1974
PERCHÉ LA CATECHESI A PICCOLI GRUPPI PER GLI ADULTI?
ZOGNO, 23 gennaio 1974
A tutti gli adulti della nostra Comunità è stata inviata la seguente lettera:
«L’anno santo che stiamo vivendo è stato proposto dal Papa come un’occasione della nostra conversione e riconciliazione con Dio e con i fratelli. Poiché la conversione è innanzitutto un dono di Dio, prima che frutto dei nostri sforzi, deve assumere un posto fondamentale in questo nostro impegno l’ascolto della Parola di Dio. Per questo, come proposta concreta per l’anno santo qui nella nostra comunità proponiamo agli adulti un impegno di catechesi e, perché sia una proposta efficace, che raggiunge le persone e non la massa, proponiamo incontri di piccoli gruppi di adulti o all’Oratorio o nelle famiglie. Questi incontri dovranno avere una certa continuità nel tempo e nelle persone. Per il momento noi proponiamo i seguenti incontri all’Oratorio:
— mercoledì ore 15
— mercoledì ore 20,30
— sabato ore 15
— domenica ore 16
Questi incontri avranno inizio la prossima settimana a partire da mercoledì 30 gennaio. Se poi alcuni adulti riescono a combinare incontri nelle loro case con i loro vicini non devono fare altro che comunicarcelo. Al Carmine si sono già avviati due gruppi di adulti nelle case: si trovano al giovedì sera ogni quindici giorni. Sembra inutile ricordare che tutti possono partecipare a questi incontri. Anche questa può essere un’occasione per cambiare la nostra mentalità, per rendere più umana la nostra vita: può essere un inizio di conversione Con l’augurio che questa proposta venga presa sul serio, saluto.
don Giancarlo Bresciani
«La nostra prima catechesi è saper stare insieme per riscoprirci a vicenda».
Già da molto tempo tra i nostri gruppi catechistici, era nata la domanda di cosa significasse per noi incontrarsi o stare assieme. A questa domanda avevamo dato risposte insufficienti, risposte che non corrispondevano a verità. Poi l’idea di una vacanza, anche se breve, a Zambia Alta, ha visto riuniti molti ragazzi ed anche in quell’occasione ci è stata posta la solita domanda. Molti hanno arricciato il naso o fatto il broncio ed è stato proprio allora che ho capito l’importanza di quella domanda. Andare a Zambia per me non è stato solo un modo come un altro di divertirmi, ma è stato capire che importanza avessero per me gli altri. Da allora sono cambiata perché negli altri ora vedo dei veri fratelli e non e-scludo nessuno di loro anche se non sono come vorrei. Quella di ambia non è stata solo un’esperienza passeggera, ma stata ciò che ha cambiato il mio modo di comportarmi verso gli altri.
Rinaldi Carla
27-28 dicembre - Villa S. Maria: due giorni insieme ai ragazzi che si stanno preparando alla Cresima.
Questi due giorni sono stati proposti come un momento per stare insieme, per dare importanza alle persone che avevamo intorno, accorgerci degli altri, ascoltare e parlare(cercando di andare più in là del captare ed emettere suoni). Si è cercato di vedere se potevamo realizzare questa proposta in momenti di svago e di riflessione in comune durante i quali un po’ tutti ci siamo chiesti che tipo di vita è quella che stiamo vivendo nella scuola, in famiglia, con gli amici. Tutto questo è senz'altro un poco fuori da certi schemi in cui molte volte i ragazzi sono costretti: non il compito, non la lezione da ripetere, non delle regole da rispettare ma chiedersi che tipo di persone si sceglie di essere nelle situazioni concrete in cui ci si trova. Entrare in questa prospettiva è stata forse la difficoltà maggiore. Scrivere qui adesso tutto quello che è stato detto dai ragazzi è un po' impossibile, la cosa comunque che ha colpito noi giovani clic abbiamo vissuto assieme a loro questi momenti è stata la loro incapacità di mettere in discussione, di rivedere certi atteggiamenti, certi « ma' » di stare insieme ritenuti invece, con sicurezza giusti. Hanno scoperto per esempio che tra di loro ci sono divisioni o rapporti di semplice convenienza, ma, per la maggior parte di loro questo non è un problema di importanza vitale, non c'è gran che da mettere in discussione. Anche la testimonianza di due ragazzi della loro età. venuti a raccontare il tentativo che stanno facendo in gruppo per uscire da questo modo di vivere per cercare di scoprire gli altri come persone e incontrarli come tali, li ha lasciati indifferenti o comunque scettici. Questa constatazione non è una condanna dei ragazzi ma scopriamo invece come pone molti interrogativi a noi, giovani e adulti, che in molti modi contribuiamo a creare quest'aria di superficialità, di sicurezza acquistata una volta per tutte che i ragazzi respirano. ... E poi chiediamo che siano cresimati... Anche questa volta i ragazzi ci costringono a farci delle domande, domande che dobbiamo porci come singoli e come con» ponenti della società: quello che chiediamo a loro di vivere è importante per noi? È sì o no quello che possono leggere nel nostro modo di vivere in famiglia, sul lavoro, nei contatti con loro, nella scuola, come cristiani, come cittadini? Possiamo dire « io sono a posto, gli altri non fanno il loro dovere » e non sentirci sconvolti? Tormentiamo i nostri ragazzi solo con le parole?
Giusy
Siamo un gruppo di giovani del Carmine che, per la prima volta, si presenta all’opinione pubblica per far conoscere i propri problemi e i propri pensieri. Siamo partiti senza pretese evangeliche, ma sul piano di una discussione delle esperienze e dei problemi dei singoli giovani, per trovare conforto tra di noi. Tutto è iniziato un paio di anni fa, quando don Giancarlo promosse degli incontri, ai quali partecipavano i giovani del Carmine, in preparazione alla Pasqua. Questi incontri si svolgevano all’insegna dell’anonimato, si partecipava più che altro per la novità: la nostra leggerezza dipendeva dal fatto che era la prima volta che si tentava di formare un gruppo di giovani cristiani qui al Carmine. Arrivò l’estate e i giovani si persero di vista di nuovo: tutto ritornò alla normalità. Così per un anno, sino a quando non avvertimmo il bisogno di ritrovarci: ancora una volta don Giancarlo tentò di riunirci, non più in chiesa, ma, umilmente, sulla strada. Non volevamo fare discorsi teorici, ma solamente conoscerci. Spinti dal freddo poi, ci ritirammo in casa ora dell’uno, ora dell’altro. Così ricominciammo, entusiasti e pieni di buona volontà: avevamo capito che il nostro non era solo un pretesto per passare in allegria qualche ora. ma un desiderio di sfogarci, di trovare quell’appoggio morale che spesso mancava in famiglia, sul lavoro o a scuola. Aumentarono i componenti del gruppo, ma aumentarono pure i problemi e il desiderio di far qualcosa per gli altri. Ritrovandoci poi, scoprimmo che esisteva un’altra persona, una persona molto vicina a noi. ma che sentivamo molto lontana, e così, nei nostri discorsi, ci fu un posto anche per Lui. Quel Dio, che tanto impaurisce la gente, ci aiutò a restare uniti, a rinforzare la nostra amicizia e diventò, ed è rimasto tuttora, uno degli elementi principali dei nostri incontri. Il risultato è stato che abbiamo capito che il cristianesimo lo si costruisce in una società con pensieri per lo meno umani. Il nostro programma per il futuro è anzitutto quello di cercare di sensibilizzare i giovani che ci stanno vicino, che vivono accanto a noi. Riuscire a costruire una società più umana implica abbandonare la presente, fondata sull’egoismo. E il coraggio dove lo troviamo? Nella fede in Gesù e nella fiducia nel prossimo.
Un gruppo di giovani del Carmine
In un mondo dove tutto cambia, tutto è in evoluzione, vale ancora comportarsi secondo gli insegnamenti ricevuti da piccoli, accontentarsi di quello che nel passato ci hanno insegnato, vivendolo anche più o meno correttamente? Perché cerchiamo il meglio per noi e per i nostri figli come cultura, beni materiali e comodità e ci accontentiamo di quelle poche formule che abbiamo appreso in passato, per chiamarci cristiani? Critichiamo i nuovi metodi, o li ignoriamo addirittura: ci presentiamo puntualmente all’ appuntamento domenicale per salvaguardare la faccia, in modo che nessuno possa dire che non facciamo il nostro dovere di cristiani. Il Cristo ci ha lasciato solo questo a testimoniare la sua vita umana? È ben misero come messaggio: o siamo noi che l’abbiamo reso così confidandolo nella sua Chiesa nel suo tabernacolo col lumicino acceso. Ma la Chiesa non è solo di Cristo, è nostra, è stata creata per noi. Egli stesso ce l’ha lasciata in eredità, ma non perché sia solo sua, ma nostra con lui. Si può chiamare luogo d’incontro quasi casuale e abitudinario oggi la nostra Chiesa, ma non certo perno di comunità, luogo dove ci si incontra come persone unite in un solo spirito col Cristo, per celebrare e rivivere la sua nascita, morte, e resurrezione ogni volta che ci incontriamo, portandola con noi nella famiglia e viverla néll’incombenza di tutti i giorni: solo così Cristo sarà la nostra Chiesa, non sarà nato e morto invano e il suo Vangelo non sarà più misero e muto, ma vivrà in noi e sarà una dimostrazione vivente dell’amore di Dio. Il tutte le case e entrata le lettera di invito per la catechesi agli adulti, in Chiesa da un po' di tempo se ne parla, ma purtroppo sembra che si parli e si scriva il cinese. Che si incontrano sono le solite mamme piene di buona volontà, ma i più hanno ignorato tutte queste esortazioni all’incontro, poi ci si lamenta della condotta dei ragazzi e dei giovani; ma gli adulti come e quando si impegnano a costruire una famiglia cristiana? I papà non sono mai parte in causa nell'educazione religiosa dei propri figli? Si critica il modo, la forma, i cambiamenti e si continua a dormire sugli allori credendo o fingendo di credere che così va tutto bene, che si fa abbastanza per dare ai nostri figli l’esempio di vita ideale e non si vede che nella famiglia c’è una rottura religiosa che si può definire drammatica e non ci prestiamo per niente a studiare il perché, ci limitiamo ad incolpare i preti, l’oratorio, ma noi «mai». Troviamo sempre un capro espiatorio dei nostri errori e non vogliamo accettare le nostre responsabilità verso gli altri e verso noi stessi, perché non si può da soli, definirsi cristiani. Lo saremo se ci incontriamo con l’altro, se accetteremo quello che abbiamo sempre rifiutato, se metteremo la nostra volontà di migliorare, per noi e per gli altri in ogni nostra azione. L'umanità è protesa verso il futuro e noi viviamo una frenetica corsa per non perdere nulla di quello che il progresso e il consumismo ci offre. Abbiamo escluso il Cristo dalla nostra vita chiudendolo nella sua Chiesa come in un altro sepolcro, ma il disegno del Padre non era questo: Egli lo ha fatto risorgere perché viva nuovamente in noi, dovrebbe guidare ogni nostro passo, ogni nostra azione, ma noi non lo vogliamo, non può essere con noi Cristo, se non accettiamo di vivere secondo il suo esempio, abbandonando un po’ le nostre comode abitudini, permettendo la crescita, non solo del benessere, ma anche della fede, continuando la ricerca della vera vita, quella per cui siamo stati creati.
