2022
“Dai, cammina, siamo vicini, non vorrai mollare proprio ora… Guarda ancora un po’ e ci siamo. Se vuoi ci fermiamo un attimo, anche solo per prendere fiato e poi ci aspetta ancora un tratto di strada. Lo so che sei stanco. Poi vedrai, quando si arriva alla meta alla stanchezza subentra la soddisfazione. E poi non sei solo, ci sono io, ci siamo noi. Passo dopo posso e arriveremo”.
Carissimi amici dell’unità pastorale,
sono queste alcune espressioni che si usano quando si va in montagna o quando si intraprende un cammino. Il cammino è la metafora della vita. Infatti tra le varie definizioni che i sociologi danno all’uomo è quello di “un essere in cammino”.
Il periodo che stiamo vivendo ci obbliga, ancora una volta, a prendere coscienza della nostra fragilità e vulnerabilità. Ma, questa maledetta pandemia, non può e non deve spegnere il nostro voler camminare, magari su sentieri impervi, nei modi che non avremmo mai voluto e pensato. Penso alla paura di molti, allo scoraggiamento di altri, alla fatica dello “stare insieme” dei nostri ragazzi e giovani, all’isolamento magari all’interno della stessa casa di alcuni famigliari, al lasciarsi schiacciare dal peso dell’incertezza futura. Anche dal punto di vista pastorale, le proposte che riusciamo a pensare e a proporre sono accompagnati dal momentaneo non riuscire a vedere cosa succederà domani e il cammino diventa incerto.
Tuttavia noi non amiamo ne la poltrona della rassegnazione e nemmeno il divano della comodità. “Può essere come una barca ormeggiata nel porto. Al sicuro, al riparo dalle intemperie. Sempre di fronte allo stesso orizzonte. Ma non è per questo che le barche sono state costruite.” (Paulo Coelho). Nel rispetto di quanto ci viene chiesto, nella prudenza di chi non ama la superficialità, nella fatica che tutti sentiamo, i cammini continuano e la fatica fa parte proprio del camminare.
Ciò che ci aiuta e ci sprona nel cammino è sicuramente il sentirci in cordata: non vogliamo che nessuno si senta abbandonato a se stesso. La meta è la comunione e quella fraternità universale che siamo chiamati a vivere nei nostri paesi e nelle nostre parrocchie, dove nessuno possa sentirsi un individuo, ma un fratello. Lo stile è quello di trovare il ritmo giusto perché, passo dopo posso, si possa camminare insieme, nessuno escluso o lasciato indietro. Nello zaino, l’essenziale che serve per dare forza al cammino, si chiama amicizia. Sul volto, anche se segnato dalla stanchezza o dall’incertezza, la gioia di chi sa che ciò che conta è camminare. Questo è ciò che stiamo cercando e cercheremo di vivere e di condividere come chiesa, in questa nostra unità pastorale.
Questi ingredienti del cammino ce li ha inseganti proprio Lui, Colui che fatto uomo si è fatto pellegrino tra gli uomini: Gesù. Quel Gesù che incontriamo nella preghiera comunitaria o personale; quel Gesù che cerchiamo di vedere nei pochi, ma significativi momenti di aggregazione e di amicizia; quel Gesù presente in ogni gesto di accoglienza e di amore. Lui in cordata con noi, Lui che ci incoraggia aspettandoci quando siamo stanchi, Lui che ci propone l’essenziale: “Amatevi come io vi ho amato… perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
E anche se il periodo permane non facile, come il profeta noi ci accorgiamo e diciamo: “Come sono belli i piedi del messaggero di liete Parole”, come sono belli i volti delle persone che ti sorridono, le mani di chi si mette al servizio degli altri, i cuori di chi sa accogliere tutti indistintamente, lo sguardo e la parola di chi, accarezzandoti il cuore, ti dona speranza, i piedi di chi ti dice: “Dai, passo dopo posso e arriveremo”.
(…) Casualmente, anche se io non credo al caso, proprio mentre sto per concludere queste parole a voi indirizzate, arriva un messaggio al cellulare e mi trovo scritto, come augurio della buona notte, queste parole: “Non c’è figlio che non sia mio figlio. Né ferita di cui non senta il dolore. Non c’è terra che non sia la mia terra. E non c’è vita che non meriti amore” (F. Mannoia).
Appunto! Buon cammino!
