1992
SEMPRE A PROPOSITO DEL PIANO PASTORALE
"IL GIORNO DEL SIGNORE"
I mali del nostro tempo ci appartengono come epidemie da curare insieme nell'ambito della nostra comunità civile e religiosa. Gesù Cristo, in diatriba coi suoi avversari che gli rinfacciavano di cacciare i demoni col potere del principe dei demoni, afferma: "Un regno diviso in se stesso non può sussistere, è destinato a crollare" (Mc 3,22). Sono parole capaci di stigmatizzare la nostra situazione odierna in cui ci troviamo gli uni contro gli altri armati, cioè in disarmonia con noi stessi. L'individualismo si sta radicando profondamente creando l'intolleranza irriducibile all'insegna di una democrazia fasulla che si rivela ben presto come una forma di anarchia. Mentre da una parte cade la tirannide di un potere assoluto, dall'altra proliferano i tirannelli creando situazioni a volte peggiori della stessa tirannide che, a causa dei nuovi disagi, comincia già a suscitare una certa nostalgia negli animi delle persone pacifiche. Sembra che l’uomo sia rimasto ancorato ai tempi dell'asino in cui non si poteva sottomettere che col bastone e la carota. Si stanno realizzando ulteriormente le parole del profeta Isaia "L'uomo è stato mercanteggiato e svenduto a vil prezzo". Si è infranto infatti il rispetto alla persona, valore assoluto senza confronti. Basti ricordare con l'aborto, lo sfruttamento, il sequestro delle persone, il razzismo, la malavita e la speculazione a ogni livello, l’inquinamento, ecc., come prove inconfutabili che la persona non è tenuta in nessun conto. Senza abbandonarci a sterili recriminazioni, dobbiamo renderci conto che ci stiamo incamminando sull'orlo della catastrofe. Accusiamo la mancanza dello Stato, purtroppo, ma dobbiamo pure accusare la mancanza della famiglia e della comunità alla base, civilmente e cristianamente parlando. La causa di ciò è che vogliamo tutti la moglie ubriaca e la botte piena. Non sappiamo sacrificare nulla o sacrifichiamo troppo poco per promuovere la comunità da cui attendiamo ciò che non può darci. La comunità non basta presumerla, bisogna costruirla mettendoci dentro ciascuno il proprio contributo a fondo perduto nel rispetto reciproco delle persone e delle cose, ben sapendo che non può costituire un bene per noi ciò che nello stesso tempo non è un bene anche per gli altri. Fin che la comunità non ci coinvolge personalmente non ci appartiene che per sfrattarla e per denigrarla. Sul piano pastorale Dio interviene a costruire con l'uomo la comunità di fede. È come un impianto elettrico, se Dio costituisce la fase positiva, l'uomo deve costituire la fase negativa, pena la frustrazione dell'opera di Dio che non può sostituirsi all'uomo poiché ciascuno deve svolgere la propria parte. Il giorno del Signore ci offre l'occasione più propizia per questa realizzazione perchè ci invita a confrontarci insieme con la parola di Dio da celebrare e da testimoniare con tutta la vita. La comunità tuttavia non possiamo costruirla che con le persone che abbiamo attorno. L'evasione, per fare altrove ciò che non sappiamo operare in casa nostra, è la più patente dichiarazione che ci sentiamo dei falliti e incoerenti, come una gallina che pur beccando nel proprio pollaio va poi a deporre le uova, se sono veramente uova, nel nido di altri pollai. Anche questo comportamento è segno di sterilità spirituale. L'impresa della comunità è pressocchè impossibile quando si è in troppo pochi ad affrontarla, col rischio che abbia fra l'altro a sembrare un ghetto, mentre diventa di più facile e interessante realizzazione quando ci si trova in molti a metterci mano. Andare alla messa e alla Catechesi e partecipare alle iniziative parrocchiali significa accettare di essere comunità di fede, cioè parte viva del Corpo di Cristo che è la Chiesa, ciò che nessuno può essere per conto proprio individualmente col rifiuto della comunità. Andare alla Messa vuol dire convertirsi a Dio nella comunità: è la strada del figliol prodigo che dopo la triste esperienza del peccato toma alla casa del Padre. Se la strada di Dio è l'uomo, va inteso come comunità, è la strada dei peccatori che Dio percorre per riunirci nel suo amore e nella sua misericordia di cui nessuno può vantare di possederne il monopolio. Tornare dalla Messa poi vuol dire percorrere con Dio la strada del buon Samaritano per portare a tutti la testimonianza dell'amore divino sul piano pratico delle buone opere. Dio non ci richiama a sè per tenerci gelosamente con sè, ma per spedirci nel mondo a portare il messaggio