2022
“Dai, cammina, siamo vicini, non vorrai mollare proprio ora… Guarda ancora un po’ e ci siamo. Se vuoi ci fermiamo un attimo, anche solo per prendere fiato e poi ci aspetta ancora un tratto di strada. Lo so che sei stanco. Poi vedrai, quando si arriva alla meta alla stanchezza subentra la soddisfazione. E poi non sei solo, ci sono io, ci siamo noi. Passo dopo posso e arriveremo”.
Carissimi amici dell’unità pastorale,
sono queste alcune espressioni che si usano quando si va in montagna o quando si intraprende un cammino. Il cammino è la metafora della vita. Infatti tra le varie definizioni che i sociologi danno all’uomo è quello di “un essere in cammino”.
Il periodo che stiamo vivendo ci obbliga, ancora una volta, a prendere coscienza della nostra fragilità e vulnerabilità. Ma, questa maledetta pandemia, non può e non deve spegnere il nostro voler camminare, magari su sentieri impervi, nei modi che non avremmo mai voluto e pensato. Penso alla paura di molti, allo scoraggiamento di altri, alla fatica dello “stare insieme” dei nostri ragazzi e giovani, all’isolamento magari all’interno della stessa casa di alcuni famigliari, al lasciarsi schiacciare dal peso dell’incertezza futura. Anche dal punto di vista pastorale, le proposte che riusciamo a pensare e a proporre sono accompagnati dal momentaneo non riuscire a vedere cosa succederà domani e il cammino diventa incerto.
Tuttavia noi non amiamo ne la poltrona della rassegnazione e nemmeno il divano della comodità. “Può essere come una barca ormeggiata nel porto. Al sicuro, al riparo dalle intemperie. Sempre di fronte allo stesso orizzonte. Ma non è per questo che le barche sono state costruite.” (Paulo Coelho). Nel rispetto di quanto ci viene chiesto, nella prudenza di chi non ama la superficialità, nella fatica che tutti sentiamo, i cammini continuano e la fatica fa parte proprio del camminare.
Ciò che ci aiuta e ci sprona nel cammino è sicuramente il sentirci in cordata: non vogliamo che nessuno si senta abbandonato a se stesso. La meta è la comunione e quella fraternità universale che siamo chiamati a vivere nei nostri paesi e nelle nostre parrocchie, dove nessuno possa sentirsi un individuo, ma un fratello. Lo stile è quello di trovare il ritmo giusto perché, passo dopo posso, si possa camminare insieme, nessuno escluso o lasciato indietro. Nello zaino, l’essenziale che serve per dare forza al cammino, si chiama amicizia. Sul volto, anche se segnato dalla stanchezza o dall’incertezza, la gioia di chi sa che ciò che conta è camminare. Questo è ciò che stiamo cercando e cercheremo di vivere e di condividere come chiesa, in questa nostra unità pastorale.
Questi ingredienti del cammino ce li ha inseganti proprio Lui, Colui che fatto uomo si è fatto pellegrino tra gli uomini: Gesù. Quel Gesù che incontriamo nella preghiera comunitaria o personale; quel Gesù che cerchiamo di vedere nei pochi, ma significativi momenti di aggregazione e di amicizia; quel Gesù presente in ogni gesto di accoglienza e di amore. Lui in cordata con noi, Lui che ci incoraggia aspettandoci quando siamo stanchi, Lui che ci propone l’essenziale: “Amatevi come io vi ho amato… perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
E anche se il periodo permane non facile, come il profeta noi ci accorgiamo e diciamo: “Come sono belli i piedi del messaggero di liete Parole”, come sono belli i volti delle persone che ti sorridono, le mani di chi si mette al servizio degli altri, i cuori di chi sa accogliere tutti indistintamente, lo sguardo e la parola di chi, accarezzandoti il cuore, ti dona speranza, i piedi di chi ti dice: “Dai, passo dopo posso e arriveremo”.
(…) Casualmente, anche se io non credo al caso, proprio mentre sto per concludere queste parole a voi indirizzate, arriva un messaggio al cellulare e mi trovo scritto, come augurio della buona notte, queste parole: “Non c’è figlio che non sia mio figlio. Né ferita di cui non senta il dolore. Non c’è terra che non sia la mia terra. E non c’è vita che non meriti amore” (F. Mannoia).
