1995
LA QUARESIMA
La Quaresima è tempo di penitenza e di conversione, secondo il detto di S. Paolo: “Castigo il mio corpo per dominarlo!”. Il corpo infatti è come un asino recalcitrante e per dominarlo ci vuole la verga. Soltanto quando si ha il pieno controllo di sè stessi ci si può dedicare all’esercizio delle virtù richieste alla santità. L’uomo tuttavia è come una pecorella smarrita, incapace di far ritorno all’ovile per proprio conto se non viene raggiunta dal pastore che la ricerca. Così Dio si è fatto buon pastore per l’uomo di cui si è dato alla ricerca in Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini (At 4,12). Dio prima ha parlato per mezzo di molti profeti, ma ora finalmente ha parlato per mezzo di suo figlio (Eb 1,1-6) e ha chiuso la bocca a tutti gli altri (S. Giovanni della Croce nel trattato “Salita al Monte Carmelo”) per cui il Padre ha già detto tutto a noi in Gesù Cristo. La ricerca dell’uomo da parte di Dio percorre l’unica strada che passa da Cristo che ha detto “Io sono la via” (Gv 14,6). È la via stretta e irta che pochi purtroppo percorrono, ma porta alla salvezza, in opposizione all’altra strada comoda e larga che molti percorrono, ma che purtroppo porta alla perdizione (Mt 7,14). L’uomo avverte dentro di sè un richiamo struggente, per cui non potrà mai darsi pace finché non l’abbia appagato pienamente, come un abisso che deve colmare. Ma l’uomo non si rende subito conto che nessun altro che Dio lo può appagare, per cui va alla ricerca frequentemente su vie sbagliate se non ascolta i richiami della fede che gli fanno intuire che ciò che cerca altrove gli pulsa già dentro nel suo intimo. S. Agostino pure, dopo il suo lungo girovagare, può finalmente esclamare anche per tutti noi: “Padre, tu eri in me, mentre io ero fuori di me!”. Il figliol prodigo è la pecorella umana smarrita che torna alla casa del Padre perchè non può sopprimere dentro di sè quell’irresistibile richiamo del creatore che esige il possesso della sua creatura. S. Agostino può nuovamente esclamare per tutti noi: “Ci hai fatti per te, o Signore, ed è inquieto il nostro cuore finché non riposa in te!”. Dobbiamo meglio riconoscere che Dio e l’uomo si ricercano a vicenda ma non possono incrociarsi che in Gesù Cristo che ha dichiarato di essere lui la porta delle pecore dell’unico ovile (Gv 10,7). La Quaresima infatti ci conduce sulla via di Cristo che è la via del Calvario, là dove si è immolato per noi dopo aver profeticamente affermato “Quando sarò elevato tra cielo e terra, attirerò tutti a me!” (Gv 10,7). La Croce polarizza amici e nemici e accoglie lo scontro-incontro tra l’umanità immacolata di Cristi-Vittima e la nostra umanità peccatrice che lo raggiunge per crocifiggerlo, per consumare il delitto più orribile della storia umana: l’uccisione del figlio di Dio venuto per salvarci (Lc 20,14-15). Mentre noi tendiamo le nostre mani sacrileghe sul Cristo per ucciderlo, Lui, sulla Croce, tende le sue mani della misericordia per ridonarci la vita. Restiamo come folgorati dall’amore divino che cancella le nostre colpe addossandosene la responsabilità. Potremmo aspettarci che crolli il cielo, che si inabissi la terra mentre il Cristo crocifisso emette l’urlo dell’impiccato che muore. Si realizza invece la volontà del Padre, la salvezza del mondo. La Quaresima ci riconduce con Maria, la madre di Gesù, ai piedi della Croce a contemplare il trafitto, per essere testimoni dell’amore più grande, proprio di chi sa donare la vita per i suoi amici (Gv 15,13). Gesù ci chiama amici, come ha chiamato anche Giuda al momento del tradimento, pur sapendo che noi siamo i suoi carnefici per i quali invoca morendo il perdono del Padre (Lc 23,34). Il Crocifisso si staglia, sul Calvario, al centro di tutta la storia umana, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani (1Cor 1,23), non più come patibolo di vergogna e di morte ma come trofeo di vittoria con cui l'amore di Dio continua a stravincere sul disamore degli uomini. È così che Dio si è umanizzato nell’uomo che divinizza. L’inno “Vexilla Regis Prodeunt” sintetizza a meraviglia tutta l’opera della redenzione. Se ne propone la traduzione per quanti desiderano vivere la Quaresima all’insegna del Crocifisso vivente in eterno, che vinta la morte per sè e per tutti noi, ci riconduce glorioso nel regno del Padre:
- Ecco i vessilli del re
avanzano gloriosi,
splende il mistero della Croce
su cui immolandosi il Cristo
ci ha donato la vita con la morte.
- Dal suo cuore trafitto
sgorgano il sangue e l 'acqua
che lavano le nostre colpe.
- Già Davide predisse ai popoli
tutto ciò che si è avverato
nel tempo della misericordia:
- Dio trionfa dall 'albero
prodigioso della Croce.
- Così vedemmo pendere
dai rami di quell'albero
il frutto del nostro riscatto.
- Ti saluto, o Croce, unica speranza di vita
che in questo terribile giorno
di così grande mestizia,
ai condannati alla morte
hai fatto risplendere per tutti, la Vita!
NB.: Il “Vexilla” fu composto nell'anno 569, quindi 1526 anni orsono, da Venanzio Fortunato in occasione della consegna della S. Croce da parte di Giustiniano II° imperatore d'Oriente a S. Redegonda.
con affetto Don Giulio G.
- Ecco i vessilli del re
avanzano gloriosi,
splende il mistero della Croce
su cui immolandosi il Cristo
ci ha donato la vita con la morte.
- Dal suo cuore trafitto
sgorgano il sangue e l 'acqua
che lavano le nostre colpe.
- Già Davide predisse ai popoli
tutto ciò che si è avverato
nel tempo della misericordia:
- Dio trionfa dall 'albero
prodigioso della Croce.
- Così vedemmo pendere
dai rami di quell'albero
il frutto del nostro riscatto.
- Ti saluto, o Croce, unica speranza di vita
che in questo terribile giorno
di così grande mestizia,
ai condannati alla morte
hai fatto risplendere per tutti, la Vita!
NB.: Il “Vexilla” fu composto nell'anno 569, quindi 1526 anni orsono, da Venanzio Fortunato in occasione della consegna della S. Croce da parte di Giustiniano II° imperatore d'Oriente a S. Redegonda.
con affetto Don Giulio G.
PER UNA BUONA PASQUA
Pasqua significa, in ogni caso, ritorno alla vita ma nel senso più grande. Si tratta di quella vita che non potrà mai tramontare perchè fondata sulla risurrezione di Cristo posta a compimento di tutta l’opera della salvezza che non lascia dietro di sè strascichi o lacune da riempire. È la vita che il Figlio di Dio ha riportato sulla terra dal cielo come la luce in mezzo alle tenebre divorate col sacrificio della croce. Pasqua significa pertanto, nel senso più stretto, che Cristo è morto ed è tornato in vita rivestendosi di gloria imperitura che parteciperà anche a tutti quelli che credono in lui (“Chi vive e crede in me, non vedrà mai la morte” - Gv 3,16). Nell’icona pasquale non predomina che l’oro, la luce nel suo splendore più pieno, poiché Cristo è la luce del mondo di cui il preconio pasquale canta nella veglia del sabato santo:” ... la trova accesa la stella del mattino che non tramonterà mai”. Per cui, prosegue il preconio: “Gioisca la terra inondata da così grande splendore, la luce del Re eterno che ha vinto le tenebre del mondo. Gioisca la Chiesa splendente della gloria del suo Signore. Egli ha pagato per noi all’eterno Padre il debito di Adamo; con il sangue versato per la nostra salvezza ha cancellato la condanna dell’antica colpa. La luce di Cristo dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace”. Ci troviamo con la Pasqua in piena età dell’oro descritta dai profeti e realizzata da Cristo Gesù. La luce del mattino di Pasqua sorge più radiosa e carica di splendore. Il volto del credente è più sereno e luminoso e invita alla pace. Tutta la natura si riveste di questo splendore quando l’uomo, come afferma Gesù, diventa lui pure la luce del mondo e il sale della terra (Mt 5,13 e Lc 14,34). Tutte le creature con l’uomo tornano a splendere dall’antica bellezza. È Pasqua, perchè Cristo è risorto lasciando il suo sepolcro vuoto dopo di avere vinto la morte dal di dentro assorbendola amaramente. L’ha vinta per sè nella sua umanità e per tutti noi che gli apparteniamo perchè ci ha riscattati col suo sangue. Dire Pasqua significa riconoscere la nostra fratellanza universale in Cristo che vivificandoci col suo Spirito ci ha resi capaci di vivere eternamente, mentre la fratellanza secondo il sangue ci ha resi capaci di cattiverie e di morte. Fare Pasqua significa morire in Cristo al peccato, vuol dire anche confessarsi e comunicarsi, per risorgere con Lui vita nuova propria dei figli di Dio. Significa, con parole più povere, convertirsi, riconsegnarsi cioè all’amore attraverso le opere buone quale testimonianza di fede nel Cristo che esige di essere riconosciuto, amato e soccorso nei suoi fratelli più piccoli e più bisognosi. Se Cristo è risorto, anche noi risorgeremo con Lui. Alleluia! e buona Pasqua a tutti di tutto cuore.
aff.mo don Giulio
aff.mo don Giulio
LA RISURREZIONE DI GESÙ’ CRISTO
(IN GRECO “ANASTASIS”)
Nei primi secoli veniva rappresentata nei sarcofaghi dell’epoca scolpiti con scene della Passione di N. S. e di solito la Risurrezione veniva rappresentata simbolicamente per mezzo di una croce (“Crux nuda”) sormontata dal monogramma di Cristo, sotto la quale si ponevano due guardie dormienti. Cantano al Signore risorto degli uccelli posti attorno alla croce. Si veda in proposito il sarcofago inventariato col n. 164 presso i Musei Lateranensi. Lo stesso tema lo troviamo nel mosaico dell’abside nella Basilica Lateranense dell’epoca costantiniana rifatta nel 1288 e ss.. Nel Medioevo si rappresenta il sepolcro vuoto con attorno angeli e donne. Fino al 1300 la persona di Cristo non venne mai raffigurata. Si osservi raffresco del secolo IX nella Basilica di S. Clemente in Roma. Così pure troviamo che il fatto risulta documentato anche negli affreschi dell’XI secolo in S. Angelo in Formis a Caserta. Veniva infatti raffigurato il dopo risurrezione per cui Cristo non vi appare. Già Duccio di Boninsegna nella sua Maestà (1308-1311) al Museo dell’Opera del Duomo di Siena, come Lorenzo Maitani nell’ornamento dei piloni della facciata del Duomo di Orvieto e Giotto, nella Cappella degli Scrovegni a Padova, raffigurano Cristo con la Maddalena. Dopo il 1300 si accosta alla tradizionale raffigurazione della risurrezione anche la presenza di Cristo con la bandiera sventolante in mano così come lo troviamo tuttora nelle nostre chiese raffigurato alla sommità delle tribune degli altari. Frequentemente lo troviamo pure raffigurato alla stessa maniera nelle porticine di chiusura dei tabernacoli dei nostri altari. L’arte del cinquecento raffigura il Cristo risorto circondato da uno o più santi, come vediamo nella stupenda tavola di Cima da Conegliano esposta alle Gallerie dell’Accademia di Venezia in cui il Cristo risorto appare a S. Tommaso (1459-1517). Così nei secoli seguenti rimane immutata la tradizione di raffigurare il Risorto col sepolcro squarciato, le guardie dormienti coi SS. Patroni attorno al Cristo come in una sacra conversazione.
dg
dg
CONVEGNO ECCLESIALE
DI PALERMO
Il convegno ecclesiale di Palermo che si svolgerà dal 20 al 25 novembre 1995 sul tema “Vangelo della carità per una nuova società in Italia”, è il terzo convegno nazionale della chiesa italiana dopo quello di Roma del 1976 su “Evangelizzazione e promozione umana” e quello di Loreto del 1985 su “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”. Tutta la chiesa italiana deve sentirsi coinvolta per il prossimo convegno di Palermo che riveste un’importanza straordinaria sia per il luogo scelto che per il tema. La conferenza episcopale italiana, in preparazione ci ha offerto una traccia di riflessione in data 10 gennaio 1995. Il testo è suddiviso in sei capitoli ricuperando una parte significativa degli orientamenti pastorali per gli anni ‘90 “Evangelizzazione e testimonianza della carità” che noi abbiamo già scelto come guida per il nostro piano pastorale in corso.
Le opzioni preferenziali proposte sono cinque:
- la cultura e la comunicazione sociale; l’impegno sociale e politico; amore preferenziale per i poveri; la famiglia; i giovani.
L’icona scelta per il convegno è la figura dell’Agnello che stà ritto in mezzo al trono (di Dio) immolato (Ap 5,6).
Presentiamo una sintesi di ciascuna delle sei parti in cui è suddivisa la riflessione.
I.a parte: Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese (Ap 2,7).
- Nell’orizzonte del grande giubileo del 2000. Cristo era morto ma ora è vivo per sempre (Ap 1,18) e ci invita all’ascolto delle parole che lo Spirito dice oggi alle chiese che sono n Italia. “Il tempo è vicino” (Ap 1,3), il Signore crocifisso e risorto “viene presto” (Ap 3,11) a visitare la sua chiesa per incontrare e salvare in essa e per mezzo di essa ogni uomo.
- Proseguendo il cammino della chiesa in Italia. Le nostre chiese hanno fatto il rinnovamento richiesto dal Concilio Vat. II e si sono confrontate con la realtà della nostra società riscoprendosi segno e strumento della presenza di Gesù tra gli uomini. Il “Vangelo della carità” è il messaggio che i vescovi ci propongono. È il Vangelo di Gesù Cristo, anzi, è Gesù Cristo” lo stesso di ieri, di oggi e di sempre” (Ed 13,8), è il Vivente Vangelo del Padre, annunzio del suo amore per noi.
- Si propongono alcuni interrogativi, circa le vie da seguire e gli obiettivi da raggiungere per annunciare, celebrare e testimoniare il Vangelo della carità. È la parola dell’Apocalisse che guida questa lettura: “svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire” (Ap 3,2).
II.a parte: Ecco, io faccio nuove tutte le cose (Ap 21,5): Gesù, il crocifisso risorto, che viene, è il Vangelo della carità.
- Una chiave di lettura del convegno ha il titolo: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). È un invito a guardare alla sorgente del Vangelo della carità per una nuova società in Italia. È la novità dell’amore di Dio che ci ama per primo (1Gv 4,10) e si rivela Padre di grazia e di libertà donandoci suo Figlio “perchè chi crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
- L’Agnello immolato sta ritto in mezzo al trono di Dio. È immolato (Ap 5,6) perchè ha dato la vita per noi manifestando l’amore più grande (Gv 15,13) e ci invita a riconoscerlo in tutti i crocifissi che incontriamo sulla nostra strada.