della sua misericordia. A volte le nostre comunità parrocchiali ci sembrano traballanti. Insorge in noi il desiderio d'intervenire a picconate ma col rischio di fare un cattivo servizio. Lo scopo della pastorale non è mai quello di spegnere il lucignolo fumigante e di spezzare la canna fessa, come dice la Bibbia, ma di fare un servizio di promozione affidando a Dio l'efficacia della nostra collaborazione e disponibilità. Si afferma che ha fatto più bene alla Chiesa l'opera di S. Filippo Neri, l'apostolo della dolcezza e della carica umana, che non l'opera focosa del Savonarola radicale e intransigente. A volte noi facciamo la scelta del "summum jus, summa injurja", cioè, secondo il diritto romano, di voler raddrizzare le gambe ai cani per averle poi da gettare, piuttosto che accontentarci di salvare il salvabile. Tornando all'immagine dell'impianto elettrico, il nostro contributo è indispensabile ma è pur sempre in fase negativa fin che non si trova in sintonia con l'intervento di Dio che è sempre in fase positiva. La responsabilità ultima della salvezza se la riserva Dio medesimo e non risulta che l'abbia mai affidata a nessun uomo.
d. Giulio
d. Giulio
LA POLITICA E IL CRISTIANO
La Politica, intesa come buon governo della comunità, costituisce una importante dimensione in cui l'uomo, cittadino, è chiamato a vivere la propria vocazione operando per il riconoscimento reciproco delle persone, per la giustizia e per la pace. Tutto ciò rientra in un disegno che Dio ha fatto per questo mondo sin dall'origine quando, creato l'uomo, gli disse al plurale: "...soggiogate e dominate la terra" (Gn 1, 28). I cristiani, essendo cittadini di questa terra, hanno il diritto e il dovere di partecipare alla vita politica per far regredire l'ingiustizia, la violenza, lo sfruttamento delle persone più deboli e per costruire così un futuro più umano per tutti. L'invadenza a tutti livelli degli sfruttatori nell'ambito della politica e dell'organizzazione burocratica del paese è diventata una gravissima piaga per l'Italia. È una causa questa non affatto secondaria della proliferazione delle leghe e della sfiducia dei cittadini ormai in misura irriducibile di fronte alla cosa pubblica. La Chiesa non ha l'ambizione di reggere la società nè la presunzione di risolvere i problemi che l'affliggono, ma sente bensì come propria la missione di chiamare in causa i laici che si ispirano ai principi del Vangelo e della dottrina sociale proposta dai pontefici a partire da Leone X° sino a Giovanni Paolo II° perchè abbiamo a contribuire all'instaurazione di una vita sociale migliore. La vitalità di una società e la pertinenza di una politica richiedono un popolo di persone capaci di credere, di amare e di sperare. Si esigono innanzitutto persone capaci di credere. La fede immette nell'universo, che costituisce il disegno di Dio sull'universo, una storia di salvezza attraverso la responsabilità e la collaborazione delle persone che credono. Il Vangelo non contiene la formula magica per risolvere i problemi concreti dell'uomo, tuttavia suggerisce ciò che la coscienza medesima approva, cioè il bene da compiere e il male da evitare. Chiede all'uomo la solidarietà coi fratelli più poveri e va oltre la giustizia umana facendo appello anche alla misericordia divina. Aprirsi alla fede significa rinunciare agli idoli della ricchezza e del potere come fine a se stessi perchè rendono l'uomo schiavo del proprio simile, significa tener sempre presente il progetto uomo proposto da Dio attraverso la Rivoluzione. Si richiedono poi persone capaci di amare, capaci di vivere il più grande comandamento della carità che impegna ad amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stessi. Presso Dio infatti non esiste differenza di persone (At 10,34). Davanti a Dio siamo tutti uguali. S. Paolo afferma (2Cr 5,14): "Caritas Christi urget nos" - è l'amore di Cristo che ci sospinge verso i fratelli - per cui la persona che testimonia la carità nell'ambito della politica si rivela capace di promuovere la dignità dell'uomo e il riconoscimento pieno dei suoi diritti senza alcuna discriminazione. Dio non ha creato l'uomo tutto fatto ma con la capacità di promuoversi mediante scelte e decisioni umanizzanti. I favoritismi "ad personam" vengono così a cadere perchè sono discriminazioni ispirate dagli interessi dei privati e non già dal bene comune. Si esigono inoltre persone capaci di sperare, aperte e tese a un avvenire in Cristo. Lo scoraggiamento è segno di sconfitta e la disperazione è già segno