1988
L'ANNO MARIANO 1987-1988
Il Papa, Giovanni Paolo II°, vuole che l'Anno Mariano corrente ci prepari al terzo millennio della Redenzione. Dovremo pertanto modificare la nostra mentalità cattolica così poco cristiana che ci impedisce di guardare avanti perchè non ci sentiamo persone di fede sinceramente in cammino come pellegrini verso la vita eterna. Non abbiamo altra meta che quella di rimanere sulla terra, insediati nella città di Dr e di Babilonia, a farci con l'aiuto di Dio e della Vergine, altrimenti non conterrebbero nulla per noi, i nostri affari ritenuti l'unico scopo importante della vita. Non troviamo più il tempo di pensare seriamente alla vita eterna che diventa poi motivo di grande sgomento di fronte alla morte per cui non sappiamo più nè vivere nè morire in pace con Dio e con noi stessi. Non ci sentiamo quindi di appartenere alla storia della salvezza: non del passato perchè non facciamo riferimento con la nostra vita alla sacra scrittura, Parola di Dio rivelata; non del presente perchè non ci preoccupiamo che dei beni della terra; non del futuro perchè riteniamo di poter fare sempre in tempo ad aggiustare i conti con Dio intanto che il tempo scappa via irreparabilmente. Così ci sentiamo tagliati fuori dal contesto della salvezza proposta da Dio all'umanità con il progetto di alleanza ad Abramo e alla sua discendenza. L'esempio della Vergine indica che le nostre vie, che ci portano lontano dalla salvezza, non sono le vie di Dio. Per tornare a Dio dobbiamo camminare con la Vergine sulla strada maestra di Cristo, l'unica via della salvezza che il Padre ha tracciato per l'umanità. L'esempio di Maria è centrale per tutta la storia della salvezza perchè attinge la sua consistenza nella realizzazione concreta delle sacre scritture. Maria infatti è la donna nuova della promessa con cui Dio salva l'uomo: "Il Signore Dio disse al serpente: lo porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe, questa ti schiaccerà la testa mentre tu le insidierai il calcagno" (Gn 3,15).
Maria è la Vergine Madre della profezia:
"Ecco la Vergine (il fiore spuntato sulla radice di Iesse) concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele, cioè Dio con noi" (Is 7,14).
Maria è la donna piena di grazia, l'Immacolata:
"L'Angelo Gabriele, entrando da lei disse: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te" (Lc 1,28).
Maria è la donna dello Spirito Santo:
"Le rispose l'Angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo" (Lc 1,31).
La Vergine Maria è la Madre di Dio:
"Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,35).
Maria è la donna obbediente che si contrappone a Eva:
"Allora Maria disse: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che tu hai detto" (Lc 1,38).
Maria è la Vergine silenziosa:
"Maria da parte sua custodiva gelosamente il ricordo di tutti questi fatti e li meditava nel suo cuore" (Lc 2,51).
Maria è la Madre dei dolori:
Il santo vecchio Simeone disse: Quanto a te, Maria, il dolore ti colpirà e ti trafiggerà come una spada" (Lc 2,35).
"Stava presso la Croce Maria la Madre di Gesù" (Gv 19,25).
Maria è la madre di Gesù che intercede per noi:
"Figlio, non hanno più vino" (Gv 2,3).
Maria, in Cristo prima e nel discepolo Giovanni poi, è la madre nostra:
"Gesù vide sua madre e accanto a lei il discepolo che amava. Allora disse a sua madre: Donna, ecco tuo figlio. Poi disse a Giovanni: Ecco tua madre" (Gv 19,26).
Maria è la Madre della Chiesa:
"I discepoli (dopo l'ascensione di Gesù) erano tutti concordi e si riunivano regolarmente per la preghiera con ... Maria la madre di Gesù" (At 1,14).
La presenza umile e silenziosa di Maria riempie di speranza le nostre attese. Se togliessimo questa presenza, la storia dell'umanità ricadrebbe nella più desolante disperazione. Lei infatti è la madre del Seme che ha schiacciato la testa all'antico serpente, irriducibile nemico dell'uomo. La Vergine partoriente è divenuta la primogenita partorita dalla novella Madre, la Chiesa che Cristo ha fondato e in cui Maria continua a esserne madre e figlia primogenita. Il suo seme è Cristo e Cristo con lei e tutti i cristiani continua a schiacciare la testa al serpente insidiatore. Lei è madre del Seme ma è anche seme di Cristo con tutti noi se crediamo. Il cantico del Magnificat che Maria ha pronunciato in risposta al saluto della cugina Elisabetta è la sintesi più mirabile del suo pensiero con cui dimostra come vengono realizzate le promesse di Dio ad Abramo e alla sua discendenza di cui ella si sente veramente madre. La potenza travolgente di Dio abbatte come un uragano le querce e lascia illesi, anzi rialza, le fragili erbe del prato e gli umili fiori del campo. Col Magnificat, Maria, canta la sua esperienza di fede vissuta a testimonianza della fedeltà di Dio alle sue promesse. Il nostro cammino di fede diventa veramente un cammino di salvezza se combacia con l'esempio di Maria che Dio solleva nella sua misericordia dall'umiltà e dall'indigenza con tutta l'umanità dei credenti. L'Anno Mariano ci impegni quindi a riscoprire la Vergine Maria così come Dio l'ha voluta e così come ella ha accettato di essere, il segno più fulgido e generoso della potenza del Signore che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili. Una proposta pratica, tra le tante che si possono proporre, per vivere meglio il corrente anno mariano: confessiamoci mensilmente con l'intento di ravvivare la nostra fede nella Parola di Dio per essere capaci di testimoniare la nostra fedeltà a Dio e ai fratelli.
