1986
NOTIZIE DALL’ORATORIO - CARNIT 27-28 DICEMBRE 1985
All’alba del 27 dicembre 1985 ventidue baldi giovani e non si sono incamminati, con molti sprint verso City Carnit, dove c’è un bellissimo, accogliente, ma soprattutto attrezzato rifugio, anzi una scuola, forse disabitata, ma non sempre: topi!!! (scherziamo)
Il primo problema è l’acqua perchè le tubature dell’“edificio” sono leggermente marce. Non preoccupatevi, però, perchè vicino al rifugio c’è una sorgente, dove il primo cartello che si vede è: “attenti ai cani”, ne sappiamo qualcosa, non sono feroci, ma soltanto un pò affamati.
Il primo argomento da noi trattato (perchè c’erano anche gli incontri) riguarda l’adole-scenza, i vari problemi che possono sorgere a noi ragazzi e come possono essere risolti.
In questo lavoro di gruppo ci siamo basati su un testo di Gerard Lotte.
La giornata è terminata con “Driiinnn, Pronto, Chi parla??? (per chi non lo sapesse è un gioco).
Dopo un sonno assai “movimentato” abbiamo analizzato il brano del Vangelo: “Le Tentazioni di Gesù” e poi abbiamo cercato di rapportalo ai nostri giorni. Tre titoli principali, che sono emersi dalla nostra discussione, in vari gruppetti, sono:
- CONSUMISMO (per quanto riguarda la prima tentazione: il pane nel deserto).
- POTERE (per quanto riguarda la seconda tentazione: buttarsi dal tempio).
- TENTAZIONE DI IDOLATRIA (per quanto riguarda la terza tentazione: sulla cima del monte mettersi in ginocchio davanti a Satana).
Concludendo: “LE PAROLE RIMANGONO BELLE PAROLE SE SONO SOLTANTO PAROLE”
QUINDI: bisogna mettere in pratica ciò che abbiamo detto.
Noi ci impegniamo a realizzare il nostro progetto.
PS: Il 27 e il 28 saranno sempre due giorni INDIMENTICABILI.
GRAZIE a tutti coloro che ci hanno dato la possibilità di essere felici.
don Giacomo Invernizzi
Il primo problema è l’acqua perchè le tubature dell’“edificio” sono leggermente marce. Non preoccupatevi, però, perchè vicino al rifugio c’è una sorgente, dove il primo cartello che si vede è: “attenti ai cani”, ne sappiamo qualcosa, non sono feroci, ma soltanto un pò affamati.
Il primo argomento da noi trattato (perchè c’erano anche gli incontri) riguarda l’adole-scenza, i vari problemi che possono sorgere a noi ragazzi e come possono essere risolti.
In questo lavoro di gruppo ci siamo basati su un testo di Gerard Lotte.
La giornata è terminata con “Driiinnn, Pronto, Chi parla??? (per chi non lo sapesse è un gioco).
Dopo un sonno assai “movimentato” abbiamo analizzato il brano del Vangelo: “Le Tentazioni di Gesù” e poi abbiamo cercato di rapportalo ai nostri giorni. Tre titoli principali, che sono emersi dalla nostra discussione, in vari gruppetti, sono:
- CONSUMISMO (per quanto riguarda la prima tentazione: il pane nel deserto).
- POTERE (per quanto riguarda la seconda tentazione: buttarsi dal tempio).
- TENTAZIONE DI IDOLATRIA (per quanto riguarda la terza tentazione: sulla cima del monte mettersi in ginocchio davanti a Satana).
Concludendo: “LE PAROLE RIMANGONO BELLE PAROLE SE SONO SOLTANTO PAROLE”
QUINDI: bisogna mettere in pratica ciò che abbiamo detto.
Noi ci impegniamo a realizzare il nostro progetto.
PS: Il 27 e il 28 saranno sempre due giorni INDIMENTICABILI.