di morte, perchè provoca l'irreparabile, mentre la speranza fa risplendere l'avvenire in Cristo morto e risorto. La tomba vuota di Cristo risorto è il segno che non esistono più prove insormontabili sul cammino del destino dell'uomo. In Cristo risorto ogni uomo è chiamato a vivere pienamente la propria storia che non è tale fin che non diventa la promozione piena della storia di tutta l'umanità, ciò che può sembrare un'utopia, ma bisogna saper dare tempo al tempo proprio perchè i tempi di Dio non sono i nostri tempi. Intanto la storia va vissuta nella attualità e va programmata nel suo avvenire come l'avvento di Cristo che da concepimento al suo Regno in ciascuno di noi. Diventa così la storia come un mosaico o meglio un arazzo che si va completando. La fine della storia esige la definitiva liberazione degli uomini dalla schiavitù "padrone-servo" e "denaro-potere" perché Dio possa essere tutto in tutti. I fallimenti, le prove, la fragilità umana ci appartengono e non vanno letti in chiave di sanzione e di condanna ma come provvidenziali appelli alla conversione, a cambiare finalmente il punto di prospettiva e la mentalità ottusa che ci impediscono di uscire dalle contraddizioni della vita che si riflettono pure nell'ambito della politica ogni volta che non viene intesa come apertura all'uomo e al suo fine ultimo da conseguire in forza della vocazione di donarsi a Dio passando attraverso la via dei fratelli, come il buon samaritano della parabola del Vangelo.
dg
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PROBLEMA GIOVANI, PROBLEMA DI FEDE
Mentre ci si preoccupa in questi tempi di affrontare il problema della morte, rimane sempre aperto il problema giovani. Abbiamo dei giovani a rischio, e non pochi, che inseguono la cultura della morte, o meglio la subiscono, perchè non hanno trovato nè il tempo nè l'ambiente idoneo alla loro crescita e pertanto non sono diventati adulti, cioè responsabili nel senso della vita umana e nel senso della fede. Si passa da un estremo all'altro. Abbiamo dei giovani che sono cresciuti o stanno crescendo come i gatti sul sofà. Trovano infatti assai comodo prolungare la loro adolescenza in casa, viziati dai genitori. A volte si tratta di figli unici, la scelta all’origine è stata questa. I genitori, temono di perderli, li allevano come uccelli in gabbia. Di fronte abbiamo purtroppo dei giovani senza famiglia, abbandonati a se stessi, costretti a vivere sulla strada. Chi è troppo alla dipendenza della famiglia e chi senza, ma presto, gli estremi si toccano, vengono a trovarsi questi e quelli nelle medesime condizioni da tossicodipendenti a sbandati, da frustrati e immaturi a demotivati, da fragili e annoiati a vecchi già prima di cominciare a crescere, da ladri dediti a ogni espediente ad assassini persino dei propri genitori per quattro soldi da spendere nel vizio. Tutto vogliono ma con la fatica degli altri, sfruttano chi nella vita ha già dato tutto. Da una parte abbiamo giovani costretti a crescere come querce piantate in piccoli vasi esposti al balcone di casa, divorata quella poca terra, si afflosciano. Dall'altra abbiamo i giovani seminati come arboscelli primaverili lungo il percorso dei fiumi in piena da cui vengono sradicati e travolti ancora prima che fioriscano. In ogni caso si tratta di una ricchezza umana frustrata anzitempo, mortificata e provata dello spazio indispensabile per la crescita sotto ogni aspetto. Dobbiamo accusarci di una duplice sconfitta: umana e cristiana. Inibita la crescita dell'uomo, viene meno il supporto anche per la crescita del cristiano per cui non si diventa adulti responsabili nè da una parte nè dall'altra. Evitiamo la tentazione di pensare che la natura oggi non sia più in grado di fornirci esemplari genuini. Se a un certo punto appaiono scadenti o di sottomarca, non dipende certamente dalla natura che li crea ma dall'ambiente sofisticato che li riceve e in cui sono costretti a vivere chi come i gatti sul sofà e chi come cani randagi sulla strada. Bisogna ridonare a ogni figlio una famiglia sana, aperta generosamente al progetto uomo e al progetto di fede cristiana, progetti che si realizzano insieme avvantaggiandosi reciprocamente a meraviglia come in simbiosi. Qui ci limitiamo ad accennare al problema della fede, dono di Dio destinato a crescere come un seme nel campo della vita dell'uomo che ne diventa cosciente e responsabile. La fede se non diventa adulta, muore o, quando diventa adulta, in forza di una scelta personale, ci rende capaci di vedere il mondo dal