruppo, ma nella mia comunità di fede che è la Parrocchia, dove devo inserirmi, non solo per un certo periodo di tempo come può comportare il gruppo, ma per sempre e con l'impegno del mio servizio di fede e di amore. È l'apertura alla società del proprio tempo e a tutti i suoi problemi con esclusione di qualsiasi discriminazione di persona sull'esempio del Padre che fa piovere e sorgere il sole sul campo del buono e del cattivo. Devo credere all'uomo del mio tempo: è l'atto di fede più grande in Dio Creatore e Salvatore proprio perchè non è fondato sui calcoli umani ma nella piena fiducia in Dio che guida la storia dell'uomo alla salvezza. La Parrocchia è il campo della mia semina dove posso raccogliere anche ciò che hanno seminato gli altri così come altri potranno raccogliere ciò che ho seminato anch'io. La Parrocchia, intesa più universalmente come Chiesa a cui apparteniamo, è la gran madre che ci rigenera mediante la Parola e i Sacramenti come figli di Dio e ci rigenera poi mediante la Carità vissuta e testimoniata come figli del regno del Padre nella vita eterna.
d. Giulio
A livello personale innanzitutto.
La vocazione comporta la scelta del proprio stato in cui ciascuno è chiamato a determinarsi o come fedele religioso-ordinato o come fedele laico di Cristo. Si tratta di costruire se stessi personalmente come pietre vive per edificare la Chiesa di Cristo. Se preferiamo l'immagine della vite, sappiamo che il Padre, che fà il vignaiuolo, taglia i tralci secchi della sua vigna e li butta al fuoco. Tutti i doni di Dio ci vengono elargiti alla maniera del seme, come potenze quindi da tradurre in atto col nostro impegno personale. Nessuno semina alberi già fioriti e già carichi di frutti. L'albero esige il suo tempo e tante cure per la sua crescita. Così il cristiano perfetto non esiste in partenza ma lo potrà divenire impiegando tutto il tempo della propria vita inteso come problema quotidiano della santità da risolvere in collaborazione con Dio che opera in noi le meraviglie della sua grazia. "Chi ha creato te senza di te, non può salvare te senza di te" (S. Agostino).
A livello di gruppo.
È un itinerario di fede condiviso con chi ci sta a svolgere insieme un particolare impegno di carattere pastorale. Nel gruppo spontaneo si scelgono liberamente le persone con le quali potenziare la nostra capacità di crescita cristiana per un determinato servizio alla Parrocchia in cui nasce e cresce il gruppo medesimo, che non è la Parrocchia e non è la Chiesa ma porta con sè un'autentica analogia di Chiesa. Il fenomeno dell'aggregazione dei laici tra loro, frequentemente in sostituzione delle vecchie forme, costituisce una nuova stagione dello Spirito. Divergono tra di loro, i gruppi: ciascuno si dedica a un aspetto particolare della vita ecclesiale della comunità; ma convergono tra di loro per la finalità che li anima perchè ricercano la partecipazione diretta alla responsabilità missionaria della Chiesa. Il Vat. II° definisce questo comportamento o apostolato di associazione "segno della comunione e dell'unità della Chiesa in Gesù Cristo" e afferma il diritto dei laici ad associarsi liberamente, salvo il dovuto riconoscimento da parte dell'autorità ecclesiastica.
Il nuovo Codice di diritto canonico sancisce questo diritto testualmente: "I fedeli hanno il diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongono un fine di carità e di pietà .... e l'incremento della vocazione cristiana nel mondo". "Christifideles Laici" affermando che la libertà di aggregazione deriva direttamente dal battesimo e non già da una benigna concessione dell'autorità ecclesiastica pur richiedendone la verifica dei criteri di ecclesialità che possono essere riassunti così: primato alla santità, confessione della fede cattolica, obbedienza al Magistero della Chiesa, apertura e servizio alla comunità. Ogni forma di ghetto viene sconfessata.
A livello di Comunità.
Devo sentirmi Chiesa, ma non per conto mio od esclusivamente nel gruppo, ma nella mia comunità di fede che è la Parrocchia, dove devo inserirmi, non solo per un certo periodo di tempo come può comportare il gruppo, ma per sempre e con l'impegno del mio servizio di fede e di amore. È l'apertura alla società del proprio tempo e a tutti i suoi problemi con esclusione di qualsiasi discriminazione di persona sull'esempio del Padre che fa piovere e sorgere il sole sul campo del buono e del cattivo. Devo credere all'uomo del mio tempo: è l'atto di fede più grande in Dio Creatore e Salvatore proprio perchè non è fondato sui calcoli umani ma nella piena fiducia in Dio che guida la storia dell'uomo alla salvezza. La Parrocchia è il campo della mia semina dove posso raccogliere anche ciò che hanno seminato gli altri così come altri potranno raccogliere ciò che ho seminato anch'io. La Parrocchia, intesa più universalmente come Chiesa a cui apparteniamo, è la gran madre che ci rigenera mediante la Parola e i Sacramenti come figli di Dio e ci rigenera poi mediante la Carità vissuta e testimoniata come figli del regno del Padre nella vita eterna.
