2001
Conclusa la visita pastorale di Mons. Amadei
Tre impegni che il Vescovo ci ha lasciato
L’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione di Maria, il Vescovo monsignor Roberto Amadei ha concluso la visita pastorale al nostro vicariato, presiedendo la celebrazione solenne nella chiesa prepositurale di San Lorenzo Martire a Zogno e richiamando le dodici comunità parrocchiali visitate in questi due mesi ad un «cristianesimo che non si limiti solo a tradizioni o a gesti religiosi, ma che si nutra della Parola di Dio». Don Lucio, al termine della celebrazione, ha salutato e ringraziato il Vescovo a nome di tutte le comunità, sottolineando il significato della visita e l’impegno che da essa ne scaturisce.
Eccellenza Reverendissima, ci permetta di esprimerle tutta la nostra riconoscenza e gratitudine per la visita che ha fatto a tutte le nostre comunità. Con tanta semplicità, cordialità e affetto è entrato nelle nostre case e nella nostra vita di ogni giorno, per condividere con noi la fatica ma anche la gioia di vivere la fede. È entrato nelle case degli ammalati, per consolare e rincuorare, è stato per ognuno di loro l’immagine del Dio buono e premuroso che è vicino a chi soffre da solo, o condivide con altri, il peso degli anni e della malattia nelle Case di Riposo.. L’amore a Cristo e agli uomini, l’ha portata a incontrare tutte le realtà che sono la vita stessa di ogni comunità: Le amministrazioni Comunali, i Laici impegnati nei consigli Pastorali, i Catechisti e i ragazzi che le comunità affidano loro, i ragazzi e i docenti delle nostre scuole, gli adolescenti e i giovani, i responsabili dei Gruppi Sportivi, il Mondo del Lavoro e del Volontariato, i Genitori che sentono la fatica dell’educare e i giovani Fidanzati che vogliono affidarsi l’uno all’altra per tutta la vita. Per tutti ha avuto parole di sostegno, di incoraggiamento, e tutti ha invitato a non lasciarsi tentare dallo scoraggiamento o dalla presunzione di fare da soli, ma a ricercare tutti insieme le strade per trovare le risposte alle domande e ai problemi che il nostro tempo ci pone. Ci ha incontrati tutti nell’Assemblea l’Eucarestia, dove ci ha annunciato la Parola Buona e ricca di speranza del Signore; ha spezzato il Pane, segno dell’amore fedele e incondizionato di Gesù, e ci ha invitati a fare altrettanto perché è solo lì, nell’Eucarestia, che troviamo la forza per vivere con coerenza la fede. |
Che cosa rimane della Visita Pastorale che questa sera si conclude?
Tante cose. Eccellenza!
• Rimangono lo stupore, l’emozione, la gioia, che ha suscitato nei cuori dei tanti che l’hanno incontrata personalmente;
• Rimangono i suoi preziosi insegnamenti, le indicazioni che ci ha dato nei numerosi incontri nei vari ambiti della comunità civile, sociale e religiosa;
Sarà nostro impegno, far tesoro di ciò che ci ha detto e impegnarci lasciandoci guidare dalle Sue indicazioni;
• Ancor di più, rimane ciò che ci ha mostrato con gli oltre due mesi della Sua presenza;
• Ci ha mostrato la passione del pastore per il suo gregge: sempre pronto a cogliere ogni occasione per dire la buona notizia del vangelo; la generosità nello spendersi nel servizio pastorale;
la disponibilità e l’accoglienza verso ogni persona; la passione verso ogni uomo e ogni situazione.
• Ci ha mostrato quale dovrebbe essere il volto di una chiesa dal volto conciliare; di una comunità cioè, che non si ripiega su se stessa, ma che è aperta alla società, che ne condivide i problemi e le fatiche e che si mette al servizio degli uomini, dicendo che Gesù è la verità sull’uomo perché è solo lì, nell’Eucarestia, che troviamo la forza per vivere con coerenza la fede.
Grazie di cuore Eccellenza per tutto ciò!
Da parte nostra ci impegneremo perché maturino e portino frutto i tanti semi di speranza che ha messo nel terreno delle nostre comunità. Ci impegneremo perché si realizzi ciò che per tante volte abbiamo chiesto e invocato con la preghiera per la visita pastorale.
E cioè che:
- La visita del Vescovo risvegli in noi:
- il senso di appartenenza alla comunità cristiana che è la Chiesa,
- la dignità, la bellezza, la gioia, di essere cristiani,
- il nostro impegno di membra vive, operose, corresponsabili del tuo Corpo Mistico che sono le nostre comunità parrocchiali.
Ora, al termine di questa celebrazione, Lei desidera farci omaggio di un dono prezioso: il vangelo, cioè, la buona notizia di un Dio che si fa uomo, per esserci vicino e farsi nostro compagno di viaggio. Ce lo affida perché lo viviamo, lo testimoniamo e lo annunciamo con la nostra vita. Eccellenza, accogliamo questo dono con trepidazione è una grande responsabilità e un compito impegnativo, quella che ci affida. Lo accogliamo con gioia: perché è li che ci viene detto chi siamo e in che direzione dobbiamo camminare per costruire le nostre comunità e, in esse, la gioia e la felicità che Dio ha sognato e desidera per ognuno di noi.
Grazie di tutto Vescovo Roberto!
Grazie veramente di cuore!
E che il Signore sia sempre con Te!
Tante cose. Eccellenza!
• Rimangono lo stupore, l’emozione, la gioia, che ha suscitato nei cuori dei tanti che l’hanno incontrata personalmente;
• Rimangono i suoi preziosi insegnamenti, le indicazioni che ci ha dato nei numerosi incontri nei vari ambiti della comunità civile, sociale e religiosa;
Sarà nostro impegno, far tesoro di ciò che ci ha detto e impegnarci lasciandoci guidare dalle Sue indicazioni;
• Ancor di più, rimane ciò che ci ha mostrato con gli oltre due mesi della Sua presenza;
• Ci ha mostrato la passione del pastore per il suo gregge: sempre pronto a cogliere ogni occasione per dire la buona notizia del vangelo; la generosità nello spendersi nel servizio pastorale;
la disponibilità e l’accoglienza verso ogni persona; la passione verso ogni uomo e ogni situazione.
• Ci ha mostrato quale dovrebbe essere il volto di una chiesa dal volto conciliare; di una comunità cioè, che non si ripiega su se stessa, ma che è aperta alla società, che ne condivide i problemi e le fatiche e che si mette al servizio degli uomini, dicendo che Gesù è la verità sull’uomo perché è solo lì, nell’Eucarestia, che troviamo la forza per vivere con coerenza la fede.
Grazie di cuore Eccellenza per tutto ciò!
Da parte nostra ci impegneremo perché maturino e portino frutto i tanti semi di speranza che ha messo nel terreno delle nostre comunità. Ci impegneremo perché si realizzi ciò che per tante volte abbiamo chiesto e invocato con la preghiera per la visita pastorale.
E cioè che:
- La visita del Vescovo risvegli in noi:
- il senso di appartenenza alla comunità cristiana che è la Chiesa,
- la dignità, la bellezza, la gioia, di essere cristiani,
- il nostro impegno di membra vive, operose, corresponsabili del tuo Corpo Mistico che sono le nostre comunità parrocchiali.
Ora, al termine di questa celebrazione, Lei desidera farci omaggio di un dono prezioso: il vangelo, cioè, la buona notizia di un Dio che si fa uomo, per esserci vicino e farsi nostro compagno di viaggio. Ce lo affida perché lo viviamo, lo testimoniamo e lo annunciamo con la nostra vita. Eccellenza, accogliamo questo dono con trepidazione è una grande responsabilità e un compito impegnativo, quella che ci affida. Lo accogliamo con gioia: perché è li che ci viene detto chi siamo e in che direzione dobbiamo camminare per costruire le nostre comunità e, in esse, la gioia e la felicità che Dio ha sognato e desidera per ognuno di noi.
Grazie di tutto Vescovo Roberto!
Grazie veramente di cuore!
E che il Signore sia sempre con Te!
Dopo la Visita Pastorale del Vescovo Mons. Roberto Amadei
I Centri di Ascolto e I Gruppi Biblici
Una delle priorità che il Vescovo ci ha indicato al termine della sua visita pastorale è stata la costituzione di Gruppi Biblici o Centri di Ascolto. Infatti, ci ha detto il Vescovo; “Soltanto una fede che si nutre del Vangelo, può resistere all’indifferenza odierna, al dilagante consumismo (si vive per produrre, si produce per consumare) e alla piaga dell’individualismo.
Un cristianesimo che si limitasse a tradizioni o a gesti religiosi, ma non si nutrisse della parola di Dio per divenire vita, non ha futuro, non può essere sale e lievito della storia, non può comunicarsi agli altri, meno ancora alle nuove generazioni.
Ogni parrocchia (ogni sacerdote) deve sentirsi impegnato a costruire gruppi di ascolto della parola di Dio; gruppi dove:
si ascolta insieme ciò che il Signore ci dice,
si confrontano le diverse esperienze del Signore e
si prega insieme.
Non è difficile: bisogna crederci ed iniziare anche se si è in pochi.
Chiedo a tutti di considerare questo l’impegno principale delle comunità, e uno dei frutti più preziosi del Giubileo.”
Di seguito cerchiamo di spiegare che cosa sia questo “oggetto misterioso”, che il Vescovo ci ha pressantemente invitati a costituire.
1. Che cosa è un Centro di Ascolto della Parola?
Il Centro di Ascolto (CA) ideale è costituito da:
- un gruppo di persone (da 10 a 20)
- che si riunisce con una frequenza tendenzialmente quindicinale, per almeno un anno
- coordinati da uno o due animatori (laici)
- per crescere nella comunione con Dio e nell'amore reciproco
- per ascoltare la parola di Dio (con l'aiuto di appositi sussidi)
- per ascoltarsi tra loro nelle difficoltà e nelle positività della vita di fede
- per fare così un cammino di catechesi organico e personalizzato che li renda coscienti della loro identità cristiana
- per sperimentare, fondare e rafforzare la propria appartenenza alla Chiesa e in specie alla parrocchia
- per stimolare la ripresa di una vita sacramentale e di partecipazione alle altre attività parrocchiali, in specie caritative, rivolte a tutti i fedeli
- per sviluppare uno spirito di servizio e una sensibilità e azione missionaria nei confronti del mondo in cui vivono.
2. Cosa non è un Centro di Ascolto:
- non è un gruppo che va ad ascoltare le "prediche" del parroco o degli animatori, anche se la funzione di parroco e animatore è importante;
- non è un corso di teologia per laici, anche se la dimensione culturale della fede e la comprensione e chiarificazione dei suoi contenuti riguardano il CA;
- non è un gruppo di preghiera, anche se la dimensione spirituale e la presenza della preghiera negli incontri sono due fattori determinanti;
- non e 1’articolazione di un movimento o associazione cattolici, anche se condivide di queste realtà la vitalità e l'entusiasmo assieme a un senso abbastanza forte di "appartenenza" al gruppo;
- non è un gruppo chiuso, anzi pur richiedendo continuità e organicità nelle presenze, si caratterizza per un forte spirito missionario e di accoglienza;
- non è un'attività che "toglie" forze pastoralmente valide alla parrocchia, ma un investimento di alcuni animatori in vista di un ritorno di molti laici più impegnati, coscienti e disposti a collaborare alla missione evangelizzatrice della Chiesa.