GRAZIE a tutti coloro che ci hanno dato la possibilità di essere felici.
don Giacomo Invernizzi
LA VOCE DELL’ORATORIO
I GIOVANI VISIBILI - TRASPARENTI
Dove sono i giovani? Basta guardarsi e ne scopri in tutti gli angoli. Sì di giovani ce ne sono, li trovi per le strade, nei bar, in tutti gli ambienti c’è la presenza dei giovani. Specialmente dove l’ambiente è stimolante, emozionante, li c’è il giovane alla ricerca di una esperienza personale. Non si può indubbiamente parlare di una carente vivacità o vitalità nel mondo giovanile.
È innegabile, ed è stato sottolineato, un forte impegno nel campo della scuola, una maggiore serietà nei propri studi. È innegabile una forza di inserirsi nel mondo del lavoro per trovare un proprio spazio.
È innegabile la capacità e la fantasia nel sapersi organizzare il proprio tempo libero: ne inventano di tutte perchè ci siano esperienze nuove e diverse.
È innegabile la forza di espressione attraverso il modo di vestirsi e di muoversi.
Sì, il mondo giovanile c’è ancora, non è scomparso, basta guardare un po’ e lo trovi. Eppure io che posso considerarmi appartenente a questo mondo, non ho mai avvertito come in questo periodo la mancanza, all’interno di un ambiente, di quello che possiamo chiamare lo spirito del giovane.
L’avevo avvertita negli ultimi anni del seminario — segno che anche questo ambiente sta vivendo di questa mentalità — ma la ritrovo forte in questi mesi della mia esperienza a Zogno.
È innegabile che ci siano dei lati positivi in questa situazione e possono essere quelli che ho sottolineato prima, ma è altrettanto vero che accanto a questi fattori positivi ci sia una negazione di quello che chiamo “spirito giovanile”. Per questo posso dire con molta preoccupazione che se i giovani ci sono ancora, è vero che la loro presenza è insignificante perchè, tolta l’apparenza, stanno perdendo ciò che è il fondo e quindi ciò che è valido del loro essere.
Avrei molto piacere se qualcuno mi rispondesse e mi aiutasse a scoprire, se c’è, questa presenza giovanile.
lo mi limito a mostrare perchè sostengo questa mia posizione e perchè è per me motivo di preoccupazione.
È innegabile che la situazione che si trovano a vivere i giovani è frutto di una cultura: non li possiamo vedere come un settore a parte. Questa cultura alleva con cura questo tipo di giovani in quanto sa di costruire una categoria di persone che è poi il punto di riferimento per ogni altra. Il giovanilismo è infatti una mentalità molto diffusa: ho chiesto ai bambini delle elementari quale fosse la categoria di persone più importante e la maggior parte mi ha risposto: “i giovani”, “allora voi non siete importanti” ho detto e qualcuno era disposto a dire di sì. Così è pure evidente lo scimmiottare, da parte degli adulti, la realtà e la vitalità giovanile.
Ciò che inquina tutto in questa cultura è il fatto che non è per l’uomo, per il valore della persona, ma per il consumo. In questa visuale, forse in modo eccessivamente critico, io leggo la nostra scuola, il lavoro, il tempo libero e tutto quello che circola attorno a questi poli: tutto viene vissuto nell’ottica del contratto “io ti do se tu mi dai- e non “ti do per farti crescere”. La persona passa in secondo posto e la nostra diventa una cultura di morte. Questo è evidente e spiega il giovanilismo. I giovani sono la categoria che con la loro vitalità consuma di più ed è evidente che il rapporto dei giovani con la realtà è quello del prendi - mangia - getta. Le categorie degli anziani e dei bambini vengono escluse, non rientrano in questa dinamica. Così pure tutti i giovani che non riescono a stare al passo delle proposte si sentono bruciati e delusi.