Lidia Pesenti
Nei giorni 3-4-5 gennaio si è tenuto a Clusone un incontro per tutti gli studenti della bergamasca che si riconoscevano nel fatto cristiano ed erano disponibili a trascorrere tre giorni di vita in comune. I momenti vissuti in questi tre giorni sono stati molteplici (lezioni, preghiera, gioco, canti ecc.) e tutti ugualmente importanti, tuttavia una cosa ci ha maggiormente colpito: la volontà di tutte le persone di stabilire un rapporto di amicizia fra di loro in Cristo, al di là delle proprie idee, dei propri interessi, dei propri pregiudizi. È appunto confrontando la nostra esperienza di comunità vissuta qui a Zogno con l’esperienza di Clusone, che ci siamo accorti della povertà del nostro tentativo. Ripensando all’esperienza trascorsa e alla fatica che facciamo a stare insieme, dobbiamo innanzi tutto richiamarci una cosa di fondamentale importanza: perché noi siamo insieme e come stiamo insieme. Fino a oggi abbiamo vissuto il nostro cristianesimo in modo troppo individualistico, non l’abbiamo vissuto in comunione con le altre persone della comunità. C’era in pratica una divisione fra il nostro cristianesimo individuale e il nostro cristianesimo di gruppo. Un segno di questa divisione è la fatica che facevamo a trovarci insieme. È a questo punto che abbiamo recuperato l’esperienza che qualcuno di noi ha fatto a Clusone; abbiamo preso coscienza che, perché il nostro tentativo di vita in comune diventi sempre più autentico e reale, dobbiamo fare un salto qualitativo nel modo di concepire noi stessi e gli altri. Essere chiesa vuol dire far dipendere la nostra vita dalle altre persone che vivono con noi, vuol dire creare una serie di rapporti diversi, vuol dire vivere sempre più insieme agli altri. Tutto questo non è solo un bel discorso, non deve restare tale, ma deve essere calato nella realtà; nella situazione in cui noi ci troviamo a vivere. In questo senso per noi vivere in comunione fra di noi ha voluto dire mettere insieme il nostro tempo, cioè essere fedeli a tutte quelle occasioni di incontro che la comunità ci offriva, anche a costo di rinunciare ai nostri programmi personali, ai nostri vari interessi. Inoltre abbiamo comunicato agli altri la nostra esperienza di vita, i nostri problemi, le nostre preoccupazioni. Altro momento fondamentale è stato il tentativo di correggerci vicendevolmente, cioè un aiuto a vivere più autenticamente la nostra fede. Proprio a partire da questa nuova vita che stiamo tentando di vivere sono nate alcune iniziative, che non vogliono essere altro che una ulteriore espressione della nostra vita cristiana:
a) Alcuni di noi si sono impegnati ad aiutare qualche bambino delle elementari nel loro studio: è un aiuto gratuito che ci può permettere anche di approfondire maggiormente la nostra fede.
b) Abbiamo sentito inoltre l’esigenza anche di un giudizio sulla situazione delle varie scuole in cui viviamo. Per far questo abbiamo deciso di organizzare un’assemblea pubblica sabato 16 febbraio per un tentativo di giudizio sulle varie proposte di legge per la riforma della scuola. Ci aiuteranno in questo lavoro alcuni universitari di Milano che da anni stanno tentando di vivere il fatto cristiano anche dentro la scuola.
Fabio
Esprimo qui la mia esperienza di catechesi per fare anche una riflessione su me stessa. L’incontro con i ragazzi e le ragazze che mi sono stati affidati mi obbliga ad una revisione della mia vita, che farei volentieri con loro se i genitori che mi accolgono nelle loro case in maggioranza non pretendessero di vedere in me catechista una persona che mette in pace la loro coscienza e che deve ufficialmente, di fronte ai ragazzi, « propagandare » una fede che i genitori stessi non posseggono. Quest’anno i miei ragazzi si preparano a ricevere il sacramento della Cresima, ma è molto triste vedere come alcuni vengano al catechismo solo perché obbligati, magari anche a pedate, non si da mai, e come essi se ne freghino altamente di tutto quello che si fa, e hanno anche ragione di farla. Dietro a tutto questo sta un atteggiamento dei genitori che non ho diritto di giudicare ma che è sen’altro infelice. Alcuni ragazzi sono incapaci di prendere sul serio le cose, e con questo l’ora di catechesi non è un’ora liberante ma uno spazio di tempo in chi il ragazzo, come anche a scuola, sfoga sugli altri la sua repressione la sua insicurezza, il suo desiderio di libertà che poi non si risolvono altro che nel fare casino per tutto il tempo del nostro incontro. Ora, io che mi trovo di fronte a delle persone prima ancora che a dei cristiani, se di cristiani si può parlare in certi casi, cosa posso fare? Finisco forse per imporre, dato che loro la sentono come imposta, una fede. E allora potrei benissimo trasmettere una fede non cristiana, perché tanto sarebbe lo stesso. Con i ragazzi di seconda media noi catechisti abbiamo trascorso due giornate insieme a Valtesse e condiviso il gioco, la discussione, il pranzo, le gite, cioè ogni momento. E’ risultato evidente da questo incontro come i ragazzi, e anche noi in fondo, trovino difficoltà a stare insieme, e come permangano sempre vive le solite categorie di divisione, come sia difficile togliersi dai gruppetti ristretti di amici per condividere il proprio tempo con tutti gli altri. E rimanevano là gli stessi esclusi che ci sono a scuola, nei momenti di gioco, e purtroppo nei momenti di catechesi. Prevale la legge dei più forte, chi è più forte sopravvive e domina; gli altri sono le pecore di un grande gregge che vaga qua e là, secondo dove tira il vento. E siccome l’educazione in tutte le nostre famiglie abitua fin da piccoli a ubbidire, a essere dei semplici oggetti, quelli che oggi sono pecore di dodici anni saranno poi caproni di venti, trenta quaranta anni. Ora con la mia catechesi non voglio rinfortire il gregge, che è già di per se stesso grosso. Vorrei solo riuscire a esprimere agli altri il cammino di fede che sto facendo, e solo se riuscissi a fare questo la mia catechesi sarebbe educativa, perché esprimerei agli altri la mia vita. E termino col dire che per me è iniziato il cammino di liberazione quando non mi sono sentita più pecora, quando ho preso coscienza che potevo scegliere tra vita di fede e ateismo, quando ho cominciato da soggetto la ricerca di una vita vera.
Annalisa
Mi colpisce sempre, durante l’incontro di catechismo, il silenzio delle ragazze. Pare incredibile, ma stanno zitte, non hanno niente da dire su nessun argomento, eccezion fatta per i voti che prendono a scuola. E questo non è un fatto positivo. Non si può guardare con soddisfazione a un gruppo di ragazze che si preparano a ricevere la Cresima e che, stimolate a riflettere, non hanno mai nulla da dire; ei si chiede a che cosa pensino, quali siano i loro interessi, e nasce il sospetto che di interessi ne abbiano pochini, e anche quelli piuttosto futili. Si può obiettare: « Ma se stanno buone, in silenzio, che cosa si deve pretendere di più? Se stanno in silenzio, ascoltano e imparano ». Ma questo discorso non regge perché al catechismo non si viene per imparare e basta; il catechismo è una iniziazione alla vita cristiana, e, quindi in questo contesto, la parte nozionistica, contenutistica, è minima rispetto alla parte educativa, di formazione. Durante l’incontro di catechismo cerco soprattutto di far riflettere le ragazze sulla loro vita di tutti i giorni, a casa e a scuola, stimolandole a chiedersi come possano realizzare delle scelte cristiane in quell’ambiente. Si chiede perché abbiano chiesto la Cresima, che cosa comporti, che cosa cambi nella loro vita il ricevere la Cresima, che cosa significhi accettare l’impegno di nuova vita cristiana. E le ragazze fanno silenzio, non hanno niente da dire, oppure, buttano fuori frasi prefabbricate «la Cresima è il sacramento che ci fa diventare cristiani adulti » (quando addirittura non cc soldati di Gesù Cristo»). Vita cristiana vuol dire « volersi bene » e cose simili; quando poi si chiede loro che cosa vuol dire volersi bene a Zogno, nella loro classe, nella loro famiglia, quando cioè si chiede come si possa calare nel concreto della loro situazione, il precetto dell’amore, allora tacciono. Mi pare che questo significhi una sola cosa, e cioè che tra la loro vita e il cristianesimo, c’è una profonda frattura; da una parte lo scorrere giornaliero di una vita passivamente accettata, dall’altra il cristianesimo, ridotto troppo spesso a pura pratica religiosa. Dovrebbe essere invece il fermento della vita. La vita di una ragazza di seconda media si svolge pressa poco così: si alza, sempre tardi e in qualche modo fa colazione e arraffati i libri, va a scuola; là, cerca con ogni astuzia di evitare l’interrogazione, tira un respiro di sollievo quando l’insegnante chiude il registro e attacca la spiegazione; si sente a questo punto libera di dedicarsi ai propri pensieri personali; durante l’intervallo quattro chiacchiere con le amiche fedelissime (le altre sono escluse). Quando la mattinata a scuola è conclusa, va a casa per mangiare; se c’è qualche faccenda da sbrigare, non è certo accettata con grazia, i compiti poi vengono fatti con rigoroso risparmio di impegno, quindi incomincia la televisione; e tra spettacolo tv e cena, la giornata si conclude. Parlare di vita e di impegno cristiano a questo livello è assurdo; ma è assurdo parlare anche di una vita un pochino più sera ed umana. Queste ragazze si lasciano trascinare dal tran-tran della vita di ogni giorno, senza porsi nessun perché, senza chiedersi se ciò che fanno è utile o no, accettando tutto passivamente perché bisogna farlo, o per passare il tempo. La scuola per loro è il luogo dove si distribuiscono voti o si fanno esperimenti; la casa dove si va a mangiare e a dormire e dove si passa la maggior parte del tempo: non le sfiora nemmeno l’idea che la scuola al di là dei voti e della promozione, è un momento di crescita e di maturazione, che la casa non è un albergo, ma il luogo di riunione della famiglia, in cui l’uomo si forma e cresce, nulla di tutto questo. La situazione non è affatto rosea, ma il guaio maggiore è che i principali responsabili di questo stato di cose siamo noi adulti, i ragazzi sono semplicemente il nostro specchio. Ancora una volta il discorso torna su di noi genitori, noi insegnanti, noi catechisti, noi chiesa: siamo sicuri di essere al’altezza della situazione? Stiamo veramente cercando di fare tutto il possibile? O siamo noi i primi ad essere superficiali e demotivati, i primi a subire passivamente, i primi a tirare a campare? E se così non è, mettiamoci partecipi i nostri ragazzi dei nostri pensieri, delle nostre motivazioni, della nostra concezione di vita, accettando con loro di discuterla? Oppure ci teniamo tutto dentro di noi con la scusa che i ragazzi non capiscono e che i giovani d’oggi non sentono di niente? E, seppure quest’ultima ipotesi è reale, teniamo presente che noi siamo il libro vivente per i nostri ragazzi, libro che non deve restare chiuso. È facile sentir dire dai ragazzi che « in casa loro non possono dir niente » ed è un’accusa che non deve rimanere inascoltata; parliamo con i nostri ragazzi, parliamo di tutto ciò che succede fuori e che capita a noi, mettendo in luce il nostro pensiero, accettiamo le loro osservazioni. Non rifiutiamo loro il discorso, non mandiamoli sempre « a giocare perché noi abbiamo ben altro da fare che stare ad ascoltarli ». Ascoltiamoli e parliamo con loro: è forse uno dei mezzi più efficaci per farli crescere.
Maria Luisa Z.