Don Giulio
Maria è la Vergine Madre della profezia:
"Ecco la Vergine (il fiore spuntato sulla radice di Iesse) concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele, cioè Dio con noi" (Is 7,14).
Maria è la donna piena di grazia, l'Immacolata:
"L'Angelo Gabriele, entrando da lei disse: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te" (Lc 1,28).
Maria è la donna dello Spirito Santo:
"Le rispose l'Angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo" (Lc 1,31).
La Vergine Maria è la Madre di Dio:
"Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,35).
Maria è la donna obbediente che si contrappone a Eva:
"Allora Maria disse: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che tu hai detto" (Lc 1,38).
Maria è la Vergine silenziosa:
"Maria da parte sua custodiva gelosamente il ricordo di tutti questi fatti e li meditava nel suo cuore" (Lc 2,51).
Maria è la Madre dei dolori:
Il santo vecchio Simeone disse: Quanto a te, Maria, il dolore ti colpirà e ti trafiggerà come una spada" (Lc 2,35).
"Stava presso la Croce Maria la Madre di Gesù" (Gv 19,25).
Maria è la madre di Gesù che intercede per noi:
"Figlio, non hanno più vino" (Gv 2,3).
Maria, in Cristo prima e nel discepolo Giovanni poi, è la madre nostra:
"Gesù vide sua madre e accanto a lei il discepolo che amava. Allora disse a sua madre: Donna, ecco tuo figlio. Poi disse a Giovanni: Ecco tua madre" (Gv 19,26).
Maria è la Madre della Chiesa:
"I discepoli (dopo l'ascensione di Gesù) erano tutti concordi e si riunivano regolarmente per la preghiera con ... Maria la madre di Gesù" (At 1,14).
La presenza umile e silenziosa di Maria riempie di speranza le nostre attese. Se togliessimo questa presenza, la storia dell'umanità ricadrebbe nella più desolante disperazione. Lei infatti è la madre del Seme che ha schiacciato la testa all'antico serpente, irriducibile nemico dell'uomo. La Vergine partoriente è divenuta la primogenita partorita dalla novella Madre, la Chiesa che Cristo ha fondato e in cui Maria continua a esserne madre e figlia primogenita. Il suo seme è Cristo e Cristo con lei e tutti i cristiani continua a schiacciare la testa al serpente insidiatore. Lei è madre del Seme ma è anche seme di Cristo con tutti noi se crediamo. Il cantico del Magnificat che Maria ha pronunciato in risposta al saluto della cugina Elisabetta è la sintesi più mirabile del suo pensiero con cui dimostra come vengono realizzate le promesse di Dio ad Abramo e alla sua discendenza di cui ella si sente veramente madre. La potenza travolgente di Dio abbatte come un uragano le querce e lascia illesi, anzi rialza, le fragili erbe del prato e gli umili fiori del campo. Col Magnificat, Maria, canta la sua esperienza di fede vissuta a testimonianza della fedeltà di Dio alle sue promesse. Il nostro cammino di fede diventa veramente un cammino di salvezza se combacia con l'esempio di Maria che Dio solleva nella sua misericordia dall'umiltà e dall'indigenza con tutta l'umanità dei credenti. L'Anno Mariano ci impegni quindi a riscoprire la Vergine Maria così come Dio l'ha voluta e così come ella ha accettato di essere, il segno più fulgido e generoso della potenza del Signore che rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili. Una proposta pratica, tra le tante che si possono proporre, per vivere meglio il corrente anno mariano: confessiamoci mensilmente con l'intento di ravvivare la nostra fede nella Parola di Dio per essere capaci di testimoniare la nostra fedeltà a Dio e ai fratelli.