Sono queste poche idee da approfondire che però vogliono mostrare come lo spirito giovanile che da sempre, proprio per il suo carattere critico, ha avuto la funzione di proporre valori dimenticati, viene ucciso. Non si ha la forza di reagire. Questo perchè la situazione che stiamo vivendo è la droga più preoccupante sia per le conseguenze ma soprattutto perchè uccide con il sorriso sulla bocca le persone: è una situazione che dopo tutto, ti fa contento.
Discutendo con un gruppo di giovani e cercando di fare capire questi motivi, usciva la difficoltà molto vera del costatare che la situazione è questa e tutti corrono in questa direzione. Ma è proprio vero che non ci sia niente da fare? Non possiamo porre dei piccoli segni che ci aiutano a risvegliarci? È proprio vero che bisogna vendersi per poter realizzare qualcosa? Credo che risposte precise alla situazione che stiamo vivendo non se ne possono dare.
Non se ne possono dare perchè è necessaria, precedentemente una analisi della situazione che stiamo vivendo, una ricerca dei desideri, dei dinamismi, delle forze che ci portano ad agire in questo modo.
La fede cristiana chiama questo cammino di ricerca conversione: convergere, trovare il punto di riferimento dal quale si può leggere la situazione.
È certo che scoprire la situazione non è il tutto, il conoscere deve diventare progetto. Possibilità che una casa, un quartiere, un paese con la sua scuola, chiesa, fabbrica, siano a dimensione d’uomo.
Per questo è necessario che gli interessi, i poteri, passino al secondo posto ed emergano i desideri e i valori umani.
don Giacomo Invernizzi
È innegabile, ed è stato sottolineato, un forte impegno nel campo della scuola, una maggiore serietà nei propri studi. È innegabile una forza di inserirsi nel mondo del lavoro per trovare un proprio spazio.
È innegabile la capacità e la fantasia nel sapersi organizzare il proprio tempo libero: ne inventano di tutte perchè ci siano esperienze nuove e diverse.
È innegabile la forza di espressione attraverso il modo di vestirsi e di muoversi.
Sì, il mondo giovanile c’è ancora, non è scomparso, basta guardare un po’ e lo trovi. Eppure io che posso considerarmi appartenente a questo mondo, non ho mai avvertito come in questo periodo la mancanza, all’interno di un ambiente, di quello che possiamo chiamare lo spirito del giovane.
L’avevo avvertita negli ultimi anni del seminario — segno che anche questo ambiente sta vivendo di questa mentalità — ma la ritrovo forte in questi mesi della mia esperienza a Zogno.
È innegabile che ci siano dei lati positivi in questa situazione e possono essere quelli che ho sottolineato prima, ma è altrettanto vero che accanto a questi fattori positivi ci sia una negazione di quello che chiamo “spirito giovanile”. Per questo posso dire con molta preoccupazione che se i giovani ci sono ancora, è vero che la loro presenza è insignificante perchè, tolta l’apparenza, stanno perdendo ciò che è il fondo e quindi ciò che è valido del loro essere.
Avrei molto piacere se qualcuno mi rispondesse e mi aiutasse a scoprire, se c’è, questa presenza giovanile.
lo mi limito a mostrare perchè sostengo questa mia posizione e perchè è per me motivo di preoccupazione.
È innegabile che la situazione che si trovano a vivere i giovani è frutto di una cultura: non li possiamo vedere come un settore a parte. Questa cultura alleva con cura questo tipo di giovani in quanto sa di costruire una categoria di persone che è poi il punto di riferimento per ogni altra. Il giovanilismo è infatti una mentalità molto diffusa: ho chiesto ai bambini delle elementari quale fosse la categoria di persone più importante e la maggior parte mi ha risposto: “i giovani”, “allora voi non siete importanti” ho detto e qualcuno era disposto a dire di sì. Così è pure evidente lo scimmiottare, da parte degli adulti, la realtà e la vitalità giovanile.
