1999
LA QUARESIMA, 1999
La Quaresima è detta, con l’Avvento, il tempo forte perché impegna decisamente il cristiano con la preghiera, la penitenza e le opere buone ad affrontare il grande problema della conversione. Il cristiano deve rimettersi in cammino alla sequela di Cristo sulla via del Calvario per poter giungere alla celebrazione della Pasqua rinnovato nel corpo e nello spirito. La Quaresima corrisponde al periodo di 40 giorni che Gesù ha trascorso nel deserto, dopo il battesimo sul Giordano, a inizio della sua vita pubblica, digiunando giorno e notte prima di essere tentato dal diavolo. Questi giorni vengono riproposti dalla Chiesa a ogni cristiano affinché, seguendo l’esempio del Salvatore, possa rendersi idoneo a vincere le tentazioni di satana che non ha risparmiato neppure Gesù Cristo e diventa assai più pericoloso quando con i suoi assalti ci sorprende impreparati. “Vigilate e pregate per non cadere nella tentazione’’ ha ammonito i suoi discepoli Gesù Cristo nell’orto del Getsemani (Mt 26,41). L’arte satanica tende a suscitare in noi l’illusione di essere immuni dalle tentazioni nel mentre costituiscono la trappola insidiosa con cui il diavolo ci accalappia. Teniamo conto che le tentazioni ci sono e che vincono spesso la nostra fragilità umana soprattutto quando con tanta disinvoltura le sottovalutiamo e stupidamente ci sentiamo sicuri di noi stessi. La prova di questa realtà la troviamo nella preghiera medesima del Padre Nostro, insegnataci da Gesù Cristo, là dove supplichiamo il Padre di non lasciarci indurre in tentazione e di liberarci da ogni male. La Quaresima di quest’anno è destinata poi, in modo particolare, a immetterci nel grande Giubileo del 2000 e a predisporci ad affrontare l'inizio del terzo millennio in comunione con tutta la Chiesa aperta ad accogliere in un unico abbraccio l’umanità intera nell’opera della redenzione operata da Gesù Cristo in maniera d’abbattere ogni divisione per riconoscerci tutti reciprocamente figlio dello stesso Padre. “Assueta vilescunt”, dice il proverbio latino, che significa: a questo mondo ci si abitua a tutto, anche alle ingiustizie e alle aberrazioni più mostruose contro la dignità e i diritti della persona umana. Si accusa la caduta dei valori in questi nostri tempi ogni volta che si è costretti a prendere atto di comportamenti riprovevoli così diffusi, ma non si va subito all’origine di questi mali che dipendono dal fatto che non si fa più riferimento a Dio nelle scelte della propria vita. L'uomo ha pensato di potersi saziare di cose mentre soltanto Dio può appagare pienamente le aspirazioni umane che Dio medesimo ha seminato nei nostri cuori quando ci ha creati per sè a sua immagine e somiglianza. Purtroppo abbiamo collocato le cose al vertice della piramide dei valori per cui nella scalata di questa conquista siamo indotti a mettere sotto i piedi le persone considerate come presenze ingombranti. Quando non si ha rispetto delle persone significa che anche Dio conta di meno delle cose che vogliamo possedere a scapito di ogni onestà. Nessuna meraviglia quindi che al mondo abbiano a proliferare le guerre, i genocidi, i massacri, la pedofilia, la cultura della morte e ogni genere di sfruttamento e di depravazione. Da qui la necessità di far ritorno a Dio. Come impegno pastorale del corrente anno vogliamo ridonare credito alla confessione sacramentale indispensabile per la nostra conversione se finalmente ci decidiamo a riconoscere che dal peccato deriva ogni male e che il perdono passa attraverso la penitenza e il potere che Cristo ha affidato alla sua Chiesa. La Quaresima costituisce davvero il tempo forte in cui dare compimento al nostro impegno di santità e di testimonianza fraterna al mondo perché riconosca che la salvezza ci viene sempre proposta da Gesù Cristo.
Con affetto, vostro don Giulio
Con affetto, vostro don Giulio
L’ANNO DEL PADRE
L’anno del Padre conclude la nostra preparazione al grande Giubileo del 2000 e ci immette direttamente nel terzo millennio dell’Incarnazione di N.S. Gesù Cristo. Nella cultura di questi nostri tempi sentiamo la nostalgia della vera paternità che è sempre un grande valore di cui ogni figlio avverte una profonda mancanza. Di fatti oggi si sente una forte difficoltà a essere autentici padri e di riscontro anche a essere figli. La paternità è in crisi insieme alla maternità di riflesso. Tanti, troppi tristi fatti di sbandamento dei figli dipendono anche da queste crisi. I genitori poi, anche per coprire la propria irresponsabilità, non sanno donare frequentemente ai propri figli che cose, soldi e omertà affermandosi in un protezionismo che li condanna alla delinquenza protetta che sfocia nella mafia, dove si va alla ricerca di una protezione più forte che i genitori non sono più in grado di poter dare. Si riscontra quindi la figura del padre assente per i problemi fondamentali dell’educazione e della formazione, per cui anche l’immagine di Dio Padre risulta sfuocata nei nostri discorsi di fede in un ambiente dove la cultura famiglia-società è allo sfascio. Dio, tuttavia, per chi lo vuole considerare alla scuola del Vangelo, è sempre un padre presente e innamorato di ciascuno dei suoi figli, anche se peccatori, dei quali non vuole la morte ma che si convertano e vivano. Il fatto che Dio Padre abbia sacrificato il suo Figlio unigenito per i suoi figli adottivi, dice quanto questo nostro Padre ci ami e quanto noi contiamo per lui, ciò che dovrebbe avere subito il nostro riscontro come risposta a tanto amore. Dio è il Padre eterno ma è anche il padre più giovane di tutti i padri poiché non invecchia mai anche se gli artisti lo raffigurano con tanto di barba bianca. Quindi è sempre aggiornato a tutti i tempi e a tutte le colture con un linguaggio comprensibile per tutte le età di ogni tempo e luogo, poiché è il linguaggio dell’amore, il linguaggio del Vangelo. Realmente il Padre, in Gesù Cristo, è anche nostro fratello. Gesù infatti ha detto: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30); e ancora: “Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,11); e inoltre: “Filippo, chi vede me, vede anche il Padre” (Gv 14,9). Se