punto di vista di Dio creando in noi un nuovo rapporto di fratellanza. La tensione interiore dell'uomo si rivela come un'esigenza di apertura che diventa inappagabile di fronte a ogni risposta che non provenga da Dio. Pertanto la fede si afferma nell'esercizio della nostra fiducia in Dio che non delude mai chi lo cerca con cuore sincero. La fede adulta, matura l'uomo nell'autonomia, abbatte cioè qualsiasi dipendenza dalle cose create di cui noi ci facciamo volentieri frequentemente degli idoli che ci rendono schiavi, come ad esempio la ricchezza quando viene intesa come scopo della vita medesima. L'unica dipendenza che crea la fede è quella dell'amore che, sull'esempio di Gesù Cristo, sospinge l'uomo a donarsi generosamente per il bene dei fratelli. La fede adulta matura in noi l'armonia con tutto il creato oltre che con Dio. Ricordiamo ad esempio la serafica fraternità del poverello di Assisi, S. Francesco, con tutte le creature, fraternità che l'ha inserito da grande protagonista nell'ambito anche delle realtà terrene. È soltanto nella famiglia cristiana, fondata nell'amore irreversibile di Gesù Cristo condiviso nell'unione indissolubile della coppia di fede, che è ancora possibile risolvere il problema giovani umanamente e cristianamente parlando. Non sono tuttavia gli anziani chiamati a istituire la famiglia sana e santa come piccola chiesa domestica, ma i giovani. Pertanto quando si parla di famiglia si parla soprattutto di giovani, per cui alla fin fine bisogna concludere che tocca ai giovani salvare se stessi attraverso la via della famiglia, cambiando la quale si cambia finalmente anche la società.
con affetto, don Giulio
con affetto, don Giulio
LA FESTA PATRONALE DI S. LORENZO,
10 AGOSTO 1992
La festa patronale di S. Lorenzo continui a richiamare irresistibilmente tutta la nostra gente vicina e lontana per rivivere nell'intimità della propria famiglia e nella condivisione comunitaria della parrocchia la straordinaria testimonianza di amore offertaci dal nostro Patrono S. Lorenzo M. che da oltre mille anni si è posto a guida del popolo zognese come modello di fedeltà a Dio e al prossimo. Lui, giovane, innamorato di Dio e dei fratelli, dopo di avere dedicato la sua vita all'assistenza gioiosa dei poveri, ha affrontato eroicamente il martirio del fuoco trasformandosi in una torcia vivente per testimoniare la sua fede e il suo amore a Cristo. S. Lorenzo si ripresenta ancora a noi mirabile esempio di vita cristiana chiedendoci di credere all'amore che vince ogni cosa. L'amore infatti vince sempre, in qualsiasi tempo ci si trovi a vivere, ed è l'unica forza capace di debellare il nostro egoismo, causa di ogni male. Può sembrare un discorso inusitato, giù di moda, ma mentre la moda che inventano gli uomini cambia incessantemente lasciando il vuoto, i disegni di Dio sono eterni e immutabili, per cui l'amore rimane. Se vogliamo continuare a definirci comunità di fede di S. Lorenzo dobbiamo credere all'amore sul piano pratico di chi sa donare la vita, come Cristo e S. Lorenzo, per le persone che ama ponendosi a servizio di Cristo nei più poveri perché soltanto così possiamo ottenere la vita eterna. La nostra comunità parrocchiale, in questa circostanza, riappare al completo come una folla in cammino che lascia le proprie case per ritrovarsi nella reciproca simpatia e condivisione a fare festa insieme nel Signore, ma deve evitare il rischio di esaurirsi in una sagra di paese sfuggendo all'impegno di costruirsi come comunità di fede sulle solide basi della parola di Dio, della celebrazione dei divini misteri e della testimonianza caritativa che spinge ad avere attenzione e predilezione per quanti rimangono nell'isolamento e nell'emarginazione a causa dell'infermità fisica e della tristezza morale. Come in famiglia non è più vera festa se a tavola rimangono dei vuoti, così nella comunità non è più vera festa se si devono accusare latitanze e assenze causate da qualsiasi emarginazione. Un ricordo particolare lo dobbiamo indirizzare anche ai nostri cari defunti che non possiamo considerare assenti perchè costituiscono la presenza spirituale più fedele a qualsiasi appuntamento della famiglia e della comunità. S. Lorenzo è tra queste presenze la più antica e fedele che veglia sempre su di noi coi nostri cari defunti quale angelo tutelare che ci ricongiunge tutti nell'unico amore di Cristo. Auguro pertanto a tutti un felicissimo incontro coi vivi e coi defunti capace di rinsaldare nella fede e nell'amore i vincoli della fraternità e della pace.