d. Giulio
LA COMUNITÀ DI S. LORENZO
È una comunità aperta che si estende a tutta la popolazione. Comprende infatti tutti i praticanti coi loro limiti e le contraddizioni proprie della chiesa tradizionale, ma anche col loro impegno di fede solida tradotta nella ricca testimonianza di tante opere buone. I praticanti costituiscono il primo bacino e riserva preziosa da cui possiamo attingere le persone di buona volontà disponibili ad affrontare insieme itinerari di fede e di animazione pastorale per divenire come il lievito capace di fermentare tutta la massa del popolo di Dio. Sono persone discrete che lavorano senza mettersi in mostra; sono poveri, anche se non indigenti, che sostengono con le loro oblazioni per lo più segrete le opere parrocchiali a vantaggio anche di quelli che pensano alla parrocchia come a una mucca che tutti possono mungere senza che nessuno l'abbia a mantenere; sono fedeli che pregano anche per quelli che non pregano, che obbediscono anche per quelli che non obbediscono alle direttive dottrinali e morali della chiesa; sono volontari che dedicano il loro tempo libero alla testimonianza caritativa e all'assistenza magari senza figurare in nessun gruppo. La nostra comunità comprende anche i non praticanti, cioè quelli che non possiamo censire direttamente noi ma che può censire direttamente Dio coi suoi disegni di amore. Costituiscono pure essi un secondo bacino prezioso da cui possiamo attingere non trascurabili testimonianze di generosità e di disponibilità per ogni opera buona da compiere. Si dedicano infatti al volontariato e frequentemente sanno essere generosi con oblazioni e prestazioni anche in favore della parrocchia. Un sacerdote ferrarese, venuto a Zogno per qualche giorno di riposo, avendo osservato su Zogno Notizie di gennaio il resoconto finanziario dell'anno scorso 1988, ha esclamato: "Quanta fede, don Giulio, in questa parrocchia!" e, di fronte alla mia incredulità, soggiunse: "Se non credessero, non le darebbero tanti soldi. Venga da noi a vedere". Mi ha così lusingato parecchio facendomi credere che anche le elemosine sono segno di fede. Pala dell'Altare Maggiore di Vincenzo Angelo Orelli (1755-1813) nella Parrocchiale di Zogno raffigurante la Vergine coi santi Lorenzo, Marco e Marcelliano. Nella nostra parrocchia non si asseconda la tentazione di pensarci narcisisticamente chiesa all'interno delle nostre organizzazioni pastorali con esclusione degli altri. Sappiamo infatti che le vie del Signore sono misteriose e spesso non combaciano con le nostre. Il papa attuale ha affermato che la via del Signore è l'uomo, ogni uomo. Quando suonerà la campana da morto per la cristianità tradizionale, senza la quale sinora non ci si poteva definire cristiani, forse sarà anche la fine del cristianesimo, Dio continuerà 'anche al di fuori dei nostri schemi a percorrere le vie delle periferia, le vie dell'uomo, che portano lontano dalla terra d'Israele per raccogliere sorprendenti testimonianze di fede come quella del Centurione e della donna sirofenicia. Bisogna avere sempre tanto rispetto della religiosità popolare che si trova in ogni uomo perchè Dio ve 1'ha posta sin dall'origine avendolo creato a sua immagine e somiglianza. Dobbiamo vivere le scelte conciliari senza dimenticare che Cristo continua a rivolgersi ai peccatori, e non ai santoni, col fascino del suo amore e non certamente per guidarli e osservanze esteriori incapaci di cambiare l'uomo interiormente. La chiesa si identifica pertanto con l'uomo che è alla ricerca di Dio perchè Dio è sempre alla ricerca dell'uomo anche sulla strada sbagliata del peccato. Isolarsi nel gruppo significa isolarsi da Cristo per rifugiarsi nell'intimismo che ci isola anche dai fratelli. La regola del "Meglio pochi ma buoni" riflette il tipico comportamento del fariseo nei confronti del pubblicano. La nostra comunità vuole essere anche missionaria e rivolge la propria attenzione alle persone con le quali vuole dialogare, Non misconosce la scristianizzazione delle nostre popolazioni che non pregano perchè non credono, non rispettano i comandamenti di Dio perchè rivendicano la propria autonomia rifiutando il progetto che il Creatore ha fatto sull'uomo. La pastorale esprime la missionarietà anche dei gruppi pur non identificandosi con essi poichè costituisce, in sintesi, il rapporto dell'uomo con Cristo per mezzo della sua parola, dei sacramenti e della testimonianza lasciando sempre spazio agl'interventi misteriosi di Dio sull'uomo. Con i presenti spunti di riflessione cerchiamo di sentirci tutti uniti nella medesima comunità di S. Lorenzo di cui ci apprestiamo a celebrare la gioiosa festa patronale.