siamo fratelli in Gesù Cristo, lo siamo quindi anche nel Padre, oltre che figli. Prima di tutto Dio è Padre di Gesù Cristo. Lo afferma la lettera agli Ebrei (Eb 1,1-2): “Dio che aveva già parlato nei tempi antichi per mezzo dei profeti, ultimamente ha parlato per mezzo del suo Figlio che ha costituito erede di tutte le cose”. Cristo riporta infatti l’umanità al Padre riscattata nella figliolanza divina poiché è in Cristo Gesù che si diventa figli del Padre: “E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha riversato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida, Abbà, Padre... ” (Gal 14,6-10). Pertanto Dio non è come un Padre, ma è veramente Padre perché ci dà sempre la vita e ci rigenera in Cristo: “Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa, per cui, chi crede nel Figlio, ha la vita eterna” (Gv 3,33-36); “Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita... ” (Gv 5,21...). Dio poi è anche Padre di tutti gli uomini. Gesù ci ha insegnato la preghiera del “Padre Nostro”. Chi avrebbe potuto invitarci a rivolgerci a Dio chiamandolo Padre se non il Figlio suo unigenito (Mi 6,9-13 e Mc 11,25). Questa è la teologia di Gesù sul Padre che ci introduce in una relazione trinitaria coinvolgendoci come figli dello stesso Padre, pur precisando da parte sua, distinguendo: Padre mio e Padre vostro e invitandoci a imitarne la misericordia e la santità. “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,36); e ancora: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste” (Mt 5,36). La parabola del Figliol prodigo costituisce l’esempio più mirabile nella misericordia del Padre. Gesù, parlando della preghiera, conclude: “... Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli che ve le chiedono, tanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a coloro che gliele chiedono” (Mt 7,11). Anche a conclusione della parabola del Buon Pastore, Gesù afferma: “Così il Padre vostro celeste non vuole che vada perduto neppure uno di questi suoi piccoli”, cioè, peccatori (Mt 18,14). Gesù ci invita ad avere sempre fiducia nel Padre nostro che sta nei cieli perché vede e provvede anche per i suoi figli cattivi: “Il Padre fa sorgere il sole e manda la pioggia sul campo del giusto come sul campo del cattivo... ” (Mt 5,45). Gesù ci offre l’esempio della sua obbedienza al Padre suo asserendo che è venuto a fare la sua volontà, quella volontà che lo sacrificherà sulla croce per la nostra salvezza. Quando poi nell’angonia dell’orto del Getsemani pregherà il Padre di allontanare da lui quel calice delle amarezze, concluderà: se non è possibile, sia fatta la tua e non la mia volontà. Gesù ci invita inoltre a fare comunione con lui e col Padre: “Io sono nel Padre, voi in me e io in voi” (Gv 14,20); “Io sono la vite e voi i tralci... e il Padre mio fa il vignaiolo...” (Gv 15,1). Noi avvertiamo tuttavia una grande lontananza di questo nostro Padre che è nei cieli e a volte ci sembra persino estraneo alla nostra vita e ai nostri problemi, soprattutto quando lo vogliamo coinvolgere nei disegni della nostra testa con l’intento di cambiare la sua testa. Lo stesso Gesù Cristo morente in croce esclama: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Il silenzio eterno di Dio è esploso tuttavia nelle sue creature dell’universo, nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, ma soprattutto in Cristo a conclusione di tutta la Rivelazione, in cui ci ha dato ogni risposta così come ci ha dato ogni cosa. Pertanto la paternità di Dio va riscoperta in Gesù Cristo, il buon Samaritano e il buon Pastore che ha inviato a noi, così come va riscoperta in noi quando vogliamo vivere della sua presenza che ci trasforma come Lui misericordiosi e santi. Sono Verità non certo facili da dimostrarsi, ma senz’altro indispensabili da vivere per ottenerne la miglior prova.
dg
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PASQUA 1999
La Pasqua torna a noi col risveglio di tutta la natura che si riveste nuovamente di verde e di fiori, invogliandoci così, con la nuova stagione, a rinvigorire la nostra gioia di vivere e a ravvivare la nostra speranza in un avvenire più ricco di salute e di benessere. Ma la vera Pasqua è Cristo Risorto da morte che riporta in ciascuno di noi, con la sua intima presenza, la nuova vita dello spirito promuovendo la nostra conversione all’amore di Dio e del prossimo. La Pasqua riapre la nostra mente al grande mistero della redenzione operata da Gesù Cristo con la sua passione e morte di croce e risurrezione e riapre inoltre il nostro cuore all’amore più grande di chi, sul suo esempio, sa donare la propria vita a vantaggio dei fratelli, poiché chi si rifiuta di salvare il proprio fratello perde se stesso (Mt 10, 39; Gv 12, 25). La Pasqua, soprattutto in vista del Giubileo del 2000 ormai imminente, riporta a tutta l’umanità la primavera del perdono e della pace, affinché si estingua al mondo la cultura della guerra e della morte, voluta per lo sfruttamento dei poveri e degli innocenti che ne pagano il prezzo con la propria vita, dilaniati dalle torture, dalla fame, dalle malattie, condannati a volte al massacro e al genocidio. Purtroppo la Pasqua viaggia soltanto coi piedi della gente di buona volontà che al mondo scarseggia o è sopraffatta dalla tirannide dei mostri del potere che mirano a soggiogare i propri simili sacrificandoli come bestiame destinato al macello. La Pasqua si riduce così a raccogliere, nell’indifferenza di un mondo che sta a guardare, il sacrificio di un numero sterminato di vittime nell’abbraccio di Cristo crocifisso che continua a morire per la salvezza anche dei persecutori, poiché Dio non permette che neppure una goccia del sangue di questi nuovi martiri del disamore vada perduta. Ai cristiani è affidata poi in particolare la responsabilità di mantenere acceso il fuoco dell’amore che Cristo ha portato sulla faccia della terra, sacrificandosi per i buoni e per i cattivi, affinché questo fuoco abbia a divampare a salvezza di tutti (Le 12, 49).
Auguri vivissimi di Buona Pasqua a tutta la popolazione.
aff.mo don Giulio
Auguri vivissimi di Buona Pasqua a tutta la popolazione.