Per spiegare il perché della proposta di catechesi agli adulti in piccoli gruppi cedo la parola a P. Congar, uno dei teologi più impegnati del Concilio, il quale parlando a Milano su «evangelizzazione e sacramenti», ha fatto una intelligente sintesi della situazione pastorale attuale. Descrive prima la situazione precedente, poi quella attuale con alcune linee di azione:
a) «La situazione precedente
Il punto di partenza era il dare per scontata la presenza della fede nel cristiano e questo in una situazione in cui la chiesa era concepita come coincidente con la società globale. Ancora, si pensava di avere a che fare con persone di fede per il fatto che esse erano state catechizzate e praticavano nella chiesa il culto dei sacramenti. Alcuni anni fa, una suora francese, E. Germanie, ha pubblicato una tesi sulla teologia della salvezza riguardante gli anni 1815-1830. Questa tesi è molto interessante perché quanto essa presenta qui come teologia del catechismo della salvezza, è riconoscibile chiaramente in quegli anni e per certi a-spetti anche nella nostra situazione attuale. La salvezza è presentata come un bene che ci attende nel cielo e l’uomo ha anche la possibilità di perderla, ancora tra i due casi, esiste il purgatorio. Allora il cattolico doveva dedicarsi a un certo numero di pratiche onde evitare l’inferno, non fare troppo purgatorio e guadagnare il primo venerdì del mese, il Sacro Cuore, la Messa, le indulgenze, le preghiere con indulgenza, ecc.; pratiche che erano in mano al prete il quale era visto come colui che aveva il segreto per guadagnare il cielo, evitare l'inferno e non restare troppo a lungo in purgatorio. Questa descrizione non è una caratteristica, ma è specchio della situazione che si rileva da quella studio e nella quale sono presenti aspetti simili alla situazione di oggi. Infatti molti cristiani mi hanno chiesto spesso di pregare per loro al fine di fare poco purgatorio. Ma ritornando al problema iniziale si vede che il cristiano è considerato come uomo di fede perché legato a un certo numero di pratiche di culto e il clero non è altro che un clero addetto al culto, alle pratiche religiose: rosario, via crucis, esposizione del SS.mo Sacramento, ecc.. ecc. In queste condizioni si aveva coscienza dell’identità del cristiano solo per il sacramento e d’altra parte il cristiano era valutato solo grazie ai sacramenti che erano il punto di riferimento.
b) Attuale situazione di disagio e di malessere.
In questa situazione, si è verificato un certo cambiamento e un certo malessere; la fede cristiana non è più una realtà degna di interesse e ci sono ragazzini (10-11 anni) che si dichiarano atei (“rifiutano la fede: la fede è difficile...”). La fede ha degli aspetti difficili e penso che questa difficoltà aumenterà con l'andare degli anni. Infatti non ci si può più accontentare dell’insegnamento impartito dal catechismo. (Dio puro spirito, creatore... onnipotente. ecc.). Non ci si può più accontentare di una fede, direi, catechistica. La fede imparata con le formulette apprese a memoria è accettata passivamente. Ci sono invece delle esigenze che le fede sia vissuta e dimostrata nella vita dell’uomo, ponendosi di fronte alle necessità dell'uomo. Il “luogo” in cui si situa la fede, è la vita del cristiano, non più solo la pratica sacramentale. Quindi, la vita e il grado di adesione al cristianesimo non più individuato dalla costanza delle pratiche, ma solo dal grado della autenticità dell’impegno umano, della presenza del cristiano nel mondo. Pare che oggi la vocazione dell'uomo non sia più rivolta al mondo di là. il cielo, ma alla terra, al mondo. Questo mondo deve essere costruito, questo mondo in cui occorre portare più fraternità, giustizia, pace, verità e anche benessere, conforto. conoscenza. Il prete allora, si rifiuta di essere considerato come l’uomo del culto e soffre molto quando gli si domanda di essere il “medico dell’anima”, che ha in mano il “trucco ” per guadagnare il cielo. Il prete vuole essere l’uomo della fede, del Vangelo, di una fede vera, di un vangelo vissuto nella vita».
Voglio partire da questo fermento rinnovatore e analizzare qualche aspetto che abbiamo definito “malessere”. Prima di tutto, da parte dei fedeli (nel mio paese), ci sono tra i cristiani dei giovani che affermano di non avere fede sufficiente per praticare la vita dei sacramenti. Recentemente una mia nipote di 16-17 anni mi chiedeva: “ Perché sono stata battezzata? Non è stato chiesto il mio consenso. Sono stata impegnata senza che Io sapessi ”. Ho risposto che non le era stato chiesto l’assenso per venire al mondo. Qui si tratta di una caso analogo. È un problema questo che è posto molto da un gran numero di giovani al giorno d’oggi. Un gran numero di giovani in Francia evita attualmente il matrimonio in chiesa: ci si sposa con serietà ma non si comprende il significato del sacramento. Alcuni di costoro non fanno battezzare i loro figli dicendo: ” Si deciderà più avanti, quando lui stesso potrà scegliere ”. Quindi si tratta sempre della idea della libertà: si vuole decidere liberamente, si rifiuta ciò che attualmente è definito “établissement”. Che cosa è questo établis-sement? È una struttura oggettiva che non è autodeterminata, ma che è stata imposta come tale dal di fuori (istituzione). Allora si rifiutano le istituzioni, le grosse organizzazioni sempre per la stessa ragione. Spesso poi nei fedeli si nota una grave insoddisfazione per le nostre predicazioni. Essi sono molto critici verso i documenti ufficiali della S. Sede e dei Vescovi. Ai fedeli sembra che le parole di noi preti vengano da un mondo lontano ed irreale: accettano solo gli interventi che riguardano la loro vita da vicino, interventi riguardanti la giustizia, l’amore, il sesso e cose del genere, che sono effettivamente la loro vita. Osservate il successo della “pacem in terris” dove si tratta della vita degli uomini e più che delle pene tra gli uomini, dei loro diritti. Anche in questo caso rileviamo un malessere. Non meno dei laici noi preti risentiamo di questo malessere. Siamo in dubbio a volte se dare o meno il Battesimo a un bambino che. ne siamo sicuri, non potrà continuare il cammino della fede perché la sua famiglia, né è del tutto estranea. Nel mio paese non mancano casi di preti che hanno rifiutato quando i fratellini del bambino non erano per nulla stati istruiti nella fede né avevano frequentato il catechismo. Il Battesimo infatti presuppone e implica la fede. In certe occasioni poi ci chiediamo che significato abbia la richiesta del sacramento del Matrimonio. Infatti i due giovani vengono in chiesa perché lo vuole la nonna, perché è tradizione, è una bella cerimonia, ecc. Allora, io mi domando, posso avallare tutto questo, in quanto prete? Vi è inoltre la Comunione solenne, la professione di fede. Quante volte certi preti sono sicuri che su 40 bambini solo due o tre potranno perseverare nella fede. Spesso la professione di fede che fanno, è un atto che non ha radici nella loro vita e allora ci chiediamo: è bene favorirla? Io parlo dei preti, ma potrei parlare anche dei Vescovi. Se fossi vescovo, mi chiederei che cosa significa la Confermazione, dare lo Spirito Santo a bambini che vivono in certi ambienti? Sappiamo che spesso si chiede al Vescovo di essere presente per una cerimonia, per l’apertura della caccia, per l’anniversario del reggimento, ecc. Bisogna ammettere tutto ciò? E' serio? Se la Messa è memoriale della passione e della risurrezione di Cristo, è una cosa seria usarla in queste circostanze? E infine, noi stessi conosciamo il carattere irreale delle nostre predicazioni. Un aneddoto: Troskiy era in una scuola protestante e in questa scuola l’anno scolastico cominciava con una celebrazione dove il pastore faceva una lunga predica. Troskiy non sapeva la lingua e domandò a un compagno: “Che cosa ha detto il pastore?” e l’altro: “Ha detto tutto ciò che doveva essere detto”. Cioè nulla. Quando la liturgia era in latino era molto difficile che la gente capisse bene, adesso che è in lingua parlata ugualmente rischia di capire le parole, ma di non comprendere a fondo il significato. La gente poi avverte che la lingua della liturgia, della Bibbia, è una lingua ben diversa dalla loro. Dunque, anche qui un malessere.
Valore dei piccoli gruppi.
La catechesi in occasione dei sacramenti è molto importante. Se fatta bene è anche una cosa molto profonda e bella. I mezzi di diffusione sono molti: i libri, i giornali, la TV, ecc; tutto ciò è molto importante e io stesso lo attuo spesso, ma voglio proporre un altro punto di vista nel quale io credo si trovi l’avvenire della chiesa. Nella difficile situazione della quale ho appena parlato, in cui la fede non ha più senso, i bambini si dichiarano atei, ecc.. sarà necessario «ripensare i problemi della fede in gruppi a misura umana, più piccoli della parrocchia, che le appartengono, ma che non sono la grande assemblea parrocchiale, anonima. Ci sono gruppi in cui ciascuno si esprime, parla, comunica agli altri la fede, soprattutto innanzi ai fatti e agli avvenimenti sociali (Cile Terzo mondo, sviluppo dei popoli, carestia nel Sahara, ecc.) e i piccoli avvenimenti di ogni giorno (una nascita, una malattia, un matrimonio, l’inizio dell’attività lavorativa di un giovane, ecc. In questi gruppi la vita concreta è lo spunto per comunicarsi la propria fede, dirsi vicendevolmente in quale modo in nome del Vangelo si deve reagire ai fatti del mondo e comunicarsi le proprie esperienze, comportarsi innanzi agli altri. Si potrà cosi arrivare a una tede più personale e reale che vada oltre la semplice fede del catechismo, appreso a memoria, e si manifesta con una professione responsabile e coerente».
«L’anno santo che stiamo vivendo è stato proposto dal Papa come un’occasione della nostra conversione e riconciliazione con Dio e con i fratelli. Poiché la conversione è innanzitutto un dono di Dio, prima che frutto dei nostri sforzi, deve assumere un posto fondamentale in questo nostro impegno l’ascolto della Parola di Dio. Per questo, come proposta concreta per l’anno santo qui nella nostra comunità proponiamo agli adulti un impegno di catechesi e, perché sia una proposta efficace, che raggiunge le persone e non la massa, proponiamo incontri di piccoli gruppi di adulti o all’Oratorio o nelle famiglie. Questi incontri dovranno avere una certa continuità nel tempo e nelle persone. Per il momento noi proponiamo i seguenti incontri all’Oratorio:
— mercoledì ore 15
— mercoledì ore 20,30
— sabato ore 15
— domenica ore 16
Questi incontri avranno inizio la prossima settimana a partire da mercoledì 30 gennaio. Se poi alcuni adulti riescono a combinare incontri nelle loro case con i loro vicini non devono fare altro che comunicarcelo. Al Carmine si sono già avviati due gruppi di adulti nelle case: si trovano al giovedì sera ogni quindici giorni. Sembra inutile ricordare che tutti possono partecipare a questi incontri. Anche questa può essere un’occasione per cambiare la nostra mentalità, per rendere più umana la nostra vita: può essere un inizio di conversione Con l’augurio che questa proposta venga presa sul serio, saluto.
don Giancarlo Bresciani
«La nostra prima catechesi è saper stare insieme per riscoprirci a vicenda».
Già da molto tempo tra i nostri gruppi catechistici, era nata la domanda di cosa significasse per noi incontrarsi o stare assieme. A questa domanda avevamo dato risposte insufficienti, risposte che non corrispondevano a verità. Poi l’idea di una vacanza, anche se breve, a Zambia Alta, ha visto riuniti molti ragazzi ed anche in quell’occasione ci è stata posta la solita domanda. Molti hanno arricciato il naso o fatto il broncio ed è stato proprio allora che ho capito l’importanza di quella domanda. Andare a Zambia per me non è stato solo un modo come un altro di divertirmi, ma è stato capire che importanza avessero per me gli altri. Da allora sono cambiata perché negli altri ora vedo dei veri fratelli e non e-scludo nessuno di loro anche se non sono come vorrei. Quella di ambia non è stata solo un’esperienza passeggera, ma stata ciò che ha cambiato il mio modo di comportarmi verso gli altri.