Ciò che inquina tutto in questa cultura è il fatto che non è per l’uomo, per il valore della persona, ma per il consumo. In questa visuale, forse in modo eccessivamente critico, io leggo la nostra scuola, il lavoro, il tempo libero e tutto quello che circola attorno a questi poli: tutto viene vissuto nell’ottica del contratto “io ti do se tu mi dai- e non “ti do per farti crescere”. La persona passa in secondo posto e la nostra diventa una cultura di morte. Questo è evidente e spiega il giovanilismo. I giovani sono la categoria che con la loro vitalità consuma di più ed è evidente che il rapporto dei giovani con la realtà è quello del prendi - mangia - getta. Le categorie degli anziani e dei bambini vengono escluse, non rientrano in questa dinamica. Così pure tutti i giovani che non riescono a stare al passo delle proposte si sentono bruciati e delusi.
Sono queste poche idee da approfondire che però vogliono mostrare come lo spirito giovanile che da sempre, proprio per il suo carattere critico, ha avuto la funzione di proporre valori dimenticati, viene ucciso. Non si ha la forza di reagire. Questo perchè la situazione che stiamo vivendo è la droga più preoccupante sia per le conseguenze ma soprattutto perchè uccide con il sorriso sulla bocca le persone: è una situazione che dopo tutto, ti fa contento.
Discutendo con un gruppo di giovani e cercando di fare capire questi motivi, usciva la difficoltà molto vera del costatare che la situazione è questa e tutti corrono in questa direzione. Ma è proprio vero che non ci sia niente da fare? Non possiamo porre dei piccoli segni che ci aiutano a risvegliarci? È proprio vero che bisogna vendersi per poter realizzare qualcosa? Credo che risposte precise alla situazione che stiamo vivendo non se ne possono dare.
Non se ne possono dare perchè è necessaria, precedentemente una analisi della situazione che stiamo vivendo, una ricerca dei desideri, dei dinamismi, delle forze che ci portano ad agire in questo modo.
La fede cristiana chiama questo cammino di ricerca conversione: convergere, trovare il punto di riferimento dal quale si può leggere la situazione.
È certo che scoprire la situazione non è il tutto, il conoscere deve diventare progetto. Possibilità che una casa, un quartiere, un paese con la sua scuola, chiesa, fabbrica, siano a dimensione d’uomo.
Per questo è necessario che gli interessi, i poteri, passino al secondo posto ed emergano i desideri e i valori umani.
don Giacomo Invernizzi
LA VOCE DELL’ORATORIO
GENITORI: UN ETICHETTA O EDUCATORI
Il “mestiere” del genitore è forse dei più antichi.
Racchiude in sè istinto, cultura, arte.
Si nota tuttavia da parte dei genitori, dal loro modo di parlare, una grande difficoltà a riconoscersi nel loro ruolo.
Non si vogliono fare figli perchè il mondo è brutto, si ha paura di non riuscire ad educarli. Infatti la maggior parte del metodo educativo consiste non nell’educare ad essere qualcuno, ma nell’evitare che il ragazzo sia qualcuno: drogato, delinquente.
Credo sia importante andare a scoprire il perchè di questo atteggiamento, capire come mai in questo ambito è divenuto tutto così fragile, così ambiguo.
Tenterò di analizzare questa situazione partendo da quello che sento e vedo, per offrire alcuni spunti di riflessione.
Credo che ci siano due importanti piste da seguire per andare alla radice da cui nasce questa situazione.
Da una parte c’è tutto il cambiamento culturale che è avvenuto e sta avvenendo nel nostro modo di vivere: 20 anni fa non si pensava, non si lavorava, non ci si divertiva come facciamo adesso.
L’altra pista di ricerca, legata alla precedente, si colloca nei cambiamenti che una particolare cultura come quella delle Valli bergamasche si è trovata ad affrontare.
La prima pista di lettura ci pone immediatamente di fronte al significato della famiglia.