aff.mo don Giulio
PER IL MESE DI MAGGIO
Se questo che stiamo trascorrendo, in preparazione al Giubileo del 2000, è l’anno dedicato al Padre, non possiamo escludere che possa essere convenientemente anche l’anno dedicato alla Madre, Maria Santissima. Gesù Cristo, richiesto d’insegnarci a pregare, ha voluto che ci rivolgessimo a Dio chiamandolo «Padre», annientando così ogni distanza tra Lui e noi, ha avvicinato, o meglio ricongiunto il cielo alla terra. Maria Santissima, accettando di divenire la Madre di Gesù, il Figlio del Padre celeste, ha reso possibile questo avvicinamento o trapianto del cielo sulla terra costituendo il luogo d’incontro tra Dio e noi. Incontrare la Madre significa pertanto incontrare anche il Padre per condividere nello stesso tempo sia la maternità divina di Maria che la paternità divina del Padre, permettendo così all’umanità di entrare in simbiosi con la divinità come in un incontro di famiglia in cui tutto viene condiviso reciprocamente. Quando Maria ha detto il suo «sì» a Dio per mezzo dell’arcangelo Gabriele, ha inteso di riconciliare tutta l’umanità con Dio e di ricondurla all’obbedienza del divino volere che l’antica Eva aveva rinnegato per sé coinvolgendovi tutta la sua discendenza. Con Maria si ritorna all’origine del disegno che Dio aveva fatto sull’uomo quando l’ha creato, prima quindi che subentrasse nell’umanità la triste trasgressione della colpa originale. Con Maria tornano a dischiudersi i cieli e Dio, come ai tempi del paradiso terrestre, toma ad essere l’ospite d’onore per la nuova umanità redenta. Maria anticipa e pone meglio le premesse di tutta l’opera salvifica che il Figlio suo Gesù Cristo porterà a compimento conformemente alla volontà del Padre. Non è possibile quindi onorare il Padre dimenticando la Madre, dal momento che Dio ha voluto progettare la nostra salvezza entrando nel mondo passando dal grembo verginale materno di Maria; anzi, con e in Maria ripercorriamo la miglior strada che possa ricondurci al Padre. L’anno del Padre è pertanto anche l’anno della Madre. Si afferma: «Ad Jesum per Mariam», cioè «per andare a Gesù bisogna lasciarsi condurre da Maria, sua Madre». Così pure possiamo affermare: «Ad Patrem per Matrem», cioè «andiamo al Padre sotto la guida materna di Maria». Il mese mariano costituisce una felice circostanza per riflettere su queste verità meditandole nel nostro cuore alla luce della presenza del Padre che riscopriamo finalmente nella Madre Maria che potrebbe affermare, come Gesù Cristo a Filippo, «Chi vede me, vede anche il Padre».
don Giulio
don Giulio
LA CHIESA
PREPOSITURALE DI ZOGNO
La chiesa prepositurale di Zogno è stata scelta come chiesa giubilare del 2000 per le Valli Brembana e Imagna, sia per la sua centralità, sia anche per il suo aspetto logistico in quanto offre disponibilità di spazi per il parcheggio e di accoglienza ad un discreto numero di pellegrini che vogliano, dopo le celebrazioni liturgiche, rifocillarsi consumando il pasto al sacco presso l’oratorio attrezzato di ampie sale. Questa scelta comporta un impegno non indifferente come servizio liturgico per la richiesta di celebrazioni eucaristiche e in modo particolare per la celebrazione del sacramento della Riconciliazione con la presenza in luogo di sacerdoti confessori durante tutto il Giubileo che si estende dal Natale 1999 al 5 gennaio 2001.
È previsto quindi un intenso programma che verrà man mano comunicato nei suoi dettagli e che richiederà per la sua realizzazione il coinvolgimento di persone disponibili a collaborare soprattutto nell’ambito della nostra parrocchia.
Le tappe del Giubileo, oltre l’apertura del 25 dicembre e la chiusura del 5 gennaio 2001, sono le celebrazioni scandite liturgicamente, mese per mese:
in gennaio la Giornata mondiale della pace e la Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani;
in febbraio la festa della Presentazione del Signore col Giubileo della vita consacrata e il Giubileo degli ammalati e degli operatori sanitari nella ricorrenza della festa della Beata Vergine di Lourdes;
in marzo la richiesta di perdono nel mercoledì delle Ceneri e la giornata per sottolineare la dignità della donna nella festa dell’Annunciazione del Signore del giorno 25;
in aprile si deve valorizzare in maniera tutta straordinaria la Settimana Santa;
in maggio si potrà dare vita a diverse iniziative, soprattutto a livello vicariale, improntate sulla devozione alla Madonna;
in giugno, dal 18 al 25, c’è la celebrazione del Congresso Eucaristico internazionale e si dovrà pertanto intensificare la partecipazione al culto eucaristico;
in luglio e agosto le vacanze estive imporrannoun periodo di riposo per riprendere poi in settembre con la celebrazione del Congresso Eucaristico diocesano dal 15 al 22;
in ottobre si dovrà imperniare le iniziative sul problema missionario, quindi sull’accoglienza e la condivisione delle necessità del Terzo Mondo;
in dicembre ci si preparerà con veglie di preghiera per il passaggio al terzo millennio.
È previsto quindi un intenso programma che verrà man mano comunicato nei suoi dettagli e che richiederà per la sua realizzazione il coinvolgimento di persone disponibili a collaborare soprattutto nell’ambito della nostra parrocchia.
Le tappe del Giubileo, oltre l’apertura del 25 dicembre e la chiusura del 5 gennaio 2001, sono le celebrazioni scandite liturgicamente, mese per mese:
in gennaio la Giornata mondiale della pace e la Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani;
in febbraio la festa della Presentazione del Signore col Giubileo della vita consacrata e il Giubileo degli ammalati e degli operatori sanitari nella ricorrenza della festa della Beata Vergine di Lourdes;
in marzo la richiesta di perdono nel mercoledì delle Ceneri e la giornata per sottolineare la dignità della donna nella festa dell’Annunciazione del Signore del giorno 25;
in aprile si deve valorizzare in maniera tutta straordinaria la Settimana Santa;
in maggio si potrà dare vita a diverse iniziative, soprattutto a livello vicariale, improntate sulla devozione alla Madonna;
in giugno, dal 18 al 25, c’è la celebrazione del Congresso Eucaristico internazionale e si dovrà pertanto intensificare la partecipazione al culto eucaristico;
in luglio e agosto le vacanze estive imporrannoun periodo di riposo per riprendere poi in settembre con la celebrazione del Congresso Eucaristico diocesano dal 15 al 22;
in ottobre si dovrà imperniare le iniziative sul problema missionario, quindi sull’accoglienza e la condivisione delle necessità del Terzo Mondo;
in dicembre ci si preparerà con veglie di preghiera per il passaggio al terzo millennio.
NELL’ANNO DEL PADRE,
CONTINUA LA NOSTRA RIFLESSIONE
L’amore che il Padre rivela nel N.T. ha già le sue premesse nel V.T. Vediamo infatti alcune testimonianze eloquenti sia nel V.T. che nel N.T.:
V.T.: “Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato... ero per loro come un Padre che solleva suo figlio alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11,1.3-4). “Come un’aquila che veglia sulla sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, Egli spiegò le sue ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore lo guidò da solo” (Dt 32,9-12). “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, Io non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani...” (Is 49,13-15). “Come una madre consola un figlio, così Io vi consolerò...” (Is 66,10-13). Dio Padre cura i suoi figli, si commuove e ne condivide la sofferenza: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione...”» (Os 11,7-9). “Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? ...per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza” (Gr 31,20).