Rinaldi Carla
27-28 dicembre - Villa S. Maria: due giorni insieme ai ragazzi che si stanno preparando alla Cresima.
Questi due giorni sono stati proposti come un momento per stare insieme, per dare importanza alle persone che avevamo intorno, accorgerci degli altri, ascoltare e parlare(cercando di andare più in là del captare ed emettere suoni). Si è cercato di vedere se potevamo realizzare questa proposta in momenti di svago e di riflessione in comune durante i quali un po’ tutti ci siamo chiesti che tipo di vita è quella che stiamo vivendo nella scuola, in famiglia, con gli amici. Tutto questo è senz'altro un poco fuori da certi schemi in cui molte volte i ragazzi sono costretti: non il compito, non la lezione da ripetere, non delle regole da rispettare ma chiedersi che tipo di persone si sceglie di essere nelle situazioni concrete in cui ci si trova. Entrare in questa prospettiva è stata forse la difficoltà maggiore. Scrivere qui adesso tutto quello che è stato detto dai ragazzi è un po' impossibile, la cosa comunque che ha colpito noi giovani clic abbiamo vissuto assieme a loro questi momenti è stata la loro incapacità di mettere in discussione, di rivedere certi atteggiamenti, certi « ma' » di stare insieme ritenuti invece, con sicurezza giusti. Hanno scoperto per esempio che tra di loro ci sono divisioni o rapporti di semplice convenienza, ma, per la maggior parte di loro questo non è un problema di importanza vitale, non c'è gran che da mettere in discussione. Anche la testimonianza di due ragazzi della loro età. venuti a raccontare il tentativo che stanno facendo in gruppo per uscire da questo modo di vivere per cercare di scoprire gli altri come persone e incontrarli come tali, li ha lasciati indifferenti o comunque scettici. Questa constatazione non è una condanna dei ragazzi ma scopriamo invece come pone molti interrogativi a noi, giovani e adulti, che in molti modi contribuiamo a creare quest'aria di superficialità, di sicurezza acquistata una volta per tutte che i ragazzi respirano. ... E poi chiediamo che siano cresimati... Anche questa volta i ragazzi ci costringono a farci delle domande, domande che dobbiamo porci come singoli e come con» ponenti della società: quello che chiediamo a loro di vivere è importante per noi? È sì o no quello che possono leggere nel nostro modo di vivere in famiglia, sul lavoro, nei contatti con loro, nella scuola, come cristiani, come cittadini? Possiamo dire « io sono a posto, gli altri non fanno il loro dovere » e non sentirci sconvolti? Tormentiamo i nostri ragazzi solo con le parole?
Giusy
Siamo un gruppo di giovani del Carmine che, per la prima volta, si presenta all’opinione pubblica per far conoscere i propri problemi e i propri pensieri. Siamo partiti senza pretese evangeliche, ma sul piano di una discussione delle esperienze e dei problemi dei singoli giovani, per trovare conforto tra di noi. Tutto è iniziato un paio di anni fa, quando don Giancarlo promosse degli incontri, ai quali partecipavano i giovani del Carmine, in preparazione alla Pasqua. Questi incontri si svolgevano all’insegna dell’anonimato, si partecipava più che altro per la novità: la nostra leggerezza dipendeva dal fatto che era la prima volta che si tentava di formare un gruppo di giovani cristiani qui al Carmine. Arrivò l’estate e i giovani si persero di vista di nuovo: tutto ritornò alla normalità. Così per un anno, sino a quando non avvertimmo il bisogno di ritrovarci: ancora una volta don Giancarlo tentò di riunirci, non più in chiesa, ma, umilmente, sulla strada. Non volevamo fare discorsi teorici, ma solamente conoscerci. Spinti dal freddo poi, ci ritirammo in casa ora dell’uno, ora dell’altro. Così ricominciammo, entusiasti e pieni di buona volontà: avevamo capito che il nostro non era solo un pretesto per passare in allegria qualche ora. ma un desiderio di sfogarci, di trovare quell’appoggio morale che spesso mancava in famiglia, sul lavoro o a scuola. Aumentarono i componenti del gruppo, ma aumentarono pure i problemi e il desiderio di far qualcosa per gli altri. Ritrovandoci poi, scoprimmo che esisteva un’altra persona, una persona molto vicina a noi. ma che sentivamo molto lontana, e così, nei nostri discorsi, ci fu un posto anche per Lui. Quel Dio, che tanto impaurisce la gente, ci aiutò a restare uniti, a rinforzare la nostra amicizia e diventò, ed è rimasto tuttora, uno degli elementi principali dei nostri incontri. Il risultato è stato che abbiamo capito che il cristianesimo lo si costruisce in una società con pensieri per lo meno umani. Il nostro programma per il futuro è anzitutto quello di cercare di sensibilizzare i giovani che ci stanno vicino, che vivono accanto a noi. Riuscire a costruire una società più umana implica abbandonare la presente, fondata sull’egoismo. E il coraggio dove lo troviamo? Nella fede in Gesù e nella fiducia nel prossimo.
Un gruppo di giovani del Carmine
In un mondo dove tutto cambia, tutto è in evoluzione, vale ancora comportarsi secondo gli insegnamenti ricevuti da piccoli, accontentarsi di quello che nel passato ci hanno insegnato, vivendolo anche più o meno correttamente? Perché cerchiamo il meglio per noi e per i nostri figli come cultura, beni materiali e comodità e ci accontentiamo di quelle poche formule che abbiamo appreso in passato, per chiamarci cristiani? Critichiamo i nuovi metodi, o li ignoriamo addirittura: ci presentiamo puntualmente all’ appuntamento domenicale per salvaguardare la faccia, in modo che nessuno possa dire che non facciamo il nostro dovere di cristiani. Il Cristo ci ha lasciato solo questo a testimoniare la sua vita umana? È ben misero come messaggio: o siamo noi che l’abbiamo reso così confidandolo nella sua Chiesa nel suo tabernacolo col lumicino acceso. Ma la Chiesa non è solo di Cristo, è nostra, è stata creata per noi. Egli stesso ce l’ha lasciata in eredità, ma non perché sia solo sua, ma nostra con lui. Si può chiamare luogo d’incontro quasi casuale e abitudinario oggi la nostra Chiesa, ma non certo perno di comunità, luogo dove ci si incontra come persone unite in un solo spirito col Cristo, per celebrare e rivivere la sua nascita, morte, e resurrezione ogni volta che ci incontriamo, portandola con noi nella famiglia e viverla néll’incombenza di tutti i giorni: solo così Cristo sarà la nostra Chiesa, non sarà nato e morto invano e il suo Vangelo non sarà più misero e muto, ma vivrà in noi e sarà una dimostrazione vivente dell’amore di Dio. Il tutte le case e entrata le lettera di invito per la catechesi agli adulti, in Chiesa da un po' di tempo se ne parla, ma purtroppo sembra che si parli e si scriva il cinese. Che si incontrano sono le solite mamme piene di buona volontà, ma i più hanno ignorato tutte queste esortazioni all’incontro, poi ci si lamenta della condotta dei ragazzi e dei giovani; ma gli adulti come e quando si impegnano a costruire una famiglia cristiana? I papà non sono mai parte in causa nell'educazione religiosa dei propri figli? Si critica il modo, la forma, i cambiamenti e si continua a dormire sugli allori credendo o fingendo di credere che così va tutto bene, che si fa abbastanza per dare ai nostri figli l’esempio di vita ideale e non si vede che nella famiglia c’è una rottura religiosa che si può definire drammatica e non ci prestiamo per niente a studiare il perché, ci limitiamo ad incolpare i preti, l’oratorio, ma noi «mai». Troviamo sempre un capro espiatorio dei nostri errori e non vogliamo accettare le nostre responsabilità verso gli altri e verso noi stessi, perché non si può da soli, definirsi cristiani. Lo saremo se ci incontriamo con l’altro, se accetteremo quello che abbiamo sempre rifiutato, se metteremo la nostra volontà di migliorare, per noi e per gli altri in ogni nostra azione. L'umanità è protesa verso il futuro e noi viviamo una frenetica corsa per non perdere nulla di quello che il progresso e il consumismo ci offre. Abbiamo escluso il Cristo dalla nostra vita chiudendolo nella sua Chiesa come in un altro sepolcro, ma il disegno del Padre non era questo: Egli lo ha fatto risorgere perché viva nuovamente in noi, dovrebbe guidare ogni nostro passo, ogni nostra azione, ma noi non lo vogliamo, non può essere con noi Cristo, se non accettiamo di vivere secondo il suo esempio, abbandonando un po’ le nostre comode abitudini, permettendo la crescita, non solo del benessere, ma anche della fede, continuando la ricerca della vera vita, quella per cui siamo stati creati.
Lidia Pesenti
Nei giorni 3-4-5 gennaio si è tenuto a Clusone un incontro per tutti gli studenti della bergamasca che si riconoscevano nel fatto cristiano ed erano disponibili a trascorrere tre giorni di vita in comune. I momenti vissuti in questi tre giorni sono stati molteplici (lezioni, preghiera, gioco, canti ecc.) e tutti ugualmente importanti, tuttavia una cosa ci ha maggiormente colpito: la volontà di tutte le persone di stabilire un rapporto di amicizia fra di loro in Cristo, al di là delle proprie idee, dei propri interessi, dei propri pregiudizi. È appunto confrontando la nostra esperienza di comunità vissuta qui a Zogno con l’esperienza di Clusone, che ci siamo accorti della povertà del nostro tentativo. Ripensando all’esperienza trascorsa e alla fatica che facciamo a stare insieme, dobbiamo innanzi tutto richiamarci una cosa di fondamentale importanza: perché noi siamo insieme e come stiamo insieme. Fino a oggi abbiamo vissuto il nostro cristianesimo in modo troppo individualistico, non l’abbiamo vissuto in comunione con le altre persone della comunità. C’era in pratica una divisione fra il nostro cristianesimo individuale e il nostro cristianesimo di gruppo. Un segno di questa divisione è la fatica che facevamo a trovarci insieme. È a questo punto che abbiamo recuperato l’esperienza che qualcuno di noi ha fatto a Clusone; abbiamo preso coscienza che, perché il nostro tentativo di vita in comune diventi sempre più autentico e reale, dobbiamo fare un salto qualitativo nel modo di concepire noi stessi e gli altri. Essere chiesa vuol dire far dipendere la nostra vita dalle altre persone che vivono con noi, vuol dire creare una serie di rapporti diversi, vuol dire vivere sempre più insieme agli altri. Tutto questo non è solo un bel discorso, non deve restare tale, ma deve essere calato nella realtà; nella situazione in cui noi ci troviamo a vivere. In questo senso per noi vivere in comunione fra di noi ha voluto dire mettere insieme il nostro tempo, cioè essere fedeli a tutte quelle occasioni di incontro che la comunità ci offriva, anche a costo di rinunciare ai nostri programmi personali, ai nostri vari interessi. Inoltre abbiamo comunicato agli altri la nostra esperienza di vita, i nostri problemi, le nostre preoccupazioni. Altro momento fondamentale è stato il tentativo di correggerci vicendevolmente, cioè un aiuto a vivere più autenticamente la nostra fede. Proprio a partire da questa nuova vita che stiamo tentando di vivere sono nate alcune iniziative, che non vogliono essere altro che una ulteriore espressione della nostra vita cristiana:
a) Alcuni di noi si sono impegnati ad aiutare qualche bambino delle elementari nel loro studio: è un aiuto gratuito che ci può permettere anche di approfondire maggiormente la nostra fede.
b) Abbiamo sentito inoltre l’esigenza anche di un giudizio sulla situazione delle varie scuole in cui viviamo. Per far questo abbiamo deciso di organizzare un’assemblea pubblica sabato 16 febbraio per un tentativo di giudizio sulle varie proposte di legge per la riforma della scuola. Ci aiuteranno in questo lavoro alcuni universitari di Milano che da anni stanno tentando di vivere il fatto cristiano anche dentro la scuola.