Aff.mo don Giulio
Aff.mo don Giulio
IL VESCOVO DI BERGAMO A ZOGNO
Il nostro Vescovo Mons. Roberto Amadei, il 3 giugno 1992, ha presieduto presso la sala dell'Opera Pia Caritas, il Consiglio Presbiterale Vicariale Brembilla-Zogno, a conclusione dell'anno pastorale 1991/1992. Il Vicario ha presentato al vescovo la realtà del nostro Vicariato in sintesi. Il Vicariato Brembilla-Zogno raggnippa 13 parrocchie: Ambria con Spino, Blello, Brembilla con Camorone, Endenna, Gerosa, Grumello de' Zanchi, Laxolo, Poscante, Sant'Antonio con Catremerio, Somendennna coi Miragoli SS. e SM., Stabello, Ubiale e Zogno, con circa 15.000 abitanti complessivamente. Manca il parroco soltanto di Blello che attualmente è servito da Berbenno in attesa di essere congiunto con Gerosa appena la strada carrozzabile lo permetta. Oltre i 12 parroci presenti nel Vicariato, abbiamo altri tre sacerdoti coadiutori di cui uno a Brembilla e due a Zogno. L'unico sacerdote residente è Mons. Gaspare Cortinovis, Canonico della Cattedrale. Le Suore, in maniera stabile, sono presenti soltanto a Zogno quali impegnati nella pastorale. Altre Suore sono presenti al Ricovero di Zogno e di Brembilla e nella Casa di Riposo di Romacolo. Esiste il servizio festivo, oltre nelle 13 parrocchiali, anche in altre 12 Chiese del Vicariato. Sono impegnati quindi tutti i sacerdoti a iterare la celebrazione della S. Messa. Bisognerà quindi decidersi ad ammettere celebrazioni non per la comodità ma esclusivamente per la comunità. È giunto il tempo di valorizzare meglio i laici evitando, per il loro coinvolgimento, i due estremi: dalla latitanza e dell'invadenza col rischio d'ignorare da una parte la parrocchia e dall'altra la presenza del parroco. Sono presenti diversi gruppi ecclesiali ma con tendenza a volte alla autonomia e al ghetto per il motivo che frequentemente insorgono per iniziativa propria indipendentemente dal sacerdote. Abbiamo la presenza dei Testimoni di Geova con la Sala del Regno ad Ambria. C'è pure il gruppo della Meditazione Trascendentale. Si notano in giro anche celebrazioni di riti satanici, purtroppo! Il coinvolgimento delle parrocchie nel Consiglio Pastorale Vicariale è faticoso e instabile anche se le riunioni si tengono regolarmente.
Abbiamo le seguenti Commissioni Vicariali:
- Catechesi: esiste da molto tempo ma senza riuscire a coinvolgere tutte le parrocchie sia nei corsi di base e sia nei corsi di approfondimento.
- Missioni: funziona bene da qualche tempo, ma rimangono ancora alcune parrocchie da coinvolgere.
- Vocazioni: esiste da molto tempo, con l'impegno dei ritiri invernali, ma limitatamente a Zogno e dintorni.
- Età evolutiva: esiste da poco tempo, ma sta aprendosi a tutto il Vicariato.
- Famiglia: da qualche anno funziona discretamente ma con poche iniziative.
- Lavoro: esiste con poco successo.
- Scuola: si spera di poterla incrementare.
- Volontariato: c'è stata, ma ora si è affievolita, si spera di rianimarla con la Caritas.
- Liturgia: ogni segrestia ha la propria liturgia! Sinora s'è potuto fare ben poco a livello di scelte vicariali, come per i matrimoni che per i funerali, ecc.