N.T.: «Dio Padre è il Creatore. La prima manifestazione del Padre è la creazione. L’atto di fede del cristiano inizia così: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”. Per noi è verità fondamentale: Dio ci ha creato, ci ha fatto dal nulla, tutto quello che siamo proviene da Lui. L’apostolo Paolo nell’Areopago di Atene afferma: “...Vi annunzio il Dio che ha fatto il mondo...che da a tutti la vita... In Lui infatti noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo...”» (At 17,23-29).
«Nel Vangelo, quando Gesù parla del Padre è persino commovente: “Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, nè ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate forse più voi di loro?... Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani viene gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?... Il Padre celeste infatti sa che ne avete bisogno”(Mt 6,25-32).» “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati: non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!” (Mt 10,29-31). Il Padre, che è la fonte dell'Amore, compie opere meravigliose nella storia della salvezza. Sappiamo che le operazioni ad extra della Trinità appartengono a tutte e tre le Persone, a ciascuna secondo la propria missione personale, pur avendo il Padre l’iniziativa. Il Padre crea per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Il Padre è all’origine infatti dell'Incarnazione anche se a farsi uomo è il Figlio e soltanto il Figlio; ma a mandarlo e a donarlo agli uomini è sempre il Padre: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la Vita Eterna”» (Gv 3,16). È ancora il Padre che ha voluto la nostra redenzione sacrificando il proprio Figlio: “Il Padre non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” (Rm 8,32). Il Padre ci eleva alla dignità di figli: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente” (1Gv 3,1). “Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo che grida: Abbà, cioè: Padre!” (Gal 4,6). “... E se siamo figli, siamo anche eredi...” (Rm 8,15-17). Tutto abbiamo quindi ricevuto dal Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito. Nelle parole di Gesù è il Padre che parla, nelle sue opere è il Padre che opera, nell'Eucaristia è il Padre che ci dona il Figlio: “In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il Pane dal Cielo, quello vero; il Pane di Dio è Colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (Gv 6,32-33). Il Padre nel Figlio è protagonista di tutto ciò che il Figlio opera: “Chi vede me, vede Colui che mi ha mandato” (Gv 12,45). In Gesù infatti l’uomo fa esperienza dell'Amore infinito del Padre: “E noi abbiamo riconosciuto e creduto all’Amore che Dio ha per noi. Dio è Amore, e chi dimora nell'Amore dimora in Dio e Dio dimora in Lui... Quanto a noi amiamo, perché Lui per primo ama noi” (Gv 4,16-19). Non dobbiamo pensare poi, con l’interpretazione di certi tradizionalisti, che il Padre rimane impassibile di fronte alla passione del Figlio sulla croce come esigenza assoluta della giustizia di Dio nei confronti del peccato dell’uomo di cui si è fatto carico Gesù Cristo, come se Dio fosse crudele. Già in certe sculture dell’arte romanica Gesù viene raffigurato croci- fisso nelle braccia del Padre che gli fa da croce. La nuova teologia ammette la passibilità di Dio Padre che innanzitutto è presente a condividere la passione della croce e inoltre condivide la sofferenza di tutta l’umanità. Si sviluppa quindi la dottrina della teologia del dolore di Dio. E quindi il Padre che è nel Figlio a sostituirsi all’uomo peccatore e ancora nel Figlio si addossa tutto il dolore del mondo. Origene parlava già di una passione d’amore della Trinità. I Patripassiani furono condannati perché affermavano che fosse il Padre medesimo a essere crocifisso, mentre lo fu nella persona del Figlio. Nell’enciclica di Giovanni Paolo II “Dominum et Vivificantem’', ai numeri 39 e 41, si riscontra un primo accenno alla teologia del dolore di Dio come Dottrina Ufficiale della Chiesa. L’imperversare del secolarismo che ha portato alla dimenticanza di Dio bisogna contrapporre la civiltà dell’Amore con l’apertura del cuore a tutti gli uomini. buoni e cattivi, così come il Padre celeste ci ha dato l’esempio in Gesù Cristo che ci ha esortati: “Siate misericordiosi, così come è misericordioso il Padre vostro che è nei cieli’’ (Mt 5,36; 5,45; 6,12-15). La parabola del Padre Misericordioso, raffigurata magistralmente da Rembrandt V.R., costituisce l’icona che deve illuminare il nostro cammino, attraverso la riconciliazione con Dio e con gli uomini, verso il Giubileo del 2000, grande avvenimento che dovrà ricondurre tutta l’umanità peccatrice al Padre. Ripeteremo con profonda fiducia la preghiera dell’apostolo Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8).
dg
V.T.: “Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato... ero per loro come un Padre che solleva suo figlio alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare” (Os 11,1.3-4). “Come un’aquila che veglia sulla sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, Egli spiegò le sue ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore lo guidò da solo” (Dt 32,9-12). “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, Io non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani...” (Is 49,13-15). “Come una madre consola un figlio, così Io vi consolerò...” (Is 66,10-13). Dio Padre cura i suoi figli, si commuove e ne condivide la sofferenza: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione...”» (Os 11,7-9). “Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? ...per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza” (Gr 31,20).
N.T.: «Dio Padre è il Creatore. La prima manifestazione del Padre è la creazione. L’atto di fede del cristiano inizia così: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”. Per noi è verità fondamentale: Dio ci ha creato, ci ha fatto dal nulla, tutto quello che siamo proviene da Lui. L’apostolo Paolo nell’Areopago di Atene afferma: “...Vi annunzio il Dio che ha fatto il mondo...che da a tutti la vita... In Lui infatti noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo...”» (At 17,23-29).