Appunto! Buon cammino!
Don Mauro
Carissimi amici dell’unità pastorale,
sono queste alcune espressioni che si usano quando si va in montagna o quando si intraprende un cammino. Il cammino è la metafora della vita. Infatti tra le varie definizioni che i sociologi danno all’uomo è quello di “un essere in cammino”.
Il periodo che stiamo vivendo ci obbliga, ancora una volta, a prendere coscienza della nostra fragilità e vulnerabilità. Ma, questa maledetta pandemia, non può e non deve spegnere il nostro voler camminare, magari su sentieri impervi, nei modi che non avremmo mai voluto e pensato. Penso alla paura di molti, allo scoraggiamento di altri, alla fatica dello “stare insieme” dei nostri ragazzi e giovani, all’isolamento magari all’interno della stessa casa di alcuni famigliari, al lasciarsi schiacciare dal peso dell’incertezza futura. Anche dal punto di vista pastorale, le proposte che riusciamo a pensare e a proporre sono accompagnati dal momentaneo non riuscire a vedere cosa succederà domani e il cammino diventa incerto.
Tuttavia noi non amiamo ne la poltrona della rassegnazione e nemmeno il divano della comodità. “Può essere come una barca ormeggiata nel porto. Al sicuro, al riparo dalle intemperie. Sempre di fronte allo stesso orizzonte. Ma non è per questo che le barche sono state costruite.” (Paulo Coelho). Nel rispetto di quanto ci viene chiesto, nella prudenza di chi non ama la superficialità, nella fatica che tutti sentiamo, i cammini continuano e la fatica fa parte proprio del camminare.
Ciò che ci aiuta e ci sprona nel cammino è sicuramente il sentirci in cordata: non vogliamo che nessuno si senta abbandonato a se stesso. La meta è la comunione e quella fraternità universale che siamo chiamati a vivere nei nostri paesi e nelle nostre parrocchie, dove nessuno possa sentirsi un individuo, ma un fratello. Lo stile è quello di trovare il ritmo giusto perché, passo dopo posso, si possa camminare insieme, nessuno escluso o lasciato indietro. Nello zaino, l’essenziale che serve per dare forza al cammino, si chiama amicizia. Sul volto, anche se segnato dalla stanchezza o dall’incertezza, la gioia di chi sa che ciò che conta è camminare. Questo è ciò che stiamo cercando e cercheremo di vivere e di condividere come chiesa, in questa nostra unità pastorale.
Questi ingredienti del cammino ce li ha inseganti proprio Lui, Colui che fatto uomo si è fatto pellegrino tra gli uomini: Gesù. Quel Gesù che incontriamo nella preghiera comunitaria o personale; quel Gesù che cerchiamo di vedere nei pochi, ma significativi momenti di aggregazione e di amicizia; quel Gesù presente in ogni gesto di accoglienza e di amore. Lui in cordata con noi, Lui che ci incoraggia aspettandoci quando siamo stanchi, Lui che ci propone l’essenziale: “Amatevi come io vi ho amato… perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”.
E anche se il periodo permane non facile, come il profeta noi ci accorgiamo e diciamo: “Come sono belli i piedi del messaggero di liete Parole”, come sono belli i volti delle persone che ti sorridono, le mani di chi si mette al servizio degli altri, i cuori di chi sa accogliere tutti indistintamente, lo sguardo e la parola di chi, accarezzandoti il cuore, ti dona speranza, i piedi di chi ti dice: “Dai, passo dopo posso e arriveremo”.
(…) Casualmente, anche se io non credo al caso, proprio mentre sto per concludere queste parole a voi indirizzate, arriva un messaggio al cellulare e mi trovo scritto, come augurio della buona notte, queste parole: “Non c’è figlio che non sia mio figlio. Né ferita di cui non senta il dolore. Non c’è terra che non sia la mia terra. E non c’è vita che non meriti amore” (F. Mannoia).
Appunto! Buon cammino!