Don Giulio
PASQUA 1988
Pasqua di Risurrezione di N.S. Gesù Cristo è l'evento più strepitoso della storia umana anche se è avvenuto senza testimoni oculari. Si tratta infatti di un evento di fede che sfugge all’indagine scientifica ma non sfugge all'esperienza cristiana propria di chi crede, senza aver veduto, che Cristo è tornato in mezzo a noi come vincitore della morte. La storia umana riparte così con Cristo risorto per un nuovo cammino di vita che interessano l'universo con tutte le sue creature. l'uomo rimane comunque sempre il primo destinatario, anche se non esclusivo, della Risurrezione di Cristo. L'uomo è chiamato a riprendere in mano le redini del creato da protagonista. secondo la sua vocazione originale, per ricostruire in un clima di fede l'ambiente in cui ossa vivere in simbiosi con le creature chiamate esse pure a condividere con l'uomo la libertà propria dei figli di Dio (Rm 8,21). La vita e la morte dell'uomo, sotto ogni aspetto. è vita e morte anche per l'ambiente che e coinvolto dalle vicissitudini umane sia in he in male. Di solito, ad esempio, il cane la sorte del suo padrone. Se l'uomo torna alle dipendenze di Dio, anche le creature tornano alle dipendenze dell'uomo per condividere insieme nella fratellanza, che S. Francesco celebra col suo "Cantico delle creature", la libertà dei figli di Dio. La Risurrezione ristabilisce l'armonia infranta dalla colpa d'origine che ha posto l'uomo contro Dio e in contraddizione con se stesso e con le creature. Il Creatore aveva condotto ad Adamo tutti gli animali della terra perchè imponesse il nome a ciascuno di essi e ne prendesse possesso. Così pure Cristo riconduce all'uomo redento tutti gli essere viventi della terra perchè ne riprenda il possesso perduto a causa della colpa. La Risurrezione di Cristo impegna l'uomo in prima persona, senza escludere il creato, all'insegna tuttavia del seme che non potrebbe divenire albero se rifiutasse di morire. La vita più grande passa dalla morte. Bisogna perdersi per salvarsi. Cristo è il grande seme divino che si è incarnato per affrontare e vincere la morte nel solco della sua vita che si conclude con il sacrificio della Croce. È il fratello che muore per il fratello sospinto dall'amore più grande proprio di chi sa donare la vita per salvare l'amico che ama. Scaturisce da qui la nuova fratellanza cristiana che non è fatta soltanto di parole. "Cristo ci ha lasciato l'esempio da seguire" (Gv 13,15). Si realizza così l'agognata "Età dell'Oro" che dovremmo chiamare meglio "Età dello Spirito" in cui trionfa: la Verità che illumina la missione dell'uomo sulla faccia della terra; la Giustizia che ci rende capaci di vivere nell'ordine e nell'armonia tra di noi e col creato; la Pace che scaturisce dalla piena condivisione e dall'amore con cui possiamo vincere ogni paura, compresa quella della morte vista come sorgente della nuova vita. Mentre il potere mondano ci ha resi schiavi delle creature umiliandoci al ruolo animalesco di squallidi consumatori, il potere di Cristo risorto ci ha resi liberi da ogni schiavitù insegnandoci che anche la morte è vita per chi ama. "Chi ama è nato da Dio e non vedrà mai la morte" (1Gv 4,7 ss). Vivere la Pasqua vuol pertanto dire: tornare a servire l'amore per vincere con tutte le creature la morte. Siamo in sintonia con l'ap. Paolo che esclama: "Anche l'universo sarà liberato dal potere della corruzione per partecipare alla libertà dei figli di Dio. Noi sappiamo che fino a ora tutto il creato soffre e geme come una donna partoriente. E non soltanto il creato, ma anche noi, che già abbiamo le primizie dello Spirito, soffriamo in noi stessi perchè aspettiamo che Dio liberandoci totalmente manifesti che siamo suoi figli ... e ci faccia partecipi della sua gloria". (Rm 8,21-22). In linea con S. Paolo è pure S. Pietro che afferma: "Noi aspettiamo nuovi cieli e terra nuova nei quali avrà stabile dimora la giustizia" (2 Pt 3,13-14). Allora la terra sarà finalmente un dono per tutti. La nostra risurrezione si compirà in Cristo quando, riconoscendoci come sue membra, proclamerà, alla fine di questo mondo peccaminoso: "Venite, benedetti, a possedere il regno che vi è stato preparato sin dalla creazione del mondo" (Mt 25,34). Con queste premesse e di gran cuore, Buona Pasqua a tutti indistintamente.
aff.mo don Giulio
aff.mo don Giulio
SPALANCHIAMO LE PORTE DI CASA ALLA BEATA PIERINA MOROSINI
La beata P. Morosini è nostra ospite dal 4 al 7 giugno corrente.
Spalancare le porte significa accogliere il grande messaggio della sua vita così come l'ha saputo vivere quotidianamente col massimo impegno cristiano sino alla testimonianza suprema del martirio. È una ragazza della nostra terra bergamasca vissuta a cavalcioni dell'ultima guerra mondiale. È nata infatti a Fiobbio di Albino il 7 gennaio 1931 ed è morta a 26 anni il4 aprile 1957, alle ore 3 del pomeriggio come Cristo in croce, sul sentiero del Monte Misma mentre stava tornando a piedi a casa sua dopo il lavoro in fabbrica. Venne aggredita e dilaniata dal suo tentatore perchè si era inflessibilmente rifiutata di assecondarne le voglie. L'assassino, come si diceva ai tempi, aveva scommesso con gli amici che lui sarebbe riuscito a sedurla e a sverginarla, mentre non ha potuto che uccidere il corpo ma non l'anima. Il programma della ferocia del lupo è suggerita dalla mitezza provocatrice dell'agnello. Davanti a una tigre infatti anche il lupo diventa codardo e fugge. In ogni caso è l'agnello che vince sempre anche quando viene dilaniato dall'aggressore che a sua volta rimane vittima della propria ferocia. In quel dopo-guerra, siamo andati tutti affannosamente alla ricerca di mezzi economici per rimediare ai danni disastrosi di quell'immane conflitto ma senza pensare all'uomo per cui s'è ricostruita l'Italia, materialmente parlando, ma sono rimasti da ricostruire gl'italiani. La Morosini ha attraversato quel periodo di ribaltamento politico-economico carico di contraddizioni senza nulla concedere all'incoerenza. Inflessibile con se stessa, senza badare al comportamento farisaico degli altri, che amavano i compromessi facili, non si