«Nel Vangelo, quando Gesù parla del Padre è persino commovente: “Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, nè ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate forse più voi di loro?... Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani viene gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?... Il Padre celeste infatti sa che ne avete bisogno”(Mt 6,25-32).» “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati: non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!” (Mt 10,29-31). Il Padre, che è la fonte dell'Amore, compie opere meravigliose nella storia della salvezza. Sappiamo che le operazioni ad extra della Trinità appartengono a tutte e tre le Persone, a ciascuna secondo la propria missione personale, pur avendo il Padre l’iniziativa. Il Padre crea per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Il Padre è all’origine infatti dell'Incarnazione anche se a farsi uomo è il Figlio e soltanto il Figlio; ma a mandarlo e a donarlo agli uomini è sempre il Padre: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la Vita Eterna”» (Gv 3,16). È ancora il Padre che ha voluto la nostra redenzione sacrificando il proprio Figlio: “Il Padre non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” (Rm 8,32). Il Padre ci eleva alla dignità di figli: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente” (1Gv 3,1). “Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo che grida: Abbà, cioè: Padre!” (Gal 4,6). “... E se siamo figli, siamo anche eredi...” (Rm 8,15-17). Tutto abbiamo quindi ricevuto dal Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito. Nelle parole di Gesù è il Padre che parla, nelle sue opere è il Padre che opera, nell'Eucaristia è il Padre che ci dona il Figlio: “In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il Pane dal Cielo, quello vero; il Pane di Dio è Colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (Gv 6,32-33). Il Padre nel Figlio è protagonista di tutto ciò che il Figlio opera: “Chi vede me, vede Colui che mi ha mandato” (Gv 12,45). In Gesù infatti l’uomo fa esperienza dell'Amore infinito del Padre: “E noi abbiamo riconosciuto e creduto all’Amore che Dio ha per noi. Dio è Amore, e chi dimora nell'Amore dimora in Dio e Dio dimora in Lui... Quanto a noi amiamo, perché Lui per primo ama noi” (Gv 4,16-19). Non dobbiamo pensare poi, con l’interpretazione di certi tradizionalisti, che il Padre rimane impassibile di fronte alla passione del Figlio sulla croce come esigenza assoluta della giustizia di Dio nei confronti del peccato dell’uomo di cui si è fatto carico Gesù Cristo, come se Dio fosse crudele. Già in certe sculture dell’arte romanica Gesù viene raffigurato croci- fisso nelle braccia del Padre che gli fa da croce. La nuova teologia ammette la passibilità di Dio Padre che innanzitutto è presente a condividere la passione della croce e inoltre condivide la sofferenza di tutta l’umanità. Si sviluppa quindi la dottrina della teologia del dolore di Dio. E quindi il Padre che è nel Figlio a sostituirsi all’uomo peccatore e ancora nel Figlio si addossa tutto il dolore del mondo. Origene parlava già di una passione d’amore della Trinità. I Patripassiani furono condannati perché affermavano che fosse il Padre medesimo a essere crocifisso, mentre lo fu nella persona del Figlio. Nell’enciclica di Giovanni Paolo II “Dominum et Vivificantem’', ai numeri 39 e 41, si riscontra un primo accenno alla teologia del dolore di Dio come Dottrina Ufficiale della Chiesa. L’imperversare del secolarismo che ha portato alla dimenticanza di Dio bisogna contrapporre la civiltà dell’Amore con l’apertura del cuore a tutti gli uomini. buoni e cattivi, così come il Padre celeste ci ha dato l’esempio in Gesù Cristo che ci ha esortati: “Siate misericordiosi, così come è misericordioso il Padre vostro che è nei cieli’’ (Mt 5,36; 5,45; 6,12-15). La parabola del Padre Misericordioso, raffigurata magistralmente da Rembrandt V.R., costituisce l’icona che deve illuminare il nostro cammino, attraverso la riconciliazione con Dio e con gli uomini, verso il Giubileo del 2000, grande avvenimento che dovrà ricondurre tutta l’umanità peccatrice al Padre. Ripeteremo con profonda fiducia la preghiera dell’apostolo Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8).
dg
CONFESSARSI O CONVERTIRSI?
Partiamo con dei riferimenti scritturistici:
Davide
Non confessa a Dio i peccati al plurale bensì al singolare, non è il popolo che ha peccato ma il re: “Miserere mei. Deus,”: abbi pietà di me. Signore! Qui dobbiamo riconoscere che Davide è più grande quando si batte il petto col suo “mea culpa” di quando ha tagliato la testa al gigante Golia. Davide costituisce così l’esempio più significativo di conversione del V.T. a cui si è fatto e si farà riferimento in tutti i tempi in avvenire.
Zaccheo
Incontra Cristo in un momento decisivo nella sua vita e realizza la sua conversione in casa sua alla presenza di Gesù e al cospetto di tutta la folla accorsa accusandosi delle sue colpe alle quali rimedia restituendo quattro volte il maltolto ai fratelli derubati e offrendo metà dei suoi beni ai poveri. Diventa così, come afferma Gesù, figlio di Abramo nella fede.
Maria Maddalena
È la penitente, che avendo trovato in Gesù l’Amore che aveva cercato con tutta la sua vita di peccato, vi si converte al punto da offrire in pubblico la più grande fedeltà al Divin Maestro. La vediamo infatti con la Vergine Madre Maria ai piedi della croce ed ebbe il grande privilegio d’incontrare prima di tutti il Risorto e di annunziarlo ai discepoli. Potremmo considerare tanti altri casi di conversione che troviamo nel Vangelo, come quello di Pietro. della Samaritana, di Levi. La parabola del Figliol Prodigo diventa l’esempio universale della conversione di tutta l’umanità che ritrova nella misericordia del Padre il perdono e la rinascita dalla morte del peccato alla vera vita. Ora sul piano pratico consideriamo il sacramento della riconciliazione, dopo di avere preso atto che Gesù Cristo ha conferito agli apostoli il potere di rimettere i peccati: Mt, 18,18 «In verità vi dico: tutto ciò che legherete sulla faccia della terra sarà legato anche in cielo e tutto ciò che scioglierete sulla faccia della terra sarà sciolto anche in cielo». Gv 20,23 «...ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi». Abbiamo purtroppo l’esperienza di una confessione amministrata in forma troppo meccanica e imbarazzante, con dubbio progresso spirituale e senza avvertire la maternità della Chiesa in cui si manifesta la paternità di Dio. Ricordiamo le lunghe file, come quando si andava a prendere il pane con la tessera durante la guerra, nell’ambito della penombra delle nostre chiese in occasione della Pasqua, del Natale e dei Morti. L’unica preoccupazione era quella di potersene ripartire col cuore in pace dopo di avere fatto un’accusa sommaria delle colpe e con la penitenza di qualche Ave Maria condita da qualche buona parola del confessore. Non era certamente quella la confessione che poteva decidere la nostra conversione col cambiamento della nostra vita. Anzi: quella celebrazione indegna del sacramento della riconciliazione, col superamento della tradizione, ha contribuito a creare il discredito della confessione medesima e l’abbandono con un duplice risultato: è meglio confessarsi direttamente a Dio ovvero abituarsi a non tenere più in nessun conto il peccato. Ora ci rendiamo conto di avere lasciato scappare involontariamente i buoi dalla stalla e della difficoltà di poterli ricondurre. Si è pensato di promuovere la riforma della celebrazione del sacramento senza essere riusciti sinora a risolvere il problema. Ci si chiede pertanto quale rimedio è ancora possibile adottare, senza presumere di poter dare una risposta sbrigativa ma che va ricercata nell’impegno di valorizzare il sacramento nell’ambito dei radicali cambiamenti di questa nostra società secolarizzata, che va comunque alla ricerca disorientata di ciò che può appagare l’animo dell’individuo su strade sbagliate rivolgendosi agli psicologi e ai maghi che non detengono il potere di rimettere i peccati. La confessione deve comunque realizzare rincontro col Padre misericordioso, incontro decisivo per la propria conversione, per cui la confessione va programmata nell’arco di tutta la propria vita sia individualmente che comunitariamente poiché, se è vero che col nostro peccato rechiamo danno a tutta l’umanità, bisogna pure chiedere perdono anche ai fratelli così come troviamo nel Confiteor all’inizio della celebrazione della Messa: «Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni...». Con la preparazione comunitaria e l’assoluzione individuale, già si dà rilievo alla nostra responsabilità per il male causato ai nostri fratelli col peccato e alla sua pubblica riparazione. Ma se sono molti i partecipanti si corre ancora una volta il pericolo di una celebrazione affrettata e abitudinaria per cui è forse meglio ripiegare sulla confessione di gruppo per una più adeguata preparazione e per una più efficace celebrazione del sacramento medesimo, senza farla incidere con le solite date tradizionali, ma come cammino di conversione. In occasione del Giubileo del 2000, se non ci si impegna a ricuperare pastoralmente il sacramento della riconciliazione, potremmo dolorosamente sentirci costretti ad accusare un fallimento.