Don Mauro
Carissimi amici dell’unità pastorale,
cerco di raccogliere questi pensieri da condividere con voi, mentre davanti all’Eucarestia, in questi giorni quaresimali, si odono le grida dei nostri fratelli che sono in guerra. La guerra in Ucraina, ma anche ai tanti conflitti e situazioni di estrema miseria e povertà, di razzismo e di emarginazione, di cattiveria e maltrattamenti, a livello mondiale, ma anche in “casa nostra”. Mentre cerco di fissare lo sguardo su Gesù, che ho davanti a me, mi scorrono nella testa i volti di una moltitudine di gente avvolti dalla disperazione e dal completo disorientamento, proprio di chi ha perso casa, terra, moglie, marito, figli; di chi non ha pane, istruzione, riconoscimento, rispetto. Cerco di lasciarmi guidare non dall’istinto umano, che mi porterebbe a “fare guerra” e ad entrare nella spirale della vendetta e della cattiveria gratuita, ma dalla Parola di Gesù, che sola può illuminare, dare forza e speranza anche a quanto stiamo vivendo che, come dice papa Francesco, è una pazzia.
Ed ecco la Parola che mi ha accompagnato nella mia riflessione e che faccio vostra.
Il Vangelo di Pasqua ci narra di una donna, Maria Maddalena, che piange piena di smarrimento, come se la morte di Gesù avesse sancito il fallimento di ogni sua speranza. Tuttavia, nel momento in cui gli apostoli di Gesù, per paura, si nascondono, ella si reca alla tomba. Questo gesto non esprime solo il suo lutto, esprime anche un’attesa, seppur confusa. È l’attesa di un amore, che nemmeno la più grande sofferenza può cancellare. È proprio allora che Gesù, il Risorto, le viene incontro. E lo fa in maniera inaspettata: non trionfalmente, ma così umilmente che ella non lo riconosce e lo scambia per il giardiniere. Gesù la chiama per nome: “Maria”, e questo cambia tutto. Maria riconosce la voce di Gesù. Si volta verso di lui e lo chiama a sua volta: ”Rabbunì, Signore”. Una vita nuova comincia in lei, capisce che Gesù è vicino, anche se la sua presenza adesso è diversa. Poi il Risorto la manda: “Va’ dai miei fratelli, di’ loro che sono risorto!”. La sua vita riceve un senso nuovo, adesso ha un incarico da compiere. Anche in noi, come in Maria Maddalena, c’è un’attesa, e spesso delle domande non risolte. Talvolta viviamo questa attesa come una mancanza, un vuoto. La esprimiamo con un grido di disperazione o, senza parole, con un semplice sospiro.
Proprio allora Cristo ci chiama per nome. Conosce ciascuno di noi, ci conosce personalmente. E ci dice: “Va’ verso i miei fratelli e le mie sorelle, di’ loro che sono risorto!”. In questo tempo in cui tante persone sono disorientate per tantissimi motivi: personali, familiari, sociali, economici, spirituali e non per ultimo per il conflitto in corso è importante che, con coraggio, con serietà e maturità, procediamo sul cammino della fede e dell’amore. Non solo a parola, ma mettendoci la faccia, sporcandoci le mani, mettendo in atto tutto ciò che possiamo per dire con la vita e con scelte concrete di vita, che ogni essere umano può risorgere a vita nuova, grazia a ciascuno di noi.
Il coraggio di Maria Maddalena ci sprona. Ella, una donna sola, trova il coraggio di andare verso gli apostoli di Gesù per dire loro l’incredibile: “Cristo è risorto!”. E con la sua vita e testimonianza riesce a trasmettere l’amore di Dio. Ciascuno di noi può comunicare la fiducia in Cristo, comunicare l’incredibile. A questo siamo chiamati. Lo facciamo e lo faremo con forza, generosità, cuore e passione sentendoci tutti responsabili della gioia o del doloro dell’altro, della loro rinascita o della loro morte, chiunque esso sia. Non è tempo di stare alla finestra a osservare cosa succede e nemmeno il tempo di mettere il bollino o il marchio per mostrare che qualcosa “noi” stiamo facendo, è tempo di far vedere, con scelte coraggiose, che l’amore è più forte della morte.