Fabio
Esprimo qui la mia esperienza di catechesi per fare anche una riflessione su me stessa. L’incontro con i ragazzi e le ragazze che mi sono stati affidati mi obbliga ad una revisione della mia vita, che farei volentieri con loro se i genitori che mi accolgono nelle loro case in maggioranza non pretendessero di vedere in me catechista una persona che mette in pace la loro coscienza e che deve ufficialmente, di fronte ai ragazzi, « propagandare » una fede che i genitori stessi non posseggono. Quest’anno i miei ragazzi si preparano a ricevere il sacramento della Cresima, ma è molto triste vedere come alcuni vengano al catechismo solo perché obbligati, magari anche a pedate, non si da mai, e come essi se ne freghino altamente di tutto quello che si fa, e hanno anche ragione di farla. Dietro a tutto questo sta un atteggiamento dei genitori che non ho diritto di giudicare ma che è sen’altro infelice. Alcuni ragazzi sono incapaci di prendere sul serio le cose, e con questo l’ora di catechesi non è un’ora liberante ma uno spazio di tempo in chi il ragazzo, come anche a scuola, sfoga sugli altri la sua repressione la sua insicurezza, il suo desiderio di libertà che poi non si risolvono altro che nel fare casino per tutto il tempo del nostro incontro. Ora, io che mi trovo di fronte a delle persone prima ancora che a dei cristiani, se di cristiani si può parlare in certi casi, cosa posso fare? Finisco forse per imporre, dato che loro la sentono come imposta, una fede. E allora potrei benissimo trasmettere una fede non cristiana, perché tanto sarebbe lo stesso. Con i ragazzi di seconda media noi catechisti abbiamo trascorso due giornate insieme a Valtesse e condiviso il gioco, la discussione, il pranzo, le gite, cioè ogni momento. E’ risultato evidente da questo incontro come i ragazzi, e anche noi in fondo, trovino difficoltà a stare insieme, e come permangano sempre vive le solite categorie di divisione, come sia difficile togliersi dai gruppetti ristretti di amici per condividere il proprio tempo con tutti gli altri. E rimanevano là gli stessi esclusi che ci sono a scuola, nei momenti di gioco, e purtroppo nei momenti di catechesi. Prevale la legge dei più forte, chi è più forte sopravvive e domina; gli altri sono le pecore di un grande gregge che vaga qua e là, secondo dove tira il vento. E siccome l’educazione in tutte le nostre famiglie abitua fin da piccoli a ubbidire, a essere dei semplici oggetti, quelli che oggi sono pecore di dodici anni saranno poi caproni di venti, trenta quaranta anni. Ora con la mia catechesi non voglio rinfortire il gregge, che è già di per se stesso grosso. Vorrei solo riuscire a esprimere agli altri il cammino di fede che sto facendo, e solo se riuscissi a fare questo la mia catechesi sarebbe educativa, perché esprimerei agli altri la mia vita. E termino col dire che per me è iniziato il cammino di liberazione quando non mi sono sentita più pecora, quando ho preso coscienza che potevo scegliere tra vita di fede e ateismo, quando ho cominciato da soggetto la ricerca di una vita vera.
Annalisa
Mi colpisce sempre, durante l’incontro di catechismo, il silenzio delle ragazze. Pare incredibile, ma stanno zitte, non hanno niente da dire su nessun argomento, eccezion fatta per i voti che prendono a scuola. E questo non è un fatto positivo. Non si può guardare con soddisfazione a un gruppo di ragazze che si preparano a ricevere la Cresima e che, stimolate a riflettere, non hanno mai nulla da dire; ei si chiede a che cosa pensino, quali siano i loro interessi, e nasce il sospetto che di interessi ne abbiano pochini, e anche quelli piuttosto futili. Si può obiettare: « Ma se stanno buone, in silenzio, che cosa si deve pretendere di più? Se stanno in silenzio, ascoltano e imparano ». Ma questo discorso non regge perché al catechismo non si viene per imparare e basta; il catechismo è una iniziazione alla vita cristiana, e, quindi in questo contesto, la parte nozionistica, contenutistica, è minima rispetto alla parte educativa, di formazione. Durante l’incontro di catechismo cerco soprattutto di far riflettere le ragazze sulla loro vita di tutti i giorni, a casa e a scuola, stimolandole a chiedersi come possano realizzare delle scelte cristiane in quell’ambiente. Si chiede perché abbiano chiesto la Cresima, che cosa comporti, che cosa cambi nella loro vita il ricevere la Cresima, che cosa significhi accettare l’impegno di nuova vita cristiana. E le ragazze fanno silenzio, non hanno niente da dire, oppure, buttano fuori frasi prefabbricate «la Cresima è il sacramento che ci fa diventare cristiani adulti » (quando addirittura non cc soldati di Gesù Cristo»). Vita cristiana vuol dire « volersi bene » e cose simili; quando poi si chiede loro che cosa vuol dire volersi bene a Zogno, nella loro classe, nella loro famiglia, quando cioè si chiede come si possa calare nel concreto della loro situazione, il precetto dell’amore, allora tacciono. Mi pare che questo significhi una sola cosa, e cioè che tra la loro vita e il cristianesimo, c’è una profonda frattura; da una parte lo scorrere giornaliero di una vita passivamente accettata, dall’altra il cristianesimo, ridotto troppo spesso a pura pratica religiosa. Dovrebbe essere invece il fermento della vita. La vita di una ragazza di seconda media si svolge pressa poco così: si alza, sempre tardi e in qualche modo fa colazione e arraffati i libri, va a scuola; là, cerca con ogni astuzia di evitare l’interrogazione, tira un respiro di sollievo quando l’insegnante chiude il registro e attacca la spiegazione; si sente a questo punto libera di dedicarsi ai propri pensieri personali; durante l’intervallo quattro chiacchiere con le amiche fedelissime (le altre sono escluse). Quando la mattinata a scuola è conclusa, va a casa per mangiare; se c’è qualche faccenda da sbrigare, non è certo accettata con grazia, i compiti poi vengono fatti con rigoroso risparmio di impegno, quindi incomincia la televisione; e tra spettacolo tv e cena, la giornata si conclude. Parlare di vita e di impegno cristiano a questo livello è assurdo; ma è assurdo parlare anche di una vita un pochino più sera ed umana. Queste ragazze si lasciano trascinare dal tran-tran della vita di ogni giorno, senza porsi nessun perché, senza chiedersi se ciò che fanno è utile o no, accettando tutto passivamente perché bisogna farlo, o per passare il tempo. La scuola per loro è il luogo dove si distribuiscono voti o si fanno esperimenti; la casa dove si va a mangiare e a dormire e dove si passa la maggior parte del tempo: non le sfiora nemmeno l’idea che la scuola al di là dei voti e della promozione, è un momento di crescita e di maturazione, che la casa non è un albergo, ma il luogo di riunione della famiglia, in cui l’uomo si forma e cresce, nulla di tutto questo. La situazione non è affatto rosea, ma il guaio maggiore è che i principali responsabili di questo stato di cose siamo noi adulti, i ragazzi sono semplicemente il nostro specchio. Ancora una volta il discorso torna su di noi genitori, noi insegnanti, noi catechisti, noi chiesa: siamo sicuri di essere al’altezza della situazione? Stiamo veramente cercando di fare tutto il possibile? O siamo noi i primi ad essere superficiali e demotivati, i primi a subire passivamente, i primi a tirare a campare? E se così non è, mettiamoci partecipi i nostri ragazzi dei nostri pensieri, delle nostre motivazioni, della nostra concezione di vita, accettando con loro di discuterla? Oppure ci teniamo tutto dentro di noi con la scusa che i ragazzi non capiscono e che i giovani d’oggi non sentono di niente? E, seppure quest’ultima ipotesi è reale, teniamo presente che noi siamo il libro vivente per i nostri ragazzi, libro che non deve restare chiuso. È facile sentir dire dai ragazzi che « in casa loro non possono dir niente » ed è un’accusa che non deve rimanere inascoltata; parliamo con i nostri ragazzi, parliamo di tutto ciò che succede fuori e che capita a noi, mettendo in luce il nostro pensiero, accettiamo le loro osservazioni. Non rifiutiamo loro il discorso, non mandiamoli sempre « a giocare perché noi abbiamo ben altro da fare che stare ad ascoltarli ». Ascoltiamoli e parliamo con loro: è forse uno dei mezzi più efficaci per farli crescere.
Maria Luisa Z.
Per spiegare il perché della proposta di catechesi agli adulti in piccoli gruppi cedo la parola a P. Congar, uno dei teologi più impegnati del Concilio, il quale parlando a Milano su «evangelizzazione e sacramenti», ha fatto una intelligente sintesi della situazione pastorale attuale. Descrive prima la situazione precedente, poi quella attuale con alcune linee di azione:
a) «La situazione precedente
Il punto di partenza era il dare per scontata la presenza della fede nel cristiano e questo in una situazione in cui la chiesa era concepita come coincidente con la società globale. Ancora, si pensava di avere a che fare con persone di fede per il fatto che esse erano state catechizzate e praticavano nella chiesa il culto dei sacramenti. Alcuni anni fa, una suora francese, E. Germanie, ha pubblicato una tesi sulla teologia della salvezza riguardante gli anni 1815-1830. Questa tesi è molto interessante perché quanto essa presenta qui come teologia del catechismo della salvezza, è riconoscibile chiaramente in quegli anni e per certi a-spetti anche nella nostra situazione attuale. La salvezza è presentata come un bene che ci attende nel cielo e l’uomo ha anche la possibilità di perderla, ancora tra i due casi, esiste il purgatorio. Allora il cattolico doveva dedicarsi a un certo numero di pratiche onde evitare l’inferno, non fare troppo purgatorio e guadagnare il primo venerdì del mese, il Sacro Cuore, la Messa, le indulgenze, le preghiere con indulgenza, ecc.; pratiche che erano in mano al prete il quale era visto come colui che aveva il segreto per guadagnare il cielo, evitare l'inferno e non restare troppo a lungo in purgatorio. Questa descrizione non è una caratteristica, ma è specchio della situazione che si rileva da quella studio e nella quale sono presenti aspetti simili alla situazione di oggi. Infatti molti cristiani mi hanno chiesto spesso di pregare per loro al fine di fare poco purgatorio. Ma ritornando al problema iniziale si vede che il cristiano è considerato come uomo di fede perché legato a un certo numero di pratiche di culto e il clero non è altro che un clero addetto al culto, alle pratiche religiose: rosario, via crucis, esposizione del SS.mo Sacramento, ecc.. ecc. In queste condizioni si aveva coscienza dell’identità del cristiano solo per il sacramento e d’altra parte il cristiano era valutato solo grazie ai sacramenti che erano il punto di riferimento.
b) Attuale situazione di disagio e di malessere.