dg
Davide
Non confessa a Dio i peccati al plurale bensì al singolare, non è il popolo che ha peccato ma il re: “Miserere mei. Deus,”: abbi pietà di me. Signore! Qui dobbiamo riconoscere che Davide è più grande quando si batte il petto col suo “mea culpa” di quando ha tagliato la testa al gigante Golia. Davide costituisce così l’esempio più significativo di conversione del V.T. a cui si è fatto e si farà riferimento in tutti i tempi in avvenire.
Zaccheo
Incontra Cristo in un momento decisivo nella sua vita e realizza la sua conversione in casa sua alla presenza di Gesù e al cospetto di tutta la folla accorsa accusandosi delle sue colpe alle quali rimedia restituendo quattro volte il maltolto ai fratelli derubati e offrendo metà dei suoi beni ai poveri. Diventa così, come afferma Gesù, figlio di Abramo nella fede.
Maria Maddalena
È la penitente, che avendo trovato in Gesù l’Amore che aveva cercato con tutta la sua vita di peccato, vi si converte al punto da offrire in pubblico la più grande fedeltà al Divin Maestro. La vediamo infatti con la Vergine Madre Maria ai piedi della croce ed ebbe il grande privilegio d’incontrare prima di tutti il Risorto e di annunziarlo ai discepoli. Potremmo considerare tanti altri casi di conversione che troviamo nel Vangelo, come quello di Pietro. della Samaritana, di Levi. La parabola del Figliol Prodigo diventa l’esempio universale della conversione di tutta l’umanità che ritrova nella misericordia del Padre il perdono e la rinascita dalla morte del peccato alla vera vita. Ora sul piano pratico consideriamo il sacramento della riconciliazione, dopo di avere preso atto che Gesù Cristo ha conferito agli apostoli il potere di rimettere i peccati: Mt, 18,18 «In verità vi dico: tutto ciò che legherete sulla faccia della terra sarà legato anche in cielo e tutto ciò che scioglierete sulla faccia della terra sarà sciolto anche in cielo». Gv 20,23 «...ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi». Abbiamo purtroppo l’esperienza di una confessione amministrata in forma troppo meccanica e imbarazzante, con dubbio progresso spirituale e senza avvertire la maternità della Chiesa in cui si manifesta la paternità di Dio. Ricordiamo le lunghe file, come quando si andava a prendere il pane con la tessera durante la guerra, nell’ambito della penombra delle nostre chiese in occasione della Pasqua, del Natale e dei Morti. L’unica preoccupazione era quella di potersene ripartire col cuore in pace dopo di avere fatto un’accusa sommaria delle colpe e con la penitenza di qualche Ave Maria condita da qualche buona parola del confessore. Non era certamente quella la confessione che poteva decidere la nostra conversione col cambiamento della nostra vita. Anzi: quella celebrazione indegna del sacramento della riconciliazione, col superamento della tradizione, ha contribuito a creare il discredito della confessione medesima e l’abbandono con un duplice risultato: è meglio confessarsi direttamente a Dio ovvero abituarsi a non tenere più in nessun conto il peccato. Ora ci rendiamo conto di avere lasciato scappare involontariamente i buoi dalla stalla e della difficoltà di poterli ricondurre. Si è pensato di promuovere la riforma della celebrazione del sacramento senza essere riusciti sinora a risolvere il problema. Ci si chiede pertanto quale rimedio è ancora possibile adottare, senza presumere di poter dare una risposta sbrigativa ma che va ricercata nell’impegno di valorizzare il sacramento nell’ambito dei radicali cambiamenti di questa nostra società secolarizzata, che va comunque alla ricerca disorientata di ciò che può appagare l’animo dell’individuo su strade sbagliate rivolgendosi agli psicologi e ai maghi che non detengono il potere di rimettere i peccati. La confessione deve comunque realizzare rincontro col Padre misericordioso, incontro decisivo per la propria conversione, per cui la confessione va programmata nell’arco di tutta la propria vita sia individualmente che comunitariamente poiché, se è vero che col nostro peccato rechiamo danno a tutta l’umanità, bisogna pure chiedere perdono anche ai fratelli così come troviamo nel Confiteor all’inizio della celebrazione della Messa: «Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni...». Con la preparazione comunitaria e l’assoluzione individuale, già si dà rilievo alla nostra responsabilità per il male causato ai nostri fratelli col peccato e alla sua pubblica riparazione. Ma se sono molti i partecipanti si corre ancora una volta il pericolo di una celebrazione affrettata e abitudinaria per cui è forse meglio ripiegare sulla confessione di gruppo per una più adeguata preparazione e per una più efficace celebrazione del sacramento medesimo, senza farla incidere con le solite date tradizionali, ma come cammino di conversione. In occasione del Giubileo del 2000, se non ci si impegna a ricuperare pastoralmente il sacramento della riconciliazione, potremmo dolorosamente sentirci costretti ad accusare un fallimento.