Le nostre parrocchie son perlopiù piccole e isolate con tutti i problemi inerenti. Anche il cambiamento frequente dei sacerdoti incide negativamente. Esistono dei gravi problemi; come gli Asili infantili senza Suore; gli anziani d'assistere poiché i centri storici rimangono disabitati e abbandonate a se stesse le famiglie degli anziani; così pure per gli ammalati d'aiutare a morire, il sacerdote arriva sempre tardi; i tossicodipendenti che si moltiplicano senza strutture idonee per il ricupero; la formazione spirituale dei giovani, ai quali ad esempio non s'è mai proposto un corso di esercizi spirituali; e via dicendo. Ci sono stati poi vari interventi da parte dei sacerdoti presenti. Il Vescovo ha concluso esortando all'ottimismo e alla formazione spirituale base fondamentale e insostituibile per qualsiasi buon successo, sia per i sacerdoti che per i laici, nell'ambito della pastorale. Il Vescovo ha fatto poi una breve visita agli anziani del Ricovero e ha partecipato al pranzo con tutti i sacerdoti offerto gentilmente dalle nostre Suore di Clausura.
dg
Abbiamo le seguenti Commissioni Vicariali:
- Catechesi: esiste da molto tempo ma senza riuscire a coinvolgere tutte le parrocchie sia nei corsi di base e sia nei corsi di approfondimento.
- Missioni: funziona bene da qualche tempo, ma rimangono ancora alcune parrocchie da coinvolgere.
- Vocazioni: esiste da molto tempo, con l'impegno dei ritiri invernali, ma limitatamente a Zogno e dintorni.
- Età evolutiva: esiste da poco tempo, ma sta aprendosi a tutto il Vicariato.
- Famiglia: da qualche anno funziona discretamente ma con poche iniziative.
- Lavoro: esiste con poco successo.
- Scuola: si spera di poterla incrementare.
- Volontariato: c'è stata, ma ora si è affievolita, si spera di rianimarla con la Caritas.
- Liturgia: ogni segrestia ha la propria liturgia! Sinora s'è potuto fare ben poco a livello di scelte vicariali, come per i matrimoni che per i funerali, ecc.
Le nostre parrocchie son perlopiù piccole e isolate con tutti i problemi inerenti. Anche il cambiamento frequente dei sacerdoti incide negativamente. Esistono dei gravi problemi; come gli Asili infantili senza Suore; gli anziani d'assistere poiché i centri storici rimangono disabitati e abbandonate a se stesse le famiglie degli anziani; così pure per gli ammalati d'aiutare a morire, il sacerdote arriva sempre tardi; i tossicodipendenti che si moltiplicano senza strutture idonee per il ricupero; la formazione spirituale dei giovani, ai quali ad esempio non s'è mai proposto un corso di esercizi spirituali; e via dicendo. Ci sono stati poi vari interventi da parte dei sacerdoti presenti. Il Vescovo ha concluso esortando all'ottimismo e alla formazione spirituale base fondamentale e insostituibile per qualsiasi buon successo, sia per i sacerdoti che per i laici, nell'ambito della pastorale. Il Vescovo ha fatto poi una breve visita agli anziani del Ricovero e ha partecipato al pranzo con tutti i sacerdoti offerto gentilmente dalle nostre Suore di Clausura.
dg
IL DIO DELLA MIA SPERANZA
Il Dio della mia speranza non è il Dio della morte ma della vita. Il tema della speranza rientra soprattutto nella seconda parte della proposta "Nascere e Morire oggi" che le Chiese di Lombardia intendono trattare pastoralmente in un convegno regionale che si svolgerà nel prossimo anno con lo scopo di promuovere una nuova cultura della vita umana. Anticipiamo una riflessione sulla seconda parte del tema in prossimità del novembre, mese dedicato alla commemorazione di tutti i nostri fedeli defunti, riservandoci di proporre una riflessione sulla prima parte del tema "Nascere oggi" nella circostanza della celebrazione del S. Natale. "Morire oggi" è quindi l'argomento della presente riflessione con cui vogliamo ricuperare la dimensione cristiana di questo evento salvifico. L'apostolo Paolo afferma: "Se abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini" (1Cor 15,19). È Cristo risorto che costituisce il fondamento della nostra speranza che si apre al di là dell'orizzonte di questa vita terrena. La speranza cristiana pertanto spinge la nostra viva attesa all'incontro con Cristo che avviene definitivamente dopo la nostra morte. Questa è una dimensione che oltrepassa il tempo e tutte le cose presenti per dispiegarsi nella vita futura. S. Paolo afferma: "Siamo in esilio, lontani dal Signore" (2Cor 5,6). La risurrezione di Cristo è già presente nel cristiano