Ai vicini e ai lontani un cordialissimo augurio di ogni bene. Aff.mo don Giulio |
LA VISITA PASTORALE DI MONS. GIULIO OGGIONI, VESCOVO DI BERGAMO, PREVISTA ENTRO LA PINE DELL'ANNO CORRENTE,
AL VICARIATO DI ZOGNO-BREMBILLA
La Visita Pastorale è la conoscenza diretta del Pastore, mediante ispezione, delle condizioni del territorio a lui affidato per rilevarne i bisogni e provvedervi con zelo e carità, secondo le norme del Diritto Canonico. Fin dalle origini del cristianesimo la Visita è ritenuta come uno degli obblighi più gravi del ministero pastorale. Gli Atti degli Apostoli (Act. 9,32) affermano di S. Pietro: "Circuibat civitates ac vicos ut confirmaret fideles" (peregrinava di città in città e di villaggio in villaggio per confermare nella fede i cristiani). Così pure facevano i Vescovi, ciascuno nell'ambito della propria giurisdizione o nelle Chiese da loro fondate o a loro affidate. Socrate scrisse di S. Basilio di Cesarea (Hist. eccles. VoI. IVo, Cap. 21): "Urbes perlustrans languentes in fide confirmabat" (perlustrando le città confermava i dubbiosi nella fede). Così S. Martino di Tours. S. Agostino scrive di sè: "Quoniam visitandarum ecclesiarum ad meam curam pertinentium necessitate proiectus sum ... " (sono infatti sospinto dalla necessità di visitare le chiese che appartengono alla mia cura (Ep. 56: PL 33, col. 233). La prima legge sull'obbligo della sacra Visita risale al Conco di Tarragona (a. 516), canone 8°: ''Ut antinquae consuetudinis orde servetur et annuis vicibus ab episcopo dioeceses viserentur" (si conservi la disposizione secondo l'antica consuetudine di visitare da parte dei vescovi la loro diocesi ad anni alternati). Il Conco di Trento estese la sua riforma anche in questo campo dichiarando che la Visita pastorale era dovere personale del vescovo (a. 1545). A Zogno, per es., e nella diocesi di Bergamo quindi, le Visite pastorali erano già iniziate nel 1536 col vescovo Pietro Lippomani. L'ultima Visita è stata celebrata dall'arco Clemente Gaddi, a Zogno precisamente dal 9 al 10 marzo 1968, presente come parroco mons. Giuseppe Speranza. Il precedente Diritto Canonico (can. 1939) afferma che la Visita pastorale ha luogo quando un giusto motivo la rende necessaria. L'attuale Diritto Canonico, emanato nel 1984, stabilisce (can. 396): "Il Vescovo è tenuto all'obbligo di visitare tutta la diocesi almeno ogni cinque anni". Il can. 398 afferma: "Il vescovo si impegni a compiere la Visita pastorale con la dovuta diligenza: si impegni a non gravare su alcune con spese superflue". Il Vescovo diocesano poi è tenuto a presentare ogni cinque anni una relazione al Sommo Pontefice sullo stato della diocesi affidatagli. Per comprendere meglio l'importanza e il significato della Visita pastorale occorre prendere in considerazione la Chiesa locale, o diocesi, che si riconosce nel suo capo, il vescovo diocesano, come successore degli Apostoli che svolge la missione (can. 375 e ss.) di santificare, d'insegnare e di governare in comunione gerarchica col Capo e il Collegio dei Vescovi. La diocesi infatti (can. 396) è la porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale del vescovo con la cooperazione del presbiterio in modo che, aderendo al suo pastore e da lui riunita nello Spirito Santo mediante il Vangelo e l'Eucarestia, costituisca una Chiesa particolare in cui è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica. La Parrocchia poi, secondo il can. 515, è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'ambito di una Chiesa particolare, e diocesi, e la cui cura particolare è affidata sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un Parroco quale suo proprio pastore. Il Vicariato in fine è un insieme di parrocchie vicine riunite in particolare raggruppamento per favorire la cura pastorale mediante una azione comune (can. 374). Il Parroco pertanto esercita la cura pastorale della sua comunità direttamente sotto l'autorità del Vescovo col quale è chiamato a partecipare al ministero di Cristo per compiere a servizio della parrocchia medesima le funzioni d'insegnare, santificare e governare in collaborazione con gli altri presbiteri e diaconi e con l'apporto dei fedeli laici a norma del diritto (can. 519). Così pure il Vicario locale è nominato dal Vescovo sentito il parere dei presbiteri che svolgono il loro ministero nell'ambito del Vicariato (can. 553). Si è tutti pertanto costituiti in ordine gerarchico sotto l'autorità diretta dei superiori ai quali bisogna sempre rendere conto del proprio operato. Nella Chiesa l'autorità non si desume dal popolo o dalla base anche se viene coinvolta nella responsabilità pastorale, ma discende gerarchicamente da Dio per divino volere, per cui chi rifiuta la Gerarchia, rifiuta praticamente la Chiesa. Il nostro Vescovo, Mons. Giulio Oggioni, nel decreto d'indizione della imminente Visita pastorale del 9 gennaio 1983 ne ha precisato lo scopo. Intende infatti di attuare e far vivere il mistero della Chiesa nello Spirito del Concilio, di rinnovare la Catechesi, di porre attenzione ad alcuni problemi pastorali emergenti, quali: la famiglia, le vocazioni, i giovani e gli adolescenti con annesso il problema strutturale dell' oratorio, il mondo del lavoro e della scuola. I gruppi pastorali parrocchiali e vicariali con le persone impegnate nel campo della pastorale locale sono chiamati a incontrarsi col Vescovo per offrirgli una relazione sull'attività svolta sinora e sui programmi che si vogliono realizzare insieme. Il Vescovo poi esprimerà il suo giudizio e farà le sue osservazioni sul nostro modo di essere chiesa e sui quesiti che gli vorremo presentare. La Visita pastorale è senz'altro un tempo prezioso e singolare per verificare la nostra fede e lo stile di testimoniarla attraverso l'attività pastorale aggiornata al Concilio e alle nostre necessità.