Don Mauro
Carissimi amici dell’unità pastorale,
sono queste alcune espressioni che si usano quando si va in montagna o quando si intraprende un cammino. Il cammino è la metafora della vita. Infatti tra le varie definizioni che i sociologi danno all’uomo è quello di “un essere in cammino”.
Il periodo che stiamo vivendo ci obbliga, ancora una volta, a prendere coscienza della nostra fragilità e vulnerabilità. Ma, questa maledetta pandemia, non può e non deve spegnere il nostro voler camminare, magari su sentieri impervi, nei modi che non avremmo mai voluto e pensato. Penso alla paura di molti, allo scoraggiamento di altri, alla fatica dello “stare insieme” dei nostri ragazzi e giovani, all’isolamento magari all’interno della stessa casa di alcuni famigliari, al lasciarsi schiacciare dal peso dell’incertezza futura. Anche dal punto di vista pastorale, le proposte che riusciamo a pensare e a proporre sono accompagnati dal momentaneo non riuscire a vedere cosa succederà domani e il cammino diventa incerto.
Tuttavia noi non amiamo ne la poltrona della rassegnazione e nemmeno il divano della comodità. “Può essere come una barca ormeggiata nel porto. Al sicuro, al riparo dalle intemperie. Sempre di fronte allo stesso orizzonte. Ma non è per questo che le barche sono state costruite.” (Paulo Coelho). Nel rispetto di quanto ci viene chiesto, nella prudenza di chi non ama la superficialità, nella fatica che tutti sentiamo, i cammini continuano e la fatica fa parte proprio del camminare.
Ciò che ci aiuta e ci sprona nel cammino è sicuramente il sentirci in cordata: non vogliamo che nessuno si senta abbandonato a se stesso. La meta è la comunione e quella fraternità universale che siamo chiamati a vivere nei nostri paesi e nelle nostre parrocchie, dove nessuno possa sentirsi un individuo, ma un fratello. Lo stile è quello di trovare il ritmo giusto perché, passo dopo posso, si possa camminare insieme, nessuno escluso o lasciato indietro. Nello zaino, l’essenziale che serve per dare forza al cammino, si chiama amicizia. Sul volto, anche se segnato dalla stanchezza o dall’incertezza, la gioia di chi sa che ciò che conta è camminare. Questo è ciò che stiamo cercando e cercheremo di vivere e di condividere come chiesa, in questa nostra unità pastorale.
Questi ingredienti del cammino ce li ha inseganti proprio Lui, Colui che fatto uomo si è fatto pellegrino tra gli uomini: Gesù. Quel Gesù che incontriamo nella preghiera comunitaria o personale; quel Gesù che cerchiamo di vedere nei pochi, ma significativi momenti di aggregazione e di amicizia; quel Gesù presente in ogni gesto di accoglienza e di amore. Lui in cordata con noi, Lui che ci incoraggia aspettandoci quando siamo stanchi, Lui che ci propone l’essenziale: “Amatevi come io vi ho amato… perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
E anche se il periodo permane non facile, come il profeta noi ci accorgiamo e diciamo: “Come sono belli i piedi del messaggero di liete Parole”, come sono belli i volti delle persone che ti sorridono, le mani di chi si mette al servizio degli altri, i cuori di chi sa accogliere tutti indistintamente, lo sguardo e la parola di chi, accarezzandoti il cuore, ti dona speranza, i piedi di chi ti dice: “Dai, passo dopo posso e arriveremo”.
(…) Casualmente, anche se io non credo al caso, proprio mentre sto per concludere queste parole a voi indirizzate, arriva un messaggio al cellulare e mi trovo scritto, come augurio della buona notte, queste parole: “Non c’è figlio che non sia mio figlio. Né ferita di cui non senta il dolore. Non c’è terra che non sia la mia terra. E non c’è vita che non meriti amore” (F. Mannoia).
Appunto! Buon cammino!