Il CA nasce a partire dall'impegno del parroco e degli animatori che invitano i partecipanti personalmente, puntando sulla conoscenza, sulla stima reciproca e sull'amicizia.
L'aspetto fondamentale del CA deve essere lo spirito missionario, cioè il forte desiderio che si deve comunicare a ogni membro, di voler estendere a un numero di amici sempre maggiore questa esperienza, per condividere la fede in Gesù e l'amore cristiano che ne consegue.
3. Utilità pastorale dei Centri di Ascolto per una catechesi degli adulti
Con chiarezza sappiamo tutti che il problema attualmente più difficile da affrontare è quello della catechesi degli adulti. Anzi, il problema si pone in molti casi addirittura a livello di evangelizzazione.
Nella maggioranza delle realtà parrocchiali ancora oggi la catechesi dei bambini e dei ragazzi, per la preparazione ai sacramenti, raggiunge con buona efficacia una grande percentuale dei destinatari.
Un problema immediatamente seguente è però la "fuga" dei giovani e dei giovani adulti dalla parrocchia. La percentuale di giovani coinvolti in attività di catechesi o comunque di crescita cristiana si riduce di molto rispetto a quella dei bambini e dei ragazzi.
La situazione peggiora ancora di più quando si tratta di adulti, per i quali scatta quello che potremmo definire un analfabetismo religioso di ritorno. Allontanandosi nella vita dal periodo della catechesi sacramentale, gli adulti arrivano in consistente percentuale fino a ridiventare "quasi pagani", cioè da evangelizzare di nuovo.
Le nostre parrocchie propongono varie iniziative per recuperare un contatto con questi adulti e per offrire loro spazi di crescita nella fede, come, per esempio:
- una maggiore cura nelle celebrazioni liturgiche
- movimenti o associazioni che si rivolgono agli adulti
- incontri con i genitori dei bambini e dei ragazzi
- pastorale delle giovani coppie
- incontri generali di catechesi per gli adulti.
Tutte queste iniziative, in sé validissime e da continuare con impegno, faticano però a fare breccia in tutta quella massa di adulti ormai molto lontani dalla parrocchia e con i quali, per le mutate condizioni di vita e di lavoro del mondo moderno e anche per la scarsità di clero, è difficilissimo un rapporto personale e personalizzante con il sacerdote.
I CA si propongono come un'ipotesi in risposta al problema, che non si nasconde le difficoltà, né sopravaluta le proprie possibilità, ma offre certo degli innegabili punti positivi.
In definitiva sembra che, con una valutazione prudente, la proposta dei CA offra dei risultati notevoli rispetto all'impegno che naturalmente richiede alle parrocchie, soprattutto all'inizio, e sia per questo una proposta pastorale da incoraggiare e da tentare con ragionevole fiducia, come ci ha detto il nostro Vescovo al termine della Visita Pastorale.
Un cristianesimo che si limitasse a tradizioni o a gesti religiosi, ma non si nutrisse della parola di Dio per divenire vita, non ha futuro, non può essere sale e lievito della storia, non può comunicarsi agli altri, meno ancora alle nuove generazioni.
Ogni parrocchia (ogni sacerdote) deve sentirsi impegnato a costruire gruppi di ascolto della parola di Dio; gruppi dove:
si ascolta insieme ciò che il Signore ci dice,
si confrontano le diverse esperienze del Signore e
si prega insieme.
Non è difficile: bisogna crederci ed iniziare anche se si è in pochi.
Chiedo a tutti di considerare questo l’impegno principale delle comunità, e uno dei frutti più preziosi del Giubileo.”
Di seguito cerchiamo di spiegare che cosa sia questo “oggetto misterioso”, che il Vescovo ci ha pressantemente invitati a costituire.
1. Che cosa è un Centro di Ascolto della Parola?
Il Centro di Ascolto (CA) ideale è costituito da:
- un gruppo di persone (da 10 a 20)
- che si riunisce con una frequenza tendenzialmente quindicinale, per almeno un anno
- coordinati da uno o due animatori (laici)
- per crescere nella comunione con Dio e nell'amore reciproco
- per ascoltare la parola di Dio (con l'aiuto di appositi sussidi)
- per ascoltarsi tra loro nelle difficoltà e nelle positività della vita di fede
- per fare così un cammino di catechesi organico e personalizzato che li renda coscienti della loro identità cristiana
- per sperimentare, fondare e rafforzare la propria appartenenza alla Chiesa e in specie alla parrocchia
- per stimolare la ripresa di una vita sacramentale e di partecipazione alle altre attività parrocchiali, in specie caritative, rivolte a tutti i fedeli
- per sviluppare uno spirito di servizio e una sensibilità e azione missionaria nei confronti del mondo in cui vivono.
2. Cosa non è un Centro di Ascolto:
- non è un gruppo che va ad ascoltare le "prediche" del parroco o degli animatori, anche se la funzione di parroco e animatore è importante;
- non è un corso di teologia per laici, anche se la dimensione culturale della fede e la comprensione e chiarificazione dei suoi contenuti riguardano il CA;
- non è un gruppo di preghiera, anche se la dimensione spirituale e la presenza della preghiera negli incontri sono due fattori determinanti;
- non e 1’articolazione di un movimento o associazione cattolici, anche se condivide di queste realtà la vitalità e l'entusiasmo assieme a un senso abbastanza forte di "appartenenza" al gruppo;
- non è un gruppo chiuso, anzi pur richiedendo continuità e organicità nelle presenze, si caratterizza per un forte spirito missionario e di accoglienza;
- non è un'attività che "toglie" forze pastoralmente valide alla parrocchia, ma un investimento di alcuni animatori in vista di un ritorno di molti laici più impegnati, coscienti e disposti a collaborare alla missione evangelizzatrice della Chiesa.
Il CA nasce a partire dall'impegno del parroco e degli animatori che invitano i partecipanti personalmente, puntando sulla conoscenza, sulla stima reciproca e sull'amicizia.
L'aspetto fondamentale del CA deve essere lo spirito missionario, cioè il forte desiderio che si deve comunicare a ogni membro, di voler estendere a un numero di amici sempre maggiore questa esperienza, per condividere la fede in Gesù e l'amore cristiano che ne consegue.
3. Utilità pastorale dei Centri di Ascolto per una catechesi degli adulti
Con chiarezza sappiamo tutti che il problema attualmente più difficile da affrontare è quello della catechesi degli adulti. Anzi, il problema si pone in molti casi addirittura a livello di evangelizzazione.
Nella maggioranza delle realtà parrocchiali ancora oggi la catechesi dei bambini e dei ragazzi, per la preparazione ai sacramenti, raggiunge con buona efficacia una grande percentuale dei destinatari.
Un problema immediatamente seguente è però la "fuga" dei giovani e dei giovani adulti dalla parrocchia. La percentuale di giovani coinvolti in attività di catechesi o comunque di crescita cristiana si riduce di molto rispetto a quella dei bambini e dei ragazzi.
La situazione peggiora ancora di più quando si tratta di adulti, per i quali scatta quello che potremmo definire un analfabetismo religioso di ritorno. Allontanandosi nella vita dal periodo della catechesi sacramentale, gli adulti arrivano in consistente percentuale fino a ridiventare "quasi pagani", cioè da evangelizzare di nuovo.
Le nostre parrocchie propongono varie iniziative per recuperare un contatto con questi adulti e per offrire loro spazi di crescita nella fede, come, per esempio:
- una maggiore cura nelle celebrazioni liturgiche
- movimenti o associazioni che si rivolgono agli adulti
- incontri con i genitori dei bambini e dei ragazzi
- pastorale delle giovani coppie
- incontri generali di catechesi per gli adulti.
Tutte queste iniziative, in sé validissime e da continuare con impegno, faticano però a fare breccia in tutta quella massa di adulti ormai molto lontani dalla parrocchia e con i quali, per le mutate condizioni di vita e di lavoro del mondo moderno e anche per la scarsità di clero, è difficilissimo un rapporto personale e personalizzante con il sacerdote.
I CA si propongono come un'ipotesi in risposta al problema, che non si nasconde le difficoltà, né sopravaluta le proprie possibilità, ma offre certo degli innegabili punti positivi.
In definitiva sembra che, con una valutazione prudente, la proposta dei CA offra dei risultati notevoli rispetto all'impegno che naturalmente richiede alle parrocchie, soprattutto all'inizio, e sia per questo una proposta pastorale da incoraggiare e da tentare con ragionevole fiducia, come ci ha detto il nostro Vescovo al termine della Visita Pastorale.
A proposito di un opuscolo in distribuzione
«Pietre vive nella comunità» - La lettera di don Lucio
In questi giorni alcuni amici stanno passando per le case distribuendo un piccolo opuscolo che descrive gli ambiti del lavoro pastorale e sollecitando all’impegno personale di ognuno di noi. Nella lettera che accompagna il libretto, don Lucio, chiede l’aiuto e collaborazione di tutti per costruire insieme una comunità parrocchiale che sia capace di vivere e comunicare la fede e l’amore del Signore.
Carissima/o,
Alla conclusione della Visita Pastorale, il Vescovo ci ha detto di impegnarci tutti, perché la nostra parrocchia sia comunità accogliente, dove non si viene giudicati ma amati, comunità aperta che in modo totalmente disinteressato si metta al servizio dei più bisognosi: bisognosi di beni materiali, bisognosi di essere alleviati dalla solitudine, bisognosi di sostegno nelle prove della vita, bisognosi di scoprire il perché della vita, di riscoprire la realtà del cristianesimo aldilà di tanti pregiudizi e confusioni. Una comunità dove si ascoltano e interpretano le voci, gli appelli, i bisogni, le speranze e le delusioni della vita concreta, del territorio, delle varie generazioni. Tutti possiamo e dobbiamo collaborare perché nella comunità si possa scoprire e vivere l’amicizia, l’aiuto reciproco, il perdono, la corresponsabilità, il calore umano, l’apertura al dono dell’amicizia di Dio. Tutti siamo chiamati a collaborare con lo Spirito Santo in modo che nella realtà concreta di Zogno si sviluppi questa comunità; tutti siamo chiamati ad appassionarci alla comunità - corpo di Cristo - con la stessa passione e lo stesso stile di Gesù. Passione che può esprimersi in tanti modi, in molteplici servizi, tutti e sempre preziosi. E soltanto tale comunità di adulti potrà coinvolgere ragazzi e giovani offrendo loro l’immagine viva della fede in Cristo e ragioni convincenti per viverla. Per far questo è necessario che si sviluppi sempre più la già lodevole collaborazione che deve divenire mentalità comune, cioè consapevolezza che ci vede tutti a servizio dell’unico Signore, e perciò impegnati a pensare, progettare insieme cammini di fede percorribili in tutti i settori del vivere umano. Senza questa mentalità comune (abitudine a pensare e ricercare insieme) la parrocchia non saprà rispondere alle sfide di oggi, tanto meno a quelle di domani. Non saprà stare nella storia concreta, cioè nel vivere quotidiano degli uomini, non per conquistarla, ma per renderla più umana e più carica di speranza. Carissima/o, questa lettera e l’opuscolo allegato, “Pietre Vive nella comunità ” è per illustrare il lavoro pastorale che la nostra comunità vuole fare. Ed è per chiedere il tuo aiuto, la tua collaborazione – ogni disponibilità, anche se piccola, è preziosa - per costruire insieme una comunità che sappia far incontrare Cristo con gli uomini. C’è bisogno di gente appassionata, armata di tanta buona volontà, che si impegni nei vari ambiti della vita comunitaria: nella liturgia, nella catechesi, nei gruppi biblici, nella caritas, nelle missioni, nell’oratorio, nei gruppi familiari, nella scuola, nel sociale, nella comunicazione. C’è bisogno di te. Ti ringrazio già da ora per la collaborazione, per la disponibilità, per l’impegno che vorrai donare e ti saluto ricordandoti nella preghiera davanti al Signore.