dal giorno del suo battesimo in cui è morto in Cristo al peccato ed è risorto a vita nuova, la vita dei figli di Dio che sfocia nella vita eterna: "dove saremo sempre con il Signore” (1Ts 4,17 e 2Cor 5,8). "Beati fin d'ora, quindi, i morti che muoiono nel Signore" (Ap 16,13). Il conseguimento di Dio coinvolge tutto l'uomo, anima e corpo, così come è stato fatto a immagine e somiglianza del Creatore. Non si tratterà quindi, nella risurrezione finale, di una nuova creazione, ma di una ricongiunzione dell'anima col suo corpo separato dalla morte temporaneamente. "Tutti risorgeranno, come afferma l'apostolo Paolo, chi per rivivere il premio e chi per ricevere il castigo". Il corpo, S. Paolo, lo considera come il seme che mettiamo sotterra e che rinasce nella forma nuova della pianta. La comunione che si realizza in Cristo durante la vita terrena rimane pure in morte: "Chi vive e crede in me non morrà in eterno" dice il Signore (Gv 11,25). Chi rifiuta Cristo è come il tralcio che rifiuta di stare unito alla vite, si secca ed è gettato al fuoco (Gv 15,1). L'uomo concreto, mai cessa di esistere totalmente. La sopravvivenza dell'anima cosciente, elemento spirituale immortale dell'uomo (vedi anche la filosofia greca) è già presente in Cristo glorificato nell'attesa di ricongiungersi al corpo. In questo stato intermedio, ammesso anche da Lutero, le anime sopravvivono tra la morte e la risurrezione nella tensione di ricongiungersi al corpo. L'uomo non sbaglia a riconoscersi superiore a tutte le creature, egli trascende infatti l'universo nella sua interiorità, si sente capace di possedere Dio con la conoscenza e con l'amore. È quindi capace di sopravvivenza. Gesù stesso afferma: "Non abbiate paura di quelli che possono uccidere il corpo ma non possono uccidere l'anima" (Mt 10,28). La Sapienza pure a riguardo dei giusti afferma: "agli occhi degli stolti parve che morissero, ma le anime dei giusti sono nelle mani di Dio" (Sap 1 e 2). Le mani di Dio sono vivificanti. S. Tommaso, nella Summa, asserisce che l'anima (“Tego") non è persona ma ritiene la capacità di unirsi al corpo e vi tende, cioè alla risurrezione. L'uomo che visse è l'uomo della risurrezione: "Allora tutta la creazione sarà sottomessa a Cristo" (1Cor 15,27 e 28) e "sarà liberata dalla schiavitù della corruzione" (Rm 8,21). S. Paolo ci esorta: "Non dobbiamo rattristirci di fronte alla morte come gli altri che non hanno speranza" (1Ts 4,13). Ma ancora S. Paolo afferma: "il salario del peccato è la morte" (Rm 6,23). Quindi il passaggio è doloroso e la separazione, anche se momentanea, è una cruda realtà. Cristo medesimo ha pianto sulla morte dell'amico Lazzaro. Pertanto sono giustificate anche le nostre lacrime per la morte delle persone care. Piangere, si; ma disperarsi, no! se ci consideriamo in esilio lontani dal Signore (2Cor 5,6). S. Paolo, anzi, rincara la dose affermando: "bramo di annientarmi per congiungermi con Cristo!" (2Cor 5,8). I santi addirittura esclamavano: "È tanto il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto". Questo aspetto positivo del morire si consegue solo con il modo di vivere. In quanto raggiunto, Dio è paradiso; in quanto perso, Dio è inferno; in quanto purifica, Dio è purgatorio. È sempre l'amore che si propone, ma non si impone. Il tutto poi dipende dalle nostre scelte. I protagonisti della salvezza sono sempre indispensabilmente due: Dio e l'uomo! Giustamente S. Agostino afferma: "Chi ha creato te senza di te, non può salvare te senza di te!". Ma l’uomo è tanto fragile e peccaminoso che rischia di presentarsi al tribunale di Dio impreparato. La liturgia bizantina prega così: "Rimango immagine della tua gloria, o Signore, anche se vengo a te ferito dal peccato!" In morte l'uomo diventa più cosciente delle proprie colpe, secondo S. Giovanni della Croce, e ha bisogno che Dio intervenga post mortem col fuoco del suo amore a purificarlo come l'oro nel crogiuolo. È bene che "l'uomo s'affretti come pellegrino per giungere alla patria con la vita santa "(1Pt 2,11). Se tutte le strade portano a Roma, una sola strada porta alla salvezza: Cristo, che afferma di sè: "Io sono la Via ...!" (Gv 14,6). Sappiamo comunque che la misericordia di Dio è infinitamente più grande dei nostri peccati. Basta che la chiediamo di cuore riconoscendo le nostre colpe. Il Padre del figliol prodigo è il Dio della vita e non della morte. Torniamo quindi con fiducia alla casa del Padre!