don Giulio Gabanelli
don Giulio Gabanelli
PER IL PIANO PASTORALE PARROCCHIALE 1989-1990
La pastorale parrocchiale 1989-1990, s'incentra sulla preghiera. È una proposta d'indirizzo pastorale più che altro perchè si abbia a celebrare e a sostenere tutto il nostro impegno all'insegna di una ispirazione evangelica che ci mantiene uniti nel cammino di fede che stiamo affrontando insieme. L'anno scorso il nostro cammino, soprattutto di catechesi, è stato effettuato all'insegna del Figliol Prodigo che torna alla casa del Padre. Noi abbiamo accostato quel fratello per condividerne il cammino di conversione e per predisporre insieme la preghiera con cui celebrare l'incontro col Padre della Misericordia che si riscopre dopo la triste esperienza del peccato. Abbiamo deciso di percorrere la strada lunga perchè la conversione non s'improvvisa. Il figlio rimasto a casa col Padre infatti non ha fatto nessuna strada e, non avendo preso le distanze con una esperienza personale, gli è mancato il punto di prospettiva necessario per riscoprire la Misericordia di suo Padre per sè e per il fratello. Per l'anno corrente propongo di metterei in cammino coi discepoli al seguito di Gesù che si è fatto esempio di preghiera perchè ci insegni a pregare: "Maestro, insegna anche a noi a pregare!" Questa diventi la parola d'ordine con cui dobbiamo intenderei su tutto ciò che vogliamo fare per essere uniti a Cristo e ai fratelli di fede. Nella nostra comunità parrocchiale scarseggia l'impegno per la preghiera. La preghiera è il segno del comportamento di chi crede; è il primo passo per metterei in cammino di conversione col Figliol Prodigo. La preghiera ci mette in comunione con Dio ma anche coi fratelli perchè ci aiuta a sradicarci dal nostro egoismo che ci impedisce di essere chiesa nella maniera migliore o, come dice il nostro vescovo, chiesa conciliare. L'anno corrente si apre col fatto straordinario della Visita Pastorale che deve aiutarci a verificare il nostro modo di essere chiesa, di sentirci quindi comunità di fede nell'ambito della nostra parrocchia e in comunione col Vescovo e col Papa. Sono passati già oltre ventun anni dalla precedente Visita Pastorale. Non ha lasciato segni vistosi di conversione fra noi. Ma anche l'imminente Visita cadrà nel nulla se non servirà a riaccendere in noi lo spirito di preghiera capace di rianimare una situazione d'indifferenza che raggela la nostra parrocchia. Se la catechesi non diventa preghiera perde subito la forza della sua testimonianza perchè diventa come il seme, di cui parla il Vangelo, che cade sulla strada. La preghiera ci aiuta infatti a vedere dal punto di vista di Dio tutti i problemi dell'umanità e a riscoprirne la soluzione sul piano salvifico divino: non c'è nulla d'impossibile al mondo quando l'uomo accetta di dipendere da Dio. Esprimo l'augurio carico di speranza che la preghiera ritrovi la sua adeguata dimensione a livello personale di ciascuno di noi, a livello di famiglia, di gruppo e di comunità.