Carissima/o,
Alla conclusione della Visita Pastorale, il Vescovo ci ha detto di impegnarci tutti, perché la nostra parrocchia sia comunità accogliente, dove non si viene giudicati ma amati, comunità aperta che in modo totalmente disinteressato si metta al servizio dei più bisognosi: bisognosi di beni materiali, bisognosi di essere alleviati dalla solitudine, bisognosi di sostegno nelle prove della vita, bisognosi di scoprire il perché della vita, di riscoprire la realtà del cristianesimo aldilà di tanti pregiudizi e confusioni. Una comunità dove si ascoltano e interpretano le voci, gli appelli, i bisogni, le speranze e le delusioni della vita concreta, del territorio, delle varie generazioni. Tutti possiamo e dobbiamo collaborare perché nella comunità si possa scoprire e vivere l’amicizia, l’aiuto reciproco, il perdono, la corresponsabilità, il calore umano, l’apertura al dono dell’amicizia di Dio. Tutti siamo chiamati a collaborare con lo Spirito Santo in modo che nella realtà concreta di Zogno si sviluppi questa comunità; tutti siamo chiamati ad appassionarci alla comunità - corpo di Cristo - con la stessa passione e lo stesso stile di Gesù. Passione che può esprimersi in tanti modi, in molteplici servizi, tutti e sempre preziosi. E soltanto tale comunità di adulti potrà coinvolgere ragazzi e giovani offrendo loro l’immagine viva della fede in Cristo e ragioni convincenti per viverla. Per far questo è necessario che si sviluppi sempre più la già lodevole collaborazione che deve divenire mentalità comune, cioè consapevolezza che ci vede tutti a servizio dell’unico Signore, e perciò impegnati a pensare, progettare insieme cammini di fede percorribili in tutti i settori del vivere umano. Senza questa mentalità comune (abitudine a pensare e ricercare insieme) la parrocchia non saprà rispondere alle sfide di oggi, tanto meno a quelle di domani. Non saprà stare nella storia concreta, cioè nel vivere quotidiano degli uomini, non per conquistarla, ma per renderla più umana e più carica di speranza. Carissima/o, questa lettera e l’opuscolo allegato, “Pietre Vive nella comunità ” è per illustrare il lavoro pastorale che la nostra comunità vuole fare. Ed è per chiedere il tuo aiuto, la tua collaborazione – ogni disponibilità, anche se piccola, è preziosa - per costruire insieme una comunità che sappia far incontrare Cristo con gli uomini. C’è bisogno di gente appassionata, armata di tanta buona volontà, che si impegni nei vari ambiti della vita comunitaria: nella liturgia, nella catechesi, nei gruppi biblici, nella caritas, nelle missioni, nell’oratorio, nei gruppi familiari, nella scuola, nel sociale, nella comunicazione. C’è bisogno di te. Ti ringrazio già da ora per la collaborazione, per la disponibilità, per l’impegno che vorrai donare e ti saluto ricordandoti nella preghiera davanti al Signore.
È QUARESIMA
La Quaresima ha la sua giustificazione nella Pasqua. E' un tempo, di quaranta giorni, che la Chiesa ci invita a vivere come un grande ritiro spirituale in preparazione alla Pasqua di Risurrezione. Il Triduo Pasquale (Giovedì sera, a partire dalla Messa in Coena Domini; Venerdì Santo, Veglia Pasquale e Domenica di Risurrezione) è il centro e il cuore della fede cristiana e di tutto l'anno liturgico. I cinquanta giorni che seguono sono l'espansione gioiosa della Pasqua, nelle sette settimane che vanno dalla Domenica di Risurrezione alla Domenica di Pentecoste.
La Quaresima ci introduce nella celebrazione del mistero pasquale di Cristo. Tale mistero ha un duplice significato. ■ È per Cristo il suo passaggio trionfale dalla morte alla vita. Il mistero totale della passione, della morte, della risurrezione, dell’ascensione e del dono saggio (= pasqua), il grande evento della storia. Atto vitale, dinamico, del Dio potente, che ci salva dalla morte per mezzo della morte del Figlio suo e ci introduce nella vita attraverso la nuova vita di Cristo. ■ È per noi la partecipazione alla morte, alla risurrezione, all'ascensione, all’accoglienza dello Spirito di Cristo e del Padre. Si tratta del fatto che anche noi “passiamo", ci uniamo al passaggio pasquale di Cristo. Ogni anno più profondamente. Questo è il cuore di tutta la storia della salvezza: che ciò che si è compiuto in Cristo-Capo si compia in tutte le sue membra (i suoi discepoli, la Chiesa che li riunisce in una sola famiglia). La Quaresima non è dunque fine a se stessa, ma culmina e si perfeziona nella Pasqua. Il percorso pasquale decisivo per ogni cristiano si realizza in tre momenti: ■ morire al peccato; morire all’egoismo che è già incominciare una nuova esistenza; ■ celebrare con Cristo la nascita alla nuova vita (convertirsi); ■ vivere con nuova energia ed entusiasmo e riscoprire, nella comunità, la bellezza della vita nuova in Cristo. |
IL SEGNO DEI 40 GIORNI
La misura del tempo per prepararsi alla Pasqua è stata adottata dalla Chiesa in riferimento ai quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto (cf Lc 4,1-2; Mc 4.1-2: Mt 4.1-2), prima di iniziare la predicazione del regno di Dio.
Alcuni numeri, nella Bibbia, acquistano un significato per gli avvenimenti del popolo di Dio ai quali sono connessi. Per questo diventano dei "segni" e sono a loro volta veicoli di certi messaggi. Vediamo il numero quaranta in alcuni racconti biblici. ■ Gen 7,12: le acque del diluvio, segno del giudizio di Dio su un mondo di peccato, scendono “per quaranta giorni e quaranta notti": in 8,6 “quaranta giorni" misurano l’attesa di Noè nell’arca prima della salvezza. ■ Es 24.18: Mosè rimane sul Sinai, “il monte del Signore, per quaranta giorni e quaranta notti": a conclusione di questa attesa fatta di preghiera riceve il dono della legge, sigillo dell'alleanza: nello stesso periodo il popolo si stanca per questa attesa e si dedica all'idolatria, provocando lo sdegno del Signore, che non attua il suo proposito di cancellarlo solo per l’intercessione di Mosè (cf 32,1-4). ■ Nm 14,33: il popolo eletto, disobbediente e ribelle, vagherà per quarantanni nel deserto, ove sperimenterà la bontà provvidente del suo Dio (cf Dt 29,4), in attesa di entrare nella terra promessa e di prenderne possesso. ■ 1Sam 17,16: il filisteo Golia: “sera e mattina ... per quaranta giorni ” sfida e umilia l’esercito di Israele, sino a che giunge Davide il quale, “nel nome del Signore”, lo affronta e lo vince. ■ 1Re 19,8: il profeta Elia, perseguitato e ormai scoraggiato, con la forza del pane ricevuto da Dio “camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio” (il Sinai), ove ha una rivelazione e ritrova convinzione ed energia per continuare la sua missione. Il numero quaranta, nella Bibbia, è associato a situazioni di attesa, di prova, di indigenza, di scoraggiamento, di umiliazione, di lotta; al termine, Dio interviene per sbloccare queste situazioni e mostra di essere presente, di non abbandonare i suoi eletti, di ridare loro fiducia e forza, di donare vittoria e premio. Il numero quaranta è quindi una misura di tempo che esprime una prova (la tentazione) che da una parte saggia la fedeltà e dall'altra manifesta che solo in Dio vi è salvezza. |
Quaresima tempo di austerità e vigilanza
Si deve cercare di eliminare tutto ciò che potrebbe distrarre la nostra attenzione: feste, devozioni, iniziative non riconducibili allo spirito e al contenuto dell’itinerario quaresimale. Ognuno di noi deve accorgersi che, in questo tempo, la comunità è in stato di allerta, è in atteggiamento di vigilanza, è impegnata in uno sforzo ascetico, che non permette divagazioni o dispersioni in sentieri secondari. Anche le forme di pietà popolare, devono essere indirizzate al tema quaresimale e devono portarci a pensieri e ad atteggiamenti di ‘conversione’.
Quaresima, tempo di ascolto e di preghiera
È molto importante curare ancora meglio la proclamazione della Parola a tutti i livelli celebrativi; per chi può non manchi la partecipazione alla messa, anche nei giorni feriali, dove si può ascoltare una riflessione sulla Parola di Dio. Il foglietto festivo con il brano di vangelo della domenica può diventare lo strumento per la preghiera della settimana.
Quaresima, tempo di digiugno e di conversione
È un tempo nel quale si accoglie la proposta quaresimale di digiunare dal peccato e dal vizio. Il digiuno esprime padronanza di sé e capacità di prendere in mano la propria vita per poterla offrire a Dio e agli altri. La liturgia quaresimale è un continuo richiamo a superare il formalismo: sarebbe inutile astenersi dai cibi se non ci si astenesse dal peccato. Il tempo quaresimale è sicuramente un buon momento (= tempo forte, occasione favorevole) perché ogni cristiano scelga un aspetto della propria vita, un tratto del proprio carattere, un atteggiamento sul quale compiere “digiuno e conversione”.
Quaresima, tempo dell'Impegno comunitario, della carità e della condivisione
È tempo di iniziative comunitarie con lo scopo di sensibilizzarci verso i poveri e i bisognosi; tempo di digiuno. Proprio mentre i cristiani stanno smarrendo il senso di questo tipico atteggiamento penitenziale, da altre sponde il digiuno viene usato in modo provocatorio per ottenere rivendicazioni o per richiamare l’attenzione su un problema. Diventa quindi urgente riconoscere il “digiuno cristiano” nella sua vera luce: si vive la vita dei poveri, per imparare a solidarizzare con loro, per capire le loro istanze, per rendersi sensibili alle loro voci. Si digiuna per dare i risparmi ai poveri: si digiuna in vista della carità, si tratta di abbattere le barriere che continuamente il nostro egoismo innalza, per ritornare all’essenziale e ai valori spirituali. Il digiuno, nell’ottica della spiritualità quaresimale, non è quindi fine a se stesso: ha come obiettivo il bene e l’aiuto per gli altri.
Si deve cercare di eliminare tutto ciò che potrebbe distrarre la nostra attenzione: feste, devozioni, iniziative non riconducibili allo spirito e al contenuto dell’itinerario quaresimale. Ognuno di noi deve accorgersi che, in questo tempo, la comunità è in stato di allerta, è in atteggiamento di vigilanza, è impegnata in uno sforzo ascetico, che non permette divagazioni o dispersioni in sentieri secondari. Anche le forme di pietà popolare, devono essere indirizzate al tema quaresimale e devono portarci a pensieri e ad atteggiamenti di ‘conversione’.