- È ritto in piedi perchè tornato in vita per sempre manifestando l’onnipotenza dell’amore del Padre che vince peccato e morte chiamando all’esistenza anche le cose che ancora non esistono (Rm 4,17) e facendo sue le prove e le sofferenze personali e sociali che ha redento.
- Colui che viene a visitare la comunità di coloro che credono. Egli viene attraverso la missione della chiesa riaccendendo in tutti la speranza di cieli nuovi e terra nuova (Ap 21,1). Egli viene nella nostra storia. E’ il Mistero pasquale di Cristo che in forza dello Spirito costituisce la nuova realtà.
III.a parte: Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra (Ap 21,1).
- Con Cristo risorto dentro la storia. Oggi in Italia chiesa e società sono alla ricerca del nuovo, immersi in un grande travaglio, ma con la presenza di Cristo si acquista il discernimento tra bene e male, sotto la guida dello Spirito Santo.
- La situazione del paese in profondo rivolgimento che costringe a ridisegnare il volto politico ed economico a livello europeo. Ferite gravi rimangono aperte nella coscienza collettiva del nostro popolo, mafia, degrado politico, istituzioni al collasso, crisi economica per la dissestata gestione pubblica, legittime aspirazioni frustate, la logica determinante degli interessi privati di fronte al bene comune, l’invasione degli extracomunitari con tanti episodi di razzismo e violenza da ogni parte.
- Problemi e prospettive della comunità ecclesiale italiana.
Due grandi compiti attendono la chiesa italiana: un coraggioso esame di coscienza e il ridisegnare la propria identità e presenza in una società che ha perso i punti di riferimento tradizionali. La cultura prevalente tende a indebolire la fede e se cresce il desiderio di spiritualità non trova soddisfazione a volte nella nostra comunità.
- Esigenza di una nuova stagione d’impegno politico di fronte al ritiro dei cattolici dalla politica causato dall’oscuramento dell’ispirazione cristiana. Si esige responsabilità e autenticità cristiana nel rapporto fede, vita civile e politica.
- La priorità dell’evangelizzazione della cultura e dell’inculturazione.
Il Papa parla di un fecondo incontro tra fede cristiana e cultura che ha caratterizzato la storia del nostro paese con vantaggi anche per la cultura umana universale. In ciò oggi è in gioco il destino della chiesa e del mondo. Bisogna togliere le contraddizioni e non enfatizzare il presente. Si esige maggior coscienza della natura sociale della persona con rinnovata comprensione della realizzazione uomo-donna e dell’interdipendenza tra i popoli e tra le culture mettendo in atto un nuovo progetto culturale d’ispirazione cristiana.
IV.a parte: Ecco la dimora di Dio con gli uomini (Ap 21,3): Il Vangelo della carità per la chiesa e lo stato.
- Per la chiesa “la città santa che scende dal cielo” (Ap 21,2) è la realtà escatologica, la dimora di Dio che plasma creature nuove. Nella chiesa la carità di Dio deve prendere visibilità e forma “amatevi come io vi ho amati” (Gv 15,12).
- Evangelizzare e testimoniare la carità. Cosa altro ha la chiesa da offrire alla storia umana se non Gesù Cristo. La testimonianza dei martiri...
- Per una nuova società. Il papa afferma che la dottrina sociale della chiesa è parte integrante della nuova evangelizzazione. La scelta dei poveri, la condivisione dei beni, il reciproco amore, il perdono dei nemici sono il segno profetico e il fondamento della nuova società.
- In un orizzonte planetario. La carità non ha confini ed è creativa di storia nuova. Non si deve perdere di vista la dignità unica dell’essere umano. Impegno missionario.
- L’unità dei cristiani, dono dello Spirito che costituisce un profondo respiro ecumenico in cui le chiese si sentono animate dallo stesso Spirito.
- Le nuove frontiere del dialogo interreligioso. L’incontro con tutte le religioni sono un’esigenza per celebrare il grande giubileo del 2000 con tutto il mondo.
- Rendere ragione della speranza che è in noi. (1Pt 3,15). E’ il tema privilegiato del Vaticano II: è la persona umana nel suo essere, nelle sue situazioni, nelle sue aspirazioni, nei suoi compiti, nel suo destino.
- Maria e il Vangelo della carità. La chiesa scaturisce dal Mistero d’amore della S.ma Trinità ed è pellegrina verso cieli nuovi e terra nuova sotto la guida di Maria a Cristo Gesù.
V.a parte: Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire (Ap 3,2) Obiettivi di fondo e vie preferenziali per la nuova evangelizzazione.
A - Obiettivi di fondo:
- la formazione ancorata alle fonti.
- la comunione in Cristo risorto: unità nella diversità, è il dono più grande che Gesù ha chiesto al Padre per noi.
- la missione: “Guai a me se non evangelizzo” (1Cor 9,16). Il Vangelo della carità diventa esplosivo in noi.
- la spiritualità che ci riempie di Cristo e ci rende capaci di abbracciare il mondo intero.
B - Le vie preferenziali:
- la cultura e la comunicazione sociale sono binari su cui immetterci.
- l’impegno sociale e politico per non perdere la misura integrale dell’uomo.
- l’amore preferenziale dei poveri, esigenza intrinseca del Vangelo della carità per essere fedeli a Cristo in essi.
- la famiglia, fronte dell’amore e primo luogo privilegiato dell’evangelizzazione.
- i giovani: se non si ringiovanisce, la chiesa muore. Sono essi soprattutto chiamati e idonei a fare nuova ogni cosa in Cristo.
VI.a parte: Ecco, io sto alla porta e busso (Ap 3,20): il cammino verso il convegno:
- è un impegno di tutte le chiese alla cui porta bussa Cristo crocifisso e risorto.
- i destinatari sono tutti gli operatori della pastorale a ogni livello.
- le tappe del cammino preparatorio: entro il settembre 1995, i delegati devono trasmettere i risultati di questa riflessione. Tutti possono trasmettere anche personalmente riflessioni, contributi, esperienze, proposte.
dg
Le opzioni preferenziali proposte sono cinque:
- la cultura e la comunicazione sociale; l’impegno sociale e politico; amore preferenziale per i poveri; la famiglia; i giovani.
L’icona scelta per il convegno è la figura dell’Agnello che stà ritto in mezzo al trono (di Dio) immolato (Ap 5,6).
Presentiamo una sintesi di ciascuna delle sei parti in cui è suddivisa la riflessione.
I.a parte: Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese (Ap 2,7).
- Nell’orizzonte del grande giubileo del 2000. Cristo era morto ma ora è vivo per sempre (Ap 1,18) e ci invita all’ascolto delle parole che lo Spirito dice oggi alle chiese che sono n Italia. “Il tempo è vicino” (Ap 1,3), il Signore crocifisso e risorto “viene presto” (Ap 3,11) a visitare la sua chiesa per incontrare e salvare in essa e per mezzo di essa ogni uomo.
- Proseguendo il cammino della chiesa in Italia. Le nostre chiese hanno fatto il rinnovamento richiesto dal Concilio Vat. II e si sono confrontate con la realtà della nostra società riscoprendosi segno e strumento della presenza di Gesù tra gli uomini. Il “Vangelo della carità” è il messaggio che i vescovi ci propongono. È il Vangelo di Gesù Cristo, anzi, è Gesù Cristo” lo stesso di ieri, di oggi e di sempre” (Ed 13,8), è il Vivente Vangelo del Padre, annunzio del suo amore per noi.
- Si propongono alcuni interrogativi, circa le vie da seguire e gli obiettivi da raggiungere per annunciare, celebrare e testimoniare il Vangelo della carità. È la parola dell’Apocalisse che guida questa lettura: “svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire” (Ap 3,2).
II.a parte: Ecco, io faccio nuove tutte le cose (Ap 21,5): Gesù, il crocifisso risorto, che viene, è il Vangelo della carità.
- Una chiave di lettura del convegno ha il titolo: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). È un invito a guardare alla sorgente del Vangelo della carità per una nuova società in Italia. È la novità dell’amore di Dio che ci ama per primo (1Gv 4,10) e si rivela Padre di grazia e di libertà donandoci suo Figlio “perchè chi crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
- L’Agnello immolato sta ritto in mezzo al trono di Dio. È immolato (Ap 5,6) perchè ha dato la vita per noi manifestando l’amore più grande (Gv 15,13) e ci invita a riconoscerlo in tutti i crocifissi che incontriamo sulla nostra strada.
- È ritto in piedi perchè tornato in vita per sempre manifestando l’onnipotenza dell’amore del Padre che vince peccato e morte chiamando all’esistenza anche le cose che ancora non esistono (Rm 4,17) e facendo sue le prove e le sofferenze personali e sociali che ha redento.
- Colui che viene a visitare la comunità di coloro che credono. Egli viene attraverso la missione della chiesa riaccendendo in tutti la speranza di cieli nuovi e terra nuova (Ap 21,1). Egli viene nella nostra storia. E’ il Mistero pasquale di Cristo che in forza dello Spirito costituisce la nuova realtà.
III.a parte: Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra (Ap 21,1).
- Con Cristo risorto dentro la storia. Oggi in Italia chiesa e società sono alla ricerca del nuovo, immersi in un grande travaglio, ma con la presenza di Cristo si acquista il discernimento tra bene e male, sotto la guida dello Spirito Santo.
- La situazione del paese in profondo rivolgimento che costringe a ridisegnare il volto politico ed economico a livello europeo. Ferite gravi rimangono aperte nella coscienza collettiva del nostro popolo, mafia, degrado politico, istituzioni al collasso, crisi economica per la dissestata gestione pubblica, legittime aspirazioni frustate, la logica determinante degli interessi privati di fronte al bene comune, l’invasione degli extracomunitari con tanti episodi di razzismo e violenza da ogni parte.
- Problemi e prospettive della comunità ecclesiale italiana.
Due grandi compiti attendono la chiesa italiana: un coraggioso esame di coscienza e il ridisegnare la propria identità e presenza in una società che ha perso i punti di riferimento tradizionali. La cultura prevalente tende a indebolire la fede e se cresce il desiderio di spiritualità non trova soddisfazione a volte nella nostra comunità.
- Esigenza di una nuova stagione d’impegno politico di fronte al ritiro dei cattolici dalla politica causato dall’oscuramento dell’ispirazione cristiana. Si esige responsabilità e autenticità cristiana nel rapporto fede, vita civile e politica.
- La priorità dell’evangelizzazione della cultura e dell’inculturazione.
Il Papa parla di un fecondo incontro tra fede cristiana e cultura che ha caratterizzato la storia del nostro paese con vantaggi anche per la cultura umana universale. In ciò oggi è in gioco il destino della chiesa e del mondo. Bisogna togliere le contraddizioni e non enfatizzare il presente. Si esige maggior coscienza della natura sociale della persona con rinnovata comprensione della realizzazione uomo-donna e dell’interdipendenza tra i popoli e tra le culture mettendo in atto un nuovo progetto culturale d’ispirazione cristiana.
IV.a parte: Ecco la dimora di Dio con gli uomini (Ap 21,3): Il Vangelo della carità per la chiesa e lo stato.
- Per la chiesa “la città santa che scende dal cielo” (Ap 21,2) è la realtà escatologica, la dimora di Dio che plasma creature nuove. Nella chiesa la carità di Dio deve prendere visibilità e forma “amatevi come io vi ho amati” (Gv 15,12).
- Evangelizzare e testimoniare la carità. Cosa altro ha la chiesa da offrire alla storia umana se non Gesù Cristo. La testimonianza dei martiri...
- Per una nuova società. Il papa afferma che la dottrina sociale della chiesa è parte integrante della nuova evangelizzazione. La scelta dei poveri, la condivisione dei beni, il reciproco amore, il perdono dei nemici sono il segno profetico e il fondamento della nuova società.
- In un orizzonte planetario. La carità non ha confini ed è creativa di storia nuova. Non si deve perdere di vista la dignità unica dell’essere umano. Impegno missionario.
- L’unità dei cristiani, dono dello Spirito che costituisce un profondo respiro ecumenico in cui le chiese si sentono animate dallo stesso Spirito.
- Le nuove frontiere del dialogo interreligioso. L’incontro con tutte le religioni sono un’esigenza per celebrare il grande giubileo del 2000 con tutto il mondo.
- Rendere ragione della speranza che è in noi. (1Pt 3,15). E’ il tema privilegiato del Vaticano II: è la persona umana nel suo essere, nelle sue situazioni, nelle sue aspirazioni, nei suoi compiti, nel suo destino.
- Maria e il Vangelo della carità. La chiesa scaturisce dal Mistero d’amore della S.ma Trinità ed è pellegrina verso cieli nuovi e terra nuova sotto la guida di Maria a Cristo Gesù.
V.a parte: Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire (Ap 3,2) Obiettivi di fondo e vie preferenziali per la nuova evangelizzazione.
A - Obiettivi di fondo:
- la formazione ancorata alle fonti.
- la comunione in Cristo risorto: unità nella diversità, è il dono più grande che Gesù ha chiesto al Padre per noi.
- la missione: “Guai a me se non evangelizzo” (1Cor 9,16). Il Vangelo della carità diventa esplosivo in noi.
- la spiritualità che ci riempie di Cristo e ci rende capaci di abbracciare il mondo intero.
B - Le vie preferenziali:
- la cultura e la comunicazione sociale sono binari su cui immetterci.
- l’impegno sociale e politico per non perdere la misura integrale dell’uomo.
- l’amore preferenziale dei poveri, esigenza intrinseca del Vangelo della carità per essere fedeli a Cristo in essi.
- la famiglia, fronte dell’amore e primo luogo privilegiato dell’evangelizzazione.
- i giovani: se non si ringiovanisce, la chiesa muore. Sono essi soprattutto chiamati e idonei a fare nuova ogni cosa in Cristo.
VI.a parte: Ecco, io sto alla porta e busso (Ap 3,20): il cammino verso il convegno:
- è un impegno di tutte le chiese alla cui porta bussa Cristo crocifisso e risorto.
- i destinatari sono tutti gli operatori della pastorale a ogni livello.