È dalla Risurrezione di Cristo, dalla sua vittoria sulla cattiveria umana capace di arrivare fino alla morte, è dal dono della Pace che il Risorto dona alla sua Chiesa, che noi, che tentiamo e proviamo ad essere cristiani attingiamo quella Speranza che nessuno potrà portarci via. Senza di essa lo scoraggiamento diventa una reale tentazione. Essa ci preserva dalla rassegnazione di fronte al futuro incerto del mondo e dell’intera creazione. Di fronte alla violenza, allo sfruttamento, all’odio, il Vangelo dà voce a una speranza nuova.
A ciascuno il compito, impegnativo certo ma travolgente, di essere per ciascuno e per tutti speranza viva che si incarna nel dire: “Che tu sia bianco o nero, ucraino o russo, cristiano o altro… Mi prendo cura di te, perché tu mi stai a cuore”.
Allora sarà davvero Pasqua anche per noi. È questo che auguro a me e a voi. Buona Pasqua!
Con affetto
Don Mauro
Ed ecco la Parola che mi ha accompagnato nella mia riflessione e che faccio vostra.
Il Vangelo di Pasqua ci narra di una donna, Maria Maddalena, che piange piena di smarrimento, come se la morte di Gesù avesse sancito il fallimento di ogni sua speranza. Tuttavia, nel momento in cui gli apostoli di Gesù, per paura, si nascondono, ella si reca alla tomba. Questo gesto non esprime solo il suo lutto, esprime anche un’attesa, seppur confusa. È l’attesa di un amore, che nemmeno la più grande sofferenza può cancellare. È proprio allora che Gesù, il Risorto, le viene incontro. E lo fa in maniera inaspettata: non trionfalmente, ma così umilmente che ella non lo riconosce e lo scambia per il giardiniere. Gesù la chiama per nome: “Maria”, e questo cambia tutto. Maria riconosce la voce di Gesù. Si volta verso di lui e lo chiama a sua volta: ”Rabbunì, Signore”. Una vita nuova comincia in lei, capisce che Gesù è vicino, anche se la sua presenza adesso è diversa. Poi il Risorto la manda: “Va’ dai miei fratelli, di’ loro che sono risorto!”. La sua vita riceve un senso nuovo, adesso ha un incarico da compiere. Anche in noi, come in Maria Maddalena, c’è un’attesa, e spesso delle domande non risolte. Talvolta viviamo questa attesa come una mancanza, un vuoto. La esprimiamo con un grido di disperazione o, senza parole, con un semplice sospiro.
Proprio allora Cristo ci chiama per nome. Conosce ciascuno di noi, ci conosce personalmente. E ci dice: “Va’ verso i miei fratelli e le mie sorelle, di’ loro che sono risorto!”. In questo tempo in cui tante persone sono disorientate per tantissimi motivi: personali, familiari, sociali, economici, spirituali e non per ultimo per il conflitto in corso è importante che, con coraggio, con serietà e maturità, procediamo sul cammino della fede e dell’amore. Non solo a parola, ma mettendoci la faccia, sporcandoci le mani, mettendo in atto tutto ciò che possiamo per dire con la vita e con scelte concrete di vita, che ogni essere umano può risorgere a vita nuova, grazia a ciascuno di noi.
Il coraggio di Maria Maddalena ci sprona. Ella, una donna sola, trova il coraggio di andare verso gli apostoli di Gesù per dire loro l’incredibile: “Cristo è risorto!”. E con la sua vita e testimonianza riesce a trasmettere l’amore di Dio. Ciascuno di noi può comunicare la fiducia in Cristo, comunicare l’incredibile. A questo siamo chiamati. Lo facciamo e lo faremo con forza, generosità, cuore e passione sentendoci tutti responsabili della gioia o del doloro dell’altro, della loro rinascita o della loro morte, chiunque esso sia. Non è tempo di stare alla finestra a osservare cosa succede e nemmeno il tempo di mettere il bollino o il marchio per mostrare che qualcosa “noi” stiamo facendo, è tempo di far vedere, con scelte coraggiose, che l’amore è più forte della morte.