Don Mauro
Carissimi amici dell’unità pastorale,
cerco di raccogliere questi pensieri da condividere con voi, mentre davanti all’Eucarestia, in questi giorni quaresimali, si odono le grida dei nostri fratelli che sono in guerra. La guerra in Ucraina, ma anche ai tanti conflitti e situazioni di estrema miseria e povertà, di razzismo e di emarginazione, di cattiveria e maltrattamenti, a livello mondiale, ma anche in “casa nostra”. Mentre cerco di fissare lo sguardo su Gesù, che ho davanti a me, mi scorrono nella testa i volti di una moltitudine di gente avvolti dalla disperazione e dal completo disorientamento, proprio di chi ha perso casa, terra, moglie, marito, figli; di chi non ha pane, istruzione, riconoscimento, rispetto. Cerco di lasciarmi guidare non dall’istinto umano, che mi porterebbe a “fare guerra” e ad entrare nella spirale della vendetta e della cattiveria gratuita, ma dalla Parola di Gesù, che sola può illuminare, dare forza e speranza anche a quanto stiamo vivendo che, come dice papa Francesco, è una pazzia.
Ed ecco la Parola che mi ha accompagnato nella mia riflessione e che faccio vostra.
Il Vangelo di Pasqua ci narra di una donna, Maria Maddalena, che piange piena di smarrimento, come se la morte di Gesù avesse sancito il fallimento di ogni sua speranza. Tuttavia, nel momento in cui gli apostoli di Gesù, per paura, si nascondono, ella si reca alla tomba. Questo gesto non esprime solo il suo lutto, esprime anche un’attesa, seppur confusa. È l’attesa di un amore, che nemmeno la più grande sofferenza può cancellare. È proprio allora che Gesù, il Risorto, le viene incontro. E lo fa in maniera inaspettata: non trionfalmente, ma così umilmente che ella non lo riconosce e lo scambia per il giardiniere. Gesù la chiama per nome: “Maria”, e questo cambia tutto. Maria riconosce la voce di Gesù. Si volta verso di lui e lo chiama a sua volta: ”Rabbunì, Signore”. Una vita nuova comincia in lei, capisce che Gesù è vicino, anche se la sua presenza adesso è diversa. Poi il Risorto la manda: “Va’ dai miei fratelli, di’ loro che sono risorto!”. La sua vita riceve un senso nuovo, adesso ha un incarico da compiere. Anche in noi, come in Maria Maddalena, c’è un’attesa, e spesso delle domande non risolte. Talvolta viviamo questa attesa come una mancanza, un vuoto. La esprimiamo con un grido di disperazione o, senza parole, con un semplice sospiro.
Proprio allora Cristo ci chiama per nome. Conosce ciascuno di noi, ci conosce personalmente. E ci dice: “Va’ verso i miei fratelli e le mie sorelle, di’ loro che sono risorto!”. In questo tempo in cui tante persone sono disorientate per tantissimi motivi: personali, familiari, sociali, economici, spirituali e non per ultimo per il conflitto in corso è importante che, con coraggio, con serietà e maturità, procediamo sul cammino della fede e dell’amore. Non solo a parola, ma mettendoci la faccia, sporcandoci le mani, mettendo in atto tutto ciò che possiamo per dire con la vita e con scelte concrete di vita, che ogni essere umano può risorgere a vita nuova, grazia a ciascuno di noi.
Il coraggio di Maria Maddalena ci sprona. Ella, una donna sola, trova il coraggio di andare verso gli apostoli di Gesù per dire loro l’incredibile: “Cristo è risorto!”. E con la sua vita e testimonianza riesce a trasmettere l’amore di Dio. Ciascuno di noi può comunicare la fiducia in Cristo, comunicare l’incredibile. A questo siamo chiamati. Lo facciamo e lo faremo con forza, generosità, cuore e passione sentendoci tutti responsabili della gioia o del doloro dell’altro, della loro rinascita o della loro morte, chiunque esso sia. Non è tempo di stare alla finestra a osservare cosa succede e nemmeno il tempo di mettere il bollino o il marchio per mostrare che qualcosa “noi” stiamo facendo, è tempo di far vedere, con scelte coraggiose, che l’amore è più forte della morte.
È dalla Risurrezione di Cristo, dalla sua vittoria sulla cattiveria umana capace di arrivare fino alla morte, è dal dono della Pace che il Risorto dona alla sua Chiesa, che noi, che tentiamo e proviamo ad essere cristiani attingiamo quella Speranza che nessuno potrà portarci via. Senza di essa lo scoraggiamento diventa una reale tentazione. Essa ci preserva dalla rassegnazione di fronte al futuro incerto del mondo e dell’intera creazione. Di fronte alla violenza, allo sfruttamento, all’odio, il Vangelo dà voce a una speranza nuova.