Quaresima, tempo di ascolto e di preghiera
È molto importante curare ancora meglio la proclamazione della Parola a tutti i livelli celebrativi; per chi può non manchi la partecipazione alla messa, anche nei giorni feriali, dove si può ascoltare una riflessione sulla Parola di Dio. Il foglietto festivo con il brano di vangelo della domenica può diventare lo strumento per la preghiera della settimana.
Quaresima, tempo di digiugno e di conversione
È un tempo nel quale si accoglie la proposta quaresimale di digiunare dal peccato e dal vizio. Il digiuno esprime padronanza di sé e capacità di prendere in mano la propria vita per poterla offrire a Dio e agli altri. La liturgia quaresimale è un continuo richiamo a superare il formalismo: sarebbe inutile astenersi dai cibi se non ci si astenesse dal peccato. Il tempo quaresimale è sicuramente un buon momento (= tempo forte, occasione favorevole) perché ogni cristiano scelga un aspetto della propria vita, un tratto del proprio carattere, un atteggiamento sul quale compiere “digiuno e conversione”.
Quaresima, tempo dell'Impegno comunitario, della carità e della condivisione
È tempo di iniziative comunitarie con lo scopo di sensibilizzarci verso i poveri e i bisognosi; tempo di digiuno. Proprio mentre i cristiani stanno smarrendo il senso di questo tipico atteggiamento penitenziale, da altre sponde il digiuno viene usato in modo provocatorio per ottenere rivendicazioni o per richiamare l’attenzione su un problema. Diventa quindi urgente riconoscere il “digiuno cristiano” nella sua vera luce: si vive la vita dei poveri, per imparare a solidarizzare con loro, per capire le loro istanze, per rendersi sensibili alle loro voci. Si digiuna per dare i risparmi ai poveri: si digiuna in vista della carità, si tratta di abbattere le barriere che continuamente il nostro egoismo innalza, per ritornare all’essenziale e ai valori spirituali. Il digiuno, nell’ottica della spiritualità quaresimale, non è quindi fine a se stesso: ha come obiettivo il bene e l’aiuto per gli altri.
Via Crucis per le vie del Paese
In questa quaresima vorremmo porre dei momenti di preghiera e riflessione tra le nostre case, celebrando la Via Crucis in alcune zone del nostro paese. La Via Crucis nella strada, sarà un richiamo visibile del nostro essere cristiani che nel loro cammino si lasciano guidare dalla croce di Gesù. Queste le date e i luoghi:
23 marzo alla Rasga
30 marzo San Bernardino
06 aprile all’Oratorio
23 marzo alla Rasga
30 marzo San Bernardino
06 aprile all’Oratorio
Alcune proposte per vivere la…
Quaresima in famiglia
Ancora un piccolo aiuto e dei suggerimenti per vivere la quaresima in casa con la tua famiglia. Il libretto lo puoi trovare in chiesa parrocchiale quando vieni a messa.
Presentazione Un libretto ed una piccola brocca per fare in modo che in quaresima e nei giorni della Pasqua il tornare alla preghiera diventi tempo e segno di un’esperienza di vita che trova nella fede la possibilità di dirsi in pienezza e con forza. Ogni settimana rincontro con un Continente, una tematica emergente, un richiamo particolare. Poi un gesto da vivere, grandi e piccoli, nella semplicità. Il venerdì diventa occasione per ripercorrere il cammino della croce lasciandosi guidare dall’esperienza della povertà che prende volti e forme diverse, ma sempre è forte richiamo alla conversione e alla condivisione. L’impegno caritativo si muove sullo sfondo della realtà familiare: le famiglie del sud del mondo vengono a raccontarci la loro storia, a condividere le fatiche e le attese, e chiedono di poter guardare con noi, nella speranza, i primi passi del nuovo millennio. Così l’impegno caritativo-missionario che parte dalla realtà famigliare e vuole coinvolgere le intere comunità parrocchiali, nasce dalla consapevolezza. sempre più profonda, di quella vocazione profetica che abita nella carità. Agli ammalati ed agli anziani è rinnovato l’invito ad adottare nella preghiera un missionario bergamasco oppure una realtà di accoglienza ed assistenza promosse dal Centro Missionario e della Caritas. |
Nella tua casa...
Le famiglie del mondo
La casa è il luogo del nostro quotidiano abitare. Ogni casa raccoglie in sé il segreto di parole, gesti, affetti, scelte, silenzi e preghiere. Il tempo quaresimale e quello pasquale diventano un’occasione significativa per fare in modo che ancora una volta il quotidiano della casa si incontri con i gesti e le parole della preghiera. “Le famiglie del mondo” chiedono coraggiosamente di incontrarsi con il nostro tempo, il nostro interesse e tutta quella capacità di condivisione di cui siamo capaci. Anche la proposta missionaria, impegnata in gesti carità, chiede di diventare dialogo e partecipazione per ogni famiglia. Vengono a trovarci la testimonianza e l’entusiasmo di sacerdoti, religiose e laici che vivono nelle missioni diocesane di Bolivia, Costa d’Avorio e Cuba il servizio di comunione ecclesiale e cooperazione della nostra diocesi. Con loro è viva la testimonianza di tutti gli altri missionari e missionarie della nostra terra. Il sostegno economico, che non può mancare e chiede di essere davvero generoso in questo tempo di particolare impegno, deve nascere dalla profonda consapevolezza che è dovere di ognuno sostenere la lotta alla povertà e all’indigenza; è impegno di tutti quella solidarietà che trova nel vivere il Vangelo la sua più alta espressione. L’intera famiglia parrocchiale e, al suo interno, ogni singola realtà familiare sono coinvolte nell’avventura missionaria della testimonianza di una carità che fa crescere perché nasce e si realizza nel cuore. Da qui l’invito a scegliere in ogni famiglia ed in ogni parrocchia un momento concreto dei progetti presentati perché si accresca la consapevolezza, si approfondisca la conoscenza e più generosa sia la disponibilità.
Nella tua casa...
il dialogo con le famiglie del mondo
1. Ascolto, individuale o familiare, della Parola di Dio come luogo di incontro e di condivisione dei valori più profondi della vita e di confronto sulle scelte di ognuno.
2. Lettura dei quotidiani e dei settimanali per conoscere le informazioni che presentano situazioni di povertà, di violenza, di mancato rispetto dei diritti umani e familiari.
3. Accoglienza, anche solo con un sorriso, di chi bussa alla porta del nostro tempo, dei nostri impegni, per chiedere solamente un po’ di attenzione.
4. Condivisione delle fatiche collaborando nella propria famiglia, sentendosi partecipi di quelle di altre famiglie, accogliendo le provocazioni della grande famiglia parrocchiale.
Nella tua casa...
a mensa con le famiglie del mondo
1. La dispensa della nostra casa è decisamente rifornita: proprio il consumo spropositato genera ingiustizia. La sobrietà è uno stile di vita che sa distinguere tra i bisogni reali e quelli indotti. Allora anche la dispensa di casa è un buon aiuto per vivere criticamente il consumo ed ogni volta che si fa la spesa diventa importante scegliere i prodotti non solo in base al prezzo ed alla qualità, ma anche in base alla storia dei prodotti stessi ed al comportamento delle imprese che ce li offrono.
2. Tanti sono i prodotti che vengono dal sud del mondo e nascono dallo sfruttamento e dalla mancanza di giusta retribuzione. Il suggerimento è quello di favorire le botteghe di solidarietà che garantiscono dei loro prodotti l’origine, la composizione e la giusta retribuzione dei loro prodotti.
3. I progetti di aiuto economico di questa quaresima sono a beneficio delle famiglie del sud del mondo secondo le indicazioni forniteci dai missionari bergamaschi. Una casa aperta diventa, dunque, una grande famiglia dove il volto della povertà, la realtà della fame, il dramma della violenza trovano davvero ascolto e risposta. Ogni settimana l’accoglienza di una famiglia permette di conoscere la situazione di vita ed offrire gesti di concreta solidarietà. Non manchi il coinvolgimento e la generosità!
Nella tua casa...
si cresce con le famiglie del mondo
1. Sostenere i progetti di solidarietà indicati dalla Diocesi favorendo la conoscenza del progetto e del contesto dove esso si sviluppa per educarci al valore della cultura, della pace, della mondialità.
2. Accogliere le provocazioni di stile di vita che vengono dalle famiglie e dalle Chiese del sud del mondo, favorendo il dialogo e rincontro con quelle realtà che già oggi vivono in mezzo a noi e si impegnano per l’accoglienza consapevole e rispettosa dei migranti.
Le famiglie del mondo
La casa è il luogo del nostro quotidiano abitare. Ogni casa raccoglie in sé il segreto di parole, gesti, affetti, scelte, silenzi e preghiere. Il tempo quaresimale e quello pasquale diventano un’occasione significativa per fare in modo che ancora una volta il quotidiano della casa si incontri con i gesti e le parole della preghiera. “Le famiglie del mondo” chiedono coraggiosamente di incontrarsi con il nostro tempo, il nostro interesse e tutta quella capacità di condivisione di cui siamo capaci. Anche la proposta missionaria, impegnata in gesti carità, chiede di diventare dialogo e partecipazione per ogni famiglia. Vengono a trovarci la testimonianza e l’entusiasmo di sacerdoti, religiose e laici che vivono nelle missioni diocesane di Bolivia, Costa d’Avorio e Cuba il servizio di comunione ecclesiale e cooperazione della nostra diocesi. Con loro è viva la testimonianza di tutti gli altri missionari e missionarie della nostra terra. Il sostegno economico, che non può mancare e chiede di essere davvero generoso in questo tempo di particolare impegno, deve nascere dalla profonda consapevolezza che è dovere di ognuno sostenere la lotta alla povertà e all’indigenza; è impegno di tutti quella solidarietà che trova nel vivere il Vangelo la sua più alta espressione. L’intera famiglia parrocchiale e, al suo interno, ogni singola realtà familiare sono coinvolte nell’avventura missionaria della testimonianza di una carità che fa crescere perché nasce e si realizza nel cuore. Da qui l’invito a scegliere in ogni famiglia ed in ogni parrocchia un momento concreto dei progetti presentati perché si accresca la consapevolezza, si approfondisca la conoscenza e più generosa sia la disponibilità.
Nella tua casa...
il dialogo con le famiglie del mondo
1. Ascolto, individuale o familiare, della Parola di Dio come luogo di incontro e di condivisione dei valori più profondi della vita e di confronto sulle scelte di ognuno.
2. Lettura dei quotidiani e dei settimanali per conoscere le informazioni che presentano situazioni di povertà, di violenza, di mancato rispetto dei diritti umani e familiari.
3. Accoglienza, anche solo con un sorriso, di chi bussa alla porta del nostro tempo, dei nostri impegni, per chiedere solamente un po’ di attenzione.
4. Condivisione delle fatiche collaborando nella propria famiglia, sentendosi partecipi di quelle di altre famiglie, accogliendo le provocazioni della grande famiglia parrocchiale.
Nella tua casa...
a mensa con le famiglie del mondo
1. La dispensa della nostra casa è decisamente rifornita: proprio il consumo spropositato genera ingiustizia. La sobrietà è uno stile di vita che sa distinguere tra i bisogni reali e quelli indotti. Allora anche la dispensa di casa è un buon aiuto per vivere criticamente il consumo ed ogni volta che si fa la spesa diventa importante scegliere i prodotti non solo in base al prezzo ed alla qualità, ma anche in base alla storia dei prodotti stessi ed al comportamento delle imprese che ce li offrono.