don Giulio
don Giulio
IL NATALE DEL CRISTIANO
Il Natale di N.S. torna puntualmente a noi ogni anno col suo stravolgente messaggio di amore: "Dio si è fatto uomo tra gli uomini perchè gli uomini diventino figli di Dio" (Gv 1,1 e ss.). Non è l'uomo che parte per primo alla ricerca di Dio. Il Cristianesimo, a differenza di tutte le altre religioni, afferma che Dio, infinitamente perfetto e trascendente, si è fatto uno tra di noi per entrare così nella storia dell'uomo. È questa una delle affermazioni più audaci e sconcertanti della nostra fede. Si aggiunga poi l'altra affermazione non meno sconcertante che Dio è disceso fra noi facendosi uomo per la nostra salvezza come capro espiatorio delle nostre colpe e per elevarci in Gesù Cristo nientemeno che alla dignità dei suoi figli. Si è creata pertanto una duplice corrente che attraversa tutto il Cristianesimo: quella di Dio che discende ed entra nella storia dell'umanità col fatto dell'incarnazione di Gesù Cristo "Il Verbo di Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,1 e ss.) e l'altra corrente dell'uomo che sale elevandosi alla dignità di figlio di Dio, divinizzato, sempre in Gesù Cristo. Dio, per così dire, è disceso solo dal cielo per tornarvi con tutta l'umanità redenta. La somma teofania, e manifestazione di Dio, per il Cristianesimo è avvenuta a Betlemme mentre per l'Ebraismo è avvenuta sul monte Sinai. "La legge ci è stata data per mezzo di Mosè, ma la grazia della verità c'è stata data in Gesù Cristo" (Gv 1,17). S. Paolo afferma: "Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò il suo figlio fatto da donna, fatto sotto la legge affinchè ricevessimo l'adozione a figli" (Gal 4,4-5). "E in lui abita la pienezza della divinità corporalmente" (Col 2,9). La Chiesa spiega infatti che nell'unica persona divina del Verbo, che incarnandosi non ha cessato di essere Dio, si è unita alla natura divina anche la natura umana assunta nel seno purissimo di Maria Vergine. Gesù Cristo, essendo l'uomo-dio, attraversa tutta la storia dell'umanità per cui appartiene a tutti i tempi di ieri, di oggi e di sempre. E noi cristiani, rinati in Cristo col Battesimo come figli di Dio ne siamo i contemporanei. Col Natale celebriamo infatti questo mirabile evento di fede: "Chiunque crede che Gesù è il Cristo è diventato figlio di Dio" (1 Gv 5,1). Il N atale di Cristo è già all' origine dell'uomo e diventa in tutti i tempi il Natale del cristiano, di chi crede che Dio è nell'uomo. Solo l'amore può spiegare l'incarnazione del Figlio di Dio in Gesù Cristo e in Cristo la rinascita dell'uomo alla vita divina: "Dio ha tanto amato gli uomini da dare il suo Figlio unigenito affinchè chiunque crede in lui, non perisca, ma abbia la vita eterna" (Gv 3,16). La via di Dio pertanto è l'amore: "Dio è amore e chi vive nell'amore, vive in Dio e Dio è presente in lui (1Gv 4,16). Anche la via dell'uomo deve essere quindi la via dell'amore se vuole conseguire la salvezza: "Amiamoci gli uni gli altri perchè l'amore viene da Dio e chiunque ama è generato da Dio" (1 Gv 4,7).
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Il cristiano è chiamato ad amare coi fatti e non soltanto a parole per riportare Dio sulle strade del mondo come il Buon Pastore alla ricerca della pecorella smarrita, come Buon Samaritano in soccorso a tutte le vittime di ogni violenza e ingiustizia e per far risplendere la bontà del Padre misericordioso sempre in attesa di poter riabbracciare qualsiasi figliol prodigo. La celebrazione del Natale, come miglior augurio, rinnovi in noi il desiderio di far risplendere l'Amore che non tramonta sulla terra del disamore affinchè ogni uomo possa vedere la salvezza di Dio incarnato.
Buon Natale di tutto cuore indistintamente a tutti. don Giulio |
LA SITUAZIONE DEL VICARIATO PRESENTATA AL VESCOVO
NELL'INCONTRO COL CONS. PRESBITERALE VICARIALE DEL 16/11/89
La Visita Pastorale è un'occasione propizia per verificare il nostro modo di essere Chiesa confrontandosi con l'autorità del Vescovo. È una verifica che va estesa a tutto il nostro comportamento sia alla base che al vertice, come semplici fedeli e come autorità. Dal Conc. Vat. II°" in poi si sente parlare frequentemente di Chiesa come di cammino fatto insieme, in comunione tra la base e il vertice, quindi anche di partecipazione perchè tutti siamo responsabili nella Chiesa santa di Dio, ciascuno secondo il proprio ruolo dato che la responsabilità per essere tale deve essere concordata tra chi comanda e chi obbedisce affinchè le decisioni non avvengano sempre nella sala dei bottoni al centro a insaputa degli interessati. Ciò che si afferma per il centro diocesano logicamente vale anche per il centro vicariale e parrocchiale. A volte tuttavia sono gli stessi interessati che non vogliono saperne di partecipazione e di responsabilità, preferiscono starsene fuori come da una realtà estranea che poi si permettono di biasimare e di ripudiare. È da quando si comincia a sentirsi responsabili in prima persona che ci si muove e le cose