A ciascuno il compito, impegnativo certo ma travolgente, di essere per ciascuno e per tutti speranza viva che si incarna nel dire: “Che tu sia bianco o nero, ucraino o russo, cristiano o altro… Mi prendo cura di te, perché tu mi stai a cuore”.
Allora sarà davvero Pasqua anche per noi. È questo che auguro a me e a voi. Buona Pasqua!
Con affetto
Don Mauro
Ed ecco la Parola che mi ha accompagnato nella mia riflessione e che faccio vostra.
Il Vangelo di Pasqua ci narra di una donna, Maria Maddalena, che piange piena di smarrimento, come se la morte di Gesù avesse sancito il fallimento di ogni sua speranza. Tuttavia, nel momento in cui gli apostoli di Gesù, per paura, si nascondono, ella si reca alla tomba. Questo gesto non esprime solo il suo lutto, esprime anche un’attesa, seppur confusa. È l’attesa di un amore, che nemmeno la più grande sofferenza può cancellare. È proprio allora che Gesù, il Risorto, le viene incontro. E lo fa in maniera inaspettata: non trionfalmente, ma così umilmente che ella non lo riconosce e lo scambia per il giardiniere. Gesù la chiama per nome: “Maria”, e questo cambia tutto. Maria riconosce la voce di Gesù. Si volta verso di lui e lo chiama a sua volta: ”Rabbunì, Signore”. Una vita nuova comincia in lei, capisce che Gesù è vicino, anche se la sua presenza adesso è diversa. Poi il Risorto la manda: “Va’ dai miei fratelli, di’ loro che sono risorto!”. La sua vita riceve un senso nuovo, adesso ha un incarico da compiere. Anche in noi, come in Maria Maddalena, c’è un’attesa, e spesso delle domande non risolte. Talvolta viviamo questa attesa come una mancanza, un vuoto. La esprimiamo con un grido di disperazione o, senza parole, con un semplice sospiro.
Proprio allora Cristo ci chiama per nome. Conosce ciascuno di noi, ci conosce personalmente. E ci dice: “Va’ verso i miei fratelli e le mie sorelle, di’ loro che sono risorto!”. In questo tempo in cui tante persone sono disorientate per tantissimi motivi: personali, familiari, sociali, economici, spirituali e non per ultimo per il conflitto in corso è importante che, con coraggio, con serietà e maturità, procediamo sul cammino della fede e dell’amore. Non solo a parola, ma mettendoci la faccia, sporcandoci le mani, mettendo in atto tutto ciò che possiamo per dire con la vita e con scelte concrete di vita, che ogni essere umano può risorgere a vita nuova, grazia a ciascuno di noi.
Il coraggio di Maria Maddalena ci sprona. Ella, una donna sola, trova il coraggio di andare verso gli apostoli di Gesù per dire loro l’incredibile: “Cristo è risorto!”. E con la sua vita e testimonianza riesce a trasmettere l’amore di Dio. Ciascuno di noi può comunicare la fiducia in Cristo, comunicare l’incredibile. A questo siamo chiamati. Lo facciamo e lo faremo con forza, generosità, cuore e passione sentendoci tutti responsabili della gioia o del doloro dell’altro, della loro rinascita o della loro morte, chiunque esso sia. Non è tempo di stare alla finestra a osservare cosa succede e nemmeno il tempo di mettere il bollino o il marchio per mostrare che qualcosa “noi” stiamo facendo, è tempo di far vedere, con scelte coraggiose, che l’amore è più forte della morte.
È dalla Risurrezione di Cristo, dalla sua vittoria sulla cattiveria umana capace di arrivare fino alla morte, è dal dono della Pace che il Risorto dona alla sua Chiesa, che noi, che tentiamo e proviamo ad essere cristiani attingiamo quella Speranza che nessuno potrà portarci via. Senza di essa lo scoraggiamento diventa una reale tentazione. Essa ci preserva dalla rassegnazione di fronte al futuro incerto del mondo e dell’intera creazione. Di fronte alla violenza, allo sfruttamento, all’odio, il Vangelo dà voce a una speranza nuova.
A ciascuno il compito, impegnativo certo ma travolgente, di essere per ciascuno e per tutti speranza viva che si incarna nel dire: “Che tu sia bianco o nero, ucraino o russo, cristiano o altro… Mi prendo cura di te, perché tu mi stai a cuore”.
Allora sarà davvero Pasqua anche per noi. È questo che auguro a me e a voi. Buona Pasqua!
Con affetto
Don Mauro