2. Tanti sono i prodotti che vengono dal sud del mondo e nascono dallo sfruttamento e dalla mancanza di giusta retribuzione. Il suggerimento è quello di favorire le botteghe di solidarietà che garantiscono dei loro prodotti l’origine, la composizione e la giusta retribuzione dei loro prodotti.
3. I progetti di aiuto economico di questa quaresima sono a beneficio delle famiglie del sud del mondo secondo le indicazioni forniteci dai missionari bergamaschi. Una casa aperta diventa, dunque, una grande famiglia dove il volto della povertà, la realtà della fame, il dramma della violenza trovano davvero ascolto e risposta. Ogni settimana l’accoglienza di una famiglia permette di conoscere la situazione di vita ed offrire gesti di concreta solidarietà. Non manchi il coinvolgimento e la generosità!
Nella tua casa...
si cresce con le famiglie del mondo
1. Sostenere i progetti di solidarietà indicati dalla Diocesi favorendo la conoscenza del progetto e del contesto dove esso si sviluppa per educarci al valore della cultura, della pace, della mondialità.
2. Accogliere le provocazioni di stile di vita che vengono dalle famiglie e dalle Chiese del sud del mondo, favorendo il dialogo e rincontro con quelle realtà che già oggi vivono in mezzo a noi e si impegnano per l’accoglienza consapevole e rispettosa dei migranti.
LA CHIESA DI PASQUA
La Chiesa del mattino di Pasqua è prima di tutto un piccolo gruppo di donne che, partendo “di buon mattino” per vedere un sepolcro e imbalsamare un cadavere, scoprono all’improvviso che non devono più cercare fra i morti colui che è vivo... e se ne ritornano in tutta fretta, portando la gioiosa notizia agli apostoli e ai discepoli. Prime a cercare Gesù dopo la tragedia del Golgota, prime ad incontrarlo vivo, prime ad ascoltarne la parola di pace e l’appello all’evangelizzazione, esse formano la prima comunità. In esse è appena nata la gioia di credere e di dire che Gesù è risuscitato...
La Chiesa del mattino di Pasqua è questa donna peccatrice perdonata che piange accanto a una tomba vuota poiché qualcuno, crede, ha portato via il corpo crocifisso del Signore. Poiché non vi è davvero più Gesù vivo, che ella possa almeno stargli vicino da morto! Che almeno le sia permesso di spandere un’ultima volta su di lui il più prezioso dei suoi profumi e asciugarlo con i suoi capelli!
Ma ecco che viene qualcuno. Parla... “Perché piangi? Cosa cerchi?”. Strana risonanza di domande così banali. Ciò nonostante ella non riconosce Gesù. Se sei tu che l’hai portato via, dimmi dove lo hai messo. È solo quando escono dalle labbra dello straniero le due sillabe del suo nome che il velo si alza. “Gesù le dice: Maria! Lei si volta e dice: Rabbuni!”.
Primo grido della fede nella pasqua. Prima professione di fede cristiana. Il credo della Chiesa nel suo scaturire! Ma subito la prima prova. Maria Maddalena vorrebbe proprio trattenere colui la cui assenza l’aveva straziata. Impara che bisogna rinunciarvi. È in altro modo ch’ella rimarrà nell’intimità del maestro amato.
“Non mi trattenere!”. Compaiono allora, già inseparabili, la prima catechesi e il primo invio in missione. “Va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. È questa espressione straordinaria che riassume tutta la testimonianza apostolica: “Ho visto il Signore ed ecco ciò che mi ha detto!”.
La Chiesa del mattino di Pasqua è questo gruppo di uomini, ancora divisi, quasi tutti scettici davanti a queste parole che prendono per un delirio. Come potrebbero credere? Come potrebbero anche solo immaginare la risurrezione di Gesù? Non solo colui che hanno seguito è morto, ma è morto sconfessato, sconfessato dal popolo, dai rappresentanti della Chiesa, e, apparentemente, da Dio stesso! Gesù si è sbagliato. Essi si sono sbagliati. “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele!”.
La loro speranza è morta... Ciò nonostante, essi si recano al sepolcro. “Ciò che essi vedono corrisponde a quello che avevano detto le donne. Ma lui non lo vedono”. Allora?
La Chiesa del mattino di Pasqua sono Pietro e Giovanni, i primi discepoli del gruppo degli apostoli. Alle parole di Maria Maddalena, corrono “tutti e due insieme verso il sepolcro”.
“Il discepolo che Gesù amava, arriva per primo”. Ma non entra. Lascia la precedenza a colui che Gesù aveva scelto per prendere il comando del gruppo dei dodici. Già primo nell’affetto si inchina davanti al primo nella missione. “Lo segue: entra e crede”.
La Chiesa del mattino di Pasqua è Maria, la madre del Signore. Nella casa dove, a richiesta di Gesù agonizzante, Giovanni l’ha accolta dalla vigilia, ella spera contro ogni speranza, con il cuore trafitto, ma in pace.
Ma ecco che la notizia la raggiunge: notizia degli angeli, notizia del sepolcro vuoto, notizia del giardiniere. Ella non ha bisogno di vedere, di sentire, di toccare. Subito, capisce che Dio ha esaudito il grido del suo unico Figlio, e che lei è divenuta la madre di questo popolo immenso di discepoli che Gesù ama come suoi fratelli. Gioia, gioia, pianti di gioia. Allegria grazie a Dio, suo salvatore. Il Magnificat della sua giovinezza non smetterà più di risonare in lei e in tutta la Chiesa per generazioni e generazioni...
Chiesa della mattina di Pasqua, come amo i tuoi primi passi, così timidi, così malfermi.
Ti occorrerà attendere il gran vento della Pentecoste per prendere il volo. In queste prime ore della settimana pasquale la tua sicurezza emerge appena dal dubbio, la tua pace dall’angoscia e la tua gioia dalle lacrime. Ma già, Chiesa dei poveri ai quali appartiene il Regno e dei cuori puri che vedono Dio, Chiesa di Pietro, di Giovanni e dei loro compagni, Chiesa di Maria, tua madre attenta e devota, tu sei la Chiesa del Cristo risuscitato, la Chiesa del Salvatore del mondo, la Chiesa dell’eterno alleluia, la nostra chiesa!
La Chiesa del mattino di Pasqua è questa donna peccatrice perdonata che piange accanto a una tomba vuota poiché qualcuno, crede, ha portato via il corpo crocifisso del Signore. Poiché non vi è davvero più Gesù vivo, che ella possa almeno stargli vicino da morto! Che almeno le sia permesso di spandere un’ultima volta su di lui il più prezioso dei suoi profumi e asciugarlo con i suoi capelli!
Ma ecco che viene qualcuno. Parla... “Perché piangi? Cosa cerchi?”. Strana risonanza di domande così banali. Ciò nonostante ella non riconosce Gesù. Se sei tu che l’hai portato via, dimmi dove lo hai messo. È solo quando escono dalle labbra dello straniero le due sillabe del suo nome che il velo si alza. “Gesù le dice: Maria! Lei si volta e dice: Rabbuni!”.
Primo grido della fede nella pasqua. Prima professione di fede cristiana. Il credo della Chiesa nel suo scaturire! Ma subito la prima prova. Maria Maddalena vorrebbe proprio trattenere colui la cui assenza l’aveva straziata. Impara che bisogna rinunciarvi. È in altro modo ch’ella rimarrà nell’intimità del maestro amato.
“Non mi trattenere!”. Compaiono allora, già inseparabili, la prima catechesi e il primo invio in missione. “Va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. È questa espressione straordinaria che riassume tutta la testimonianza apostolica: “Ho visto il Signore ed ecco ciò che mi ha detto!”.
La Chiesa del mattino di Pasqua è questo gruppo di uomini, ancora divisi, quasi tutti scettici davanti a queste parole che prendono per un delirio. Come potrebbero credere? Come potrebbero anche solo immaginare la risurrezione di Gesù? Non solo colui che hanno seguito è morto, ma è morto sconfessato, sconfessato dal popolo, dai rappresentanti della Chiesa, e, apparentemente, da Dio stesso! Gesù si è sbagliato. Essi si sono sbagliati. “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele!”.
La loro speranza è morta... Ciò nonostante, essi si recano al sepolcro. “Ciò che essi vedono corrisponde a quello che avevano detto le donne. Ma lui non lo vedono”. Allora?
La Chiesa del mattino di Pasqua sono Pietro e Giovanni, i primi discepoli del gruppo degli apostoli. Alle parole di Maria Maddalena, corrono “tutti e due insieme verso il sepolcro”.
“Il discepolo che Gesù amava, arriva per primo”. Ma non entra. Lascia la precedenza a colui che Gesù aveva scelto per prendere il comando del gruppo dei dodici. Già primo nell’affetto si inchina davanti al primo nella missione. “Lo segue: entra e crede”.
La Chiesa del mattino di Pasqua è Maria, la madre del Signore. Nella casa dove, a richiesta di Gesù agonizzante, Giovanni l’ha accolta dalla vigilia, ella spera contro ogni speranza, con il cuore trafitto, ma in pace.
Ma ecco che la notizia la raggiunge: notizia degli angeli, notizia del sepolcro vuoto, notizia del giardiniere. Ella non ha bisogno di vedere, di sentire, di toccare. Subito, capisce che Dio ha esaudito il grido del suo unico Figlio, e che lei è divenuta la madre di questo popolo immenso di discepoli che Gesù ama come suoi fratelli. Gioia, gioia, pianti di gioia. Allegria grazie a Dio, suo salvatore. Il Magnificat della sua giovinezza non smetterà più di risonare in lei e in tutta la Chiesa per generazioni e generazioni...
Chiesa della mattina di Pasqua, come amo i tuoi primi passi, così timidi, così malfermi.
Ti occorrerà attendere il gran vento della Pentecoste per prendere il volo. In queste prime ore della settimana pasquale la tua sicurezza emerge appena dal dubbio, la tua pace dall’angoscia e la tua gioia dalle lacrime. Ma già, Chiesa dei poveri ai quali appartiene il Regno e dei cuori puri che vedono Dio, Chiesa di Pietro, di Giovanni e dei loro compagni, Chiesa di Maria, tua madre attenta e devota, tu sei la Chiesa del Cristo risuscitato, la Chiesa del Salvatore del mondo, la Chiesa dell’eterno alleluia, la nostra chiesa!
AUGURI DON FRANCESCO
Una comunità cristiana ha bisogno di preti. Senza preti le comunità adagio adagio si spengono e vengono meno. Papa Giovanni diceva che il termometro della fede di una comunità è la vocazione sacerdotale. E allora quando uno dei suoi giovani, uno dei suoi figli “prende Messa” e diventa prete, la comunità rinasce. E quando una comunità riesce ad affascinare e a “convincere” qualcuno a mettere a disposizione la sua vita a servizio del Vangelo e del Regno di Dio, scopre ancora una volta quale è la verità profonda della propria origine e da chi continuamente è sostenuta.