era resa conto di essere una contestatrice provocante, alla maniera dell'agnello davanti ai lupi, suscitando così la reazione più cieca di chi sembra fatto apposta per scatenarsi diabolicamente con l'unico scopo di deturpare squallidamente tutto ciò che è espressione di ordine, di bellezza e di grazia. Nessuno forse si sarebbe mai accorto della statura della Morosini se non fosse capitato quel fattaccio. Ma lei è stata eroica nel martirio perchè era già stata grande nella sua vita quotidiana da umile e autentica cristiana. Anche la folgore che abbatte l'albero grande della foresta ne mette in risalto la vigoria e la potenza. Queste umili presenze fortunatamente abbondano in mezzo a noi, anche se non vengono stroncate dalla folgore, e costituiscono come le fondamenta di un meraviglioso edificio anche se nessuno può vederle e ammirarle perchè scompaiono sotto terra ma reggono e danno sicurezza all'intera costruzione. Di queste presenze si regge la Chiesa perchè Dio matura i suoi disegni più grandi sulle persone più umili e generose delle quali la Morosini è una fulgida prova. Onoriamo la Morosini per onorare la Chiesa e il suo fondatore Gesù Cristo, per onorare Dio che compie le sue meraviglie in mezzo a noi. L'unica maniera d'immolarsi è quella della croce da cui il Crocifisso attira tutti a sè senza scavare abissi per nessuno, neppure per i suoi crocifissori. A che servirebbero le vittime se diventassero seme di altre vittime, se non acquistassero il significato della Vittima del Calvario che paga col sangue innocente le scelleratezze di tutti gli uomini? L'aggiornamento della parabola del Figliol Prodigo afferma che il Padre buono ha sacrificato l'unico suo figlio Giuseppe, alla ricerca e per la salvezza di tutti i suoi figli prodighi. Dobbiamo pertanto leggere in chiave di fede e di amore l'evento di grazia e di misericordia con cui Dio ci ha nuovamente raggiunti attraverso la vita verginale ed eroica della Morosini. Spalancare le porte di casa nostra quindi per accogliere questa straordinaria testimonianza di fedeltà all'amore della beata Morosini in cui Dio ci ripropone ancora una volta il suo originale progetto uomo per provocare finalmente in tutti noi la più generosa risposta.
D. Giulio
Spalancare le porte significa accogliere il grande messaggio della sua vita così come l'ha saputo vivere quotidianamente col massimo impegno cristiano sino alla testimonianza suprema del martirio. È una ragazza della nostra terra bergamasca vissuta a cavalcioni dell'ultima guerra mondiale. È nata infatti a Fiobbio di Albino il 7 gennaio 1931 ed è morta a 26 anni il4 aprile 1957, alle ore 3 del pomeriggio come Cristo in croce, sul sentiero del Monte Misma mentre stava tornando a piedi a casa sua dopo il lavoro in fabbrica. Venne aggredita e dilaniata dal suo tentatore perchè si era inflessibilmente rifiutata di assecondarne le voglie. L'assassino, come si diceva ai tempi, aveva scommesso con gli amici che lui sarebbe riuscito a sedurla e a sverginarla, mentre non ha potuto che uccidere il corpo ma non l'anima. Il programma della ferocia del lupo è suggerita dalla mitezza provocatrice dell'agnello. Davanti a una tigre infatti anche il lupo diventa codardo e fugge. In ogni caso è l'agnello che vince sempre anche quando viene dilaniato dall'aggressore che a sua volta rimane vittima della propria ferocia. In quel dopo-guerra, siamo andati tutti affannosamente alla ricerca di mezzi economici per rimediare ai danni disastrosi di quell'immane conflitto ma senza pensare all'uomo per cui s'è ricostruita l'Italia, materialmente parlando, ma sono rimasti da ricostruire gl'italiani. La Morosini ha attraversato quel periodo di ribaltamento politico-economico carico di contraddizioni senza nulla concedere all'incoerenza. Inflessibile con se stessa, senza badare al comportamento farisaico degli altri, che amavano i compromessi facili, non si era resa conto di essere una contestatrice provocante, alla maniera dell'agnello davanti ai lupi, suscitando così la reazione più cieca di chi sembra fatto apposta per scatenarsi diabolicamente con l'unico scopo di deturpare squallidamente tutto ciò che è espressione di ordine, di bellezza e di grazia. Nessuno forse si sarebbe mai accorto della statura della Morosini se non fosse capitato quel fattaccio. Ma lei è stata eroica nel martirio perchè era già stata grande nella sua vita quotidiana da umile e autentica cristiana. Anche la folgore che abbatte l'albero grande della foresta ne mette in risalto la vigoria e la potenza. Queste umili presenze fortunatamente abbondano in mezzo a noi, anche se non vengono stroncate dalla folgore, e costituiscono come le fondamenta di un meraviglioso edificio anche se nessuno può vederle e ammirarle perchè scompaiono sotto terra ma reggono e danno sicurezza all'intera costruzione. Di queste presenze si regge la Chiesa perchè Dio matura i suoi disegni più grandi sulle persone più umili e generose delle quali la Morosini è una fulgida prova. Onoriamo la Morosini per onorare la Chiesa e il suo fondatore Gesù Cristo, per onorare Dio che compie le sue meraviglie in mezzo a noi. L'unica maniera d'immolarsi è quella della croce da cui il Crocifisso attira tutti a sè senza scavare abissi per nessuno, neppure per i suoi crocifissori. A che servirebbero le vittime se diventassero seme di altre vittime, se non acquistassero il significato della Vittima del Calvario che paga col sangue innocente le scelleratezze di tutti gli uomini? L'aggiornamento della parabola del Figliol Prodigo afferma che il Padre buono ha sacrificato l'unico suo figlio Giuseppe, alla ricerca e per la salvezza di tutti i suoi figli prodighi. Dobbiamo pertanto leggere in chiave di fede e di amore l'evento di grazia e di misericordia con cui Dio ci ha nuovamente raggiunti attraverso la vita verginale ed eroica della Morosini. Spalancare le porte di casa nostra quindi per accogliere questa straordinaria testimonianza di fedeltà all'amore della beata Morosini in cui Dio ci ripropone ancora una volta il suo originale progetto uomo per provocare finalmente in tutti noi la più generosa risposta.