È dalla Risurrezione di Cristo, dalla sua vittoria sulla cattiveria umana capace di arrivare fino alla morte, è dal dono della Pace che il Risorto dona alla sua Chiesa, che noi, che tentiamo e proviamo ad essere cristiani attingiamo quella Speranza che nessuno potrà portarci via. Senza di essa lo scoraggiamento diventa una reale tentazione. Essa ci preserva dalla rassegnazione di fronte al futuro incerto del mondo e dell’intera creazione. Di fronte alla violenza, allo sfruttamento, all’odio, il Vangelo dà voce a una speranza nuova.
A ciascuno il compito, impegnativo certo ma travolgente, di essere per ciascuno e per tutti speranza viva che si incarna nel dire: “Che tu sia bianco o nero, ucraino o russo, cristiano o altro… Mi prendo cura di te, perché tu mi stai a cuore”.
Allora sarà davvero Pasqua anche per noi. È questo che auguro a me e a voi. Buona Pasqua!
Con affetto
Don Mauro
“Batti cuore” è questo lo slogan che accompagnerà l’estate dei nostri ragazzi, dei giovani e attraverso loro dell’intera comunità. E... le attività estive iniziano proprio nel mese di giugno, mese dedicato alla devozione al Cuore di Gesù. Coincidenza? A me piace credere di no.
Carissimi dell’unità pastorale, il cuore rappresenta l’essere umano nella sua totalità, è il centro originario della persona umana, quello che gli dà unità. Il cuore è il centro del nostro essere, la fonte della nostra personalità, il motivo principale dei nostri atteggiamenti e delle nostre scelte, il luogo della misteriosa azione di Dio. Il cuore è, per eccellenza, il simbolo dell’amore. E poiché Gesù ha un amore totale, gratuito, universale, il suo cuore è per noi il simbolo perfetto dell’amore. Un cuore colmo di perfetto amore per il Padre e per gli uomini. Entrare e vivere il mistero del cuore di Cristo significa accorgersi che il suo cuore batte, ancora oggi, per ciascuno di noi, per me che qualche volta soffro di alcuni “scompensi cardiaci”. Si! Perché amare così non è facile, perché è più semplice amare quelli che voglio io, quelli che la pensano come me, quelli che mi dicono sempre di sì e mi danno sempre ragione. E gli altri? Be’ gli altri entrano nella lista di chi mi è indifferente... ecco perché il mio cuore non sempre batte lo stesso ritmo del Suo Cuore. “Chi ha visto me ha visto il Padre”, dice Gesù. È dunque contemplando il suo cuore che noi possiamo giungere a conoscere il cuore del Padre.
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Possiamo contemplare il cuore di Dio. Fino alla venuta di Cristo conoscevamo il cuore di Dio “solo per sentito dire”. In Gesù, i nostri occhi lo hanno contemplato. Un anonimo poeta egiziano scriveva, verso il 2.000 a.C.: “Cerco un cuore su cui appoggiare la mia testa e non lo trovo, non ci sono più amici!”. Noi siamo più fortunati: abbiamo un cuore - quello di Gesù - su cui posare il nostro capo per udire da lui, in ogni momento, parole di consolazione, di speranza, di perdono e di amicizia. Questo grande Cuore può, allora, diventare anche la misura del nostro cuore. “Batti cuore”: palestra per una comunità che desidera avere un cuore grande che sappia rispondere all’amore amando, amando quell’Amore che tante volte non è amato. Non vuole essere un gioco di parole, semplicemente volevo dire che all’amore si risponde con l’amore e che possiamo amare il Signore solo se scelgo di amare ogni persona che la vita mi permette di incontrare. “Batti cuore”: esplosione di relazioni che crescono giorno per giorno, fondate sulla fiducia reciproca tra ragazzi e animatori, tra animatori e responsabili, tra famiglie e comunità cristiana nella sfida educativa di chi investe mente, passione, tempo, energia e soprattutto cuore. “Batti cuore” esercizio che qualifica la nostra vita assumendo come stile quello dell’essere do- no gli uni per gli altri. “Innalzato sulla croce, nel suo amore senza limiti donò la vita per noi” dice così una preghiera che recitiamo proprio nella festa del Sacro Cuore. E allora: buona estate all’insegna del “batti cuore” dove il donare la nostra vita diventa segno piccolo, ma trasparente di un cuore che non solo batte, ma che si prende cura di tanti altri cuori. Il mio augurio e la mia riconoscenza a don Simone, ai parroci del nostro comune, ai nostri giovani e adolescenti, a tutti i ragazzi e alle famiglie per questa avventura meravigliosa. In un clima di reciproca fiducia condividiamo l’esperienza di farci curare il cuore, guardando al Suo Cuore per continuare ad imparare a vivere amando e donando ciò che di più prezioso abbiamo: il cuore, appunto. L’augurio di un sereno periodo estivo a tutta la nostra unità pastorale con un pensiero particolare a chi sta vivendo un momento non facile della vita, i nostri anziani e ammalati. A tutti dico: “Mi state a cuore”.