- le tappe del cammino preparatorio: entro il settembre 1995, i delegati devono trasmettere i risultati di questa riflessione. Tutti possono trasmettere anche personalmente riflessioni, contributi, esperienze, proposte.
dg
PIANO PASTORALE
Dopo di aver pensato a un piano tutto nostro per il prossimo anno, anche se illuminato dalle direttive del nostro vescovo, siamo stati raggiunti dalla presente proposta diocesana resa obbligatoria per tutte le parrocchie anche se dovrà pure essere calata nella realtà concreta di ogni comunità. Il piano pastorale è ciò che ogni anno si celebra nella catechesi, nella liturgia e nella testimonianza, mentre il programma pastorale è il tema che illumina il piano pastorale coi suoi tempi, coi suoi metodi e con le sue conclusioni. Per tutti noi in quest’anno, l’idea guida è la cristologia: Dio ha fatto storia in mezzo a noi dividendo testimonianza di verità, di carità, di unità e di amore. Mi piace raffigurare il piano pastorale col suo programma a un magnifico albero che vive le stagioni dell’anno (per noi è il ciclo liturgico) rinnovandosi sempre nella maniera più splendida emettendo gemme, rivestendosi di foglie, arricchendosi di fiori e maturando copiosi e saporiti frutti. Il piano pastorale non va mai disgiunto dal suo programma, sarebbe come togliere la linfa all’albero. Pertanto l’uno e l’altro costituiscono una unica realtà che si rinnova di anno in anno fissando scadenze, mete, obiettivi da conseguire rispettandone le priorità e promuovendone le verifiche. L’insieme delle iniziative che si intendono realizzare, programma pastorale vero e proprio, devono mirare e rendere più fecondo l’albero della comunità coinvolgendo più operatori da impegnare nella realizzazione. I punti basilari su cui lavorare insieme sono: la preghiera (senza di me non potete far nulla, afferma Gesù), la parola di Dio (che è capace di cambiare l’uomo dal di dentro), la celebrazione (che ci fa vivere in comunione come popolo di Dio) e in fine la testimonianza (ti amo perchè sono amato da Dio; non ti parlerò di Gesù se hai fame ma te ne darò la testimonianza coi fatti). Tutto deve portare a Cristo e far vivere Cristo meta di ogni pastorale. L’analisi della situazione osservata sotto diversi punti di vista, il calendario comune (palestra anche di responsabilità) e le fonti a cui bisogna sempre far ritorno sono punti fermi della pastorale. Esistono delle priorità da rispettare rigorosamente:
I°- L’anno liturgico: è il principale luogo d’incontro fra i praticanti, e a volte poco praticanti, segna comunque sempre un cammino di fede personale e comunitario che fa centro su Gesù. Le varie celebrazioni ordinarie e straordinarie fissano le tappe del cammino di fede di una comunità.
2°- La formazione permanente dei laici avviene a tanti livelli comunitari: per la recezione dei sacramenti; per la catechesi che deve coinvolgere ogni fascia di età; per i gruppi ciascuno col proprio programma; nell’assemblea liturgica festiva; nelle celebrazioni periodiche della parola di Dio (tridui, quarantore, ottavari, novene, ritiri, missioni...). La formazione deve essere sentita come impegno personale di aggiornamento e di approfondimento. La fede non è come la luna che cresce e cala, o cresce o si perde. Anche i propri carismi qualora non siano alimentati e valorizzati si atrofizzano come dei muscoli inoperosi.
3°- La missionarietà: Il vero missionario è Cristo! Se si vive deve passare attraverso la nostra realtà personale la sua missionarietà sia all’interno che all’esterno della nostra comunità di fede. La missionarietà è una insostituibile palestra di formazione e di testimonianza alla scuola di Gesù. La chiesa perde la sua autenticità quando ignora all’interno e all’esterno il problema missionario.
4°- La pastorale vocazionale: deve servire a orientare ciascuno sulla propria strada conformemente alla chiamata di Cristo seguendolo con fiducia e coraggio. L’età della propria scelta matura quando c’è una preparazione remota programmata a livello di comunità. La testimonianza degli adulti e di quanti hanno già fatto la propria scelta vocazionale è determinante.
5°- La pastorale della sofferenza: non va dimenticata se vogliamo che il cammino del cristiano si concluda all’insegna del Cristo Crocifisso che toma a morire e a risorgere in ciascuno di noi. Questa è in sintesi la proposta diocesana del piano pastorale che va sviluppata e realizzata con la collaborazione e la corresponsabilità di tutta la comunità, che è costituita soprattutto di laici.
dg.
I°- L’anno liturgico: è il principale luogo d’incontro fra i praticanti, e a volte poco praticanti, segna comunque sempre un cammino di fede personale e comunitario che fa centro su Gesù. Le varie celebrazioni ordinarie e straordinarie fissano le tappe del cammino di fede di una comunità.
2°- La formazione permanente dei laici avviene a tanti livelli comunitari: per la recezione dei sacramenti; per la catechesi che deve coinvolgere ogni fascia di età; per i gruppi ciascuno col proprio programma; nell’assemblea liturgica festiva; nelle celebrazioni periodiche della parola di Dio (tridui, quarantore, ottavari, novene, ritiri, missioni...). La formazione deve essere sentita come impegno personale di aggiornamento e di approfondimento. La fede non è come la luna che cresce e cala, o cresce o si perde. Anche i propri carismi qualora non siano alimentati e valorizzati si atrofizzano come dei muscoli inoperosi.
3°- La missionarietà: Il vero missionario è Cristo! Se si vive deve passare attraverso la nostra realtà personale la sua missionarietà sia all’interno che all’esterno della nostra comunità di fede. La missionarietà è una insostituibile palestra di formazione e di testimonianza alla scuola di Gesù. La chiesa perde la sua autenticità quando ignora all’interno e all’esterno il problema missionario.
4°- La pastorale vocazionale: deve servire a orientare ciascuno sulla propria strada conformemente alla chiamata di Cristo seguendolo con fiducia e coraggio. L’età della propria scelta matura quando c’è una preparazione remota programmata a livello di comunità. La testimonianza degli adulti e di quanti hanno già fatto la propria scelta vocazionale è determinante.
5°- La pastorale della sofferenza: non va dimenticata se vogliamo che il cammino del cristiano si concluda all’insegna del Cristo Crocifisso che toma a morire e a risorgere in ciascuno di noi. Questa è in sintesi la proposta diocesana del piano pastorale che va sviluppata e realizzata con la collaborazione e la corresponsabilità di tutta la comunità, che è costituita soprattutto di laici.
dg.
A PROPOSITO DELLA PASTORALE
MATRIMONIALE
Se consideriamo il triste fenomeno che almeno il dieci per cento dei matrimoni celebrati in chiesa falliscono ogni anno e che almeno il venti per cento delle coppie, dopo essersi unite in matrimonio col sacramento, non praticano la vita cristiana e che la quasi totalità fa ricorso ai contraccettivi, magari già da fidanzati, a parte poi l’ammissione dell’aborto anche se fortunatamente praticato eccezionalmente, dobbiamo concludere che la nostra pastorale matrimoniale si rivela fallimentare di fronte a una situazione capace di vanificare la visione del matrimonio cristiano che sopravvive soltanto nei canoni del diritto canonico. Se dovessimo applicare rigorosamente le nostre norme dovremmo in molti casi opporre un netto rifiuto alla richiesta del sacramento. Nella chiesa santa di Dio non dovrebbe tuttavia esistere nessun rifiuto perchè contrario allo spirito del Vangelo e costituirebbe inoltre la prova palese del fallimento della nostra pastorale matrimoniale in questo caso. Il messaggio evangelico forse l’abbiamo trasmesso nel contesto di troppe contraddizioni per cui da contraddizione nasce contraddizione. Il corso fidanzati, ad esempio, viene imposto come preparazione immediata al matrimonio con la presunzione di poter arginare il vuoto di un troppo lungo periodo di abbandono totale di ogni pratica cristiana. Tale corso viene infatti subito, dai più, sul piano burocratico perchè ne è richiesto il certificato dal parroco proprio degli sposi prima di avviare la pratica d’ufficio in vista del matrimonio imminente. Intanto ci considerano su un altro pianeta, ancorati a leggi e norme di un codice a cui più nessuno crede o intende far riferimento. Sono invalse troppe alternative che regolano ormai da tempo il mondo del consumismo penetrato in tutti i settori della vita e contrassegnato da un preoccupante individualismo, il tutto all’insegna di leggi che ne codificano il comportamento voluto e inteso quale aggiornamento sociale e scientifico del vivere umano. Vengono così svalutati o addirittura rinnegati i grandi valori della persona, prima, della coppia, poi, a scapito del vero bene della società. Pertanto la visuale nostra sul matrimonio non sopravvive più. Ora c’è da chiedersi se Dio intende piegarsi a favore dell’uomo della storia, così come si è imbastito nella corrente cultura, dal momento che l’uomo della nostra società è deciso a cercare altrove la soluzione dei suoi problemi, senza Dio, rifiutando il disegno divino fatto sull’uomo sin dall’origine. Da parte nostra, trovandoci nell’impossibilità di fare scelte migliori, non abbiamo il coraggio di opporre un rifiuto categorico di fronte alla richiesta del sacramento nel timore pure di commettere il grave errore di perdere quelle famiglie per sempre. Siamo tentati di avvalerci del principio che non è l’uomo per la legge, ma la legge per l’uomo applicando tale criterio anche ai sacramenti. I recenti documenti del papa sulla famiglia sono improntati all’insegna della fiducia. Il pontefice a riguardo dell’amore riconosce che fin dal primo momento in cui i fidanzati si prendono per mano e cominciano a camminare insieme, sono già entrati nel disegno di Dio prima ancora che quell’amore venga ratificato da qualsiasi autorità. L’amore, sembra di poterlo affermare con sicurezza, dovunque nasce è sacro anche quando non riuscisse a imboccare la strada migliore del sacramento con rispetto di tutti i sacri canoni. Di ciò deve rendersi conto l’uomo, o meglio la coppia, per riconoscere in Dio la fonte eterna del proprio amore. Escluso pertanto il rifiuto, di fronte alla richiesta del sacramento, dobbiamo pur sempre ovviare ai danni morali e spirituali delle coppie mantenendoci sempre in dialogo da pari a pari con le persone per ottenere di far maturare d’entrambi le parti cose migliori. Il problema rimane comunque aperto nella sua gravità col desiderio di un ritorno da una parte e di grande disponibilità dall’altra per svincolarci da eventuali norme restrittive che ci fanno soffrire e che non sono di istituzione divina, pur riconoscendo che i problemi morali non si risolvono appena modificando le norme o le leggi quando l’uomo rifiuta di rinsavire. Indirizzo questo mio sincero sfogo a tutta la nostra comunità di fede affinchè si possa affrontare insieme un serio e doveroso ripensamento su questo problema così grave che coinvolge già da tempo la nostra società del duemila con risvolti assai preoccupanti, intanto che noi ci preoccupiamo d’imporre regole o limitazioni sui fiori, sui canti e sui fotografi nella celebrazione liturgica del matrimonio.
Don Giulio.
P.S.: devo confessare alla luce dell’ 1 la e ultima enciclica di Papa Giovanni Paolo II, * “Evangelium vitae” che dobbiamo tirare i remi in barca, e tornare con rigore e serietà cristiana a ricuperare tutti i grandi valori della vita senza concedere nulla a scapito di essa perchè si marnerebbe contro la volontà di Dio e la libertà e salvezza dell’uomo.
Don Giulio.
P.S.: devo confessare alla luce dell’ 1 la e ultima enciclica di Papa Giovanni Paolo II, * “Evangelium vitae” che dobbiamo tirare i remi in barca, e tornare con rigore e serietà cristiana a ricuperare tutti i grandi valori della vita senza concedere nulla a scapito di essa perchè si marnerebbe contro la volontà di Dio e la libertà e salvezza dell’uomo.
LE VIE PREFERENZIALI
Le vie preferenziali che si propongono al Convegno ecclesiale di Palermo che si terrà dal 20 al 25 novembre 1995 sul tema: “Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia”.
Dobbiamo chiederci perchè la proposta cristiana, per sua natura destinata a dare pieno senso all’esistenza, è stata inadeguata... Impareremo a delineare una organica pastorale della cultura che sappia si giudicare e discernere ciò che c’è di valido nei sistemi culturali e nelle ideologie, ma più ancora sappia puntare su tutto ciò che affina l’uomo ed esplica le molteplici sue capacità di far uso dei beni, di lavorare, di fare progetti, di formare costumi, di praticare la religione, di esprimersi, di sviluppare scienze e arte: in una parola di dare valore alla propria esistenza... L’impegno per la cultura richiama il problema della comunicazione sociale e dei suoi mezzi... Prima che ai mezzi, comunque, occorre rivolgere l’attenzione al fenomeno stesso della comunicazione sociale: alla sua natura, alle sue leggi, alle sue agenzie... È aperto qui un vasto campo di azione pastorale. Tale azione richiede a tutti capacità di presenza dove si forma l’opinione pubblica, educazione al rispetto della verità, denuncia quando occorre, buone attitudini di mediazione e di espressione”. Il Vangelo della carità, come testimonia il pellegrinaggio bimillenario del popolo di Dio in terra d’Italia, è per se stesso generatore e plasmatore di civiltà e cultura. Ma oggi occorre colmare una frattura tra fede e vita, tra Vangelo e cultura, che è diventata profonda, e riscoprire le radici evangeliche della nostra storia perchè costituiscano un solido punto di riferimento per lo sviluppo e la coesione della società. Le ragioni evangeliche di vita sono ancora ritenute significative? Possono costituire una base di dialogo e di confronto efficace in un quadro culturale frammentato e pluralistico? Come raccordare, nella ricerca e nella proposta culturale, i temi oggi decisivi della libertà e della verità del Vangelo, le ragioni dell’identità e del dialogo, della verità e della carità? Come le numerose testimonianze evangeliche possono essere rese leggibili ai più? Su questo versante della testimonianza, la casa della comunità cristiana è “abitabile” da tutti coloro che intendono accedervi e, reciprocamente, come sono presenti i credenti nel mondo della cultura nelle sue varie espressioni? Come la comunità è soggetto di una proposta culturale sul territorio? Come sono realmente vissuti e dunque testimoniati i valori della vita, della verità, del dialogo, della reciprocità, dell’amore? Il problema della comunicazione ci investe come fenomeno di massa, ma prima di tutto porta ad interrogarci sulla qualità e realtà della comunicazione stessa, che solo quando raggiunge il livello interpersonale può farsi veicolo dell’annuncio del Vangelo. Occorre avere adeguata consapevolezza della complessità del fenomeno della comunicazione sociale, cogliendone i diversi aspetti, per valorizzare e promuovere un impegno consapevole e motivato, a tutti i livelli. Quale coscienza manifestano le nostre comunità della centralità della comunicazione per la crescita e l’autenticità della persona? L’uomo contemporaneo valuta gli eventi con nuovi criteri comunicativi ed espressivi: ne sono consapevoli, tanto i fedeli laici, quanto i pastori? Come le comunità ne tengano conto negli itinerari di educazione alla fede, nelle celebrazioni liturgiche, nell’azione caritativa? Come ci si preoccupa di salvaguardare la dimensione personale della comunicazione? Siamo veramente convinti che oggi il fenomeno della comunicazione sociale forma mentalità, plasma modelli di vita, incide efficacemente sulle scelte personali, guida l’opinione pubblica? In che modo si aiutano le persone a rendersene conto e a valutare con oggettività? C’è molto da fare anche per quel che concerne direttamente i mezzi. Come vengono utilizzati i mezzi di comunicazione alla luce del Vangelo della carità? Quali impegni concreti dobbiamo prendere?