cambiano. Sacerdoti e laici fedeli che non si lasciano coinvolgere rimangono isolati e incapaci di essere Chiesa autentica anche se riescono a livello di comunità a crearsi il proprio feudo alla maniera del ghetto. I messaggi che sopraggiungono dai centri sono così di disturbo alla propria quiete e gli incaricati alla distribuzione, come a volte nel caso del Vicario, sono ridotti al ruolo di postini indesiderati. Ma bisogna pure riconoscere che quando le cose non funzionano alla base la causa dipende anche dall'alto: non c'è intesa e reciproca comprensione. Tra i sacerdoti del nostro Vicariato regna comunque sincera e cordiale amicizia anche se c'è qualche caso di rifiuto nei confronti della pastorale d'insieme vicariale. Data poi l'esiguità del numero degli abitanti delle nostre piccole parrocchie, non è sempre facile reperire animatori e rappresentanti validi per gli organismi di partecipazione. Anche il Cons. Past. Parr. viene talora inteso ancora come un Cons. per gli affari economici allargato a più persone. Quando poi nelle parrocchie non si riesce a far bollire la pentola dei propri problemi pastorali, non si può attendere una più viva partecipazione alla vita del Vicariato. Il Cons. Past. Vico infatti da noi parte e riparte a gran fatica e senza una sincera convinzione anche se non si rinuncia comunque all'impresa. Il Cons. Presbiterale Vico comincia finalmente a prendere un po' di consistenza e funziona abbastanza regolarmente anche se accusa qualche irriducibile assenza agli incontri pressochè mensili. Nonostante tutto, il Vicariato, sembra stia acquistando una sua autentica fisionomia e un suo preciso impegno circa i problemi della Catechesi, delle Vocazioni, delle Missioni, della Famiglia, del Volontariato, del Lavoro, dei Giovani ... Ciascun problema fa capo a un suo specifico gruppo di animazione con alla testa ciascuno un sacerdote responsabile. La Catechesi in particolare è abbastanza aggiornata in tutte le parrocchie anche se non tutte fanno riferimento ai corsi di base e di aggiornamento organizzati dal Vicariato. La Catechesi Adulti, sistematica, affatica a farsi strada poichè persiste l'idea che la catechesi è un problema che riguarda i ragazzi. Gli adulti, senza che per essi si rinunci a lodevoli tentativi, vengono più facilmente coinvolti nella fascia dei genitori interessati alla catechesi dei propri figli soprattutto in occasione della celebrazione dei sacramenti dell'iniziazione. La Liturgia è abbastanza curata nonostante il proverbio che afferma "ogni sagrestia, inventa la propria liturgia". Il coinvolgimento dell'assemblea rimane comunque sempre difficile nel contesto di una duplice contraddizione di molti che non vogliono fare niente e di pochi che vogliono o devono fare troppo. Ordinariamente i sacri riti vengono celebrati nel rispetto delle superiori disposizioni con qualche piccola licenza o pericolo di personalizzare o di spersonalizzare troppo la celebrazione. Nell'ambito del Vicariato si cerca tuttavia di trovare insieme un giusto equilibrio. L'Assistenza e il Volontariato è un problema abbastanza presente anche come testimonianza di fede ma con poco impegno organizzativo per cui si rimane sempre assai lontani da una soluzione adeguata alle necessità locali. L'unico Ricovero capace, a cui possono fare rifermento anche gli anziani non autosufficienti della valle, è l'Opera Pia Caritas della parrocchia di Zogno con oltre cento ricoverati. C'è anche il piccolo Ricovero delle Poverelle di Brembilla che svolge la stessa mansione. Il Ricovero costituisce in ogni caso una vergognosa emarginazione delle persone, peccato che grida vendetta al cospetto di Dio perchè sradica l'uomo dal suo ambiente naturale per parcheggiarlo nell'anticamera del cimitero. È meglio estendere l'assistenza a domicilio, secondo quanto è previsto anche dalle leggi civili, magari in collaborazione con l'assessorato del proprio Comune. Il fenomeno epidemico della tossicodipendenza sta dilagando paurosamente anche nei nostri piccoli centri. Sinora non siamo stati capaci neppure di considerare seriamente il problema. Si dice che si è sempre in fase di studio tanto per non riconoscere che non si fa niente. Circa le aggregazioni: ne abbiamo di quelle tradizionali che sopravvivono come la S. Vincenzo, il Terz'Ordine Francescano (TOR), la Confraternita del S.mo Sacramento, l'Apostolato della Preghiera tuttora numeroso. Abbiamo fatto rivivere l'Azione Cattolica come gruppo parrocchiale per l'animazione di tutta la pastorale. Comunione e Liberazione raccoglie l'adesione di un discreto numero di giovani e di famiglie che non si sentono tuttavia di estrazione parrocchiale anche se, liberi dalle loro attività, si prestano volentieri per animare vari aspetti della pastorale. L'Agesci ha la sua sede nell'Oratorio di Zogno ma senza alcun impegno nell'ambito delle attività parrocchiali conducendo vita autonoma. La situazione demografica è piuttosto allarmante. Le già minuscole comunità di montagna si stanno sempre più spopolando anche