D. Giulio
LA CHIESA DI S. LORENZO
Si hanno tutte le ragioni di ritenere che la Comunità di Zogno abbia scelto come suo patrono S. Lorenzo già al tempo della sua appartenenza alla giurisdizione di Almenno S.S., prepositura plebana di epoca protoromanica. Verso il mille la nostra Comunità passerà poi sotto la giurisdizione diretta del Capitolo della Cattedrale di Bergamo come risulta anche dalla bolla papale di Lucio II° del 1144. S. Lorenzo era diacono della Chiesa di Roma, al tempo di papa Sisto II°, incaricato di assistere i poveri che riteneva fossero l'unica sua ricchezza. Durante la persecuzione di Valeriano venne arrestato e abbrustolito, 10 agosto 258, su una graticola come succosa e saporita bistecca che ci avrebbero potuto invidiare i migliori cannibali del mondo. Lui è morto giovane, ma la sua Chiesa è diventata vecchia e forse non è più nelle condizioni di esserci inviata da nessun protagonista della riforma postconciliare e neppure da nessun fervente lefevriano. Quando una Chiesa diventa incapace di camminare al passo coi tempi perde la sua credibilità e non può riscuotere le simpatie soprattutto dei giovani. La verifica delle responsabilità, dato che la Chiesa è fatta di persone, va condotta tuttavia su ambedue i fronti: quello di chi rimane a dolersene della situazione e quello di chi se ne è andato come figliol prodigo attratto dalle lusinghe del benessere, del permissivismo e di altre eresie del nostro tempo. Una discoteca ad esempio, oggi, attira la massa dei giovani e dei non più giovani assai più delle nostre celebrazioni ma senza tuttavia risolverne i problemi.
Il proverbio bergamasco infatti ci ammonisce:
"I dòne e i sòlcc che gira 'l mont, i contenta mìa l'òm!"
In nome della libertà, purtroppo, abbiamo reso l'uomo schiavo di se stesso e di tutto ciò che gli sta attorno che, mentre dovrebbe servirgli, lo opprime.
La Chiesa non incarna più le aspirazioni dell'uomo contemporaneo perchè mira a conseguire scopi terreni senza proiettarsi nella vita futura. Essa non potrà mai essere di attualità per quanti la rifiutano nelle sue proposte di fede e di fratellanza universale. Gesù nel Vangelo afferma che sono soltanto due le strade che gli uomini possono percorrere a questo mondo: la via stretta che porta alla salvezza su cui pochi si incamminano e la via larga che porta alla perdizione su cui sono in molti a incamminarsi. L'uomo del nostro tempo non sa attendere e non sa rinunciare a niente, esige tutto e subito automaticamente; vuole anche ciò che nè la natura nè Dio gli possono concedere. Rivolge pertanto, deluso, la sua ricerca altrove, magari nel mondo della magia, tornando così sotto il potere dell'antico tentato re, l'irriducibile nemico dell'uomo, per subire la terribile illusione di potersi salvare senza Dio. Chiesa e Dio diventano così i dirimpettai dell'uomo: si trovano di fronte senza appartenersi. Ecco perchè, non soltanto la Chiesa ma anche Dio, non sono più di attualità per i nostri presunti cristiani caduti in contraddizione con se stessi e col mondo che li circonda. Ogni anno S. Lorenzo torna a visitare la sua Chiesa e a riproporle la testimonianza della sua vita all'insegna del suo ardore giovanile, del suo amore per i poveri e del suo eroismo nel martirio. Ciascuno di noi ha senz’altro qualcosa da rimproverarsi in proposito. Non manchiamo pertanto all'appuntamento con S. Lorenzo, nostro Patrono, per affrontare con lui seriamente questa importante verifica del nostro modo di essere cristiani. Aiuta la nostra verifica don Luigi, sacerdote novello, che festeggiamo nella solennità del nostro Patrono.
Con affetto,
don Giulio
Il proverbio bergamasco infatti ci ammonisce:
"I dòne e i sòlcc che gira 'l mont, i contenta mìa l'òm!"
In nome della libertà, purtroppo, abbiamo reso l'uomo schiavo di se stesso e di tutto ciò che gli sta attorno che, mentre dovrebbe servirgli, lo opprime.