È necessario questo nucleo per l’uomo? La sua necessità, da che cosa è data? Se ne può fare a meno?
La risposta a questa domandatone i valori della famiglia, valori che possono venire ricercati nella situazione attuale per vedere se ci sono ancora.
Secondo la mia opinione la famiglia ha costituito per l’uomo un punto irrinunciabile di riferimento riguardo alla "autorità” e alla sicurezza.
Autorità e sicurezza che possono essere tradotti nei bisogni fondamentali del ragazzo: riferimento per un’identità, calore, vita...
La situazione culturale che in questi anni si è formata, ha dato dei grossi scossoni a questi valori famigliari.
L’autorità vista come identificazione (se eri contadino, imparavi a fare il contadino con le leggi della vita contadina) è venuta meno, perchè troppe se ne sono fatte avanti.
Il ragazzo trova autorità nella moda, televisione, strada, libri.
Autorità contraddittorie tra di loro che da una parte recano scompiglio nel ragazzo e dall’altra soffocano l’incisività della famiglia.
La sicurezza è venuta meno in uno stile di vita dove, per tanti problemi (lavoro, scuola...) diminuisce il dialogo, in definitiva l’amore famigliare.
Se questa è a grandi linee la situazione venutasi a creare in generale, nella nostra situazione di Valle, ha avuto riscontri particolari.
Se da altre parti il messaggio culturale è avvenuto gradualmente, in modo preparato, il trapasso da noi è avvenuto più sotto la spinta di una piacevole realtà che si presentava davanti agli occhi.
Ciò ha portato ad un immediato cambiamento all’insegna della novità che ha travolto tutto un modo di vita forse fin troppo stretto, ma fondato.
Ci troviamo cosi con molti genitori delusi e disorientati che continuano ad affrontare i problemi nella logica dell’essere alla moda, non capendo che il vero problema sta nella risposta alla domanda sul significato del loro essere genitori.
Da questa semplice analisi, due sono i grossi problemi che i genitori si trovano ad affrontare: da una parte una situazione complessa che richiede un’adeguata preparazione e dall’altra una ricerca o una riscoperta del significato del loro essere famiglia.
Di fronte a questi problemi, credo sia importante capire che una soluzione immediata non possa arrivare.
Se è possibile un cammino, questo deve essere fatto necessariamente con l’impegno di ciascuno, insieme.
In questo contesto sono da scartare soluzioni che vengono aspettate da qualcun altro: non verranno.
Nello stesso tempo sono da scartare soluzioni individuali: è impossibile, proprio per l’ampiezza del problema, una soluzione individuale.
Ci si trova così a vivere in una situazione tutta particolare. Da una parte l’esigenza di un lavoro comune, dall’altra la nostra tendenza a essere sempre più individualisti, a chiuderci in noi stessi nella nostra situazione difficile, nella ricerca angosciosa di qualcosa che ci possa distrarre da questo.
Come ricostruire il tessuto di una fiducia reciproca, di un lavoro comune? Come ricostruìre una fiducia in sè stessi, dell’importanza del ruolo di genitori?
Per lo meno, non credo sia fiducia in sè stessi il delegare completamente parte del proprio compito ad altri.
Non credo sia comportarsi da genitori non capire cosa sta avvenendo in un figlio e confondere l’educazione con quelle risposte che tutto ad un tratto abbiamo scoperto, dare la libertà alle persone.
Abbiamo abbandonato tutto uno stile di vita, definendolo ridicolo, da antenati, perchè abbiamo scoperto il véro modo di vivere.
Non fa niente se adesso siamo scontenti e non sappiamo più dove aggrapparci, ci basta essere al ritmo dei tempi.
Credo sia necessario ritornare ad utilizzare la nostra testa per poi muoverci.
Non lasciamoci muovere e giustifichiamo il nostro movimento.