se sono servite da strade comode percorribili in ogni stagione dell'anno. Rimangono perlopiù gli anziani ad attendere il ritorno sporadico dei figli che se ne vanno in cerca di fortuna altrove. I giovani che non hanno avuto, causa l'isolamento, l'occasione propria di sposarsi e non hanno avuto il coraggio di andarsene, rimangono a invecchiare da poveri scapoloni come figli di nessuno. I centri più popolati a valle rischiano, con la cultura della morte, una irreversibile decrescita e un invecchiamento irriducibile. Gli abitanti delle nostre comunità sono molto affezionati alla propria parrocchia, anche se piccola e accorpata, e danno, pure ridotti di numero, ingenti somme a favore della propria chiesa. La frequenza alla chiesa è alquanto diminuita nelle fasce giovanili ma col vantaggio che si tratta di una frequenza più convinta e vissuta. Il costume purtroppo lascia senz'altro a desiderare a causa dell'infiltrazione di nuovi modelli di vita mondana propinati da mamma TV, dai mass-media e dai contatti con l'esterno dovuto sia dal forte pendolarsimo e sia dal turismo che spinge anche la nostra gente a viaggiare ormai in capo al mondo. La disoccupazione si nota soprattutto nei giovani in cerca del primo posto di lavoro dopo la scuola e il servizio militare. Per gli handicappati e per gli invalidi c'è poca possibilità di occupazione. La scuola costituisce un altro problema aperto. Si sente dire a volte: "Più scuola e meno civiltà". Senz'altro si esagera; ma si rileva nel comportamento degli studenti, senza generalizzare, il rigetto della cultura dei propri padri che invoglia a pensare alla scuola come a una fabbrica dove a volte si demolisce piuttosto che costruire l'uomo. Le nostre pubbliche amministrazioni sono perlopiù di marca democristiana ma a volte paragonabili a dei carri senza ruote. Vi accedono frequentemente persone interessate a far viaggiare il carro con le ruote degli interessi privati. Si sente la mancanza di una scuola per amministratori fondata sui principi sani dell'onestà e del servizio. Mancano frequentemente anche le persone disponibili a mettere a servizio della comunità i propri carismi. Da tutta questa relazione, forse troppo sbrigativa, potrebbe scaturire un'immagine molto negativa del nostro ambiente. L'intenzione non era proprio questa. Caso mai si sono trascurati gli aspetti positivi perchè quelli non necessitano di rimedi.
d. Giulio Gabanelli
d. Giulio Gabanelli
VISITA PASTORALE 26/11/1989
Presento la situazione della Parrocchia al Vescovo, Mons. Giulio Oggioni
in Visita Pastorale
Finora, nella nostra parrocchia, nessun funerale civile. Il 100% dei morti passano dalla Chiesa prima di raggiungere definitivamente il Cimitero. Gli ammalati vengono seguiti e assistiti con cura e la maggior parte passa alla vita eterna coi conforti religiosi. Gli anziani sono i più timorati di Dio, non tanto perchè "quando il mondo non mi vuole più, mi rivolgo al buon Gesù" ma perchè riflettono ancora la Chiesa tradizionale di Zogno sempre tanto attaccata alle sue tradizioni cristiane e alla pratica frequente dei sacramenti. La massa, intendo il 40% circa dalla popolazione, anche se è ritenuta poco conciliare, frequenta la Chiesa senza sprecarsi troppo per la partecipazione attiva. Costituisce comunque la risorsa più importante per tutto ciò che si vuole realizzare in parrocchia. Solo il 5% circa della popolazione costituisce la cosiddetta presunta Chiesa Conciliare e si presta attivamente per la pastorale e per la formazione dei gruppi con riferimento alla catechesi, alle missioni, all'assistenza, all'oratorio, alla liturgia ... Bazzica a volte nella presunzione di poter essere Chiesa Conciliare, aggiornata, indipendentemente dalla Chiesa Gerarchica. Esiste poi la periferia, di cui molti fanno riferimento alla parrocchia nelle circostanze straordinarie della vita per i sacramenti dei figli e anche per la disponibilità a contribuire con offerte e col tempo libero a opere di bene, fatte poche eccezioni, non ci troviamo di fronte a un mondo anticlericale così come era stato definito Zogno tradizionalmente nel passato. I nati sono da tempo inferiori ai morti anche perchè il paese sta invecchiando: rimangono gli anziani e i giovani che si sposano se ne vanno altrove, anche nelle parrocchie circonvicine. Senz'altro l'aborto dissemina le sue vittime anche da noi, e non soltanto l'aborto ma anche la contraccezione favorisce il calo delle nascite. I giovani, se coinvolti, sanno essere generosi; ma abbandonati a sè si rifugiano in piccole compagnie che evadono dalla parrocchie o si ripiegano nell'individualismo che li rende estranei alle opere di bene. Si trascura troppo il ragazzo nell'età evolutiva col rischio di perderlo per sempre. È difficile riportare all'ovile le pecore che se ne sono andate via adescate da miraggi per nulla cristiani. I fidanzati, anche se non si dichiarano apertamente, assorbono il clima divorzista e abortista e giungono al matrimonio, sia pure celebrato in chiesa, con esperienze sessuali precoci