Don Mauro |
Carissimi amici dell’Unità Pastorale,
con il mese di ottobre inauguriamo un nuovo anno pastorale. Qualcuno potrebbe anche chiedersi: “che cosa è l’anno pastorale?”. Non volendo dare nulla per scontato, quando parliamo di anno pastorale intendiamo tutto ciò che una comunità cristiana propone, investendo idee, iniziative, cammini, progetti e processi. Tutto questo nello scorrere del tempo, (un anno) convinti di essere accompagnati dalla grazia dello Spirito di Dio, che ci spinge a seguire le orme dell’unico maestro e pastore (pastorale) per poterlo amare e, come Lui, essere “fratelli tutti”. A un anno, ormai, del mio essere con voi e per voi, spesso mi sono chiesto davanti al Signore e alla mia coscienza: quali le priorità, quali le cose essenziali da salvaguardare e quelle da mettere in secondo piano? Quali decisioni, come e cosa si può “fare” perché ciascuno possa sentirsi raggiunto dall’amore di Dio Padre e così spendersi in scelte che rendano alta la vita e non mediocre? Quale volto dare alle nostre comunità perché tutti si possano sentire accolti, prossimi, accompagnati, sostenuti? Vi confido, perché è così che si fa quando ci si sente in famiglia, che sento il peso della re- sponsabilità che mi è stata affidata nell’accompagnarvi e nel condividere con voi il dono della fede. Nello stesso tempo, il buon Dio, non mi fa mancare quella serenità che diventa stimolo quotidiano alla fedeltà a Lui e a voi. Sono ancora in una fase di conoscenza di una realtà ricca, complessa, ma nello stesso tempo stimolante. Sto ancora imparando e per questo mi appello alla vostra pazienza. Ringrazio il Signore per quello che vivo giorno dopo giorno e ciascuno di voi per quello che siete. Lasciandomi guidare dal cammino che la chiesa universale sta compiendo e dalla lettera del nostro Vescovo, indirizzata all’intera dio- cesi, di una cosa sono certo: lo stile che dovrà accompagnare sempre di più le nostre comunità nel cercare di incarnare, oggi, il Vangelo di Gesù dovrà essere quello sinodale per una chiesa sinodale. Cosa è questo stile sinodale che dovremo vivere e al quale dovremo sempre più convertirci? È lo stile di chi decide di camminare insieme. Non è questione di carattere o di gruppo di appartenenza o di simpatia, ma là dove si sceglie di essere amici di Gesù non può mancare la ferma decisione di camminare insieme. Questo cammino fatto insieme, mi sembra trasmette immediatamente due caratteristiche fondamentali, tenendole unite. La prima è il dinamismo del movimento, di un processo che punta a un cambiamento. Chi vuole che tutto rimanga com’è, non si mette in cammino. La seconda è espressa dalla parola “insieme”: il processo sinodale si pone nella linea della costruzione di un “noi”. Più volte, in queste domeniche estive, ci è stato ricordato nel Vangelo che “io” e “mio” sono termini che non appartengono al vocabolario di Gesù. Quindi ci mettiamo in cammino insieme, anche se differenti, ciascuno con la propria unicità e sensibilità, ognuno con il suo modo di vedere le cose, ma, se il motore del nostro cammino e di qualche possibile cambiamento è il Signore Gesù, allora costruiremo un “noi” di credenti - credibili. Consapevole che questo stile non inizia ora, perché già ben visibile nella nostra Unità Pastorale, tuttavia lo dobbiamo scegliere e vivere con maggior consapevolezza. Un mondo frammentato come il nostro ha disperato bisogno di vedere che sono davvero possibili processi