dg
10 AGOSTO 1999, S. LORENZO M.,
L'UOMO DEL FUOCO
S. Lorenzo M. è l’uomo del fuoco dell’amore che ha manifestato in vita con l’ardore della sua carità verso i poveri e in morte con la sua fedeltà a Dio affrontando coraggiosamente il martirio, bruciato vivo sopra una graticola mentre chiedeva ai suoi carnefici: "Giratemi dall’altra parte perché da questa parte sono già cotto!”. S. Lorenzo M. è l’uomo del fuoco che Cristo afferma di avere portato sulla faccia della terra perché abbia a divampare nel cuore di tutti gli uomini chiamati a realizzarvi il suo regno. Gesù Cristo infatti ha pure affermato: “E mio regno è dentro di voi” (Lc 17,21). S. Lorenzo M. col fuoco del suo amore è giunto nella terra di Zogno da oltre un millennio per recare anche a noi l’invito ad affrontare la vita con l’ardore della sua carità a favore dei fratelli più poveri rimanendo sempre fedeli a Dio nell’osservanza dei suoi comandamenti. Ogni anno, il 10 agosto, il suo richiamo si fa sempre più forte affinché, vicini e lontani, abbiamo a celebrare insieme i grandi valori dello spirito che egli ha disseminato nei nostri cuori col suo mirabile esempio. Se siamo gli eredi di S. Lorenzo M., il santo del fuoco dell'amore, dobbiamo raccogliere con devota riconoscenza la sua preziosa eredità affidataci da trasmettere anche ai posteri affinché non si spezzi la catena della nobile tradizione di fede di questa nostra comunità. Il proverbio afferma che il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani. Noi cristianamente parlando siamo pertanto scaturiti dai semi di quel sangue come rigogliosi germogli capaci di testimoniare il valore del martirio del nostro santo patrono, Lorenzo. Non c’è santità che non fluisca da Gesù Cristo, ma scorre attraverso i canali della Chiesa che ci raggiungono col sangue del martire del Calvario unitamente al sangue di tutti i martiri da cui germogliano i santi di tutti i tempi. Noi di Zogno in particolare dobbiamo ricordare il nostro don Antonio Rubbi, nato a Padronecco sul Monte il 29 settembre 1693 e morto in concetto di santità, parroco di Sorisole, il 15 marzo 1785, ormai sulla via della canonizzazione. Altro sacerdote zognese, cugino di don Antonio Rubbi, è don Giovanni Sonzogni, nato pure lui a Padronecco il 22 marzo 1714 e morto al Derò di Spino l’1 gennaio 1800 in grande concetto di santità e sepolto sul presbiterio di quella parrocchiale dopo solenni funerali. Se potessimo disporre dei registri del Padreeterno potremmo enumerare una schiera infinita di santi, scaturiti da quel prodigioso sangue di S. Lorenzo martire, in questa nostra terra zognese. S. Lorenzo M. rimanga quindi a guida di questo suo popolo, che lo venera, perché non rinunci mai ad affrontare, sull’esempio del suo protettore, con coraggio la testimonianza della propria fede evitando di lasciarsi inabissare dal rispetto umano che ci rende codardi e non credibili.
Con affetto
don Giulio Gabanelli
Con affetto
don Giulio Gabanelli
ANCORA A PROPOSITO
DEL GIUBILEO DEL 2000
La nostra chiesa di S. Lorenzo M., come già sappiamo, è stata scelta dal Vescovo, con altre sette della diocesi, come chiesa giubilare dove sarà possibile acquistare l’indulgenza alle solite condizioni: confessione, comunione e opera buona oltre la preghiera richiesta di due pater-ave-gloria, di cui uno per il Sommo Pontefice, e l’atto di fede, il credo. Non vengono pertanto annullate le disposizioni di Papa Paolo VI in merito alle indulgenze. Con l’indulgenza giubilare si riaprono anche le polemiche del mondo protestante che risalgono a Martin Lutero. Ci si chiede infatti se non basta una buona confessione per riconciliarsi pienamente con Dio e con la Chiesa attraverso la mediazione della quale, per volontà di Gesù Cristo, passa la nostra conversione, ciò che non viene ammesso dai protestanti che parlano di rapporto diretto con Dio. La Chiesa c’insegna tuttavia che un conto è il perdono e altro è la pena connessa con la colpa da scontare. Il peccato causa sempre un disastro in noi e nel nostro rapporto con Dio e coi fratelli, membri del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Cerchiamo di spiegarci con un esempio banale: col peccato abbiamo appiccato fuoco al tempio santo di Dio che è in noi. Una volta perdonata questa colpa, rimane la necessità di ricostruire questo tempio con la conversione che non è facile né affidabile all’improvvisazione, ma esige un lungo cammino di penitenza, sotto la guida della Chiesa mediatrice di perdono e di pace. Già i vecchi predicatori della missione al popolo facevano risuonare al nostro orecchio il severo ammonimento: “O restituzione o dannazione!” Il perdono lo ritenevano quindi condizionato alla riparazione delle colpe. C’è pure un eloquente proverbio popolare nostro: “Pecàt confessàt, Fè mès perdunàt!” La gente, almeno dei tempi passati, era convinta che ogni colpa porta con se l’esigenza di una propria espiazione. Non si vuole con ciò limitare la misericordia infinita di Dio, sempre disposto al perdono, ma non si può neppure sostituire la nostra volontà con la volontà divina perché se Dio continua a perdonare, noi continuiamo a peccare. Giustamente S. Agostino affermava (ciò che neppure Lutero sembra abbia preso in considerazione): “Chi ha creato te senza di te, non può salvare le senza di te!” Si è diffusa purtroppo la mentalità di un egualitarismo unilaterale e quindi di un accentuato individualismo (protestantesimo) in forza del quale l’individuo peccatore si pone direttamente davanti a Dio senza passare attraverso la mediazione della Chiesa. Lo stesso K. Rahner proietta il peccatore nella sua finitezza umana nell’abbraccio di Dio infinito che trascende sopra ogni nostro limite, accentuando così una visione soggettivistica che sfugge al potere della Chiesa di poter dispensare indulgenze per una piena purificazione interiore del peccatore poiché ammette un intervento diretto di Dio che è infinito sui nostri limiti umani. Se il nostro peccato, che infrange l’ordine nostro nei confronti di Dio e dei fratelli, esige un’espiazione perfetta, bisognerà rivolgersi a Cristo, l’unico capace di offrire al Padre tale espiazione realizzata attraverso la sua morte di croce, affinché ci venga applicata con la mediazione della Chiesa che può attingere al tesoro infinito dei meriti di Cristo della Vergine e dei Santi per mitigare, con le indulgenze, la punizione o la pena delle nostre colpe. L’indulgenza della Chiesa, lucrata con le richieste condizioni, riveste pure un aspetto educativo poiché rende cosciente e responsabile il peccatore delle conseguenze dei suoi peccati da rimediare nel tempo prima che rischi di doversi trovare al tribunale di Dio con pene da scontare. La Chiesa afferma così ancora una volta la sua mediazione tra il peccatore e Dio come madre di misericordia e di perdono. Bisogna riconoscere quindi, sul piano della fede, che al di fuori della Chiesa non c’è salvezza dal momento che l’uomo non potrà mai salvarsi coi propri meriti. Dopo, al di là delle nostre considerazioni, il problema della nostra salvezza è certamente nella volontà di Dio che può sempre suscitare in noi l’adesione alla sua misericordia come è avvenuto per il figliol prodigo. Il Giubileo costituisce un’occasione privilegiata per lucrare l'indulgenza plenaria di tutte le pene dovute alle nostre colpe attraverso la mediazione della Chiesa che applica a noi i meriti della redenzione di Gesù Cristo nostro unico Salvatore del mondo. Il pellegrinaggio giubilare serve a indicare il cammino della nostra conversione interiore condivisa con tutti i fratelli coi quali ci recheremo insieme nei luoghi prescelti per la celebrazione del Giubileo.