In questa situazione, si è verificato un certo cambiamento e un certo malessere; la fede cristiana non è più una realtà degna di interesse e ci sono ragazzini (10-11 anni) che si dichiarano atei (“rifiutano la fede: la fede è difficile...”). La fede ha degli aspetti difficili e penso che questa difficoltà aumenterà con l'andare degli anni. Infatti non ci si può più accontentare dell’insegnamento impartito dal catechismo. (Dio puro spirito, creatore... onnipotente. ecc.). Non ci si può più accontentare di una fede, direi, catechistica. La fede imparata con le formulette apprese a memoria è accettata passivamente. Ci sono invece delle esigenze che le fede sia vissuta e dimostrata nella vita dell’uomo, ponendosi di fronte alle necessità dell'uomo. Il “luogo” in cui si situa la fede, è la vita del cristiano, non più solo la pratica sacramentale. Quindi, la vita e il grado di adesione al cristianesimo non più individuato dalla costanza delle pratiche, ma solo dal grado della autenticità dell’impegno umano, della presenza del cristiano nel mondo. Pare che oggi la vocazione dell'uomo non sia più rivolta al mondo di là. il cielo, ma alla terra, al mondo. Questo mondo deve essere costruito, questo mondo in cui occorre portare più fraternità, giustizia, pace, verità e anche benessere, conforto. conoscenza. Il prete allora, si rifiuta di essere considerato come l’uomo del culto e soffre molto quando gli si domanda di essere il “medico dell’anima”, che ha in mano il “trucco ” per guadagnare il cielo. Il prete vuole essere l’uomo della fede, del Vangelo, di una fede vera, di un vangelo vissuto nella vita».
Voglio partire da questo fermento rinnovatore e analizzare qualche aspetto che abbiamo definito “malessere”. Prima di tutto, da parte dei fedeli (nel mio paese), ci sono tra i cristiani dei giovani che affermano di non avere fede sufficiente per praticare la vita dei sacramenti. Recentemente una mia nipote di 16-17 anni mi chiedeva: “ Perché sono stata battezzata? Non è stato chiesto il mio consenso. Sono stata impegnata senza che Io sapessi ”. Ho risposto che non le era stato chiesto l’assenso per venire al mondo. Qui si tratta di una caso analogo. È un problema questo che è posto molto da un gran numero di giovani al giorno d’oggi. Un gran numero di giovani in Francia evita attualmente il matrimonio in chiesa: ci si sposa con serietà ma non si comprende il significato del sacramento. Alcuni di costoro non fanno battezzare i loro figli dicendo: ” Si deciderà più avanti, quando lui stesso potrà scegliere ”. Quindi si tratta sempre della idea della libertà: si vuole decidere liberamente, si rifiuta ciò che attualmente è definito “établissement”. Che cosa è questo établis-sement? È una struttura oggettiva che non è autodeterminata, ma che è stata imposta come tale dal di fuori (istituzione). Allora si rifiutano le istituzioni, le grosse organizzazioni sempre per la stessa ragione. Spesso poi nei fedeli si nota una grave insoddisfazione per le nostre predicazioni. Essi sono molto critici verso i documenti ufficiali della S. Sede e dei Vescovi. Ai fedeli sembra che le parole di noi preti vengano da un mondo lontano ed irreale: accettano solo gli interventi che riguardano la loro vita da vicino, interventi riguardanti la giustizia, l’amore, il sesso e cose del genere, che sono effettivamente la loro vita. Osservate il successo della “pacem in terris” dove si tratta della vita degli uomini e più che delle pene tra gli uomini, dei loro diritti. Anche in questo caso rileviamo un malessere. Non meno dei laici noi preti risentiamo di questo malessere. Siamo in dubbio a volte se dare o meno il Battesimo a un bambino che. ne siamo sicuri, non potrà continuare il cammino della fede perché la sua famiglia, né è del tutto estranea. Nel mio paese non mancano casi di preti che hanno rifiutato quando i fratellini del bambino non erano per nulla stati istruiti nella fede né avevano frequentato il catechismo. Il Battesimo infatti presuppone e implica la fede. In certe occasioni poi ci chiediamo che significato abbia la richiesta del sacramento del Matrimonio. Infatti i due giovani vengono in chiesa perché lo vuole la nonna, perché è tradizione, è una bella cerimonia, ecc. Allora, io mi domando, posso avallare tutto questo, in quanto prete? Vi è inoltre la Comunione solenne, la professione di fede. Quante volte certi preti sono sicuri che su 40 bambini solo due o tre potranno perseverare nella fede. Spesso la professione di fede che fanno, è un atto che non ha radici nella loro vita e allora ci chiediamo: è bene favorirla? Io parlo dei preti, ma potrei parlare anche dei Vescovi. Se fossi vescovo, mi chiederei che cosa significa la Confermazione, dare lo Spirito Santo a bambini che vivono in certi ambienti? Sappiamo che spesso si chiede al Vescovo di essere presente per una cerimonia, per l’apertura della caccia, per l’anniversario del reggimento, ecc. Bisogna ammettere tutto ciò? E' serio? Se la Messa è memoriale della passione e della risurrezione di Cristo, è una cosa seria usarla in queste circostanze? E infine, noi stessi conosciamo il carattere irreale delle nostre predicazioni. Un aneddoto: Troskiy era in una scuola protestante e in questa scuola l’anno scolastico cominciava con una celebrazione dove il pastore faceva una lunga predica. Troskiy non sapeva la lingua e domandò a un compagno: “Che cosa ha detto il pastore?” e l’altro: “Ha detto tutto ciò che doveva essere detto”. Cioè nulla. Quando la liturgia era in latino era molto difficile che la gente capisse bene, adesso che è in lingua parlata ugualmente rischia di capire le parole, ma di non comprendere a fondo il significato. La gente poi avverte che la lingua della liturgia, della Bibbia, è una lingua ben diversa dalla loro. Dunque, anche qui un malessere.
Valore dei piccoli gruppi.
La catechesi in occasione dei sacramenti è molto importante. Se fatta bene è anche una cosa molto profonda e bella. I mezzi di diffusione sono molti: i libri, i giornali, la TV, ecc; tutto ciò è molto importante e io stesso lo attuo spesso, ma voglio proporre un altro punto di vista nel quale io credo si trovi l’avvenire della chiesa. Nella difficile situazione della quale ho appena parlato, in cui la fede non ha più senso, i bambini si dichiarano atei, ecc.. sarà necessario «ripensare i problemi della fede in gruppi a misura umana, più piccoli della parrocchia, che le appartengono, ma che non sono la grande assemblea parrocchiale, anonima. Ci sono gruppi in cui ciascuno si esprime, parla, comunica agli altri la fede, soprattutto innanzi ai fatti e agli avvenimenti sociali (Cile Terzo mondo, sviluppo dei popoli, carestia nel Sahara, ecc.) e i piccoli avvenimenti di ogni giorno (una nascita, una malattia, un matrimonio, l’inizio dell’attività lavorativa di un giovane, ecc. In questi gruppi la vita concreta è lo spunto per comunicarsi la propria fede, dirsi vicendevolmente in quale modo in nome del Vangelo si deve reagire ai fatti del mondo e comunicarsi le proprie esperienze, comportarsi innanzi agli altri. Si potrà cosi arrivare a una tede più personale e reale che vada oltre la semplice fede del catechismo, appreso a memoria, e si manifesta con una professione responsabile e coerente».
A PENTECOSTE (2 giugno) LE CRESIME
Quest’anno avremo la possibilità di celebrare il sacramento della Cresima dei nostri ragazzi proprio il giorno di Pentecoste: la festa dello Spirito Santo, che vien dato in dono al cristiano dal Cristo Risorto. La Cresima non è una pratica burocratica necessaria solo per sposarsi. La Cresima è un sacramento che va visto in stretto legame con il Battesimo. Nel Battesimo ci vien dato lo Spirito di adozione in figli di Dio: diventiamo figli adottivi di Dio ed entriamo a far parte di una comunità, la Chiesa. La Cresima ci dà lo Spirito che perfeziona la nostra comunione ecclesiale e ci dona la capacità di vivere una vita cristiana matura, cioè, un rapporto sempre più perfetto con Dio Padre che si esplicita anche in una missione specifica all'interno della Chiesa. Ogni cristiano battezzato-cresimato ha il suo posto inconfondibile nella Chiesa: è chiamato a costruire la Chiesa con la sua vita di ogni giorno. La Cresima è quindi un sacramento che ci richiama a una presenza attiva nella Chiesa. Ecco perciò che la Cresima dei nostri ragazzi interroga la nostra vita di cristiani adulti, perché siamo ancora troppo assenti dalla vita ecclesiale, troppo passivi: lasciamo fare agli altri. Ma non si può essere cristiani per delega: dobbiamo riscoprire le nostre precise responsabilità di cristiani adulti. Se cercheremo di superare il nostro assenteismo e la nostra passività forse ci sarà più facile anche far capire ai nostri ragazzi cosa sia la Cresima: per ora, farlo capire è davvero impresa ardua.
don Giancarlo Bresciani
don Giancarlo Bresciani
13 GIUGNO: PRIME COMUNIONI
Il 13 giugno ricorre quest’anno la solennità del Corpo di Cristo, solennità che ci richiama il significato e il valore dell’Eucaristia nella nostra vita cristiana. In questa solennità i nostri ragazzi celebreranno la Messa di Prima Comunione. Già da ottobre abbiamo iniziato la catechesi settimanale di preparazione. In quaresima si son tenuti anche degli incontri settimanali di preghiera per questi ragazzi. Sembra che questi ragazzi prendano le cose abbastanza sul serio. Fanno altrettanto i genitori? Li sentiamo un po’ assenti. La scheda per i genitori che segue il catechismo dei ragazzi è fatta molto bene: non solo informa su quello che si dice ai ragazzi, ma è un aiuto anche per ripensare tutta la vita cristiana della famiglia e in particolare dei genitori. Raccomando quindi di seguire quella scheda e di partecipare attivamente all’incontro di catechismo dei ragazzi, quando si svolge nella propria casa. Accompagniamo anche questa preparazione con la nostra preghiera personale e familiare. Questi nostri ragazzi devono capire che anche la loro famiglia crede all’Eucaristia che egli celebrerà.
don Giancarlo Bresciani
don Giancarlo Bresciani
COLONIA ESTIVA ALL’ORATORIO:
PROBLEMA DI TUTTI, NON DI POCHI VOLONTARI
Venerdì 24 maggio scorso abbiamo convocato i genitori interessati al problema della colonia estiva all'Oratorio per vedere un po' insieme questo problema. In quella riunione si concluse di coinvolgere oltre i genitori anche l'Amministrazione Comunale, perché non è giusto puntare solo sulla buona volontà di qualcuno per risolvere il problema del tempo libero dei ragazzi. Si incaricò quindi un gruppo di genitori (circa una decina) di prendere contatto con il Sindaco: ciò avvenne la sera del 29 maggio. Il Sindaco si è dichiarato sensibile al problema e ha promesso di portarlo al prossimo Consiglio Comunale. Di concreto ha promesso il pagamento del trasporto dei ragazzi del Carmine, di due gite che di solito si fanno in pullman, e. in più qualche centinaia di migliaia di lire (senza però ben precisare, perché il bilancio comunale è già stato fatto e quindi non può disporre di cifre precise). Il Sindaco ha poi chiesto al gruppo di genitori di presentare un programma, in linea di massima, di quello che si intende fare in colonia, perché intende presentarlo al prossimo Consiglio Comunale. Nei giorni scorsi abbiamo aperto le iscrizioni: finora gli iscritti (da II elem. a III media) sono circa un centinaio. Cosa si farà in colonia? Ancora non è precisato il programma, perché vogliamo costruirlo un po’ con gli interessati. Si svolgerà nel periodo 1 luglio-2 agosto, escluso il sabato e la domenica, con l'orario degli anni scorsi: dalle 14 alle 18. Sembra che qualche genitore si stia sensibilizzando su questo problema: mi auguro che si continui sulla strada intrapresa: i beneficiari non saranno solo i ragazzi, ma anche noi che ci interessiamo di loro.
don Giancarlo Bresciani
don Giancarlo Bresciani
IL CATECHISMO DEI FANCIULLI (6 – 8 anni)
É stato pubblicato in questi mesi il primo volume del « Catechismo dei fanciulli ». Per i fanciulli dai 6 agli 11 anni sono previsti tre catechismi, il primo, quello pubblicato adesso, è per i fanciulli dai 6 agli 8 anni. Questa pubblicazione ci offre la occasione per alcune riflessioni:
1. - Per il ciclo elementare sono previsti tre catechismi e non cinque: non c’è più un testo fisso per ogni classe elementare; non si guarda più alla classe, ma al cammino di fede del ragazzo, della sua famiglia e della comunità.