La Chiesa non incarna più le aspirazioni dell'uomo contemporaneo perchè mira a conseguire scopi terreni senza proiettarsi nella vita futura. Essa non potrà mai essere di attualità per quanti la rifiutano nelle sue proposte di fede e di fratellanza universale. Gesù nel Vangelo afferma che sono soltanto due le strade che gli uomini possono percorrere a questo mondo: la via stretta che porta alla salvezza su cui pochi si incamminano e la via larga che porta alla perdizione su cui sono in molti a incamminarsi. L'uomo del nostro tempo non sa attendere e non sa rinunciare a niente, esige tutto e subito automaticamente; vuole anche ciò che nè la natura nè Dio gli possono concedere. Rivolge pertanto, deluso, la sua ricerca altrove, magari nel mondo della magia, tornando così sotto il potere dell'antico tentato re, l'irriducibile nemico dell'uomo, per subire la terribile illusione di potersi salvare senza Dio. Chiesa e Dio diventano così i dirimpettai dell'uomo: si trovano di fronte senza appartenersi. Ecco perchè, non soltanto la Chiesa ma anche Dio, non sono più di attualità per i nostri presunti cristiani caduti in contraddizione con se stessi e col mondo che li circonda. Ogni anno S. Lorenzo torna a visitare la sua Chiesa e a riproporle la testimonianza della sua vita all'insegna del suo ardore giovanile, del suo amore per i poveri e del suo eroismo nel martirio. Ciascuno di noi ha senz’altro qualcosa da rimproverarsi in proposito. Non manchiamo pertanto all'appuntamento con S. Lorenzo, nostro Patrono, per affrontare con lui seriamente questa importante verifica del nostro modo di essere cristiani. Aiuta la nostra verifica don Luigi, sacerdote novello, che festeggiamo nella solennità del nostro Patrono.
Con affetto,
don Giulio
LA SPERANZA, SEGRETO DELLA GIOIA DEL CRISTIANO
La Speranza per i cristiani è nutrita dal vivo desiderio di vedere Dio ed è sostenuta dalla fedeltà di Dio all'uomo. È l'aurora della vita futura di cui l'escatologia, destino dell'uomo, costituisce il principio e non già la fine; è fonte di gioia e di perfetta letizia che sostiene lo slancio del cristiano nell'affrontare quotidianamente le difficoltà del suo cammino verso la meta. "Le sofferenze del presente non sono paragonabili alla gloria che Dio ci darà" (Rm 8,18). Questa affermazione paolina è stata parafrasata dai grandi mistici del cristianesimo con le parole: "È tanto il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto!" Infatti: "La speranza non delude mai perchè l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato" (Rm 5,5). E ancora: "Il Dio della speranza ci riempie di ogni gioia e pace nella fede per la potenza dello Spirito Santo che è in noi" (Rm 15,13). La speranza è la virtù propria del pellegrino proteso in avanti col suo sguardo mentre tende i suoi passi alla meta. Il cristiano infatti sa di essere pellegrino sulla faccia della terra e di non avere qui la sua fissa dimora (cfr. Cor 5,1 e ss.) per cui nutre la speranza di poter tornare presto alla casa del Padre alla maniera dei pellegrini che si recavano a Gerusalemme per la Pasqua che, alla vista del Tempio, esplodevano di gioia cantando i salmi:
"Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio" (Ps 41); "Quale gioia quando mi dissero, andiamo alla casa del Signore e i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gersusalemme" (Ps 1217); "Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! L'anima mia languisce e brama gli atri del Signore ... Anche il passero trova la casa, la rondine il nido dove porre i suoi piccoli. Beato chi abita la tua casa e decide nel suo cuore il santo viaggio" (Ps 83).
Quando cade la nostra tensione verso il futuro, è già morte! È segno che siamo tornati alle cipolle d'Egitto rinunciando alla propria libertà e al proprio Dio, il solo che potrà esaurire ogni nostra aspettativa. È segno che siamo sconfinati nell'isola della maga Circe mettendo in disparte il desiderio di tornare in patria. La gioia di vivere nella speranza si accompagna alla forza di morire in pace, per chi crede, perchè la vita è come un parto essendo tutta riposta nel travaglio e soltanto quando insorge la gioia più grande di avere dato alla luce un figlio, la madre dimentica le doglie del parto (cfr. Gv 16,21). Nel nostro caso la speranza scaturisce dalla promessa di Dio che annuncia una realtà ancora non presente ed evidenzia come la salvezza si realizza progressivamente. La speranza è l'atteggiamento di chi sa cogliere questo scarto, da ciò che accade trae soltanto motivo per tendere verso un futuro non ancora compiuto ma che sta già compiendosi. L'uomo non potrà mai possedersi pienamente come spirito incarnato nel tempo. Ma egli esiste nel tempo e al di sopra del tempo, porta con sè la capacità di una pienezza che sorpassa il tempo, è immortale ma sulla strada del tempo. Il suo corpo gli serve nel tempo come navicella per l'attraversata del mare tempestoso della vita ma lo deve abbandonare sulla sponda dell'eternità anche se Dio, alla fine dei tempi, glielo ridonerà glorioso come il corpo di Cristo. "Quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità, si compirà la parola della Scrittura: la morte è stata ingoiata per la vittoria (1 Cor 15,54 e Os 13,14). La speranza è la virtù del saper attendere ciò a cui Dio darà compimento secondo le promesse fatte ad Abramo e alla sua discendenza. Noi sappiamo che queste promesse sono già diventate realtà in Gesù Cristo: "E noi vi annunziamo la buona novella della promessa fatta ai