L’impegno sociale e politico
“A una società come la nostra, che rischia di perdere la vera e integrale misura dell’uomo, il Vangelo della carità può offrire una visione antropologica, autentica ed equilibrata, capace di individuare e proporre i necessari riferimenti etici per affrontare e risolvere i grandi problemi della nostra epoca... Questa situazione complessa stimola comunque, sia nei suoi profili positivi che in quelli negativi, la comunità cristiana a proseguire e intensificare il proprio impegno per la promozione dell’uomo e il bene del Paese. Elemento centrale di tale impegno sono necessariamente i contenuti e i valori fondamentali dell’antropologia e dell’etica cristiana, non per un qualsiasi vantaggio della Chiesa, che ben sa di non essere chiamata ad esercitare alcun potere terreno, ma perchè essi esprimono la verità e promuovono l’autentico bene della persona e della società”. Nella prospettiva di un rilancio della promozione dell’uomo e delle ragioni del bene comune, risalta la necessità di una nuova coscienza morale nell’impegno sociale e politico. Siamo veramente consapevoli dell’urgenza di tale coscienza etica, al di là della reazione alle situazioni contingenti, in particolare agli esiti di “tangentopoli”? Si avverte l’afflato etico del Vangelo, capace di sprigionare giustizia, riparazione, perdono e riconciliazione? La riduzione dell’etica ai soli comportamenti privati è un grave pericolo. Quali sono invece le soluzioni indicate dal Vangelo della carità? Come prefigurare concrete proposte formative per la gente? Come progettare la formazione dei cristiani impegnati in politica perchè siano competenti e trasparenti? Quale sostegno deve offrire la comunità? Quale è la responsabilità personale e di gruppo dei laici in politica? È urgente oggi identificare il significato di “bene comune” - sotto il profilo economico, politico, istituzionale - nella prospettiva di una visione dell’uomo e della società ispirata al Vangelo, valorizzando adeguatamente il prezioso patrimonio della dottrina sociale della Chiesa. Quali sono oggi le priorità in vista del bene comune? Quali sono le questioni sociali che stanno emergendo e alle quali si deve dare risposta? Come perseguire correttamente l’affermazione dei grandi valori antropologici che scaturiscono dalla fede cristiana, attraverso la libera formazione del consenso e la conseguente codificazione in leggi e strutture? In che modo guardare ai grandi orizzonti europei e mondiali ed alle grandi questioni della nostra epoca, promuovendo i valori della vita, della giustizia, della salvaguardia del creato, della solidarietà con i paesi più poveri, della pace? Come porsi di fronte ai problemi della disoccupazione, dell’immigrazione, del sottosviluppo?
L’amore preferenziale per i poveri
“L’amore preferenziale per i poveri costituisce un’esigenza intrinseca del Vangelo della carità e un criterio di discernimento pastorale nella prassi della Chiesa. Esso richiede alle nostre comunità di prendere puntualmente in considerazione le antiche e nuove povertà che sono presenti nel nostro Paese o che si profilano nel prossimo futuro... Il Vangelo della carità deve dare profondità e senso cristiano al doveroso servizio ai poveri delle nostre Chiese, risvegliando la consapevolezza che questo servizio è verifica della fedeltà della Chiesa di Cristo, onde essere veramente la Chiesa dei poveri (Laborem exercens, 8) che nella sua opera evangelizzatrice fa proprio lo stile di umiltà e abnegazione del Signore e riconosce nei poveri e nei sofferenti la sua immagine. Contemporaneamente, alla luce del mistero della redenzione occorre sempre di nuovo riscoprire il valore attivo e creativo di ogni tipo di sofferenza umana e il contributo decisivo che ne scaturisce per la missione della Chiesa e il progresso stesso dell’umanità. Solo la croce di Cristo, senza distogliere dall’impegno a rimuovere le cause della povertà e ad alleviare le sofferenze dei fratelli, può dare risposta e speranza definitive alle povertà e alle sofferenze più radicali dell’uomo”. Il Vangelo della carità è la misura del nostro essere Chiesa: l’amore preferenziale per i poveri è dimensione essenziale della fedeltà a Cristo e alla sua parola che ci convoca. La comunità cristiana è con la sua vita segno trasparente del Vangelo della carità? Quali scelte di vita ecclesiale sono oggi particolarmente necessarie e significative per esprimere l’amore preferenziale per i poveri e la condivisione della croce di Cristo? Vivere la carità è ancora per noi una semplice questione di iniziative da prendere? È un’esperienza che coinvolge l’intera comunità o viene delegata agli “addetti ai lavori”? Impegna l’intera esistenza o è confinata in una parte del nostro tempo? Come si pongono le nostre comunità di fronte alle nuove povertà oltre che alle antiche forme di emarginazione sociale e culturale? Quali sono le forme concrete più significative con cui oggi si esprime la creatività di una testimonianza viva dell’amore? Questa testimonianza sa offrire segni credibili ed efficaci della vitalità etica e sociale del Vangelo della carità? Il Vangelo della carità richiede l’impegno di un servizio caritativo in cui la testimonianza della carità si realizza come esperienza di comunione e trova le forme più proprie per essere efficace ed aprirsi a tutte le necessità. Come si sviluppano e si raccordano nelle nostre comunità le strutture della Caritas, degli istituti religiosi, delle varie organizzazioni laicali? Un fenomeno consolante oggi è il volontariato: come ne accompagniamo la formazione, lo sviluppo, l’organizzazione, il riconoscimento civile e sociale? Il servizio immediato è una risposta ad esigenze vere: c’è però anche una progettazione a prevenire oltre che a recuperare? Un’opera di formazione sulle realtà marginali? Un aprire gli occhi su situazioni di disagio e di difficoltà in casa nostra e lontano da noi nel mondo? Non è difficile prendere atto dei gravi problemi mondiali dello sviluppo: ma qual’è il nostro intervento culturale e politico in questo campo?
La famiglia
“Nell’edificazione di una comunità ecclesiale unita nella carità e nella verità di Cristo, è fondamentale la testimonianza e la missione della famiglia cristiana. Costituita dal sacramento del matrimonio “Chiesa domestica”, la famiglia, “riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la sua Chiesa” (Familiaris consortio, 17). Essa è il primo luogo in cui l’annuncio del Vangelo della carità può essere da tutti vissuto e verificato in maniera semplice e spontanea”. “Di fronte al ruolo essenziale che svolgono le famiglie nel concreto della nostra vita sociale, alla molteplicità dei problemi di cui si fanno carico, e d’altro lato alle difficoltà da cui sono minacciate, è interesse primario della collettività nazionale accordare finalmente una reale priorità alle politiche sociali a favore della famiglia, riguardanti la previdenza, il trattamento fiscale, la casa, i servizi sociali e quel complesso di condizioni per cui la maternità non sia socialmente penalizzata”. Il Vangelo, come rivelazione dell’amore di Dio, ha un destinatario privilegiato negli sposi e nella famiglia, che sono pertanto al centro della nuova evangelizzazione. Come riproporre oggi la perenne validità del disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia? Quali ostacoli sono oggi più frequenti per accogliere e vivere questa proposta di vita? Quali concreti aiuti di accompagnamento i fidanzati e le giovani coppie trovano sul loro cammino? Come le famiglie vengono concretamente sostenute nelle loro necessità materiali e spirituali? Quale accoglienza le nostre comunità offrono agli sposi in difficoltà di fronte a una nuova vita o alla perseveranza del loro amore? Come si pone, nella verità e carità, di fronte a chi vive gli esiti di esperienze familiari negative? Come far si che la proposta del matrimonio e della famiglia cristiana venga compresa nel suo valore umano e sociale? Quali i diritti della famiglia cui oggi prestare maggiore attenzione in campo educativo, culturale, economico...? Gli sposi e la famiglia sono da riconoscere come soggetti della nuova evangelizzazione e come protagonisti nella vita sociale ed ecclesiale. Quale posto deve trovare oggi la famiglia nel contesto culturale, nella vita sociale, nel cammino di Chiesa? Perchè c’è tanta disattenzione nei confronti di questa realtà? Quali spazi creare perchè la coppia e la famiglia possano esercitare i loro diritti fondamentali di partecipazione attiva alla vita sociale ed ecclesiale? Perchè e come la famiglia deve assumersi il ruolo di educare e di evangelizzare? Quali forme di aggregazione devono promuovere le famiglie per contare nel contesto civile ed ecclesiale? Come deve pensar- si la famiglia per divenire una comunità aperta?
I giovani
“Il mondo dei giovani vive e sperimenta, con intensità tutta particolare, le contraddizioni e le potenzialità del nostro tempo... Dal punto di vista dell’evangelizzazione assistiamo al crescere di fenomeni come l’indifferenza e la difficoltà di accedere all’esperienza di Dio oppure la forte soggettivizzazione della fede e l’appartenenza ecclesiale condizionata, nonché una sorta di endemico deperimento del consenso intorno ai principi etici. Ma, nonostante il diffuso disagio giovanile, a volte manifesto, altre volte soffocato, i giovani esprimono anche oggi le attese dell’umanità e portano in sè gli ideali che si fanno strada nella storia... Di fronte alla complessità e ai rapidi cambiamenti del mondo giovanile le nostre Chiese corrono il rischio di mostrarsi talvolta incerte e in ritardo. La pastorale giovanile, da realtà pacifica, collegata quasi spontaneamente con i modelli di socializzazione presenti nel nostro contesto culturale, è diventata oggi una realtà in profondo mutamento e alla ricerca di se stessa... Il compito della trasmissione della fede alle nuove generazioni e della loro educazione a un’integrale esperienza e testimonianza di vita cristiana diventa quindi una essenziale priorità della pastorale”. È indispensabile che nel servizio di educazione alla fede dei giovani tutta la comunità cristiana proceda per progetti e itinerari educativi rispettosi della realtà dei singoli e della ricchezza della proposta evangelica, riconoscendo i giovani come soggetti attivi della propria crescita e capaci di servizio generoso alla comunità. Quale tipo di esperienza umana e cristiana compie il giovane d’oggi e quale modello di giovane credente propongono le nostre comunità? È un’esperienza centrata su Gesù, ricercato, amato, accolto e offerto agli altri? Si ha attenzione nell’azione educativa alla scelta vocazionale, accompagnando i giovani in un cammino spirituale personale? Si pensa ancora oggi a semplici interventi frammentari o si è decisamente sulla strada di un progetto organico di formazione cristiana globale? I nuovi valori giovanili sono assunti come vie che possono favorire rincontro con il Vangelo della carità? Come caratterizzare la nostra azione educativa e pastorale con una forte dimensione comunitaria e con un’autentica interiorità? Come si rende abitabile per i giovani la stessa comunità cristiana? Quali energie mette a disposizione dei giovani, quali spazi oltre ai luoghi delle celebrazioni liturgiche? Come sono valutati i movimenti e le aggregazioni giovanili? La comunità cristiana rischia di chiudersi con i giovani che già sperimentano la bellezza della vita cristiana e di dimenticare chi non incrocia più i suoi percorsi, mentre il Vangelo le è stato donato perché tutti ne possano sentire la forza viva e l’indicazione di vita. C’è la volontà di occuparsi della questione educativa della gioventù in un rapporto di maggiore collaborazione e interscambio tra Chiesa e società? Come sono coinvolte le istituzioni educative di ispirazione cristiana (scuole, associazioni del tempo libero, oratori, circoli culturali...) in un’organica intelligente e coraggiosa pastorale giovanile? Quali proposte di vita si offrono ai giovani “lontani”? Quale tipo di interventi si progettano per prevenire nelle comunità e nella società il fenomeno della marginalità e dell’emarginazione? Chi sono le figure educative indispensabili, oggi, e per quali nuove figure occorre scommettere? Come rendere cosciente ogni adulto del suo ruolo educativo nei confronti delle giovani generazioni? Quale formazione spirituale, morale e culturale si deve loro riservare?
Dobbiamo chiederci perchè la proposta cristiana, per sua natura destinata a dare pieno senso all’esistenza, è stata inadeguata... Impareremo a delineare una organica pastorale della cultura che sappia si giudicare e discernere ciò che c’è di valido nei sistemi culturali e nelle ideologie, ma più ancora sappia puntare su tutto ciò che affina l’uomo ed esplica le molteplici sue capacità di far uso dei beni, di lavorare, di fare progetti, di formare costumi, di praticare la religione, di esprimersi, di sviluppare scienze e arte: in una parola di dare valore alla propria esistenza... L’impegno per la cultura richiama il problema della comunicazione sociale e dei suoi mezzi... Prima che ai mezzi, comunque, occorre rivolgere l’attenzione al fenomeno stesso della comunicazione sociale: alla sua natura, alle sue leggi, alle sue agenzie... È aperto qui un vasto campo di azione pastorale. Tale azione richiede a tutti capacità di presenza dove si forma l’opinione pubblica, educazione al rispetto della verità, denuncia quando occorre, buone attitudini di mediazione e di espressione”. Il Vangelo della carità, come testimonia il pellegrinaggio bimillenario del popolo di Dio in terra d’Italia, è per se stesso generatore e plasmatore di civiltà e cultura. Ma oggi occorre colmare una frattura tra fede e vita, tra Vangelo e cultura, che è diventata profonda, e riscoprire le radici evangeliche della nostra storia perchè costituiscano un solido punto di riferimento per lo sviluppo e la coesione della società. Le ragioni evangeliche di vita sono ancora ritenute significative? Possono costituire una base di dialogo e di confronto efficace in un quadro culturale frammentato e pluralistico? Come raccordare, nella ricerca e nella proposta culturale, i temi oggi decisivi della libertà e della verità del Vangelo, le ragioni dell’identità e del dialogo, della verità e della carità? Come le numerose testimonianze evangeliche possono essere rese leggibili ai più? Su questo versante della testimonianza, la casa della comunità cristiana è “abitabile” da tutti coloro che intendono accedervi e, reciprocamente, come sono presenti i credenti nel mondo della cultura nelle sue varie espressioni? Come la comunità è soggetto di una proposta culturale sul territorio? Come sono realmente vissuti e dunque testimoniati i valori della vita, della verità, del dialogo, della reciprocità, dell’amore? Il problema della comunicazione ci investe come fenomeno di massa, ma prima di tutto porta ad interrogarci sulla qualità e realtà della comunicazione stessa, che solo quando raggiunge il livello interpersonale può farsi veicolo dell’annuncio del Vangelo. Occorre avere adeguata consapevolezza della complessità del fenomeno della comunicazione sociale, cogliendone i diversi aspetti, per valorizzare e promuovere un impegno consapevole e motivato, a tutti i livelli. Quale coscienza manifestano le nostre comunità della centralità della comunicazione per la crescita e l’autenticità della persona? L’uomo contemporaneo valuta gli eventi con nuovi criteri comunicativi ed espressivi: ne sono consapevoli, tanto i fedeli laici, quanto i pastori? Come le comunità ne tengano conto negli itinerari di educazione alla fede, nelle celebrazioni liturgiche, nell’azione caritativa? Come ci si preoccupa di salvaguardare la dimensione personale della comunicazione? Siamo veramente convinti che oggi il fenomeno della comunicazione sociale forma mentalità, plasma modelli di vita, incide efficacemente sulle scelte personali, guida l’opinione pubblica? In che modo si aiutano le persone a rendersene conto e a valutare con oggettività? C’è molto da fare anche per quel che concerne direttamente i mezzi. Come vengono utilizzati i mezzi di comunicazione alla luce del Vangelo della carità? Quali impegni concreti dobbiamo prendere?