2. - Non è più un catechismo da far studiare ai fanciulli: è il libro della fede del fanciullo, dove vi si riconoscono i genitori, le famiglie e la comunità tutta. «Il catechismo dei fanciulli è anche una stupenda occasione di evangelizzazione dei grandi», è detto nell’introduzione. «Il testo infatti comprende anche delle pagine destinate prima alla comunità che agli stessi fanciulli: sono le pagine che precedono ogni capitolo, scritte anch’esse in chiave di vero catechismo, più che in chiave di riflessione pedagogica o didattica. Perché? Perché qui i genitori, i sacerdoti, gli educatori alla fede, possono trovare un conveniente arricchimento dei temi catechistici proposti nel testo per i fanciulli. In tal modo, essi stessi vengono responsabilizzati come testimoni della fede, mentre vengono offerto utili orientamenti di sviluppo per una personale azione educativa in famiglia e in parrocchia, a scuola e nei gruppi associativi. Si avvera così quello che auspicava il Documento-Base: prima dei cachechismi ci sono i catechisti e, prima ancora, ci sono le comunità ecclesiali. Mentre gli adulti aiutano i fanciulli a crescere nella fede, i fanciulli provocano gli adulti a una verifica di vita e li stimolano, a loro volta, a confrontarsi con il Vangelo, perché diventino veri testimoni del Signore».
3. - Non è un catechismo per la preparazione alla Prima Comunione come intendiamo noi. Più che di preparazione a un sacramento oggi si parla di evangelizzazione, di esperienza di fede. Prima di celebrare un sacramento è necessario che ci sia il credente. «Con questo catechismo vogliamo metterci in mezzo ai fanciulli, per aiutarli a scoprire i segni della presenza del Signore, la gioiosa testimonianza di Cristo risorto: la sua vita, la sua passione, morte e resurrezione; la sua parola, il suo perdono, la promessa del suo ritorno. Se i fanciulli riusciranno a fare con i loro catechisti e con l’intera comunità questa profonda esperienza di fede, saranno preparati anche all’incontro con Gesù nella S. Messa di Prima Comunione, e saranno pronti a muovere i primi passi responsabili verso una più piena scoperta della Chiesa». Questo catechismo vuol essere un mezzo offerto ai fanciulli per «ispirare e sorreggere la loro esperienza per un incontro personale con il Signore». Ecco il vero scopo della catechesi: portare il credente a un incontro personale con il Signore.
4. - Dai brevi accenni fatti sopra risulta chiaro che siamo chiamati a intraprendere con sempre maggior impegno la revisione della nostra mentalità, prendendo sul serio anche quelle proposte che ci verranno fatte nel prossimo anno. Dobbiamo riconoscere onestamente che la catechesi nella nostra vita è ancora un fatto marginale, che non sconvolge per niente la nostra vita: non vediamo la catechesi come un orientamento di vita. Occorre quindi che abbiamo a prendere sul serio anche questa nuova occasione, che ci viene offerto dai nostri Vescovi, per fare della nostra vita un continuo cammino di fede e non una ripetizione meccanica di gesti e di parole.
don Giancarlo Bresciani
1. - Per il ciclo elementare sono previsti tre catechismi e non cinque: non c’è più un testo fisso per ogni classe elementare; non si guarda più alla classe, ma al cammino di fede del ragazzo, della sua famiglia e della comunità.
2. - Non è più un catechismo da far studiare ai fanciulli: è il libro della fede del fanciullo, dove vi si riconoscono i genitori, le famiglie e la comunità tutta. «Il catechismo dei fanciulli è anche una stupenda occasione di evangelizzazione dei grandi», è detto nell’introduzione. «Il testo infatti comprende anche delle pagine destinate prima alla comunità che agli stessi fanciulli: sono le pagine che precedono ogni capitolo, scritte anch’esse in chiave di vero catechismo, più che in chiave di riflessione pedagogica o didattica. Perché? Perché qui i genitori, i sacerdoti, gli educatori alla fede, possono trovare un conveniente arricchimento dei temi catechistici proposti nel testo per i fanciulli. In tal modo, essi stessi vengono responsabilizzati come testimoni della fede, mentre vengono offerto utili orientamenti di sviluppo per una personale azione educativa in famiglia e in parrocchia, a scuola e nei gruppi associativi. Si avvera così quello che auspicava il Documento-Base: prima dei cachechismi ci sono i catechisti e, prima ancora, ci sono le comunità ecclesiali. Mentre gli adulti aiutano i fanciulli a crescere nella fede, i fanciulli provocano gli adulti a una verifica di vita e li stimolano, a loro volta, a confrontarsi con il Vangelo, perché diventino veri testimoni del Signore».
3. - Non è un catechismo per la preparazione alla Prima Comunione come intendiamo noi. Più che di preparazione a un sacramento oggi si parla di evangelizzazione, di esperienza di fede. Prima di celebrare un sacramento è necessario che ci sia il credente. «Con questo catechismo vogliamo metterci in mezzo ai fanciulli, per aiutarli a scoprire i segni della presenza del Signore, la gioiosa testimonianza di Cristo risorto: la sua vita, la sua passione, morte e resurrezione; la sua parola, il suo perdono, la promessa del suo ritorno. Se i fanciulli riusciranno a fare con i loro catechisti e con l’intera comunità questa profonda esperienza di fede, saranno preparati anche all’incontro con Gesù nella S. Messa di Prima Comunione, e saranno pronti a muovere i primi passi responsabili verso una più piena scoperta della Chiesa». Questo catechismo vuol essere un mezzo offerto ai fanciulli per «ispirare e sorreggere la loro esperienza per un incontro personale con il Signore». Ecco il vero scopo della catechesi: portare il credente a un incontro personale con il Signore.
4. - Dai brevi accenni fatti sopra risulta chiaro che siamo chiamati a intraprendere con sempre maggior impegno la revisione della nostra mentalità, prendendo sul serio anche quelle proposte che ci verranno fatte nel prossimo anno. Dobbiamo riconoscere onestamente che la catechesi nella nostra vita è ancora un fatto marginale, che non sconvolge per niente la nostra vita: non vediamo la catechesi come un orientamento di vita. Occorre quindi che abbiamo a prendere sul serio anche questa nuova occasione, che ci viene offerto dai nostri Vescovi, per fare della nostra vita un continuo cammino di fede e non una ripetizione meccanica di gesti e di parole.
don Giancarlo Bresciani
SCUOLA DI NUOTO ALL’ORATORIO
Nella piscina prodigiosa del Centro Giovanile, dopo il turno della colonia estiva, si sta svolgendo con successo la scuola di nuoto per merito dell’impareggiabile maestro signor Hervé Poulet, che gentilmente offre la sua qualificata prestazione gratuita e ben merita pertanto la nostra viva riconoscenza e la nostra più sincera ammirazione.
UN ALTRO ANNO DI CATECHESI
Si sono ormai avviati quasi tutti i gruppi di catechesi. Anche quest’anno vogliamo continuare nel nostro impegno di ascolto dell’ambiente in cui operiamo e con meno superficialità. Il fatto che la catechesi ci dia occasione di conoscerci è già un fatto positivo e resta sempre un punto di partenza fondamentale. Da qui poi possiamo iniziare a parlarci, a scambiarci le nostre esperienze di vita e a darci la « Buona Notizia » della presenza salvatrice del Cristo nella nostra vita: la catechesi deve sempre svolgersi in un clima umano per essere efficace. Dio si è fatto uomo per parlare agli uomini. La dimensione umana della catechesi resta una condizione indispensabile, però non basta: la catechesi deve portare l’uomo alla scoperta di Dio nella sua vita quotidiana, al dialogo con Dio. E questo è il difficile del nostro tempo, dove Dio non trova più un posto. Pur continuando quest’anno lo schema di lavoro dello scorso anno, ci sarà un particolare lavoro per:
1) la seconda elementare: si userà il nuovo Catechismo dei fanciulli con particolare collaborazione tra catechisti, genitori e insegnanti. Questo lavoro sarà poi confrontato mensilmente con quello di 7 o 8 altre parrocchie della nostra diocesi. Ci saranno particolari schede per i genitori e per i ragazzi, per aiutarli a ben usare del Catechismo dei fanciulli, che non dovrà più essere preso come un testo di catechismo da studiare, ma come il libro della fede della famiglia, dove sta l’annuncio evangelico. Lo scopo delle schede sarà quello di aiutarci a tradurre nella vita quel messaggio.
2) le medie: nel limite delle nostre possibilità vorremmo rendere più seri i gruppi di catechesi. Vorremmo, cioè, arrivare a rendere questi gruppi non solo gruppi che durano un’ora la settimana, ma dei gruppi che hanno una loro propria vita, dove nel loro interno, nei rapporti tra i componenti circolino dei valori in modo tale da modificare la vita dei singoli individui. Questa esperienza di gruppo oggi sembra essere l’unico spazio per poter diventare cristiani, dato che non c’è più un ambiente, una comunità che faccia circolare al suo interno questi valori, in quanto la società di oggi è orientata su ben altri valori.
3) i ragazzi dopo le medie: vorremmo quest’anno essere vicini anche in modo particolare a quei ragazzi, che hanno già terminato le medie. E’ sempre stato un po’ difficile questo tentativo, perché alcuni vanno a scuola, altri al lavoro e difficilmente si riesce a trovare dei momenti comuni per tutti.
Sembra però che i ragazzi di terza media dello scorso anno abbiano voglia di continuare a trovarsi. Me lo auguro, perché è alquanto urgente colmare il vuoto giovanile, che esiste nella nostra comunità.
don Giancarlo Bresciani
S. Messe di gruppo durante la settimana
Per dare la possibilità di una partecipazione più attiva all’Eucarestia a coloro che lo desiderano, si propongono le seguenti Messe di gruppo, che avranno come caratteristica la riflessione comunitaria sul Vangelo e la partecipazione alla preghiera dei fedeli:
- in parrocchia:
1° mercoledì del mese, ore 17: ragazzi di quarta e quinta elementare
2° mercoledì del mese, ore 17 : ragazzi di prima media
3° mercoledì del mese, ore 17: ragazzi di seconda media
4° mercoledì del mese, ore 17: ragazzi di terza media
ogni venerdì ore 20: giovani e adulti
- al Carmine:
ogni martedì, ore 20: giovani e adulti
ogni giovedì, ore 17: ragazzi delle elementari e medie.