Quando la vocazione non nasce semplicemente per imitazione clericale o per attrattiva al mondo sociale, ma attraverso la vita e i cammini normali di una comunità, di un oratorio, di un gruppo di amici, della vita famigliare, allora questa diventa un messaggio per tutta la comunità che è aiutata a capire lo stile con il quale il Signore cammina accanto a noi. Quando in una comunità un giovane diventa prete succede ciò che capita ad ogni mamma e ad ogni papà: generando un figlio si viene rigenerati. Come preti e cristiani di una stessa comunità possiamo dirti grazie, don Francesco? Grazie perché la tua decisione e la tua scelta coraggiosa ci danno forza e speranza per andare avanti, ci aiutano a credere e a fidarci ancor di più del nostro Signore. E un grazie in anticipo vorremmo dirtelo anche a nome delle tante persone e soprattutto dei tanti ragazzi e giovani che da qualche parte ti aspettano: che dalla tua fedeltà e dalla tua debolezza stanno aspettando una parola di coraggio e di consolazione; che con la loro “esperienza” fedele e tenace sosterranno la tua fragile umanità, di cui però Dio si degna di servirsi. Auguri. Cerca di restare sempre un uomo fedele e appassionato alla sorte degli uomini. E cerca di non smettere ogni giorno di cercare Dio. E stai legato a Gesù Cristo. E’ il fascino della tua vocazione, lui è “la via, la verità e la vita” di questa grande avventura che ti aspetta. E’ lui che ci chiama a servire la Chiesa. E’ lui che ci aspetta e ci attende in ogni uomo che incontreremo. E’ a lui, che in mezzo a fatiche e gioie, stiamo dando la nostra vita. Auguri. I tuoi preti. La tua comunità. |
SACERDOTE DA 60 ANNI
Mons. Gaspare Cortinovis ha raggiunto il lusinghiero traguardo dei suoi sessantanni di sacerdozio ancora in discreta salute. Venne infatti ordinato sacerdote il 7 giugno 1941 nella Cattedrale di Bergamo dal Vescovo Mons. Adriano Bernareggi. Il suo “curriculum vitae” spazia tra gli impegni di carattere pastorale, dell’insegnamento nel Seminario diocesano e varie cariche sempre nell’ambito della nostra Diocesi. Si è dedicato innanzitutto all’attività pastorale prima a Caprino e poi ad Adrara S. Martino; di seguito, dal 1945 al 1966, ha assunto l’incarico d’insegnante prima nel seminario di Clusone e poi nel seminario di Bergamo; nel 1966 viene nominato Canonico del Capitolo della Cattedrale di Bergamo. Carica che ricopre tuttora: nell'ambito del Capitolo, dal 1969 al 1981, fu Segretario e, dal 1985 al 1990, fu Presidente. Rivestì pure altre importanti cariche nell’ambito diocesano: Consigliere dell’Opera Pia Pro Clero, dal 1970 al 1973, ed Esaminatore Sinodale, dal 1980 al 1984, e inoltre Membro del Cons. Pres. Diocesano, dal 1985 al 1992, e dal 1993 è Prelato d’onore di S.S., mentre continua a essere Membro del tribunale Cause dei Santi dal 1966. Mons. Gaspare Cortinovis è rinomato in diocesi come latinista a cui è stato affidato l’incarico di comporre un numero illimitato di epigrafi. È pure rinomata la sua passione per la montagna che ormai, data l’età, si è ridotta alla frequente scalata dello Zucco, via Padronecco-Pernice. Ora vive in casa con la sorella Teresa carica di acciacchi per l’età avanzata. Noi tutti vogliamo essergli vicino, soprattutto in questa straordinaria circostanza del suo 60.mo di sacerdozio, con tanta stima e affetto e gli auguriamo di tutto cuore di rimanere ancora a lungo tra noi sempre con la sua invidiabile grinta e saggezza, capace di dare lezioni di vita anche ai più giovani. Grazie, Monsignore, del bene che ci vuole e della sua costante prestazione sacerdotale, tanto preziosa, nell’ambito della nostra comunità parrocchiale.
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10 AGOSTO - FESTA DEI PATRONO SAN LORENZO MARTIRE
La testimonianza difficile
La festa patronale è una ricorrenza impegnativa per la pastorale. In particolare essa presenta due nodi. Uno è quello dell’efficacia della commemorazione del santo martire protettore: il martirio è tema particolarmente ostico al cristiano di oggi. Celebrare S. Lorenzo in parrocchia comporta un lavoro di interpretazione: che cosa significa questa festa per noi oggi? Il secondo nodo è costituito dal fatto che la festa patronale affianca momenti ecclesiali a momenti chili: la festa patronale è anche la festa della sagra del paese: qual è la distinzione e il legame tra i due momenti?
La legge della santità e il martirio
La legge della santità, della vita che Dio ci comunica, è appunto la legge della vita. È, come ci dice San Paolo, vita nell’abbondanza: “Chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà”. Dio opera e semina incessantemente. E vorrebbe che anche i suoi figli fossero così. Dio ama chi dona con gioia. La regola della santità è spendere generosamente la vita: chi dona la sua vita la conserverà. Essere santi è entrare nel flusso della Divina Magnanimità, nella Generosità sconsiderata... Entrare in questo movimento divino dell'amore comporta per noi – creature ripiegate su se stesse e sulla terra – una radicale trasformazione. L’Amore di Dio. dandoci la sua vita, ci trasforma, ci fa entrare nel movimento pasquale di Cristo, di morte e resurrezione: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore produce molto frutto”. Il martirio aggiunge a questa regola comune della vita (dare la vita e attraversare la pasqua) il carattere difficile di testimonianza. Il martire è colui che affronta la morte per fede; colui che viene ucciso alla conclusione di un processo e di uno scontro con il “mondo”. Il nostro fondatore, Gesù, è un martire. E, dietro a lui, sul suo esempio, tanti cristiani martiri: tra i quali il protettore della nostra Chiesa parrocchiale, S. Lorenzo. La ricorrenza che periodicamente ritorna, ripropone celebrazioni e commemorazioni che, a volte, rischiano di essere solo autocelebrazioni. Non “toccano la vita”, come si dice: non coinvolgono cioè i desideri profondi e le scelte dei credenti. Per farlo, dovrebbero riuscire a far comprendere con un po’ di verità la testimonianza e il processo che portarono a quel martirio: riuscire cioè a far vedere la scintilla che è scoppiata, nella sua vicenda, tra il vangelo e la storia. E soprattutto questa festa e celebrazione dovrebbe coinvolgerci nell’attuale responsabilità della fede: in ciò che ci chiede la testimonianza che dobbiamo dare al mondo d’oggi. Se non ci provocano a fare una verifica della nostra testimonianza difficile al mondo, non sono “attuali”.
Il martirio o la testimonianza cristiana
Quale forma deve prendere il nostro martirio, la nostra testimonianza? Come questo mondo ci chiede di dare la vita perché possa essere detto il vangelo? Proviamo a ribadire alcune caratteristiche della testimonianza che ci sembra il Signore ci stia chiedendo di dare a questo mondo. Non ci pare buona testimonianza quella che cerca solo la polemica con questo mondo deludente e indifferente e persino ostile... Né quella di un cristianesimo che si autoemargina e anticipa infantilmente un altro mondo e scappa schifato da questo. La buona testimonianza è quella che riesce a dire bene, a dare una buona notizia anche a questo mondo. Certo, una notizia che va ben al di là di ciò che il mondo si aspetta: e quindi la notizia cristiana in questo mondo fa discutere, scontrare, litigare, scuotere: ma sempre per amore, solo per amore.
La legge della santità e il martirio
La legge della santità, della vita che Dio ci comunica, è appunto la legge della vita. È, come ci dice San Paolo, vita nell’abbondanza: “Chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà”. Dio opera e semina incessantemente. E vorrebbe che anche i suoi figli fossero così. Dio ama chi dona con gioia. La regola della santità è spendere generosamente la vita: chi dona la sua vita la conserverà. Essere santi è entrare nel flusso della Divina Magnanimità, nella Generosità sconsiderata... Entrare in questo movimento divino dell'amore comporta per noi – creature ripiegate su se stesse e sulla terra – una radicale trasformazione. L’Amore di Dio. dandoci la sua vita, ci trasforma, ci fa entrare nel movimento pasquale di Cristo, di morte e resurrezione: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo; se invece muore produce molto frutto”. Il martirio aggiunge a questa regola comune della vita (dare la vita e attraversare la pasqua) il carattere difficile di testimonianza. Il martire è colui che affronta la morte per fede; colui che viene ucciso alla conclusione di un processo e di uno scontro con il “mondo”. Il nostro fondatore, Gesù, è un martire. E, dietro a lui, sul suo esempio, tanti cristiani martiri: tra i quali il protettore della nostra Chiesa parrocchiale, S. Lorenzo. La ricorrenza che periodicamente ritorna, ripropone celebrazioni e commemorazioni che, a volte, rischiano di essere solo autocelebrazioni. Non “toccano la vita”, come si dice: non coinvolgono cioè i desideri profondi e le scelte dei credenti. Per farlo, dovrebbero riuscire a far comprendere con un po’ di verità la testimonianza e il processo che portarono a quel martirio: riuscire cioè a far vedere la scintilla che è scoppiata, nella sua vicenda, tra il vangelo e la storia. E soprattutto questa festa e celebrazione dovrebbe coinvolgerci nell’attuale responsabilità della fede: in ciò che ci chiede la testimonianza che dobbiamo dare al mondo d’oggi. Se non ci provocano a fare una verifica della nostra testimonianza difficile al mondo, non sono “attuali”.
Il martirio o la testimonianza cristiana
Quale forma deve prendere il nostro martirio, la nostra testimonianza? Come questo mondo ci chiede di dare la vita perché possa essere detto il vangelo? Proviamo a ribadire alcune caratteristiche della testimonianza che ci sembra il Signore ci stia chiedendo di dare a questo mondo. Non ci pare buona testimonianza quella che cerca solo la polemica con questo mondo deludente e indifferente e persino ostile... Né quella di un cristianesimo che si autoemargina e anticipa infantilmente un altro mondo e scappa schifato da questo. La buona testimonianza è quella che riesce a dire bene, a dare una buona notizia anche a questo mondo. Certo, una notizia che va ben al di là di ciò che il mondo si aspetta: e quindi la notizia cristiana in questo mondo fa discutere, scontrare, litigare, scuotere: ma sempre per amore, solo per amore.
Come deve essere dunque la nostra testimonianza!