L’impegno sociale e politico
“A una società come la nostra, che rischia di perdere la vera e integrale misura dell’uomo, il Vangelo della carità può offrire una visione antropologica, autentica ed equilibrata, capace di individuare e proporre i necessari riferimenti etici per affrontare e risolvere i grandi problemi della nostra epoca... Questa situazione complessa stimola comunque, sia nei suoi profili positivi che in quelli negativi, la comunità cristiana a proseguire e intensificare il proprio impegno per la promozione dell’uomo e il bene del Paese. Elemento centrale di tale impegno sono necessariamente i contenuti e i valori fondamentali dell’antropologia e dell’etica cristiana, non per un qualsiasi vantaggio della Chiesa, che ben sa di non essere chiamata ad esercitare alcun potere terreno, ma perchè essi esprimono la verità e promuovono l’autentico bene della persona e della società”. Nella prospettiva di un rilancio della promozione dell’uomo e delle ragioni del bene comune, risalta la necessità di una nuova coscienza morale nell’impegno sociale e politico. Siamo veramente consapevoli dell’urgenza di tale coscienza etica, al di là della reazione alle situazioni contingenti, in particolare agli esiti di “tangentopoli”? Si avverte l’afflato etico del Vangelo, capace di sprigionare giustizia, riparazione, perdono e riconciliazione? La riduzione dell’etica ai soli comportamenti privati è un grave pericolo. Quali sono invece le soluzioni indicate dal Vangelo della carità? Come prefigurare concrete proposte formative per la gente? Come progettare la formazione dei cristiani impegnati in politica perchè siano competenti e trasparenti? Quale sostegno deve offrire la comunità? Quale è la responsabilità personale e di gruppo dei laici in politica? È urgente oggi identificare il significato di “bene comune” - sotto il profilo economico, politico, istituzionale - nella prospettiva di una visione dell’uomo e della società ispirata al Vangelo, valorizzando adeguatamente il prezioso patrimonio della dottrina sociale della Chiesa. Quali sono oggi le priorità in vista del bene comune? Quali sono le questioni sociali che stanno emergendo e alle quali si deve dare risposta? Come perseguire correttamente l’affermazione dei grandi valori antropologici che scaturiscono dalla fede cristiana, attraverso la libera formazione del consenso e la conseguente codificazione in leggi e strutture? In che modo guardare ai grandi orizzonti europei e mondiali ed alle grandi questioni della nostra epoca, promuovendo i valori della vita, della giustizia, della salvaguardia del creato, della solidarietà con i paesi più poveri, della pace? Come porsi di fronte ai problemi della disoccupazione, dell’immigrazione, del sottosviluppo?
L’amore preferenziale per i poveri
“L’amore preferenziale per i poveri costituisce un’esigenza intrinseca del Vangelo della carità e un criterio di discernimento pastorale nella prassi della Chiesa. Esso richiede alle nostre comunità di prendere puntualmente in considerazione le antiche e nuove povertà che sono presenti nel nostro Paese o che si profilano nel prossimo futuro... Il Vangelo della carità deve dare profondità e senso cristiano al doveroso servizio ai poveri delle nostre Chiese, risvegliando la consapevolezza che questo servizio è verifica della fedeltà della Chiesa di Cristo, onde essere veramente la Chiesa dei poveri (Laborem exercens, 8) che nella sua opera evangelizzatrice fa proprio lo stile di umiltà e abnegazione del Signore e riconosce nei poveri e nei sofferenti la sua immagine. Contemporaneamente, alla luce del mistero della redenzione occorre sempre di nuovo riscoprire il valore attivo e creativo di ogni tipo di sofferenza umana e il contributo decisivo che ne scaturisce per la missione della Chiesa e il progresso stesso dell’umanità. Solo la croce di Cristo, senza distogliere dall’impegno a rimuovere le cause della povertà e ad alleviare le sofferenze dei fratelli, può dare risposta e speranza definitive alle povertà e alle sofferenze più radicali dell’uomo”. Il Vangelo della carità è la misura del nostro essere Chiesa: l’amore preferenziale per i poveri è dimensione essenziale della fedeltà a Cristo e alla sua parola che ci convoca. La comunità cristiana è con la sua vita segno trasparente del Vangelo della carità? Quali scelte di vita ecclesiale sono oggi particolarmente necessarie e significative per esprimere l’amore preferenziale per i poveri e la condivisione della croce di Cristo? Vivere la carità è ancora per noi una semplice questione di iniziative da prendere? È un’esperienza che coinvolge l’intera comunità o viene delegata agli “addetti ai lavori”? Impegna l’intera esistenza o è confinata in una parte del nostro tempo? Come si pongono le nostre comunità di fronte alle nuove povertà oltre che alle antiche forme di emarginazione sociale e culturale? Quali sono le forme concrete più significative con cui oggi si esprime la creatività di una testimonianza viva dell’amore? Questa testimonianza sa offrire segni credibili ed efficaci della vitalità etica e sociale del Vangelo della carità? Il Vangelo della carità richiede l’impegno di un servizio caritativo in cui la testimonianza della carità si realizza come esperienza di comunione e trova le forme più proprie per essere efficace ed aprirsi a tutte le necessità. Come si sviluppano e si raccordano nelle nostre comunità le strutture della Caritas, degli istituti religiosi, delle varie organizzazioni laicali? Un fenomeno consolante oggi è il volontariato: come ne accompagniamo la formazione, lo sviluppo, l’organizzazione, il riconoscimento civile e sociale? Il servizio immediato è una risposta ad esigenze vere: c’è però anche una progettazione a prevenire oltre che a recuperare? Un’opera di formazione sulle realtà marginali? Un aprire gli occhi su situazioni di disagio e di difficoltà in casa nostra e lontano da noi nel mondo? Non è difficile prendere atto dei gravi problemi mondiali dello sviluppo: ma qual’è il nostro intervento culturale e politico in questo campo?
La famiglia
“Nell’edificazione di una comunità ecclesiale unita nella carità e nella verità di Cristo, è fondamentale la testimonianza e la missione della famiglia cristiana. Costituita dal sacramento del matrimonio “Chiesa domestica”, la famiglia, “riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la sua Chiesa” (Familiaris consortio, 17). Essa è il primo luogo in cui l’annuncio del Vangelo della carità può essere da tutti vissuto e verificato in maniera semplice e spontanea”. “Di fronte al ruolo essenziale che svolgono le famiglie nel concreto della nostra vita sociale, alla molteplicità dei problemi di cui si fanno carico, e d’altro lato alle difficoltà da cui sono minacciate, è interesse primario della collettività nazionale accordare finalmente una reale priorità alle politiche sociali a favore della famiglia, riguardanti la previdenza, il trattamento fiscale, la casa, i servizi sociali e quel complesso di condizioni per cui la maternità non sia socialmente penalizzata”. Il Vangelo, come rivelazione dell’amore di Dio, ha un destinatario privilegiato negli sposi e nella famiglia, che sono pertanto al centro della nuova evangelizzazione. Come riproporre oggi la perenne validità del disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia? Quali ostacoli sono oggi più frequenti per accogliere e vivere questa proposta di vita? Quali concreti aiuti di accompagnamento i fidanzati e le giovani coppie trovano sul loro cammino? Come le famiglie vengono concretamente sostenute nelle loro necessità materiali e spirituali? Quale accoglienza le nostre comunità offrono agli sposi in difficoltà di fronte a una nuova vita o alla perseveranza del loro amore? Come si pone, nella verità e carità, di fronte a chi vive gli esiti di esperienze familiari negative? Come far si che la proposta del matrimonio e della famiglia cristiana venga compresa nel suo valore umano e sociale? Quali i diritti della famiglia cui oggi prestare maggiore attenzione in campo educativo, culturale, economico...? Gli sposi e la famiglia sono da riconoscere come soggetti della nuova evangelizzazione e come protagonisti nella vita sociale ed ecclesiale. Quale posto deve trovare oggi la famiglia nel contesto culturale, nella vita sociale, nel cammino di Chiesa? Perchè c’è tanta disattenzione nei confronti di questa realtà? Quali spazi creare perchè la coppia e la famiglia possano esercitare i loro diritti fondamentali di partecipazione attiva alla vita sociale ed ecclesiale? Perchè e come la famiglia deve assumersi il ruolo di educare e di evangelizzare? Quali forme di aggregazione devono promuovere le famiglie per contare nel contesto civile ed ecclesiale? Come deve pensar- si la famiglia per divenire una comunità aperta?
I giovani
“Il mondo dei giovani vive e sperimenta, con intensità tutta particolare, le contraddizioni e le potenzialità del nostro tempo... Dal punto di vista dell’evangelizzazione assistiamo al crescere di fenomeni come l’indifferenza e la difficoltà di accedere all’esperienza di Dio oppure la forte soggettivizzazione della fede e l’appartenenza ecclesiale condizionata, nonché una sorta di endemico deperimento del consenso intorno ai principi etici. Ma, nonostante il diffuso disagio giovanile, a volte manifesto, altre volte soffocato, i giovani esprimono anche oggi le attese dell’umanità e portano in sè gli ideali che si fanno strada nella storia... Di fronte alla complessità e ai rapidi cambiamenti del mondo giovanile le nostre Chiese corrono il rischio di mostrarsi talvolta incerte e in ritardo. La pastorale giovanile, da realtà pacifica, collegata quasi spontaneamente con i modelli di socializzazione presenti nel nostro contesto culturale, è diventata oggi una realtà in profondo mutamento e alla ricerca di se stessa... Il compito della trasmissione della fede alle nuove generazioni e della loro educazione a un’integrale esperienza e testimonianza di vita cristiana diventa quindi una essenziale priorità della pastorale”. È indispensabile che nel servizio di educazione alla fede dei giovani tutta la comunità cristiana proceda per progetti e itinerari educativi rispettosi della realtà dei singoli e della ricchezza della proposta evangelica, riconoscendo i giovani come soggetti attivi della propria crescita e capaci di servizio generoso alla comunità. Quale tipo di esperienza umana e cristiana compie il giovane d’oggi e quale modello di giovane credente propongono le nostre comunità? È un’esperienza centrata su Gesù, ricercato, amato, accolto e offerto agli altri? Si ha attenzione nell’azione educativa alla scelta vocazionale, accompagnando i giovani in un cammino spirituale personale? Si pensa ancora oggi a semplici interventi frammentari o si è decisamente sulla strada di un progetto organico di formazione cristiana globale? I nuovi valori giovanili sono assunti come vie che possono favorire rincontro con il Vangelo della carità? Come caratterizzare la nostra azione educativa e pastorale con una forte dimensione comunitaria e con un’autentica interiorità? Come si rende abitabile per i giovani la stessa comunità cristiana? Quali energie mette a disposizione dei giovani, quali spazi oltre ai luoghi delle celebrazioni liturgiche? Come sono valutati i movimenti e le aggregazioni giovanili? La comunità cristiana rischia di chiudersi con i giovani che già sperimentano la bellezza della vita cristiana e di dimenticare chi non incrocia più i suoi percorsi, mentre il Vangelo le è stato donato perché tutti ne possano sentire la forza viva e l’indicazione di vita. C’è la volontà di occuparsi della questione educativa della gioventù in un rapporto di maggiore collaborazione e interscambio tra Chiesa e società? Come sono coinvolte le istituzioni educative di ispirazione cristiana (scuole, associazioni del tempo libero, oratori, circoli culturali...) in un’organica intelligente e coraggiosa pastorale giovanile? Quali proposte di vita si offrono ai giovani “lontani”? Quale tipo di interventi si progettano per prevenire nelle comunità e nella società il fenomeno della marginalità e dell’emarginazione? Chi sono le figure educative indispensabili, oggi, e per quali nuove figure occorre scommettere? Come rendere cosciente ogni adulto del suo ruolo educativo nei confronti delle giovani generazioni? Quale formazione spirituale, morale e culturale si deve loro riservare?