nostri padri e che Dio ha compiuto risuscitando Gesù per noi, loro figli" (At 13,32-33). Il dono dello Spirito è la conferma della promessa realizzata (At, 4-5). La certezza della speranza cristiana trova il suo punto d'appoggio definitivo facendo la rinuncia di ogni sicurezza e abbandonandosi completamente e fiduciosamente al mistero dell'amore assoluto di Dio che compie in ciascuno di noi il mistero del suo Figlio morto e risorto. In tutta la sua esistenza Cristo è avvenimento escatologico che porta con sè la tensione verso il futuro assoluto, Dio. Il mistero pasquale rivela pienamente il significato escatologico della sua esistenza e la morte di Cristo è il compimento del suo darsi definitivamente al Padre che, nell'esodo da se stesso e nell'abbandono pieno, lo poteva salvare dalla morte (cfr Eb 5,7). Il tempo di Cristo giunge così alla sua suprema tensione di comunione di vita con Dio e la risurrezione è l'inizio di una nuova vita, non soltanto per Cristo, ma anche per tutti noi perchè è stato risuscitato come "primizia di quelli che muoiono" (1 Cor 15,20-27), "primogenito di molti fratelli" (Rm 8,29) e "spirito vivificante" (Col 1,18 e At 26,23). La vittoria di Cristo sulla morte coinvolge anche il mondo e la sua storia (Col. 1,15-20 e Ef 1,10,20-23) e sta all'origine della speranza cristiana aprendo il mondo racchiuso nella morte e nella colpa verso un futuro ormai presente. La speranza è il segreto della forza di ogni originale impresa dell'uomo che tende a un domani diverso. La speranza cristiana riscatta l'uomo dal tempo e lo fa rivivere nella vita eterna. Ma che cosa giustifica la nostra speranza? Il fatto di avere sperimentato l'eterno in noi a cui partecipiamo attraverso il mistero di Cristo che ci trasferisce nella nuova creazione con la potenza della sua grazia e il sigillo dello Spirito Santo che ci è stato dato in dono. L'esperienza della morte, va detto subito prima che non sia troppo tardi, rimane comunque nella sua tragicità come assimilazione alla morte di Cristo. "Chi mi vuol seguire, prenda la sua croce" (Mc 8,34; Mt 16,21-23; Lc 9,22). La speranza cristiana passa pertanto attraverso l'itinerario del dolore che appartiene strutturalmente alla condizione umana. Ma intanto il fatto di sperare nel superamento della morte ci rende liberi e ci spinge a esistere per gli altri e a trasformare il mondo per prepararci insieme al futuro di Dio. “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perchè amiamo i fratelli" (1Gv 3,14). La speranza non significa quindi disimpegno perchè accettando il rischio della propria libertà e della propria responsabilità significa tendere al futuro del mondo disponendolo a ricevere la grazia della salvezza e la definitiva manifestazione della gloria di Dio in Gesù Cristo. Alla luce di queste riflessioni riviviamo la celebrazione della gloria dei Santi e della memoria dei nostri fedeli defunti.
Con affetto
d. Giulio
"Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio" (Ps 41); "Quale gioia quando mi dissero, andiamo alla casa del Signore e i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gersusalemme" (Ps 1217); "Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! L'anima mia languisce e brama gli atri del Signore ... Anche il passero trova la casa, la rondine il nido dove porre i suoi piccoli. Beato chi abita la tua casa e decide nel suo cuore il santo viaggio" (Ps 83).
Quando cade la nostra tensione verso il futuro, è già morte! È segno che siamo tornati alle cipolle d'Egitto rinunciando alla propria libertà e al proprio Dio, il solo che potrà esaurire ogni nostra aspettativa. È segno che siamo sconfinati nell'isola della maga Circe mettendo in disparte il desiderio di tornare in patria. La gioia di vivere nella speranza si accompagna alla forza di morire in pace, per chi crede, perchè la vita è come un parto essendo tutta riposta nel travaglio e soltanto quando insorge la gioia più grande di avere dato alla luce un figlio, la madre dimentica le doglie del parto (cfr. Gv 16,21). Nel nostro caso la speranza scaturisce dalla promessa di Dio che annuncia una realtà ancora non presente ed evidenzia come la salvezza si realizza progressivamente. La speranza è l'atteggiamento di chi sa cogliere questo scarto, da ciò che accade trae soltanto motivo per tendere verso un futuro non ancora compiuto ma che sta già compiendosi. L'uomo non potrà mai possedersi pienamente come spirito incarnato nel tempo. Ma egli esiste nel tempo e al di sopra del tempo, porta con sè la capacità di una pienezza che sorpassa il tempo, è immortale ma sulla strada del tempo. Il suo corpo gli serve nel tempo come navicella per l'attraversata del mare tempestoso della vita ma lo deve abbandonare sulla sponda dell'eternità anche se Dio, alla fine dei tempi, glielo ridonerà glorioso come il corpo di Cristo. "Quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità, si compirà la parola della Scrittura: la morte è stata ingoiata per la vittoria (1 Cor 15,54 e Os 13,14). La speranza è la virtù del saper attendere ciò a cui Dio darà compimento secondo le promesse fatte ad Abramo e alla sua discendenza. Noi sappiamo che queste promesse sono già diventate realtà in Gesù Cristo: "E noi vi annunziamo la buona novella della promessa fatta ai nostri padri e che Dio ha compiuto risuscitando Gesù per noi, loro figli" (At 13,32-33). Il dono dello Spirito è la conferma della promessa realizzata (At, 4-5). La certezza della speranza cristiana trova il suo punto d'appoggio