di reale incontro tra le differenze, senza che nessuna sia negata o schiacciata. Questo stile sinodale costituisce per la comunità cristiana una grande opportunità di rimettersi in contatto con la propria identità e di interrogarsi sul modo con cui portare più efficacemente a termine oggi la missione di evangelizzazione, che è la sua ragion d’essere. Assumendo questo stile, ciascuno è chiamato a portare il proprio contributo, in chiave autenticamente partecipativa, non per il gusto di stravolgere l’esistente ma al servizio del Vangelo. Quindi il “si è sempre fatto così” oppure il rimpianto dei “ai miei tempi” o ancora “tanto decide il parroco” in questo cammino che ci aspetta non hanno più fondamento, perché il cammino è da condividere insieme, nella corresponsabilità di ciascuno. Sarà necessario sposare un metodo, che potrà costare un po’ di tempo e fatica, ma l’improvvisazione non aiuta di certo. Un metodo che ci vedrà tutti coinvolti in riflessioni, in scelte, in attuazioni concrete. Occorrerà programmare momenti di verifica dell’attuazione delle decisioni prese, confermando ciò che ha funzionato e modificando ciò che si è rivelato inefficace o addirittura di ostacolo. Ma al centro, ecco la vera conversione che ci viene richiesta, non sarà il “mio” modo di vedere o vivere quella cosa, ma ci dovrà essere Lui, il Cristo crocifisso Risorto, la sua Parola e proposta di vita. Non ci deve assolutamente spaventare il futuro, siamo chiamati a vivere il presente, questo presente, non facile per la chiesa, perché siamo certi che il buon Dio non ci farà mancare il suo Spirito che è gioia e forza, ingredienti indispensabili per chi decide di camminare insieme. Devo, infine, ringraziare il Signore per il cammino condiviso con don Simone: diversi nel nostro stile ma ci unisce la passione che abbiamo per il Signore e per tutti voi. Così pure il “lavoro” ormai intrapreso di comunione con don Mario e don Luca, nel sentirci in cordata per dare alle nostre comunità un volto di chiesa sinodale. A tutti e ciascuno, assicuro un ricordo quotidiano nella preghiera e ... buon cammino insieme.
Don Mauro
Non è formalità, ma viene dal cuore il “GRAZIE” a tutte quelle persone amiche che durante il periodo estivo si sono spese per rendere possibili le feste in Ambria per il patrono, la sagra di san Lorenzo e le serate a Grumello in occasione dell’Assunta. È la prima volta che le vivo con voi e non posso non pensare alle tante ore di preparazione, di lavoro per le strutture, all’organizzazione nei vari aspetti. Oltre ad aver mangiato sempre bene e alla possibilità di incontrare tante persone, ho respirato un clima di vera collaborazione e amicizia: questa è la vera festa. A tutti e a ciascuno “Grazie davvero”.
Don Mauro
Don Mauro
Non è formalità, ma viene dal cuore il “GRAZIE” a tutte quelle persone amiche che durante il periodo estivo si sono spese per rendere possibili le feste in Ambria per il patrono, la sagra di san Lorenzo e le serate a Grumello in occasione dell’Assunta. È la prima volta che le vivo con voi e non posso non pensare alle tante ore di preparazione, di lavoro per le strutture, all’organizzazione nei vari aspetti. Oltre ad aver mangiato sempre bene e alla possibilità di incontrare tante persone, ho respirato un clima di vera collaborazione e amicizia: questa è la vera festa. A tutti e a ciascuno “Grazie davvero”.
Don Mauro
Carissimi tutti, siamo ormai prossimi alle festività natalizie.