1. Anzitutto deve avere la qualità della fede. La prima fatica che dobbiamo fare è quella della fede. Il cristiano deve essere pronto a inquietare la sua vita per la fede: perché la fede abbia la qualità di testimonianza: sappia cioè veramente dire di un Altro, dire di Lui e del suo vangelo. Non basta oggi alla testimonianza cristiana una religiosità vaga. Occorre che la fede garantisca un incontro, un legame personale con Gesù Cristo; e che questo incontro faccia da effettivo riferimento alla nostra vita. Una fede che sia effettivamente capace di generare un modo di vivere, un’esistenza umana significativa, in grado di interpellare e di promuovere resistenza che di fatto si costruisce nella città degli uomini. 2. E occorre che questa testimonianza sia data nello stile della fede, nello stile del vangelo: sia testimonianza gioiosa e povera. Una testimonianza che non pretende di vincere, di imporsi; che accetta che tanti vivano bene senza credere in Cristo; che non pretende di difendere Dio dalla depressione che gli provocherebbe l’indifferenza che lo circonda; che non si disaffeziona ai fratelli così come sono, anche se non vengono in chiesa: ma dà loro ciò che essi vogliono accogliere; e spende la sua fede come passione per l’uomo, come ansia per la pace, la concordia, la solidarietà, la compassione; che entra nelle logiche del mondo e le sopporta, le contesta, le cambia; e affronta, se necessario, il processo, le persecuzioni, il martirio. Che parla della sua fede con un’esistenza umana che, alla prova dell’umano, è capace di mostrare la differenza della fede, è capace di parlare di un Altro; un’esistenza così umana da essere più che umana, da essere la via umana verso l’Altro dell’uomo... Nel cercare ripetutamente tra noi quali sono le caratteristiche che rendono la nostra azione e la nostra vita così, devono esserne sottolineate alcune particolarmente efficaci ed evidenti. In primo luogo, la gratuità. La gratuità è la qualità dell’azione umana quando è abitata dalla Grazia. L’agire disinteressato, gratuito, senza ritorno calcolato, gratis, è la sola parola efficace della Grazia come fonte segreta che regge la generosità e la libertà della vita dell'uomo. |
In secondo luogo, l’umiltà: la forza del distacco. la capacità di dire addio, la distruzione delle illusioni e degli idoli: l'educazione del desiderio all’incontro con il Desiderio dell’Altro, il riconoscimento che l’Altro è più di me e della mia vita.
In terzo luogo, la pazienza: il fare spazio agli altri... e alla fatica che occorre per farseli fratelli... e alla storia necessaria perché l’uomo faccia liberamente i suoi giochi. Sono alcune vie della buona testimonianza attraverso le quali il nostro Dio può dare la sua buona notizia all’uomo d’oggi. Sono, come si vede, i tratti tipici della figura di Gesù, di cui i vangeli sono pieni. E sono i sentimenti e gli atteggiamenti proposti ai discepoli che vogliono seguirlo. Sono anche i tratti umani profondi che l’uomo attende per raggiungere la figura dell’uomo adulto. Introdotti però nei modi di vivere del nostro mondo suscitano polemica e contrasto: instaurano un processo, un duro dibattito con questo mondo. Richiedono ai cristiani di affrontare la battaglia per l'uomo, di essere pronti a dare la vita, ad affrontare il martirio. Ma è solo così, pagando il prezzo – se qualcuno è disposto a pagarne il prezzo - che diventano effettivamente valori. I valori si incarnano quando qualcuno ne paga il prezzo, o li “incarna”. Sarebbe così che la testimonianza cristiana potrebbe parlare di Dio e sollevare l’uomo; e realizzare nel nostro mondo la grazia e la legge della Divina spudorata Generosità: se il chicco di grano muore produce molto frutto; chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Festa patronale e Sagra Ma perché, se le cose importanti erano queste, non abbiamo impostato la festa sulla predicazione, sulla celebrazione di Messe, su processioni, devozioni ed esercizi spirituali... ma abbiamo dato tanto spazio a lavorare con i gruppi; siamo andati a giocare, ballare, mangiare, far festa? In realtà in questi anni abbiamo costruito una festa patronale che fosse anche Sagra: un momento di identità della comunità ecclesiale e della comunità civile del paese, insieme: come due realtà distinte eppure legate. La Sagra quindi non come momento ricreativo della parrocchia; ma la Sagra come momento in cui culmina l’identità civile di un paese cui partecipa anche la parrocchia. E dietro alla Sagra, momento di rito e di culmine celebrativo civile, c’è tutta una rete di percorsi, di piccole costruzioni comuni di questa comunità che abita lo stesso territorio e intesse in qualche modo una storia comune che tocca tutte le età e molte situazioni di vita. Dietro alla Sagra, e a ciò che essa rappresenta, ci sono quindi convinzioni e impegni cui teniamo come comunità cristiana. Provo a indicarne rapidamente alcuni. È possibile, in una realtà umanamente significativa come è un paese, trasmettere. Anche in una situazione di cultura complessa e frantumata come la nostra, è possibile trasmettere, “far catena”. Chi ci precede, chi è più grande, ha qualcosa da dare; e se ne ha la passione può trovare strade per trasmettere. |
E chi sta arrivando, i più giovani hanno anche oggi voglia di imparare; ed hanno energie da investire. nostro paese questa catena in questo momento è viva: dai bambini agli adolescenti, alle famiglie, agli anziani, c’è un filo di energia che trasmette, una linfa che passa. La situazione forse più provocante è quella degli adolescenti e dei giovani: brulicanti, vivaci, coinvolti... una minaccia sempre in agguato da parte del demonio della noia e di quello della rabbia; una richiesta magari confusa di qualcosa di profondo in cui radicare la propria avventura.
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È possibile “capire”.
È possibile cercar di capire i nuovi modi di vivere e di comunicare; è possibile sentirsi a casa anche in questo mondo così confuso, trovare percorsi sensati in una cultura complessa che rischia di smarrire e di isolare. Queste convinzioni dovrebbero portarci ad accrescere il nostro impegno per la scuola, per il mondo del lavoro, per il rapporto tra scuola e cultura; e poi ad accrescere l’attenzione al fenomeno dell’immigrazione come possibilità, impegnativa, di arricchimento; la cura per l’ambiente; l’attenzione alla politica e ai criteri con i quali qualcuno sceglie per il bene di tutti. È possibile legarsi ed aiutarsi. È possibile tessere in un paese una rete di solidarietà che cerca di trasformare uno spazio anonimo in comunità umana; che si sforza di fare del paese un’opportunità buona: per rendere più piacevole l’abitarci e il viaggiarci; per rendere possibile alle persone l’esprimersi; per inventare alcune cose belle insieme; per sopportare ed aiutare chi manifesta difficoltà e in sofferenza; per essere vicino a chi è anziano e solo; per attendere con pazienza chi resta indietro, chi soffre, chi è preso dalla stanchezza e dalla paura. A qualcuno queste sembreranno piccole cose. Ma noi non possiamo pretendere cose troppo alte. Sono le cose che sappiamo fare in un paese: in questo piccolo angolo di terra che è per noi il mondo. Sono piccole cose; ma intanto sono i modi in cui si cercano e si fanno amici. E questa è forse la cosa più grande che si possa fare su questa terra. E poi, se noi teniamo legata la catena tra di noi, anche Dio può continuare a intessere una storia con noi. Se noi ci esercitiamo a capire il mondo e a chiamare le cose con il loro nome, anche Dio potrà ancora mandarci la sua parola. Se noi continuiamo a legarci, ad aiutarci, anche Dio potrà continuare a fare alleanza con noi. Per questo, nel pieno dell’estate, in una pausa del cammino della comunità, mentre stiamo pensando all’avvio di tutta una serie di cammini e lavori pastorali circa la parola, la liturgia, la carità, mi sento di ringraziare e di incoraggiare questo prezioso lavoro che alcuni stanno promuovendo sul tessuto umano del nostro paese, nel quale Dio potrà prendere casa. |
IL SALUTO DI DON LUCIO
che ci lascia
Parroco di Zogno dal 1999 al 2001
Vicario del vicariato Brembilla-Zogno dal 1999-2001
Membro del Consiglio Presbiterale Diocesano dal 1999
Membro del Collegio dei Consultori dal 1999
Delegato Vescovile per le Attività Economiche e della Diocesi di Bergamo
Carissimi,
quando vi ho salutato per la prima volta, l’ho fatto esprimendomi con queste parole: "il Signore ci chiama a percorrere un tratto di strada della vita insieme. Solo lui sa quanto sarà lungo. Ma auguriamoci che sia per ognuno di noi un cammino e un tempo di Grazia: un tempo che, nel suo scorrere, ci fa crescere nella fede, ci fa incontrare Cristo nei fratelli e che ci fa vivere tutti nella sua amicizia”. Il tratto di strada è stato breve: meno di due anni. Il tempo, vorrei tanto fosse stato di Grazia per ognuno di noi. Sicuramente lo è stato per me perché in questa comunità, così nuova e così diversa da quelle in cui ho vissuto precedentemente, ho incontrato il volto del Signore che aveva l’immagine dei volti delle tante persone di Zogno. Ed è per questo, che nel giorno in cui ci salutiamo nell’Eucaristia che stiamo celebrando, voglio dirvi il mio grazie.
Grazie a tutta la comunità che sta crescendo, con l’aiuto del Consiglio Pastorale, nella corresponsabilità, e nella partecipazione e comprende sempre più che celebrare l’Eucaristia nel giorno del Signore, significa essere chiamati a donarci agli altri a spenderci personalmente e a dare il proprio contributo alla vita della comunità.
Grazie ai sacerdoti con i quali ho lavorato nella comunità parrocchiale e nel vicariato: con loro ho condiviso le gioie, le amarezze le fatiche e le preoccupazioni delle persone che mi erano state affidate. Per tutti voi provo simpatia, stima, affetto e gratitudine per avermi aiutato a conoscere e discernere le nuove vie, le più adeguate per la nostra comunità parrocchiale, le più capaci di parlare al cuore degli uomini e delle donne di Zogno.
Grazie a tutte le Suore, quelle di Clausura, dell’Asilo, dei Ricoveri e di Romacolo. Mi avete testimoniato la gioia e la bellezza del donarsi interamente a Cristo nel servizio alla comunità, sia nella preghiera, sia nell’educazione dei più piccoli, sia nell’alleviare la sofferenza degli anziani e dei malati.
Grazie a tutti coloro che si sono dedicati in questi anni alla crescita delle comunità nei vari settori della catechesi, della liturgia, della carità, della missionarietà, nelle associazioni di volontariato, dell’animazione fra ragazzi, gli adolescenti e giovani. Alle volte, è vero, siamo stati tentati di cedere alla delusione per gli scarsi successi, per le poche gratificazioni e di abbandonare il servizio. La consapevolezza maturata giorno per giorno, che è Cristo a chiederci l’impegno per la sua chiesa, vi rinnovi nell’entusiasmo e susciti sempre più la voglia, il desiderio della collaborazione tra tutti per essere stimolo continuo alla crescita della nostra comunità.
Grazie all’Amministrazione Comunale rappresentata dalla persona del Sindaco, per la stima e la fiducia reciproca che ci ha permesso, pur nel rispetto dei diversi ruoli, una collaborazione generosa e leale in tutti i settori della vita civile e sociale, avendo come obiettivo comune il bene di Zogno. Vi auguro di impegnarvi sempre di più e non dimenticare mai che il vostro servizio è per un vivere insieme armonioso, è per il bene comune e per la crescita della partecipazione di tutti, soprattutto di chi è in difficoltà.
Grazie a tutti i malati e a tutti gli anziani: siete in tanti nella nostra comunità! Per quello che ci sono riuscito, ho cercato di visitarvi in ospedale, nelle case di riposo e nelle vostre case che molte volte sono luoghi di sofferenza, ho cercato di incontrarvi uno per uno, per cercare di mostrarvi l’amore premuroso di Cristo per i più deboli, per farvi sentire che attraverso di me era tutta la comunità che vi amava, vi ama, vi apprezza, che ci siete preziosi e ancora potete donarci molto.