1) la seconda elementare: si userà il nuovo Catechismo dei fanciulli con particolare collaborazione tra catechisti, genitori e insegnanti. Questo lavoro sarà poi confrontato mensilmente con quello di 7 o 8 altre parrocchie della nostra diocesi. Ci saranno particolari schede per i genitori e per i ragazzi, per aiutarli a ben usare del Catechismo dei fanciulli, che non dovrà più essere preso come un testo di catechismo da studiare, ma come il libro della fede della famiglia, dove sta l’annuncio evangelico. Lo scopo delle schede sarà quello di aiutarci a tradurre nella vita quel messaggio.
2) le medie: nel limite delle nostre possibilità vorremmo rendere più seri i gruppi di catechesi. Vorremmo, cioè, arrivare a rendere questi gruppi non solo gruppi che durano un’ora la settimana, ma dei gruppi che hanno una loro propria vita, dove nel loro interno, nei rapporti tra i componenti circolino dei valori in modo tale da modificare la vita dei singoli individui. Questa esperienza di gruppo oggi sembra essere l’unico spazio per poter diventare cristiani, dato che non c’è più un ambiente, una comunità che faccia circolare al suo interno questi valori, in quanto la società di oggi è orientata su ben altri valori.
3) i ragazzi dopo le medie: vorremmo quest’anno essere vicini anche in modo particolare a quei ragazzi, che hanno già terminato le medie. E’ sempre stato un po’ difficile questo tentativo, perché alcuni vanno a scuola, altri al lavoro e difficilmente si riesce a trovare dei momenti comuni per tutti.
Sembra però che i ragazzi di terza media dello scorso anno abbiano voglia di continuare a trovarsi. Me lo auguro, perché è alquanto urgente colmare il vuoto giovanile, che esiste nella nostra comunità.
don Giancarlo Bresciani
S. Messe di gruppo durante la settimana
Per dare la possibilità di una partecipazione più attiva all’Eucarestia a coloro che lo desiderano, si propongono le seguenti Messe di gruppo, che avranno come caratteristica la riflessione comunitaria sul Vangelo e la partecipazione alla preghiera dei fedeli:
- in parrocchia:
1° mercoledì del mese, ore 17: ragazzi di quarta e quinta elementare
2° mercoledì del mese, ore 17 : ragazzi di prima media
3° mercoledì del mese, ore 17: ragazzi di seconda media
4° mercoledì del mese, ore 17: ragazzi di terza media
ogni venerdì ore 20: giovani e adulti
- al Carmine:
ogni martedì, ore 20: giovani e adulti
ogni giovedì, ore 17: ragazzi delle elementari e medie.
LA CATECHESI DEI RAGAZZI CI INTERROGA
La catechesi che stiamo portando avanti ci pone di fronte a problemi sempre più seri, perché ci porta sempre più nei problemi di fondo della nostra vita. La catechesi oggi non è più ridotta a un semplice insegnamento dottrinale: il libro su cui leggiamo è la nostra vita di ogni giorno, confrontata con la Parola di Dio. Scopo della catechesi è di educare a vivere con la stessa mentalità di Cristo: « C’è vera mentalità di fede, quando c’è capacità di comprendere e di interpretare tutte le cose secondo la pienezza del pensiero di Cristo » (D.B. 39). La catechesi deve portare il credente a ricordarsi della sua scelta di fede nelle situazioni impegnative della propria vita, cioè, quando deve prendere delle decisioni e fare delle scelte che lo impegnano in quanto uomo e non solo in quanto tecnico. Es.: quando una segretaria si sente dire dal suo principale cinque minuti prima del termine del suo lavoro: « Signorina, è libera questa sera? ». Questa domanda non è rivolta alla segretaria, come tecnica, ma come donna: e qui nel rispondere deve ricordarsi della sua scelta di fede. Il cristiano si trova spesso in situazioni sfidanti, cioè nell’urgenza di pensare, giudicare e decidere la propria azione secondo la fede. Scopo della catechesi è appunto quello di abilitare, cioè, rendere capace il cristiano di comportarsi in base alla sua mentalità di fede, cioè di integrare la fede nella sua vita di ogni giorno. Questo è il lavoro che vogliamo portare avanti con i ragazzi, ma ci sono serie difficoltà:
1. una comunità di adulti che dà sempre meno importanza alla propria fede nel Cristo.
• Domandavo in questi giorni a parecchi dei nostri ragazzi chi parla loro di Gesù, di Dio; le risposte sono state sconcertanti: preti, suore, catechista, maestro, nonni; pochissimi hanno detto: i genitori. La religione è diventata un problema tecnico, lasciato ad alcuni specialisti, sta perdendo la sua dimensione umana.
• La stessa resistenza che alcuni genitori pongono alla catechesi che stiamo facendo, perché, secondo loro, dovrebbe essere fatta dai preti e dalle suore, porta alla stessa conclusione accennata sopra.
• Così la fede finisce per coinvolgere la persona nei momenti non impegnativi: la fede finisce per essere esaurita nella Messa festiva, nel catechismo, nella preghiera, ma come momenti al di fuori della vita reale.
• Una fede che non coinvolge la vita di ogni giorno non ha più senso, diventa alienante: ecco l’allergia che c’è in tanti dei nostri ragazzi, giovani e anche non più giovani verso la preghiera, Messa, catechismo e qualsiasi discorso religioso.
2. una comunità che richiede i sacramenti come esigenze sociologiche, perché voluti dall’ambiente in cui si vive.
• I sacramenti (Battesimo, Cresima, Eucarestia) sono visti come scadenze che il proprio figlio deve vivere, ma non si preoccupa di vedere a che punto è la nostra fede e la fede del figlio. Ciò che è fondamentale per far parte della Chiesa è la fede in Cristo, cioè aver trovato in Cristo la nostra vita: i sacramenti vengono dopo. Senza la fede il sacramento per noi non ha valore.
• Così si finisce per chiedere di poter celebrare il sacramento per due figli insieme, perché si fa una spesa unica, una festa sola: è la fede o sono i soldi il criterio per ammettere a un sacramento?
• Così si finisce per anteporre al catechismo del figlio il corso di sci, di ginnastica, di karaté, scuola di lavoro, ecc.
3. mentalità che porta ad un preoccupante assenteismo, specialmente da parte degli uomini. Troppi genitori sono ancora assenti!
Il compito di educare alla fede nasce per i genitori dal sacramento del matrimonio, che ha unito i due in uno. E questo dice che l’educazione risulta dalla vita di insieme dei due. Un giorno una mamma mi diceva che all’altare avevano detto il «sì» in due, ma ora c’era solo il suo «sì». Dobbiamo prendere atto di questa mentalità per ridare al papà la sua tipica e insostituibile figura di educatore. Finché i nostri ragazzi vedranno il problema religioso solo problema di donne, la nostra educazione sarà sempre squilibrata e inefficace.
4. una comunità che non ha ancora trovato un vero posto da dare ai ragazzi.
Si vedono ancora i ragazzi come coloro che devono imparare, che devono ascoltare, che devono tacere. Non c’è per niente un ambiente che sappia valorizzare la presenza di questi ragazzi come persone e come credenti. Quando si parla di catechesi della famiglia non bisogna solo pensare al posto che hanno i genitori, ma anche al posto dei figli. Già nel documento «Matrimonio e famiglia» del 1969 i Vescovi italiani affermavano: «Nella famiglia non solo i genitori educano i figli, ma anche i figli i genitori». Noi oggi non riusciamo ancora ad accogliere il ragazzo come colui che può mettere in crisi la nostra fede. Noi ci presentiamo a lui sempre come perfetti, come persone arrivate e non tolleriamo che possa mettere in crisi le nostre sicurezze. Così perdiamo una grande ricchezza umana e di fede: una possibilità di crescita. Allora va tutto male? No! Ci sono persone che stanno prendendo coscienza di questi problemi e si stanno dando da fare. Se ho accennato in particolare agli aspetti negativi è solo perché ce ne rendiamo conto e li superiamo.
don Giancarlo Bresciani
1. una comunità di adulti che dà sempre meno importanza alla propria fede nel Cristo.
• Domandavo in questi giorni a parecchi dei nostri ragazzi chi parla loro di Gesù, di Dio; le risposte sono state sconcertanti: preti, suore, catechista, maestro, nonni; pochissimi hanno detto: i genitori. La religione è diventata un problema tecnico, lasciato ad alcuni specialisti, sta perdendo la sua dimensione umana.
• La stessa resistenza che alcuni genitori pongono alla catechesi che stiamo facendo, perché, secondo loro, dovrebbe essere fatta dai preti e dalle suore, porta alla stessa conclusione accennata sopra.
• Così la fede finisce per coinvolgere la persona nei momenti non impegnativi: la fede finisce per essere esaurita nella Messa festiva, nel catechismo, nella preghiera, ma come momenti al di fuori della vita reale.
• Una fede che non coinvolge la vita di ogni giorno non ha più senso, diventa alienante: ecco l’allergia che c’è in tanti dei nostri ragazzi, giovani e anche non più giovani verso la preghiera, Messa, catechismo e qualsiasi discorso religioso.
2. una comunità che richiede i sacramenti come esigenze sociologiche, perché voluti dall’ambiente in cui si vive.
• I sacramenti (Battesimo, Cresima, Eucarestia) sono visti come scadenze che il proprio figlio deve vivere, ma non si preoccupa di vedere a che punto è la nostra fede e la fede del figlio. Ciò che è fondamentale per far parte della Chiesa è la fede in Cristo, cioè aver trovato in Cristo la nostra vita: i sacramenti vengono dopo. Senza la fede il sacramento per noi non ha valore.
• Così si finisce per chiedere di poter celebrare il sacramento per due figli insieme, perché si fa una spesa unica, una festa sola: è la fede o sono i soldi il criterio per ammettere a un sacramento?
• Così si finisce per anteporre al catechismo del figlio il corso di sci, di ginnastica, di karaté, scuola di lavoro, ecc.
3. mentalità che porta ad un preoccupante assenteismo, specialmente da parte degli uomini. Troppi genitori sono ancora assenti!
Il compito di educare alla fede nasce per i genitori dal sacramento del matrimonio, che ha unito i due in uno. E questo dice che l’educazione risulta dalla vita di insieme dei due. Un giorno una mamma mi diceva che all’altare avevano detto il «sì» in due, ma ora c’era solo il suo «sì». Dobbiamo prendere atto di questa mentalità per ridare al papà la sua tipica e insostituibile figura di educatore. Finché i nostri ragazzi vedranno il problema religioso solo problema di donne, la nostra educazione sarà sempre squilibrata e inefficace.
4. una comunità che non ha ancora trovato un vero posto da dare ai ragazzi.
Si vedono ancora i ragazzi come coloro che devono imparare, che devono ascoltare, che devono tacere. Non c’è per niente un ambiente che sappia valorizzare la presenza di questi ragazzi come persone e come credenti. Quando si parla di catechesi della famiglia non bisogna solo pensare al posto che hanno i genitori, ma anche al posto dei figli. Già nel documento «Matrimonio e famiglia» del 1969 i Vescovi italiani affermavano: «Nella famiglia non solo i genitori educano i figli, ma anche i figli i genitori». Noi oggi non riusciamo ancora ad accogliere il ragazzo come colui che può mettere in crisi la nostra fede. Noi ci presentiamo a lui sempre come perfetti, come persone arrivate e non tolleriamo che possa mettere in crisi le nostre sicurezze. Così perdiamo una grande ricchezza umana e di fede: una possibilità di crescita. Allora va tutto male? No! Ci sono persone che stanno prendendo coscienza di questi problemi e si stanno dando da fare. Se ho accennato in particolare agli aspetti negativi è solo perché ce ne rendiamo conto e li superiamo.
don Giancarlo Bresciani