Nello scorrere del tempo e degli impegni, scelgo di ritagliarmi un po’ di tempo per regalarlo a voi, che state leggendo queste parole e a tutte le persone delle nostre comunità, nell’indirizzarvi questa semplice riflessione. Parole che scrivo per me e che, dal cuore, sento di condividerle con voi. È sera tarda, mentre vi scrivo, della prima domenica di avvento. Don Simone ha iniziato la sua riflessione alla celebrazione per le famiglie facendo spegnere tutte le luci della chiesa e intessendo un dialogo con la luce: “Ospitare la luce”. Mi sono subito venute in mente le parole del profeta Isaia che ascolteremo la notte di Natale: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse». Così pure la benedizione delle statue dei pastori che i nostri ragazzi tenevano in mano mi hanno fatto ricordare altre parole del Vangelo di Luca: «Un angelo del Signore si presentò [ai pastori] e la gloria del Signore li avvolse di luce». Ecco come si presenta Dio a questa nostra umanità, a ciascuno di noi: come luce che penetra e dissolve la più densa oscurità. Non possiamo far finta di niente: la notte c’è; il buio spesso ci abita; l’oscurità non ci permette di guardare oltre. Violenze, guerre, odio, sopraffazione, rassegnazione, disperazione, lacrime e ... quelle che leggiamo sui giornali e quelle che si consumano nelle nostre famiglie. Si! La notte c’è! Ma Dio, che aveva riposto le proprie attese nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, aspettava e aspetta. Egli ha atteso talmente a lungo che forse ad un certo punto avrebbe dovuto rinunciare. Invece non poteva rinunciare, non poteva rinnegare sé stesso. Perciò ha continuato ad aspettare con pazienza di fronte alla corruzione di uomini e popoli. La pazienza di Dio. Ecco il Natale: la luce squarcia il buio, la pazienza di Dio, la sua fedeltà all’uomo di sempre è più forte delle tenebre e della notte. La sua paziente attesa si è fatta visibile, si è fatta tenerezza nella carne di Gesù. Accolto dalle mani amorevoli di Maria, dall’affetto di Giuseppe, dallo stupore dei pastori. Quel Bambino è accolto, ospitato nella casa - vita di chi fa spazio alla luce, di chi sa riconoscere l’essenziale, di chi sa ancora stupirsi della tenerezza di Dio che ci guarda con occhi colmi di affetto, che accetta la nostra miseria. Dio bussa alla porta della nostra vita e con pazienza continua a bussare, anche quando si sente rifiutato, perché Lui è così: l’Onnipotente invisibile si fa visibile e chiede di essere accolto, come si accoglie un bambino. Immersi nella notte, ecco Dio che mi invita ad accogliere la sua Luce. Carissimi, proviamo a chiederci: come accogliamo la tenerezza di Dio? Mi lascio raggiungere da Lui, oppure gli impedisco di avvicinarsi? In questo benedetto mondo avvolto di tenebre cerco davvero quella luce che solo il Signore può donare? Tuttavia, la cosa più importante non è cercarlo, bensì lasciare che sia Lui a cercarmi, a trovarmi e ad accarezzarmi con amorevolezza. Permetto a Dio di volermi bene? E ancora: abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto? Mi sento casa accogliente, capaci di ospitalità vera, concreta, fatta di piccoli gesti quotidiani? Pazienza di Dio, vicinanza di Dio, tenerezza di Dio. Che grande mistero e quanta luce ci viene donata. «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce». La vide la gente semplice, la gente disposta ad accogliere il dono di Dio. Al contrario, non la videro gli arroganti, i superbi, coloro che stabiliscono le leggi secondo i propri criteri personali, quelli che assumono atteggiamenti di chiusura. E allora: buon Natale! Un Natale abitato dalla Luce di quel Bambino che ci rivela la pazienza, la vicinanza, la tenerezza di Dio. Un Natale dove diventiamo sempre più capaci di accogliere e di ospitare Dio, accogliendo e ospitando il fratello che incrociamo ogni giorno. Vi porto ogni giorno con me nella mia preghiera e chiedo alla Madonna: per me, per i confratelli sacerdoti, per tutte le nostre famiglie, per i ragazzi e i giovani come per gli anziani e gli ammalati: “O Maria, mostraci Gesù”.
Buon Natale
Don Mauro
Buon Natale
Don Mauro