Grazie ai bambini, ai ragazzi, gli adolescenti. Qualcuno ha detto che voi siete il “sorriso del mondo”. Lo siete anche per me! Il cuore mi si riempiva di gioia quando vi vedevo e vi sentivo giocare, vociare, giocare con spensieratezza e tanta allegria nell’oratorio. Cari ragazzi voi siete al centro dell’attenzione, delle premure di tutti: delle vostre famiglie, della scuola, dell’oratorio, dei vari gruppi sportivi, voi siete nel cuore di tutti, voi siete la speranza e il futuro. Noi grandi abbiamo capito in questi due anni che è indispensabile la collaborazione tra tutti gli adulti di tutte le agenzie educative, a partire dalla famiglia, dalla scuola e dall’oratorio, per aiutarvi a crescere guardando verso l’alto e a non appiattirsi in un orizzonte puramente materiale.
Grazie ai giovani. Sia quelli che vivono la vita della comunità cristiana e che, seppur con fatica, trovano in Gesù una sorgente inesauribile di amore di vita e di gioia. Sia coloro, e sono tanti, che non sentono più come vitale l’appartenenza alla comunità, alla chiesa e non conoscono la gioia profonda di chi ha scoperto in Gesù Cristo l’amico che non delude. Avrei voluto trovare l’amore, la pazienza, il coraggio, la fantasia necessarie per stare accanto a voi e per venirvi incontro. Non so fino a che punto ci sono riuscito, forse poco e me ne dispiace tanto, o forse qualche piccolo seme è stato gettato. Fate in modo, carissimi giovani che ciò che è stato seminato nel cuore, non vada disperso ma possa trovare nella comunità, stimoli e aiuti per crescere, maturare e portare frutti belli per voi e per i vostri amici.
Grazie anche a tutte le persone che ho accompagnato nell’ultimo viaggio al camposanto. Molti avevano percorso un lungo cammino ma alcuni erano giovani e pieni di speranza per la vita. Li porto nella mente e nel cuore con la preghiera, come pure le loro famiglie così provate nel distacco dagli affetti più cari.
quando vi ho salutato per la prima volta, l’ho fatto esprimendomi con queste parole: "il Signore ci chiama a percorrere un tratto di strada della vita insieme. Solo lui sa quanto sarà lungo. Ma auguriamoci che sia per ognuno di noi un cammino e un tempo di Grazia: un tempo che, nel suo scorrere, ci fa crescere nella fede, ci fa incontrare Cristo nei fratelli e che ci fa vivere tutti nella sua amicizia”. Il tratto di strada è stato breve: meno di due anni. Il tempo, vorrei tanto fosse stato di Grazia per ognuno di noi. Sicuramente lo è stato per me perché in questa comunità, così nuova e così diversa da quelle in cui ho vissuto precedentemente, ho incontrato il volto del Signore che aveva l’immagine dei volti delle tante persone di Zogno. Ed è per questo, che nel giorno in cui ci salutiamo nell’Eucaristia che stiamo celebrando, voglio dirvi il mio grazie.
Grazie a tutta la comunità che sta crescendo, con l’aiuto del Consiglio Pastorale, nella corresponsabilità, e nella partecipazione e comprende sempre più che celebrare l’Eucaristia nel giorno del Signore, significa essere chiamati a donarci agli altri a spenderci personalmente e a dare il proprio contributo alla vita della comunità.
Grazie ai sacerdoti con i quali ho lavorato nella comunità parrocchiale e nel vicariato: con loro ho condiviso le gioie, le amarezze le fatiche e le preoccupazioni delle persone che mi erano state affidate. Per tutti voi provo simpatia, stima, affetto e gratitudine per avermi aiutato a conoscere e discernere le nuove vie, le più adeguate per la nostra comunità parrocchiale, le più capaci di parlare al cuore degli uomini e delle donne di Zogno.
Grazie a tutte le Suore, quelle di Clausura, dell’Asilo, dei Ricoveri e di Romacolo. Mi avete testimoniato la gioia e la bellezza del donarsi interamente a Cristo nel servizio alla comunità, sia nella preghiera, sia nell’educazione dei più piccoli, sia nell’alleviare la sofferenza degli anziani e dei malati.
Grazie a tutti coloro che si sono dedicati in questi anni alla crescita delle comunità nei vari settori della catechesi, della liturgia, della carità, della missionarietà, nelle associazioni di volontariato, dell’animazione fra ragazzi, gli adolescenti e giovani. Alle volte, è vero, siamo stati tentati di cedere alla delusione per gli scarsi successi, per le poche gratificazioni e di abbandonare il servizio. La consapevolezza maturata giorno per giorno, che è Cristo a chiederci l’impegno per la sua chiesa, vi rinnovi nell’entusiasmo e susciti sempre più la voglia, il desiderio della collaborazione tra tutti per essere stimolo continuo alla crescita della nostra comunità.
Grazie all’Amministrazione Comunale rappresentata dalla persona del Sindaco, per la stima e la fiducia reciproca che ci ha permesso, pur nel rispetto dei diversi ruoli, una collaborazione generosa e leale in tutti i settori della vita civile e sociale, avendo come obiettivo comune il bene di Zogno. Vi auguro di impegnarvi sempre di più e non dimenticare mai che il vostro servizio è per un vivere insieme armonioso, è per il bene comune e per la crescita della partecipazione di tutti, soprattutto di chi è in difficoltà.
Grazie a tutti i malati e a tutti gli anziani: siete in tanti nella nostra comunità! Per quello che ci sono riuscito, ho cercato di visitarvi in ospedale, nelle case di riposo e nelle vostre case che molte volte sono luoghi di sofferenza, ho cercato di incontrarvi uno per uno, per cercare di mostrarvi l’amore premuroso di Cristo per i più deboli, per farvi sentire che attraverso di me era tutta la comunità che vi amava, vi ama, vi apprezza, che ci siete preziosi e ancora potete donarci molto.
Grazie ai bambini, ai ragazzi, gli adolescenti. Qualcuno ha detto che voi siete il “sorriso del mondo”. Lo siete anche per me! Il cuore mi si riempiva di gioia quando vi vedevo e vi sentivo giocare, vociare, giocare con spensieratezza e tanta allegria nell’oratorio. Cari ragazzi voi siete al centro dell’attenzione, delle premure di tutti: delle vostre famiglie, della scuola, dell’oratorio, dei vari gruppi sportivi, voi siete nel cuore di tutti, voi siete la speranza e il futuro. Noi grandi abbiamo capito in questi due anni che è indispensabile la collaborazione tra tutti gli adulti di tutte le agenzie educative, a partire dalla famiglia, dalla scuola e dall’oratorio, per aiutarvi a crescere guardando verso l’alto e a non appiattirsi in un orizzonte puramente materiale.
Grazie ai giovani. Sia quelli che vivono la vita della comunità cristiana e che, seppur con fatica, trovano in Gesù una sorgente inesauribile di amore di vita e di gioia. Sia coloro, e sono tanti, che non sentono più come vitale l’appartenenza alla comunità, alla chiesa e non conoscono la gioia profonda di chi ha scoperto in Gesù Cristo l’amico che non delude. Avrei voluto trovare l’amore, la pazienza, il coraggio, la fantasia necessarie per stare accanto a voi e per venirvi incontro. Non so fino a che punto ci sono riuscito, forse poco e me ne dispiace tanto, o forse qualche piccolo seme è stato gettato. Fate in modo, carissimi giovani che ciò che è stato seminato nel cuore, non vada disperso ma possa trovare nella comunità, stimoli e aiuti per crescere, maturare e portare frutti belli per voi e per i vostri amici.
Grazie anche a tutte le persone che ho accompagnato nell’ultimo viaggio al camposanto. Molti avevano percorso un lungo cammino ma alcuni erano giovani e pieni di speranza per la vita. Li porto nella mente e nel cuore con la preghiera, come pure le loro famiglie così provate nel distacco dagli affetti più cari.
Mentre vi dico il mio grazie, di cuore vorrei chiedervi perdono. Ve lo chiedo con tutta sincerità, non per retorica o, peggio ancora per falsa umiltà. Perdono per tutti i miei limiti, la mia pochezza, la mia fragilità. Chiedo perdono a tutte quelle persone che non ho saputo, o non sono riuscito a incontrare e a trasmettere loro ciò che mi sta così a cuore: la passione per Cristo e per la comunità.
Chiedo perdono a tutti coloro che non ho saputo ascoltare, che non sono riuscito a capire, a consolare, ad essere di aiuto nei momenti difficili della sofferenza. Chiedo perdono a tutte le persone che forse ho deluso, perché non sono riuscito a corrispondere alle aspettative suscitate o sperate. Chiedo perdono ai tanti giovani che sono lontani dalla chiesa che non ho avuto la forza di cercare e di incontrare. Con tutta sincerità è la cosa che mi rammarica di più e per questo, Dio sa quanto ho pregato e quanto vi porto nel cuore. Chiedo perdono a tutti coloro per i quali la mia persona, anziché uno strumento nelle mani di Dio per farle incontrare con il suo figlio Gesù, è apparsa come un ostacolo insormontabile. Vorrei infine, augurarvi di fare un buon tratto di strada con don Angelo, il nuovo parroco, a cui lascio in eredità questa nostra comunità che ora sarà anche sua. In questi due anni abbiamo cercato di individuare i limiti, le inadeguatezze, le difficoltà della nostra pastorale; abbiamo cercato di abbozzare delle strategie e dei cammini percorribili per riuscire a vivere, a comunicare, a trasmettere il prezioso dono della fede ricevuta. Il Vescovo nella visita Pastorale ci ha dato delle indicazioni per il cammino che dobbiamo fare, come singoli e come comunità, affinché la fede di ognuno di noi possa orientare e dare senso alla nostra vita. Queste indicazioni andavano in tre direzioni: l’ascolto della Parola di Dio, la formazione continua con la catechesi, la testimonianza con una vita di carità. Attuiamole! Si, è il Vescovo che dobbiamo ascoltare, perché è lui il pastore: il parroco è un suo rappresentante, un suo incaricato. Si, è il Vescovo che dobbiamo seguire anche se le strade che ci chiede di percorrere, alle volte ci sembrano non sempre condivisibili, come nella decisone del mio avvicendamento che è stato così poco compreso. È la fedeltà ai suoi insegnamenti, ai programmi pastorali della diocesi, che garantiscono la continuità dell’azione pastorale della parrocchia. Se c’è questa fedeltà, se non c’è la presunzione di voler camminare da soli, ma si cerca di camminare insieme alle altre comunità del vicariato e della diocesi, allora possono susseguirsi i diversi pastori con i loro caratteri, sensibilità e temperamenti, ma il gregge continuerà a camminare dietro all’unico Pastore che è il Signore. |
E ci aiuti il Signore a fare il cammino necessario perché nella nostra comunità cresca sempre di più la collaborazione e che questa non sia solo episodica e volta solo ad aspetti organizzativi, ma diventi mentalità comune a pensare e a ricercare insieme le vie perché, attraverso la nostra parrocchia, la comunità di San Lorenzo, gli uomini possano ancora oggi, incontrare il Signore.
Da parte mia ho cercato, per quel che ci sono riuscito, di impegnarmi per essere sempre un buon cristiano, un buon prete e un galantuomo. Con l’aiuto del Signore e con la compagnia della vostra preghiera, spero di continuare ad esserlo sempre di più. Grazie a tutti di cuore, di tutto e per tutto ciò che siete stati per me. E che il Signore ci benedica e accompagni sempre. Don Lucio |