dg
dg
OTTOBRE È IL MESE DEL ROSARIO
Ottobre è il mese dedicato alla devozione della B.V. del S. Rosario. S. Pio V attribuì alla recita del S. Rosario la vittoria di Lepanto dei cristiani contro i turchi, del 7 ottobre 1571, per cui a ricordo di quel prodigioso avvenimento istituì la commemorazione della B.V. della Vittoria da celebrarsi ogni anno il 7 ottobre. Il comandante della flotta cristiana nella battaglia navale di Lepanto fu nientemeno che il fratello del nostro Vescovo di Bergamo Mons. Girolamo Ragazzoni, ritenuto originario di Valtorta. Se la recita del S. Rosario ai tempi di S. Pio V mirava ad ottenere la vittoria sui nemici della nostra fede, in quel caso i turchi, oggi tale recita non può che mirare ad ottenere la vittoria dei cristiani contro i nemici dell’anima che ciascuno racchiude nel sacco della propria pelle e per ottenere la pace e la salvezza per tutto il mondo. Questo è l’insegnamento che ci ha dato il Papa Paolo VI quando nel luglio del 1967 ha voluto, nel suo viaggio in Turchia, consegnare personalmente al presidente di quella nazione lo stendardo che i cristiani avevano strappato ai turchi durante la battaglia di Lepanto. Il Papa volle affermare così solennemente che la Chiesa non ha nessun nemico da combattere mentre vuole adoperarsi per la concordia e la pace di tutto il mondo dal momento che riconosce tutti gli uomini fratelli da amare senza alcuna discriminazione. Durante le apparizioni della Madonna a Fatima, il 13 di ogni mese da maggio a ottobre nell’anno 1917, la Vergine mostrò ai tre pastorelli - Lucia, Francesco e Giacinta - la spaventosa terrificante visione dell’inferno indicando dove vengono condannati eternamente i peccatori che infestano tutto il mondo. Di fronte allo spavento dei tre pastorelli la Madonna affermò che con la recita del S. Rosario è ancora possibile la salvezza del mondo e la conversione dei poveri peccatori e ingiunse che a ogni decina della recita del rosario si intercalasse l’invocazione: «O Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno e porta in cielo tutte le anime specialmente le più bisognose della tua misericordia». Finalmente non è più il tempo delle guerre per la Chiesa santa di Dio anche se purtroppo, per l’iniquità dei suoi mostri, le guerre proliferano in questo mondo che sembra ormai giunto sull’orlo della catastrofe da cui non potrà salvarsi che con un intervento straordinario di Dio mercé la mediazione di sua Madre Maria S. ma se i fedeli di tutto il mondo si rivolgeranno a Lei con la devota recita del S. Rosario.
don G.G.
don G.G.
GIUBILEO
Alla vigilia del prossimo S. Natale - 1999 – il Sommo Pontefice aprirà solennemente, in S. Pietro in Roma, la porta santa per immetterci ufficialmente nel terzo millennio dell’Incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo con la possibilità di lucrare l’Indulgenza Giubilare a sconto di tutte le pene che abbiamo contratto coi nostri peccati, una volta contriti e confessati, e che dovremmo scontare prima di essere ammessi a conseguire la salvezza eterna. Il segno della porta santa, che si è aperta per la prima volta nella Basilica di S. Salvatore in Luterano durante il Giubileo del 1423, evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla grazia, come afferma il Santo Padre nella «Incarnationis Misterium». Questo significato scaturisce dalla Rivelazione medesima, là dove Gesù afferma: «lo sono la porta» (Gv 10,7). L’immagine della porla ricorre più volte negli insegnamenti di Gesù. Parla infatti della porta stretta, piccola, come la cruna d’un ago, da cui non possono passare i cammelli e tanto meno i ricchi che hanno fatto del denaro il proprio dio. Ma vi passano i poveri, definiti da Gesù Cristo piccoli, capaci di entrare nel regno dei cieli (Marco 10,25). La porta che lo sposo chiude in faccia alle vergini stolte (Matteo 25,10). Cristo invita a passare dalla porta stretta (Matteo 7,14) e invita pertanto a diventare come i bambini che passano da tutti i pertugi: «Chi non diventa come i bambini non potrà entrare nel Regno dei cieli» (Matteo 18,3). La vera porta giubilare quindi è Cristo, l’unico Salvatore e Signore - ieri oggi e sempre - a cui bisogna credere per ottenere la vita eterna. Non esiste un’altra porta che possa introdurci alla salvezza. Cristo è la porta che il Padre misericordioso ha spalancato per accogliere tutti i suoi figli prodighi che tornano dal loro traviamento. Cristo costituisce perciò l’unica porta giubilare clic la Chiesa può spalancare, come Madre di misericordia e di perdono a tutti i suoi figli che desiderano la salvezza. Sembra tuttavia che attraverso la mediazione della Madre Chiesa, la porta santa si sia alquanto allargata, rispetto alla porta stretta di cui parla Gesù nel Vangelo, per poter far affluire tutta l’umanità per cui Cristo ha patito ed è mono in croce. Questo è il tempo della misericordia sgorgata dal costato di Cristo aperto dalla lancia dell’ufficiale romano, da cui, come vogliono i santi padri, è scaturita la Chiesa. Questo è quindi il tempo in cui ogni cristiano deve spalancare la porta del proprio cuore a imitazione di Cristo per testimoniarne la bontà e il perdono. Si parla anche di purificare la memoria in occasione del Giubileo. Si tratta cioè di fare memoria delle proprie colpe perpetrate a danno dei fratelli per denunciarle con coraggio chiedendone perdono e per ritrovare anche la forza di perdonare le colpe degli altri sia a livello personale che a livello di comunità o di Chiesa universale. In tutto ciò rientrala nostra conversione a Dio e ai fratelli. Una sola rondine, non fa primavera, dice il proverbio latino. È il momento o meglio il tempo del risveglio di tutta la comunità affinché si possa ricuperare insieme la responsabilità che grava sulle spalle di ciascuno e di tutti contemporaneamente.
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L’apertura della porta santa diventa in conclusione il segno dell’apertura di tante altre porte che rischiano di rimanere chiuse anche nel terzo millennio e che dovrebbero impedirci di continuare a definirci comunità di fede nel caso venissero a mancare le opere buone richieste alla conversione di tutti. La porta santa è sì Cristo, ma con Cristo anche ciascuno di noi, che si deve aprire per dare pieno compimento all’opera della redenzione.
Con affetto don Giulio |