definitivo facendo la rinuncia di ogni sicurezza e abbandonandosi completamente e fiduciosamente al mistero dell'amore assoluto di Dio che compie in ciascuno di noi il mistero del suo Figlio morto e risorto. In tutta la sua esistenza Cristo è avvenimento escatologico che porta con sè la tensione verso il futuro assoluto, Dio. Il mistero pasquale rivela pienamente il significato escatologico della sua esistenza e la morte di Cristo è il compimento del suo darsi definitivamente al Padre che, nell'esodo da se stesso e nell'abbandono pieno, lo poteva salvare dalla morte (cfr Eb 5,7). Il tempo di Cristo giunge così alla sua suprema tensione di comunione di vita con Dio e la risurrezione è l'inizio di una nuova vita, non soltanto per Cristo, ma anche per tutti noi perchè è stato risuscitato come "primizia di quelli che muoiono" (1 Cor 15,20-27), "primogenito di molti fratelli" (Rm 8,29) e "spirito vivificante" (Col 1,18 e At 26,23). La vittoria di Cristo sulla morte coinvolge anche il mondo e la sua storia (Col. 1,15-20 e Ef 1,10,20-23) e sta all'origine della speranza cristiana aprendo il mondo racchiuso nella morte e nella colpa verso un futuro ormai presente. La speranza è il segreto della forza di ogni originale impresa dell'uomo che tende a un domani diverso. La speranza cristiana riscatta l'uomo dal tempo e lo fa rivivere nella vita eterna. Ma che cosa giustifica la nostra speranza? Il fatto di avere sperimentato l'eterno in noi a cui partecipiamo attraverso il mistero di Cristo che ci trasferisce nella nuova creazione con la potenza della sua grazia e il sigillo dello Spirito Santo che ci è stato dato in dono. L'esperienza della morte, va detto subito prima che non sia troppo tardi, rimane comunque nella sua tragicità come assimilazione alla morte di Cristo. "Chi mi vuol seguire, prenda la sua croce" (Mc 8,34; Mt 16,21-23; Lc 9,22). La speranza cristiana passa pertanto attraverso l'itinerario del dolore che appartiene strutturalmente alla condizione umana. Ma intanto il fatto di sperare nel superamento della morte ci rende liberi e ci spinge a esistere per gli altri e a trasformare il mondo per prepararci insieme al futuro di Dio. “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perchè amiamo i fratelli" (1Gv 3,14). La speranza non significa quindi disimpegno perchè accettando il rischio della propria libertà e della propria responsabilità significa tendere al futuro del mondo disponendolo a ricevere la grazia della salvezza e la definitiva manifestazione della gloria di Dio in Gesù Cristo. Alla luce di queste riflessioni riviviamo la celebrazione della gloria dei Santi e della memoria dei nostri fedeli defunti.
Con affetto
d. Giulio
NATALE
Il Natale è la via di Dio che porta all'uomo destinata a divenire la via che porta l'uomo a Dio. Natale è Dio che viene a impantanarsi nella storia dell'umanità per farla diventare la storia divina della salvezza. Mentre le vie degli uomini non sono le vie di Dio, le vie del Signore portano comunque sempre all'uomo anche quando l'uomo si mette su strade sbagliate che portano alla perdizione, perchè Dio lo ama e lo vuole salvare. Col Natale la storia dell'umanità riparte di nuovo dalla Grotta di Betlemme e ripassa per le vie del mondo con Gesù Cristo, il Figlio di Dio che ci salva con la sua Parola e col suo esempio. Dio si è fatto in Cristo nostro compagno di viaggio, anzi, si è infilato persino nel sacco della nostra pelle per condividere l'esperienza della nostra vita facendola diventare l'esperienza della sua vita in cui si rinasce come fratelli capaci finalmente di amarci come egli ci ama. È così che Gesù ci libera dalla paura dei nostri simili. L'uomo ha sempre dato la caccia al proprio fratello nell'intento di sfruttarlo prima e di toglierlo di mezzo poi come un ingombro e, soprattutto oggi, come un rifiuto, cosa da gettare dopo l'uso. Con Cristo si va incontro al fratello per offrirgli la testimonianza suprema dell'amore, propria di chi sa donarsi come Cristo per le persone che ama. Cristo ci libera anche dalla paura della morte, intesa come annientamento di sè stessi, baratro di perdizione, sia che la si fugga come la propria ombra e sia che la si ricerchi per buttarsi perdutamente nelle sue fauci come selvaggina scoraggiata, stanca di sfuggire all'inseguimento dei suoi predatori. Da questo momento l'uomo di fede non cerca più la sicurezza nel benessere economico elevato egoisticamente a scopo supremo della propria esistenza a scapito dei fratelli e in sostituzione del proprio Dio. Dal Natale scaturisce l'uomo conforme al progetto originale voluto da Dio a sua immagine vivente. Il Creatore ha suscitato l'uomo alla vita per amarlo come un padre buono ama il proprio bambino e se lo porta affettuosamente tra le braccia stringendolo al petto. Anzi, Dio ha creato l'uomo come sua nuova dimora perchè, innamorato del suo capolavoro, ama stare con l'uomo per cui ha lasciato il cielo per la terra facendosi Lui medesimo simile all'uomo incarnandosi. Col Natale Dio torna alla conquista dell'uomo caduto nella colpa e viene a incrociarlo sulla stessa strada come il buon Samaritano per salvarlo. L'uomo ritrova così la strada che lo riconduce alla casa del Padre; Caino ritrova il fratello Abele per condividersi e salvarsi insieme. Questo è l'augurio sincero natalizio che vogliamo scambiarci: il fratello riconosca nel proprio fratello la presenza di Dio che si è fatto uomo per salvarci.
Con grande affetto:
vostro don Giulio
Con grande affetto:
vostro don Giulio