don Giulio
don Giulio
NATALE 1992, NEL CONTESTO DEL PIANO PASTORALE
"NASCERE E MORIRE OGGI"
Il S. Natale ci offre ancora una volta lo spunto per parlare della vita. "Nascere oggi" costituisce la prima parte del piano pastorale indetto dalle Chiese della Lombardia per il 1992-1993. L'intento è di promuovere la coltura della vita in opposizione alla cultura della morte dilagante oggi nella società del consumismo carica di grossolane contraddizioni come l'intervento a protezione degli animali da una pane, sia pure lodevolmente, ma con l'ammissione dell'aborto e della eutanasia dall'altra, vergognosamente. Bisogna quanto prima riportare il problema della vita alle sue sorgenti per comprendere l'importanza e la missione della vita medesima. Occorre pertanto riconsiderare la vita nelle mani del Creatore nell’atto in cui ne ha fatto dono alle sue creature come un seme da proteggere e da moltiplicare con generosità e responsabilità, come afferma l'"humanae vitae", poiché di essa dovremo sempre rendere conto a Dio che ne ha concesso solo l'uso e non la piena padronanza. Ogni manifestazione della vita comporta sempre un intervento creativo e conservativo da parte di Dio in quanto soltanto Lui è il Creatore e il Conservatore di tutte le cose. A maggior ragione si esige un suo particolare intervento nel concepimento di ogni creatura umana poiché l'uomo continua a essere fatto a immagine e somiglianza di Dio, sia pure nel contesto di una natura ferita dal peccato d'origine. Senza nessuna eccezione, ogni creatura umana si riveste di una dignità sua propria sin dal primo istante del suo concepimento, poiché l'uomo per essere tale ha bisogno di ricevere l'anima umana che lo vivifica, diversamente non si potrebbe più affermare che è stato concepito un uomo. Dal momento del suo concepimento, l'uomo, costituisce una realtà che nessuno più potrà distruggere totalmente anche se si sopprime il suo corpo. La sua anima immortale rimane in eterno e riassumerà, come tutti gli altri, il primo corpo, e non un altro, che Dio gli riconsegnerà glorioso in Cristo. "Non abbiate paura, dice Gesù nel Vangelo, di quelli che uccidono il corpo ma non possono uccidere l'anima!" (Mt 10,28). Pertanto anche l'aborto, quando è omicidio volontario, costituisce un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio, poiché soltanto Dio è padrone della vita umana che non abbandona mai all'arbitrio dell'uomo. È Gesù che torna a nascere in ogni creatura umana. Quando radunerà alla fine del mondo tutti i buoni alla sua destra e i cattivi alla sua sinistra per essere giudicati, secondo il discorso di Matteo - 21,31 - dirà a quelli che saranno alla sua sinistra: "Volevo nascere e vivere, e mi avete ucciso; volevo aprire gli occhi alla luce, e mi avete sepolto nelle tenebre; volevo conoscere il volto di mia madre, ma mi avete soppresso; volevo la vita, ma mi avete dato la morte! Pertanto andate alla dannazione eterna...". Il nostro Dio è il Dio della vita e non della morte! Se non si stanca di tornare da noi è perchè si sente l'eterno innamorato dell'uomo, di questa sua creatura che ha voluto fare a sua immagine e somiglianza e di cui, nella pienezza dei tempi, ha voluto farsi a immagine e somiglianza incarnandosi nel seme verginale di Maria Santissima per accorciare tutte le distanze tra Dio e l'uomo, perchè l'uomo potesse sempre ritrovare la strada del ritorno al proprio Dio come il figliuol prodigo dal proprio padre. L'incarnazione divina del Figlio di Dio è sempre di attualità per tutti quanti lo vogliano rivivere nelle proprie membra come il grande natale della propria vita, di chi vuole rinascere all'amore di Dio e del prossimo. Ritroviamoci pertanto, a Natale, per vivere insieme questo grande evento di redenzione che si rinnova per volontà di Dio a favore di tutti gli uomini di buona volontà che Egli ama! Auguri affettuosi di Buon Natale a tutti indistintamente.
Vostro don Giulio
Vostro don Giulio