e a volte anche con delle convivenze prolungate, decisi comunque per lo più a dilazionare la nascita dell'erede per motivi di lavoro e anche per restare più liberi di godersi la vita. Intanto insorgono esperienze extramatrimoniali che si concludono con un numero impressionante di separazioni e di convivenze collaterali o concubinaggi con tutte le conseguenze a danno anche dei figli, se ce ne sono. La loro pratica cristiana si spegne come un fatto incompatibile con la vita che conducono. Fortunatamente esistono anche le giovani coppie impegnate a costruirsi nell'amore autentico e a formare una famiglia aperta alla comunità. Se si notano degli affievolimenti in fatto di pratica cristiana, vengono tuttavia sfatati in occasione della nascita dell'erede e quando i figli maturano per l'ammissione ai sacramenti. A volte succede che i genitori sono portati di nuovo in chiesa dai figli e vi rimangono, mentre i figli, terminato il periodo della sacramentalizzazione, se ne vanno per tornare di nuovo all'epoca del corso per fidanzati. Purtroppo le nostre famiglie, che si reputano tuttora cristiane, hanno tolto qualsiasi spazio alla preghiera e alla parola di Dio lasciando trionfare "mamma tivù" che porta in casa ogni giorno un costume poco umano e per nulla cristiano. Intanto non abbiamo ancora trovato la maniera di creare tempi e luoghi di preghiera ben organizzati nell'ambito della parrocchia. La catechesi degli adulti rimane tuttora un problema urgente da risolvere. La catechesi della domenica pomeriggio e lungo la settimana coinvolge soprattutto persone anziane. Rimangono gli incontri pressochè mensili dei genitori interessati alla catechesi dei loro figli in occasione dei sacramenti dell'iniziazione. Per il resto ci si riduce all'omelia domenicale e alla celebrazione straordinaria del triduo, delle quarant'ore e dell'ottavario dei morti con assai scarsa frequenza da parte della popolazione più giovane. Le missioni al popolo si celebrano ogni dieci anni ma con scarso frutto. Esistono poi i problemi Scuola, Lavoro, Amministrazione pubblica che non sono mai stati considerati se non sporadicamente e per i casi in cui si è chiamati in causa direttamente. Ai problemi succitati bisogna aggiungere anche il problema droga che serpeggia a tutto spiano disseminando pure le sue vittime senza rimedio. Le autorità a qualsiasi livello e le famiglie sono interessate a svegliarsi per fare blocco insieme all'ondata disastrosa della corruzione minorile organizzata che non risparmia ormai più nessuno. Bisogna decidersi a mettere da parte tutti i rispetti umani e le titubanze se ci si vuole salvare. Cosa si può chiedere a una comunità parrocchiale in occasione della Visita Pastorale? Si chiede che non si creino dei feudi all'interno della parrocchia affinchè non si ripeta il fatto triste: "ogni volta si cambia un sacerdote crolla la sua chiesa di cui rimangono i ruderi a intralcio del sacerdote che subentra". Si Chiede pertanto una chiesa meno individualista che si spinga non tanto in cerca di potere quanto di servizio. Si chiede ai gruppi in particolare di evitare il rischio del ghetto con una presenza aperta alla comunità. Non trascurino di perseguire gli scopi propri del gruppo, suoi peculiari, ma si rimanga nel contempo sempre disponibili a un coordinamento a livello di Consiglio Pastorale Parrocchiale in cui figurano presenti come membri di diritto i singoli animatori responsabili ciascuno del proprio gruppo. Si chiede ai giovani di diventare protagonisti nella loro comunità di fede e civile, secondo l'ammonimento del nostro Vescovo, donandosi e non inseguendo disegni di potere ma di serVIZlO. Frequentemente i giovani lamentano la mancanza di ciò che non hanno voluto contribuire a realizzare. Non è certo con la latitanza e con l'anarchia che si risolvono i problemi umani e cristiani, ma portando la propria presenza personale impegnata sul piano pratico del servizio ciascuno nella misura delle proprie possibilità. Lo Spirito Santo parla soprattutto con la bocca dei giovani ma quando si dedicano alle questioni e non già alle fazioni. A ogni famiglia si chiede di tornare a essere chiesa domestica in cui si dia spazio alla preghiera e alla catechesi e da cui parta la testimonianza della propria fede offrendo almeno parte del proprio tempo libero al mondo della sofferenza e della pastorale parrocchiale. La famiglia è l'istituzione più aggredita di questi nostri tempi, ma sopravvive grazie alla natura dell'istituzione medesima e rimane pertanto il riferimento più sicuro e indispensabile per qualsiasi problema che riguardi la gioventù e la società umana. Si chiede ancora ai responsabili, a ogni livello e grado, l'impegno di un coordinamento e di una reciproca collaborazione disinteressata, l'unione fa la forza, per evitare che ciascuno cammini per conto proprio dovendo affrontare tutti insieme gli stessi problemi. Lo scopo rimane sempre il servizio all'uomo da non condizionare mai a nessun altro scopo e interesse.
don Giulio G.
don Giulio G.