SAN LORENZO M. – 10 agosto 258-1995
Se non tornasse ogni anno la festa patronale di S. Lorenzo M., Zogno perderebbe molto, forse l’aspetto più importante, della sua cultura che lo contraddistingue in tutta la valle. Nella nostra parrocchiale infatti tutto parla di S. Lorenzo storicamente e spiritualmente. Da qualche tempo è sorto anche il Museo di S. Lorenzo, ricco di testimonianze antiche e recenti, con sede nell'antico palazzo della Giudicatura veneta, situato nelle adiacenze del sagrato, con un duplice accesso, sia dallo scalone che immette nel centro storico del paese e sia dalla piazzetta del Ghetto in Via Umberto I. S. Lorenzo costituisce un centro di attrazione che polarizza tutto l’ambiente zognese da antichissima data. L’esistenza di una chiesa dedicata al Santo, sorta in riva al fiume Brembo, in località Salici, come attestano gli atti notarili trecenteschi dei nostri notai Panizzoli, risulta esistente già dal 1144, anno in cui papa Lucio II invia una lettera al capitolo della cattedrale con la quale dichiara di proprietà dei medesimi canonici la chiesa di S. Lorenzo in Zogno insieme ad altre chiese come ad esempio dei SS. Faustino e Giovita in Villa d'Almè e di S. Michele in Almè. La devozione a S. Lorenzo in Zogno è quindi millenaria. La vita del nostro patrono ha ispirato la fede di molte generazioni che ci hanno tramandato una loro viva testimonianza nella stupenda prepositurale ammirata anche da quanti sopraggiungono in paese che ne restano sorprendentemente impressionati. La testimonianza eroica del giovane diacono Lorenzo è sempre di attualità e tocca vivamente il cuore di tutti i nostri zognesi che si sentono spronati a imitarne l’esempio di fedeltà a Dio e di amore al prossimo. Nella nostra parrocchiale vengono illustrati i fatti più salienti della sua vita. La pala centrale del coro, di Vincenzo Angelo Orelli (1790 c.), raffigura S. Lorenzo in sacra conversazione con la Vergine Maria fra i santi compatroni Marcello e Marcelliano. I due affreschi laterali, di Enrico Albricci, rappresentano, quello di destra, S. Lorenzo che accompagna al martirio lo zio, papa Sisto II, e, quello di sinistra, S. Lorenzo che distribuisce l’elemosina ai poveri. Nella tazza del presbiterio, altro affresco di Enrico Albricci illustra la gloria celeste del santo patrono. Il nuovo altare conciliare, opera dello scultore Alberto Meli (1994), e l’invetriata della facciata principale del tempio, opera di Cesare Poggi (1926), raffigurano il martirio di S. Lorenzo arso vivo su una graticola. Anche la paletta dell’antico altare maggiore, collocata ora sopra la porta orientale della chiesa, pone in risalto S. Lorenzo in contemplazione della S.ma Trinità al disopra dei santi Antonio Abate e Antonio di Padova comprotettori della parrocchia. Nell’affresco della lunetta dell’antico portale posto a sud e datato 2 maggio 1452, troviamo S. Lorenzo a lato del Cristo riemerso dal sepolcro, antica devozione zognese, in corrispondenza di S. Rocco, patrono del cimitero dell’antico castello, posto sull’altro lato. Questo affresco è riferibile al pittore Antonio Maffeis di Giovanni fu Biagio che in quel tempo troviamo pure come testimonio nella casa di Maffeo Maffeis e, nove anni dopo (1466), lo troviamo impegnato ad affrescare l’abside della parrocchiale di S. Pellegrino. Nel grande affresco di casa Marconi, trasferito nella nostra sagrestia ad opera del gandinese Michele Frana ai tempi del parroco don Giovanni Servalli, viene raffigurata la Natività di N. S. a imitazione o a ispirazione della pala di Jacopo Palma, il Vecchio, posta all’altare di S. Giuseppe nella nostra parrocchiale, ma in cui, al posto di un pastore adorante, vi troviamo presso il Bambino S. Lorenzo. S. Lorenzo viene pure raffigurato con la graticola in mano in tutti i paramenti sacri in velluto rosso quattrocenteschi per la Messa Grande della festa patronale del 10 agosto, ora riposti, tranne il palliotto, nell’omonimo Museo, mentre un identico completo (pianeta, tunicelle, tre piviali) ma eseguito più recentemente, è riservato esclusivamente alla celebrazione liturgica nella festa del santo. Possediamo anche un magnifico simulacro da recarsi in processione nella solennità patronale voluto da don G. Servalli con dalmatica a imitazione del paramento antico di Gandino anziché di Zogno con disapprovazione degli zognesi. Inoltre, S. Lorenzo appare alla sommità del campanile eseguito in rame dallo scultore Albera nel 1890, su iniziativa del parroco don G. Bonometti, e nel 1993 dorato dalla ditta Carlo Gervasoni a scopo conservativo e a spese e a ricordo del defunto Gianni Nosari. C’è poi un altro S. Lorenzo, il più giovane, il più bello, il più attraente da considerare. È quello che ciascun zognese porta con sé nel proprio cuore e di cui si sente innamorato e a cui fa riferimento con tutta la propria vita. È il patrono della nostra comunità che ci riconduce tutti, vicini e lontani, a condividere la gioia vivissima d’incontrarci come in una sola famiglia il 10 agosto e che ci guiderà a turno all’incontro con Dio nella vita eterna. Auguri di tutto cuore ai vicini e ai lontani per una felicissima celebrazione della solennità patronale che apporti a ciascuno e a tutti noi il dono di un rinnovamento radicale della nostra vita sull’esempio del santo martire Lorenzo.
Aff.mo don Giulio
Aff.mo don Giulio
Breve sintesi su:
LA 12a ENCICLICA DI GIOVANNI PAOLO II SULL’IMPEGNO ECUMENICO
“UT UNUM SINT”
Introduzione
L’appello all’unità dei cristiani del Conc. Ecumenico Vaticano II, all’approssimarsi del 2000, si fa più insistente. La testimonianza di tanti martiri, appartenenti anche ad altre chiese in questi nostri tempi, infonde nuova forza all’appello conciliare. Cristo chiama tutti i suoi discepoli all’unità affinchè abbiano a professare insieme la stessa verità della Croce. Ci sono muri di divisione e di differenza d’abbattere d’entrambe le parti. I discepoli sono chiamati a riconsiderare insieme il loro doloroso passato animati, con la grazia dello Spirito Santo, dalla volontà di riconciliarsi. È un impegno di conversione che parte da Pietro in forza delle parole di Cristo “Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” - “Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede” (Lc 22,32). Il Papa invita alla preghiera perchè questa conversione, prima nel capo che nelle sua membra, abbia compimento.
Capitolo I: L’impegno ecumenico della Chiesa cattolica
La Chiesa è una realtà aperta alla dinamica missionaria: si lancia alla conquista per farsi conquistare mirando all’unità. La divisione è di scandalo al mondo e danneggia la causa del Vangelo. “Farò un solo gregge sotto un solo Pastore” (Gv 10,16 e ss.). Cristo regge la Chiesa universale senza condizionarsi tuttavia ai confini che tracciano gli uomini. Ma anche visibilmente Cristo esige l’unità per la quale ha pregato: “Ut unum sint” (Gv 17,21). Volere la Chiesa significa volere la comunione. Le carenze e i tradimenti dei suoi ministri e dei suoi fedeli non possono distruggere il disegno di salvezza fatto da Dio in Gesù Cristo. La Chiesa riconosca le sue colpe come premessa alla riconciliazione che non si può realizzare tuttavia a scapito della verità. Papa Giovanni XXIII, nel suo discorso di apertura del Conc. Vat. II, afferma che convertirsi a Cristo significa fare comunione con tutti i credenti senza cancellare certi articoli del Credo col pretesto che non sono più compresi oggi. L’unità voluta da Dio si realizza soltanto nell’adesione integrale alla verità. Nel contempo il Papa apre alla speranza dell’unità dei cristiani affermando che è molto più forte ciò che ci unisce di quanto ci divide. Il primato della preghiera privata e pubblica costituisce l’anima di tutto il movimento ecumenico che segna le tappe della conversione del cuore. Quando si prega insieme il traguardo dell’unità appare più vicino. Cristo infatti prega in noi, con noi e per noi poiché Egli è la nostra unità. Grande motivo di gioia e di speranza è già il fatto di ritrovarsi, come ad Assisi, a Roma, e in capo al mondo, coi cristiani di altre chiese in preghiera. Il Conc. Vatt. II afferma “... in terra (l’uomo) è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa”. Ogni dialogo ha in sè quindi una dimensione globale, esistenziale che comporta il fatto di saper ascoltare per ottenere di essere ascoltati. L’uomo si può pertanto definire la creatura del dialogo, con Dio innanzitutto e coi fratelli poi per mantenersi sempre in comunione.
Capitolo II: I frutti del dialogo
Dal Conc. Vat. II, è la prima volta nella storia che l’azione in favore dell’unità dei cristiani ha assunto proporzioni così grandi. Si è modificato anche il vocabolario sostituendo la terminologia offensiva con una terminologia di pieno rispetto. Ad esempio l’espressione “fratelli separati” è sostituita dall’espressione “gli altri cristiani” - “gli altri battezzati”. Il Direttorio li designa come Chiese e Comunità che non sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica. La consapevolezza della comune appartenenza a Cristo si approfondisce relegando nell’oblio le reciproche scomuniche del passato. Oggi, queste comunità ecclesiali si aiutano vicendevolmente e prendono insieme posizione, in nome di Cristo, su problemi importanti che toccano la vocazione umana, la libertà, la giustizia, la pace e il futuro del mondo. I cristiani sono impegnati insieme a servizio di queste cause in cui la benevolenza di Dio possa trionfare anche ad opera del Consiglio Ecumenico. Si vedano le traduzioni ecumeniche della Bibbia che, dopo la Costituzione “Dei Verbum”, la Chiesa ha accolto felicemente. Alcune Chiese hanno optato per la celebrazione domenicale liturgica in conformità alla Chiesa cattolica, là dove non si celebra che saltuariamente. Intanto, a causa di divergenze che toccano la fede, non è ancora possibile la concelebrazione pur avendo grande desiderio di celebrare insieme l’unica Eucaristia. In casi particolari, i ministri cattolici possono amministrare i sacramenti ad altri cristiani, come pure i cattolici possono ricevere i sacramenti dai ministri di quelle Chiese in cui essi sono validi. Il dialogo coinvolge, non solo la dottrina, ma tutta la persona come dialogo di amore. I beni presenti negli altri cristiani sono di edificazione anche dei cattolici. Tutto ciò che è autenticamente cristiano non è mai contro la fede. La Costit. “Lumen Gentium” riconosce elementi salvifici anche nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali che spingono verso il ristabilimento dell’unità. Con la Chiesa d'Oriente, col C.V. II, si è ristabilito un legame importante in vista dell’unificazione, avendo già insieme il sacerdozio e l’Eucaristia, oltre alcuni sacramenti. Il 7 dicembre 1965, sono state tolte reciprocamente le scomuniche risalenti al 1054. L’attuale pontefice realizza continui contatti con le varie Chiese di Oriente e di Occidente. Paolo VI auspicava di ritrovare insieme la piena unità nella legittima diversità. Si fa qui una panoramica delle varie relazioni con le Chiese d’Oriente e d’Occidente.
Capitolo III: “Quanta est nobis via?
Quanta strada abbiamo ancora da percorrere? L'unità è ancora lontana anche se è vicina nel desiderio. Si è fatta una sola tappa sinora. Le Comunità ecclesiali sono tutte insieme responsabili e devono aiutarsi vicendevolmente. Diversamente non sarà mai possibile raggiungere l’unità.
Ecco gli argomenti d’approfondire:
1 - Le relazioni tra sacra Scrittura, suprema autorità in materia di fede, e la Tradizione, indispensabile interpretazione della parola di Dio.
2 - L’Eucaristia, sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, offerta di lode al Padre, memoriale sacrificale e presenza reale di Cristo, effusione santificatrice dello Spirito Santo.
3 - L’Ordinazione, come sacramento, al triplice ministero dell’episcopato, del presbiterato e del diaconato.
4 - Il Magistero della Chiesa, affidato al Papa e ai vescovi in comunione con lui, inteso come responsabilità e autorità a nome di Cristo per l’insegnamento e la salvaguardia della fede.
5 - La Vergine Maria, madre di Dio e icona della Chiesa, madre spirituale che intercede per i discepoli di Cristo e tutta l’umanità.
Bisogna mantenere una visione dell’unità che tenga conto di tutte le esigenze della verità rivelata, ciò che non significa mettere un freno al movimento ecumenico. Al contrario significa evitare di accomodarsi in soluzioni apparenti. L’esigenza della verità deve andare fino in fondo perchè ciò è conforme alla legge del Vangelo. Qui si fanno progetti e si afferma la disponibilità ad affrontare un lungo cammino che porti all’unità sia all’interno sia all’esterno della Chiesa e sia con l’apertura a una ricerca costante dell’unità dei cristiani con rispetto tuttavia del ministero d’unità del Vescovo di Roma. La comunione di tutte le Chiese particolari con la Chiesa di Roma rimane la condizione necessaria per l’unità. Il movimento ecumenico del nostro secolo, senza sottovalutare l’importanza degli sforzi del passato, è contraddistinto da una prospettiva missionaria impegnata a sostenere all’interno la riconciliazione dei cristiani per essere, sotto l’impulso dello Spirito Santo, preparata a portare l’annunzio del Vangelo a tutte le genti: “Affinchè siano anch’essi in noi una sola cosa perchè il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
Si conclude l’enciclica con una Esortazione
Ai Vescovi, al clero e ai fedeli della Chiesa Cattolica per indicare la via da seguire verso la celebrazione del Grande Giubileo dell’Anno Duemila col mettersi in linea con l’insegnamento del Vaticano IL come l’Avvento d’attesa di quell’evento che dovrebbe rinnovare la Chiesa e sollecitare la piena comunione di tutti i battezzati. Si esprime la certezza che l’opera dello Spirito Santo farà crescere la sua Chiesa e la condurrà alla piena comunione con gli altri cristiani.
d. G.G.
L’appello all’unità dei cristiani del Conc. Ecumenico Vaticano II, all’approssimarsi del 2000, si fa più insistente. La testimonianza di tanti martiri, appartenenti anche ad altre chiese in questi nostri tempi, infonde nuova forza all’appello conciliare. Cristo chiama tutti i suoi discepoli all’unità affinchè abbiano a professare insieme la stessa verità della Croce. Ci sono muri di divisione e di differenza d’abbattere d’entrambe le parti. I discepoli sono chiamati a riconsiderare insieme il loro doloroso passato animati, con la grazia dello Spirito Santo, dalla volontà di riconciliarsi. È un impegno di conversione che parte da Pietro in forza delle parole di Cristo “Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” - “Io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede” (Lc 22,32). Il Papa invita alla preghiera perchè questa conversione, prima nel capo che nelle sua membra, abbia compimento.
Capitolo I: L’impegno ecumenico della Chiesa cattolica
La Chiesa è una realtà aperta alla dinamica missionaria: si lancia alla conquista per farsi conquistare mirando all’unità. La divisione è di scandalo al mondo e danneggia la causa del Vangelo. “Farò un solo gregge sotto un solo Pastore” (Gv 10,16 e ss.). Cristo regge la Chiesa universale senza condizionarsi tuttavia ai confini che tracciano gli uomini. Ma anche visibilmente Cristo esige l’unità per la quale ha pregato: “Ut unum sint” (Gv 17,21). Volere la Chiesa significa volere la comunione. Le carenze e i tradimenti dei suoi ministri e dei suoi fedeli non possono distruggere il disegno di salvezza fatto da Dio in Gesù Cristo. La Chiesa riconosca le sue colpe come premessa alla riconciliazione che non si può realizzare tuttavia a scapito della verità. Papa Giovanni XXIII, nel suo discorso di apertura del Conc. Vat. II, afferma che convertirsi a Cristo significa fare comunione con tutti i credenti senza cancellare certi articoli del Credo col pretesto che non sono più compresi oggi. L’unità voluta da Dio si realizza soltanto nell’adesione integrale alla verità. Nel contempo il Papa apre alla speranza dell’unità dei cristiani affermando che è molto più forte ciò che ci unisce di quanto ci divide. Il primato della preghiera privata e pubblica costituisce l’anima di tutto il movimento ecumenico che segna le tappe della conversione del cuore. Quando si prega insieme il traguardo dell’unità appare più vicino. Cristo infatti prega in noi, con noi e per noi poiché Egli è la nostra unità. Grande motivo di gioia e di speranza è già il fatto di ritrovarsi, come ad Assisi, a Roma, e in capo al mondo, coi cristiani di altre chiese in preghiera. Il Conc. Vatt. II afferma “... in terra (l’uomo) è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa”. Ogni dialogo ha in sè quindi una dimensione globale, esistenziale che comporta il fatto di saper ascoltare per ottenere di essere ascoltati. L’uomo si può pertanto definire la creatura del dialogo, con Dio innanzitutto e coi fratelli poi per mantenersi sempre in comunione.
Capitolo II: I frutti del dialogo
Dal Conc. Vat. II, è la prima volta nella storia che l’azione in favore dell’unità dei cristiani ha assunto proporzioni così grandi. Si è modificato anche il vocabolario sostituendo la terminologia offensiva con una terminologia di pieno rispetto. Ad esempio l’espressione “fratelli separati” è sostituita dall’espressione “gli altri cristiani” - “gli altri battezzati”. Il Direttorio li designa come Chiese e Comunità che non sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica. La consapevolezza della comune appartenenza a Cristo si approfondisce relegando nell’oblio le reciproche scomuniche del passato. Oggi, queste comunità ecclesiali si aiutano vicendevolmente e prendono insieme posizione, in nome di Cristo, su problemi importanti che toccano la vocazione umana, la libertà, la giustizia, la pace e il futuro del mondo. I cristiani sono impegnati insieme a servizio di queste cause in cui la benevolenza di Dio possa trionfare anche ad opera del Consiglio Ecumenico. Si vedano le traduzioni ecumeniche della Bibbia che, dopo la Costituzione “Dei Verbum”, la Chiesa ha accolto felicemente. Alcune Chiese hanno optato per la celebrazione domenicale liturgica in conformità alla Chiesa cattolica, là dove non si celebra che saltuariamente. Intanto, a causa di divergenze che toccano la fede, non è ancora possibile la concelebrazione pur avendo grande desiderio di celebrare insieme l’unica Eucaristia. In casi particolari, i ministri cattolici possono amministrare i sacramenti ad altri cristiani, come pure i cattolici possono ricevere i sacramenti dai ministri di quelle Chiese in cui essi sono validi. Il dialogo coinvolge, non solo la dottrina, ma tutta la persona come dialogo di amore. I beni presenti negli altri cristiani sono di edificazione anche dei cattolici. Tutto ciò che è autenticamente cristiano non è mai contro la fede. La Costit. “Lumen Gentium” riconosce elementi salvifici anche nelle altre Chiese e Comunità ecclesiali che spingono verso il ristabilimento dell’unità. Con la Chiesa d'Oriente, col C.V. II, si è ristabilito un legame importante in vista dell’unificazione, avendo già insieme il sacerdozio e l’Eucaristia, oltre alcuni sacramenti. Il 7 dicembre 1965, sono state tolte reciprocamente le scomuniche risalenti al 1054. L’attuale pontefice realizza continui contatti con le varie Chiese di Oriente e di Occidente. Paolo VI auspicava di ritrovare insieme la piena unità nella legittima diversità. Si fa qui una panoramica delle varie relazioni con le Chiese d’Oriente e d’Occidente.
Capitolo III: “Quanta est nobis via?
Quanta strada abbiamo ancora da percorrere? L'unità è ancora lontana anche se è vicina nel desiderio. Si è fatta una sola tappa sinora. Le Comunità ecclesiali sono tutte insieme responsabili e devono aiutarsi vicendevolmente. Diversamente non sarà mai possibile raggiungere l’unità.
Ecco gli argomenti d’approfondire:
1 - Le relazioni tra sacra Scrittura, suprema autorità in materia di fede, e la Tradizione, indispensabile interpretazione della parola di Dio.
2 - L’Eucaristia, sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, offerta di lode al Padre, memoriale sacrificale e presenza reale di Cristo, effusione santificatrice dello Spirito Santo.
3 - L’Ordinazione, come sacramento, al triplice ministero dell’episcopato, del presbiterato e del diaconato.
4 - Il Magistero della Chiesa, affidato al Papa e ai vescovi in comunione con lui, inteso come responsabilità e autorità a nome di Cristo per l’insegnamento e la salvaguardia della fede.
5 - La Vergine Maria, madre di Dio e icona della Chiesa, madre spirituale che intercede per i discepoli di Cristo e tutta l’umanità.
Bisogna mantenere una visione dell’unità che tenga conto di tutte le esigenze della verità rivelata, ciò che non significa mettere un freno al movimento ecumenico. Al contrario significa evitare di accomodarsi in soluzioni apparenti. L’esigenza della verità deve andare fino in fondo perchè ciò è conforme alla legge del Vangelo. Qui si fanno progetti e si afferma la disponibilità ad affrontare un lungo cammino che porti all’unità sia all’interno sia all’esterno della Chiesa e sia con l’apertura a una ricerca costante dell’unità dei cristiani con rispetto tuttavia del ministero d’unità del Vescovo di Roma. La comunione di tutte le Chiese particolari con la Chiesa di Roma rimane la condizione necessaria per l’unità. Il movimento ecumenico del nostro secolo, senza sottovalutare l’importanza degli sforzi del passato, è contraddistinto da una prospettiva missionaria impegnata a sostenere all’interno la riconciliazione dei cristiani per essere, sotto l’impulso dello Spirito Santo, preparata a portare l’annunzio del Vangelo a tutte le genti: “Affinchè siano anch’essi in noi una sola cosa perchè il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
Si conclude l’enciclica con una Esortazione
Ai Vescovi, al clero e ai fedeli della Chiesa Cattolica per indicare la via da seguire verso la celebrazione del Grande Giubileo dell’Anno Duemila col mettersi in linea con l’insegnamento del Vaticano IL come l’Avvento d’attesa di quell’evento che dovrebbe rinnovare la Chiesa e sollecitare la piena comunione di tutti i battezzati. Si esprime la certezza che l’opera dello Spirito Santo farà crescere la sua Chiesa e la condurrà alla piena comunione con gli altri cristiani.
d. G.G.
S. LORENZO, 10 AGOSTO 1995
La festa patronale di S. Lorenzo ha riunito di nuovo la popolazione zognese nelle tradizionali celebrazioni vissute con rinnovato entusiasmo. È stata preparata anche con una predicazione straordinaria tenuta, a introduzione della sagra, da Mons. Gianfranco Gherardi, e, nel triduo immediato alla festa, da Padre Giancarlo Rinaldi. La celebrazione delle ore undici, nella solennità, è stata presieduta dal nostro Vescovo di Bergamo, Sua Ecc. Mons. Roberto Amadei, che ha rivolto calde esortazioni nell’omelia ai presenti perchè avessimo a praticare gli insegnamenti del santo patrono che non perse di vista lo scopo della vita donandosi nella piena fedeltà a Dio e ai fratelli. Il Vescovo poi si è intrattenuto per il pranzo tradizionale offerto all’oratorio. La processione del pomeriggio, col simulacro del santo, ha percorso le vie del centro, come di solito, coinvolgendo una folla di partecipanti. Abbiamo infatti notato la presenza di numerose famiglie, coppie di giovani sposi e di fidanzati, gruppi di amici, emigranti tornati in paese per la solenne circostanza, alcuni villeggianti ed extracomunitari ormai da tempo di famiglia a Zogno. Ancora una volta abbiamo dovuto constatare, non senza un velato compiacimento, la testimonianza di fede della nostra gente unita nella preghiera con tanta spontaneità e devozione per supplicare il santo patrono in favore di tutti i problemi che affliggono questa nostra povera umanità soprattutto in questi tempi insanguinati dall’odio e dalle guerre fratricide. L’esempio di S. Lorenzo di fedeltà a Dio e ai fratelli, soprattutto se poveri e bisognosi, deve costituire la caratteristica fondamentale della nostra vita cristiana se vogliamo testimoniare la fede in perfetta sintonia col patrono che da oltre mille anni vigila sulla nostra comunità parrocchiale e civile. Un grazie vivissimo a tutta la popolazione e a quanti sacerdoti, religiose e laici, hanno contribuito a rendere solenne e vissuta la sagra e la festa patronale di S. Lorenzo.
Don Giulio
Don Giulio
BREVE RIFLESSIONE SULLA PARROCCHIA
COME PREMESSA AL PIANO PASTORALE
Già prima del Concilio si era stigmatizzata la parrocchia definendola struttura superflua e ingombrante d’abbattere. Col Conc. Vat. II, si è riscoperta la parrocchia come luogo privilegiato dell’incontro con Cristo e si è passati dalla definizione di Chiesa come società alla definizione di Chiesa come comunità di fede in cui si rivela la presenza del Mistero di Cristo nascosto nei secoli che passa attraverso le nostre realtà corporali (cfr. L.G.). Nella parrocchia, infatti, come comunità di fede, si rende visibile il Corpo di Cristo di cui noi siamo, secondo S. Paolo, le membra mentre Egli ne è il Capo che le vivifica in perfetta comunione come la vite e i tralci formando così un’unica realtà, cioè la Chiesa. La parrocchia non è una porzione di Chiesa, ma in lei è presente tutta la Chiesa coi suoi mezzi di santificazione che sono la parola di Dio e i sacramenti. Praticamente è presente Gesù Cristo che giustifica e salva i suoi fedeli. Oggi tuttavia la parrocchia sembra stia soffrendo una profonda crisi di identità perchè si sente disorientata di fronte ai repentini cambiamenti per cui insorgono serie difficoltà di non facile soluzione nel programmare la pastorale sulla base delle reali necessità. La maggior parte dei fedeli, che costituiscono questa comunità di fede, non figurano più in perfetta sintonia col Capo nelle scelte della loro vita, per cui la parrocchia corre il rischio di fingere di offrire i mezzi della salvezza e di essere scuola di fede in un marasma di contraddizioni tali da frustrare l’efficacia della sua missione di portare Cristo alle anime. Sappiamo che il problema della fede è Dio che salva. Dio cammina infatti, fortunatamente, sulle strade dell’uomo, come Gesù sulla Via di Emmaus e sulla Via di Damasco, per incontrare l’uomo da convertire. È da questo incontro che scaturisce la fede, cioè il fatto di riconoscere Gesù che spiega le Scritture, spezza il pane e si fa mediatore tra Dio e gli uomini. Gli operatori della pastorale, coloro che rappresentano il Cristo, devono quindi percorrere le strade dell’uomo con l’annuncio del Regno: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15). Se le vie dell’uomo sono anche le vie di Dio, non potremo incontrare nè Dio nè l’uomo da salvare fin che rimarremo ancorati alle nostre sicurezze e all’ambiente in cui ne esercitiamo la padronanza e il controllo. La prima strada da percorrere è la famiglia che oggi porta con sè la frustrazione della sua incapacità o insufficienza a educare i figli, così fragili e incostanti, costretti dalla sventura a dove affrontare il mondo così perverso ma pronto ad accoglierli per sfruttarli. La famiglia, comunque sia imbastita, va sempre apprezzata, sostenuta e valorizzata perchè è fonte di umanità più di ogni altra istituzione. Segue la scuola, palestra di vita complementare a servizio della famiglia. Tuttavia pure essa manda oggigiorno segnali di una profonda crisi di identità perchè non sempre impegnata alla ricerca dei valori, cioè del vero, e non sempre affronta lo sviluppo e la difesa della dignità umana fingendo di insegnare ciò che non è più in grado d’insegnare. Così nella società vengono a mancare i maestri della vita capaci di spronare i giovani soprattutto alla ricerca della verità. “La verità dell’uomo è ciò che fa di lui un uomo!” (Antoine de Saint Exupery). Quando una società è sprovvista di uomini formati e carismatici precipita nel caos dell’anarchia. Il progetto uomo l’ha fatto Dio per tutti. Ma chi mai oggi fa riferimento a questo progetto anche di fronte all’esperienza della macchina umana che non funziona? Sembra che l’uomo voglia rivendicare ancora una volta, come Adamo ed Èva, la propria libertà nei suoi confronti, col risultato di divenire schiavo di se stesso e delle cose che sono nel mondo. Ma se l’uomo si allontana da Dio, Dio lo persegue comunque su qualsiasi strada egli si trovi a percorrere. L’uomo anche sulle vie sbagliate della propria vita dimostra di essere sempre alla ricerca di ciò di cui possa pienamente appagarsi. E chi mai lo potrà pienamente appagare se non Dio? Se da una parte l’uomo non può far senza Dio, dall’altra sembra che anche Dio non possa far senza dell’uomo. La parrocchia non risolve pertanto la sua missione quando si accontenta di essere la gettoniera dei sacramenti e rifiuta di percorrere col suo messaggio divino le strade dell’uomo che Dio stesso percorre. Il narcisismo o il compiacimento di sè e delle realizzazioni in casa propria può costituire un segno di crisi della nostra pastorale per cui ci viene a mancare lo slancio missionario e la capacità di apertura ai problemi del nostro tempo. Il nuovo orizzonte della società odierna ci invita a sradicare le siepi dei recinti dei nostri orticelli per fare spazio alla vigna del Signore che si estende assai oltre se vogliamo insieme costruire il suo Regno.
D. Giulio G.
D. Giulio G.
TORNANO I MORTI
È nella comune credenza delle nostre popolazioni che i morti tornano e non soltanto in novembre per la commemorazione. Si fanno sentire in qualche maniera, ti aiutano nelle tue necessità, ti proteggono come angeli tutelari della famiglia. Anche i morti della peste o vittime d’incidenti stradali, ricordati lungo le vie con santelle o cippi commemorativi, proteggono i viandanti. Se tornano i morti è perchè sono vivi, e tali sono ritenuti, pur non avendo voce per farsi sentire e non avendo che il viso dei ritratti rimasti a loro ricordo per farsi riconoscere. Comunque tornano, o meglio non se ne sono mai andati via se non con la parte dolorosa della loro esistenza terrena, cioè col loro corpo riposto nel grembo della madre terra in attesa della risurrezione finale. Non si eleverebbero tombe e non si ornerebbero i sepolcri se si ritenesse che tutto fosse caduto nel nulla annientato dalla morte che può aggredire soltanto ciò che di mortale è in noi. Circa la sopravvivenza dei defunti, anche l’uomo della preistoria ha lasciato testimonianze preziose come l’uso di fornire le sepolture di vivande e degli attrezzi di lavoro e il fatto di seppellire i morti rannicchiati nelle grotte (come per noi nella Grotta di Andrea a Zogno) o in aperta campagna (come le sepolture di Remedello nel bresciano) riponendoli così nel grembo della natura, come furono nel seno della madre, in attesa della rinascita a vita nuova. L’uomo persegue istintivamente in vita il pieno appagamento di se stesso senza poterlo conseguire. Gli rimane tuttavia sempre la speranza di poter conseguire nell’oltre tomba ciò che non gli è stato concesso di poter conseguire nella vita terrena. È un’esperienza questa che appartiene alla natura stessa umana e che l’uomo non si è dato per conto proprio, da se stesso, ma che avverte come richiamo del Creatore alla sua creatura perchè abbia a tendere verso il fine della vita terrena, cioè verso la vita immortale dell’aldilà. Nella nostra cultura si afferma “Ol màl e’l bé, prèst o tàrde al tùrna ‘ndré e l’è semper tò de té!”. I santi dicevano “È tanto il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto!”. E ancora da noi corre il detto “Ol Signùr al paga mìa tòcc i sàbecc, ma l’rìa semper a ùra a pagà!”. Si afferma così la legge del contrappasso confermata ampiamente dal Vangelo. Ricordiamo alcuni passi: il discorso delle beatitudini (Mt 5,6 ss.); la sentenza che emanerà Gesù Cristo Giudice alla fine del mondo sui buoni e sui cattiyi (Gv 5,18-28); la parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro (Lc 16,20); l’ammonimento di Gesù circa lo scandalo: “Se il tuo occhio ti scandalizza, strappalo, se il tuo piede o la tua mano ti scandalizza, tagliali. È meglio per te andare alla vita eterna con un occhio, un piede, una mano, piuttosto che andare alla perdizione con due occhi, due piedi, due mani” (Mt 5,9 e 18,9 e Mc 9,46). I nostri morti sono quindi più che vivi perché sono andati con Cristo e con Cristo tornano a prenderci perchè abbiamo a essere anche noi là dove sono loro. Gesù, in prossimità della sua dipartita da questo mondo, conforta i suoi discepoli dicendo: Io vado a prepararvi un posto e quando sarò andato e vi avrò preparato un posto tornerò e vi prenderò con me perchè siete anche voi dove sono io” (Gv 14,2-3). Anche da noi, quando si avverte la vicinanza della morte, si usa dire: “A i vé i mé pòer mòrcc a tòm!” O addirittura, stanchi di soffrire, si invocano i propri morti: “Cosse spetìf a ègn a tòm!” C’è anche la preghiera: “Anime sànte del purgatòre, preghì per noter che n’pregherà a nù per vòter!”. Si esprime pertanto un rapporto con l’aldilà che comporta il fatto di mantenersi in comunione di spirito coi propri defunti ai quali si fa ricorso nei momenti più disperati della propria vita con la persuasione di essere soccorsi. La vera comunione coi propri morti esige tuttavia lo stato di grazia perchè chi vive nel peccato non è più in comunione neppure con se stesso. È indispensabile quindi accostarsi al sacramento della riconciliazione con Dio che realizza pure la riconciliazione coi propri morti in attesa di poter superare lo scoglio della nostra morte che spalancherà a noi pure l’orizzonte del regno dei cieli. È così che la terra si ricongiunge al cielo quando c’è questa apertura al divino che avviene con la preghiera, coi sacramenti e con la perseveranza delle buone opere. È così che tornano i nostri morti a fare comunione con noi quando riscopriamo in Gesù Cristo la loro presenza.
Don Giulio G.
Don Giulio G.
NATALE 1995
Natale è la festa del bambino, quindi della vita che si rinnova in mezzo a noi, in ogni famiglia. È la festa della luce. Non c’è raggio luminoso più splendido di quello che si riflette negli occhi di un bambino, tanto più se si tratta del Figlio di Dio nato da Maria Vergine. Quella luce è tutta divina di cui l’evangelista Giovanni afferma che è venuta nelle tenebre del mondo per illuminarle. È luce divina, pertanto divinizzante per chi l’accoglie perchè ci rende capaci di diventare figli di Dio, i figli della vera luce che splende eternamente nei cieli. Gesù, in ogni bambino ci ripropone l’esempio da seguire per divenire capaci di riflettere la luce del suo amore. Tornare bambino è bello perchè si torna a essere come gli esploratori del regno dei cieli prima ancora di giungervi. Infatti, la realtà per un bambino è ciò che sa sognare. E ogni bambino sogna le cose più belle della vita; sogna di poter giocare staccando la luna e le stelle dal cielo, mentre l’adulto sogna di poter diventare padrone della terra mettendo sotto i piedi i propri simili. Ecco in che cosa consiste il Natale per ciascuno di noi: tornare semplici come i bambini, come l’acqua alla scaturigine della sorgente prima che nel suo percorso abbia a inquinarsi. È la rinascita di chi risale, come sorgente a ritroso, dallo stato di morte, per il peccato, alla luce di Cristo risorto, anche con l’ausilio dei sacramenti. È Natale quando si apre il cuore all’amore perché ogni fratello senta la gioia di vivere e di sperare. Se il figlio di Dio è sceso sulla terra a nascere povero tra i poveri, non può che significare la sua piena condivisione della povertà e della emarginazione dei fratelli più piccoli che non contano al mondo se non per essere sfruttati e umiliati. C’è anche il Natale del consumismo da cui si corre il rischio di lasciarsi ingenuamente coinvolgere nella rosea prospettiva di morire avvelenati, sommersi dai propri rifiuti. Intanto si assiste indifferenti al massacro d’intere popolazioni e alla straziante morte di milioni di bambini dilaniati dalla fame e dalla violenza. Si celebra così sbrigativamente il funerale del Dio-Bambino appena nato o soppresso già prima di nascere. Alla fine del mondo il Giudice Divino non dirà forse ai responsabili: “Avevo diritto di nascere e mi avete soppresso; avevo diritto di vivere e mi avete ucciso; avevo diritto a un posto nella società e mi avete emarginato; ero venuto nel mondo per amare e mi avete negato l’amore!” Ritroviamo il coraggio di dire sempre di sì alla vita anche per chi stoltamente la sopprime. Dio si è fatto uomo per la salvezza di tutti e ama sempre ogni sua creatura umana perchè ciascuno possa trovare spalancata la porta della sua misericordia e del perdono in qualsiasi momento voglia decidere di arrendersi all’amore che salva.
Buon Natale di vero cuore a tutti.
Aff.mo vostro don Giulio
Buon Natale di vero cuore a tutti.
Aff.mo vostro don Giulio
PROGRAMMA PASTORALE DELLA
PARROCCHIA DI ZOGNO 1995/96
A = Programma
L’anno Liturgico è il binario su cui si snoda il programma pastorale che comporta sempre il triplice impegno della catechesi a ogni livello, della celebrazione della parola di Dio e della testimonianza. “Ex auditu, fides” afferma l’apostolo Paolo. Se la parola di Dio non giunge al nostro orecchio, non può esaminare la fede nel nostro cuore. Come si crede infatti si vive poiché le nostre opere sono adeguate alle nostre convinzioni: “Il tuo cuore è là dove hai riposto il tuo tesoro” (Mt 6,21 e Lc 12,34). Da qui la necessità della fede che scaturisce dalla parola di Dio e viene nutrita dalle buone opere. Tutto ciò comporta l’impiego di tempo e di mezzi inseriti in un programma di vita cristiana a livello personale e comunitario. Ciò che non si programma, non si realizza! L’Anno Liturgico ci offre, come già detto, il binario su cui immettere il nostro programma da realizzare nell’impegno di catechesi, di celebrazione e di testimonianza. Basta decidersi a imporsi un programma. In fatto di fede non è mai ammessa la delega perchè esige il coinvolgimento personale e comunitario di ciascuno di noi. Poi “L’unione fa la forza” poiché ci si arricchisce reciprocamente se è vero che nella misura in cui sappiamo donarci, sappiamo anche ricevere: sia nella conoscenza di Cristo che è in noi come via, verità e vita (Gv 14,16), sia nella celebrazione dei divini misteri che rendono di attualità tutta l’opera della redenzione (“Hodie Christus natus est, mortuus est, resurrexit”) e sia nella testimonianza poiché Cristo esige di essere riconosciuto in tutti i fratelli soprattutto se bisognosi e poveri. Lungo il percorso liturgico si deve quindi dare vita alle iniziative programmate in risposta alle esigenze della situazione parrocchiale verificate mediante un’accurata lettura che coinvolge tutte le componenti della pastorale e che viene comunque passata al filtro del C.P.P. tenendo sempre presente che lo Spirito Santo opera anche a insaputa di tutti gli organismi parrocchiali e di questi suoi mirabili effetti, che costituiscono praticamente i segni dei tempi, si deve essere particolarmente testimoni e pronti a riconoscerli e a valorizzarli. Queste premesse devono sempre essere presenti alla nostra attenzione per poterle poi applicare sul piano pratico della pastorale lungo il percorso dell’Anno Liturgico.
B = Sul piano pratico:
1° - È indispensabile il calendario tenendo conto che per motivi imprevisti possa subire aggiustamenti lungo il percorso dell’anno. Tutti i gruppi ecclesiali presenti in parrocchia devono darsi un calendario delle loro attività da inserire nel calendario generale della parrocchia per evitare sovrapposizioni o peggio ancora d’ignorarsi reciprocamente.
2° - È indispensabile fare riferimento sia alle fonti e sia alle priorità proposte dal Vescovo a livello diocesano: (L’Anno Liturgico, riconoscendo che senza questo binario non si cammina; la Missionarietà, apertura a Cristo nell’uomo, eliminando qualsiasi discriminazione o rifiuto all’interno e all’esterno della comunità di fede incentrata su Cristo; la formazione permanente dei laici attraverso la catechesi a ogni livello, incontri di preghiera e di aggiornamento sui problemi della famiglia e della pastorale; la pastorale vocazionale tenendo presente che aspettano a Dio anche le decime sulle primizie umane da destinare al servizio delle comunità).
3° - È indispensabile distribuire i compiti ai vari gruppi in piena collaborazione tra di loro e col C.P.P. per far nascere il senso di unità nell’amore per la Chiesa come comunità di fede dei credenti convocati da Cristo attorno all’Eucarestia, evitando comunque di dare l’impressione di voler appaltare le iniziative pastorali.
4° - È indispensabile fissare dei tempi di verifica a livello di C.P.P. seguendo le scadenze liturgiche per avere una guida sicura: come il mese di ottobre per la missionarietà, i tempi forti per la formazione permanente dei laici, a inizio e a fine d’anno per tutti.
5° - È indispensabile porre la famiglia al centro della vita parrocchiale che per quanto a volte sia sbagliata è comunque sempre migliore di qualsiasi istituzione alternativa perchè fonte inesauribile di umanità, base inconcepibile per costruirvi sopra l’uomo e il cristiano. I figli si coinvolgono coi genitori e i genitori coi figli creando esperienze di solidarietà cristiana tra le famiglie stesse.
6° - È indispensabile curare la pastorale della sofferenza (Caritas) perchè acquisti l’autentica dimensione comunitaria che coinvolga tutti nella presenza di Cristo crocifisso che toma a patire e a morire in ciascuno di noi man mano che giunge la nostra ora della grande prova da cui nessuno può scampare. Da questo momento dobbiamo intenderci sulle decisioni pratiche da prendere e sulla condivisione della responsabilità da distribuire tra i gruppi circa i singoli impegni.
L’anno Liturgico è il binario su cui si snoda il programma pastorale che comporta sempre il triplice impegno della catechesi a ogni livello, della celebrazione della parola di Dio e della testimonianza. “Ex auditu, fides” afferma l’apostolo Paolo. Se la parola di Dio non giunge al nostro orecchio, non può esaminare la fede nel nostro cuore. Come si crede infatti si vive poiché le nostre opere sono adeguate alle nostre convinzioni: “Il tuo cuore è là dove hai riposto il tuo tesoro” (Mt 6,21 e Lc 12,34). Da qui la necessità della fede che scaturisce dalla parola di Dio e viene nutrita dalle buone opere. Tutto ciò comporta l’impiego di tempo e di mezzi inseriti in un programma di vita cristiana a livello personale e comunitario. Ciò che non si programma, non si realizza! L’Anno Liturgico ci offre, come già detto, il binario su cui immettere il nostro programma da realizzare nell’impegno di catechesi, di celebrazione e di testimonianza. Basta decidersi a imporsi un programma. In fatto di fede non è mai ammessa la delega perchè esige il coinvolgimento personale e comunitario di ciascuno di noi. Poi “L’unione fa la forza” poiché ci si arricchisce reciprocamente se è vero che nella misura in cui sappiamo donarci, sappiamo anche ricevere: sia nella conoscenza di Cristo che è in noi come via, verità e vita (Gv 14,16), sia nella celebrazione dei divini misteri che rendono di attualità tutta l’opera della redenzione (“Hodie Christus natus est, mortuus est, resurrexit”) e sia nella testimonianza poiché Cristo esige di essere riconosciuto in tutti i fratelli soprattutto se bisognosi e poveri. Lungo il percorso liturgico si deve quindi dare vita alle iniziative programmate in risposta alle esigenze della situazione parrocchiale verificate mediante un’accurata lettura che coinvolge tutte le componenti della pastorale e che viene comunque passata al filtro del C.P.P. tenendo sempre presente che lo Spirito Santo opera anche a insaputa di tutti gli organismi parrocchiali e di questi suoi mirabili effetti, che costituiscono praticamente i segni dei tempi, si deve essere particolarmente testimoni e pronti a riconoscerli e a valorizzarli. Queste premesse devono sempre essere presenti alla nostra attenzione per poterle poi applicare sul piano pratico della pastorale lungo il percorso dell’Anno Liturgico.
B = Sul piano pratico:
1° - È indispensabile il calendario tenendo conto che per motivi imprevisti possa subire aggiustamenti lungo il percorso dell’anno. Tutti i gruppi ecclesiali presenti in parrocchia devono darsi un calendario delle loro attività da inserire nel calendario generale della parrocchia per evitare sovrapposizioni o peggio ancora d’ignorarsi reciprocamente.
2° - È indispensabile fare riferimento sia alle fonti e sia alle priorità proposte dal Vescovo a livello diocesano: (L’Anno Liturgico, riconoscendo che senza questo binario non si cammina; la Missionarietà, apertura a Cristo nell’uomo, eliminando qualsiasi discriminazione o rifiuto all’interno e all’esterno della comunità di fede incentrata su Cristo; la formazione permanente dei laici attraverso la catechesi a ogni livello, incontri di preghiera e di aggiornamento sui problemi della famiglia e della pastorale; la pastorale vocazionale tenendo presente che aspettano a Dio anche le decime sulle primizie umane da destinare al servizio delle comunità).
3° - È indispensabile distribuire i compiti ai vari gruppi in piena collaborazione tra di loro e col C.P.P. per far nascere il senso di unità nell’amore per la Chiesa come comunità di fede dei credenti convocati da Cristo attorno all’Eucarestia, evitando comunque di dare l’impressione di voler appaltare le iniziative pastorali.
4° - È indispensabile fissare dei tempi di verifica a livello di C.P.P. seguendo le scadenze liturgiche per avere una guida sicura: come il mese di ottobre per la missionarietà, i tempi forti per la formazione permanente dei laici, a inizio e a fine d’anno per tutti.
5° - È indispensabile porre la famiglia al centro della vita parrocchiale che per quanto a volte sia sbagliata è comunque sempre migliore di qualsiasi istituzione alternativa perchè fonte inesauribile di umanità, base inconcepibile per costruirvi sopra l’uomo e il cristiano. I figli si coinvolgono coi genitori e i genitori coi figli creando esperienze di solidarietà cristiana tra le famiglie stesse.
6° - È indispensabile curare la pastorale della sofferenza (Caritas) perchè acquisti l’autentica dimensione comunitaria che coinvolga tutti nella presenza di Cristo crocifisso che toma a patire e a morire in ciascuno di noi man mano che giunge la nostra ora della grande prova da cui nessuno può scampare. Da questo momento dobbiamo intenderci sulle decisioni pratiche da prendere e sulla condivisione della responsabilità da distribuire tra i gruppi circa i singoli impegni.