Noi che ci guardiamo, ci sembriamo normali, ma se ci vede qualcuno da fuori, ci prenderà per handicappati.
don Giacomo Invernizzi
Racchiude in sè istinto, cultura, arte.
Si nota tuttavia da parte dei genitori, dal loro modo di parlare, una grande difficoltà a riconoscersi nel loro ruolo.
Non si vogliono fare figli perchè il mondo è brutto, si ha paura di non riuscire ad educarli. Infatti la maggior parte del metodo educativo consiste non nell’educare ad essere qualcuno, ma nell’evitare che il ragazzo sia qualcuno: drogato, delinquente.
Credo sia importante andare a scoprire il perchè di questo atteggiamento, capire come mai in questo ambito è divenuto tutto così fragile, così ambiguo.
Tenterò di analizzare questa situazione partendo da quello che sento e vedo, per offrire alcuni spunti di riflessione.
Credo che ci siano due importanti piste da seguire per andare alla radice da cui nasce questa situazione.
Da una parte c’è tutto il cambiamento culturale che è avvenuto e sta avvenendo nel nostro modo di vivere: 20 anni fa non si pensava, non si lavorava, non ci si divertiva come facciamo adesso.
L’altra pista di ricerca, legata alla precedente, si colloca nei cambiamenti che una particolare cultura come quella delle Valli bergamasche si è trovata ad affrontare.
La prima pista di lettura ci pone immediatamente di fronte al significato della famiglia.
È necessario questo nucleo per l’uomo? La sua necessità, da che cosa è data? Se ne può fare a meno?
La risposta a questa domandatone i valori della famiglia, valori che possono venire ricercati nella situazione attuale per vedere se ci sono ancora.
Secondo la mia opinione la famiglia ha costituito per l’uomo un punto irrinunciabile di riferimento riguardo alla "autorità” e alla sicurezza.
Autorità e sicurezza che possono essere tradotti nei bisogni fondamentali del ragazzo: riferimento per un’identità, calore, vita...
La situazione culturale che in questi anni si è formata, ha dato dei grossi scossoni a questi valori famigliari.
L’autorità vista come identificazione (se eri contadino, imparavi a fare il contadino con le leggi della vita contadina) è venuta meno, perchè troppe se ne sono fatte avanti.
Il ragazzo trova autorità nella moda, televisione, strada, libri.
Autorità contraddittorie tra di loro che da una parte recano scompiglio nel ragazzo e dall’altra soffocano l’incisività della famiglia.
La sicurezza è venuta meno in uno stile di vita dove, per tanti problemi (lavoro, scuola...) diminuisce il dialogo, in definitiva l’amore famigliare.
Se questa è a grandi linee la situazione venutasi a creare in generale, nella nostra situazione di Valle, ha avuto riscontri particolari.
Se da altre parti il messaggio culturale è avvenuto gradualmente, in modo preparato, il trapasso da noi è avvenuto più sotto la spinta di una piacevole realtà che si presentava davanti agli occhi.
Ciò ha portato ad un immediato cambiamento all’insegna della novità che ha travolto tutto un modo di vita forse fin troppo stretto, ma fondato.
Ci troviamo cosi con molti genitori delusi e disorientati che continuano ad affrontare i problemi nella logica dell’essere alla moda, non capendo che il vero problema sta nella risposta alla domanda sul significato del loro essere genitori.
Da questa semplice analisi, due sono i grossi problemi che i genitori si trovano ad affrontare: da una parte una situazione complessa che richiede un’adeguata preparazione e dall’altra una ricerca o una riscoperta del significato del loro essere famiglia.
Di fronte a questi problemi, credo sia importante capire che una soluzione immediata non possa arrivare.
Se è possibile un cammino, questo deve essere fatto necessariamente con l’impegno di ciascuno, insieme.
In questo contesto sono da scartare soluzioni che vengono aspettate da qualcun altro: non verranno.
Nello stesso tempo sono da scartare soluzioni individuali: è impossibile, proprio per l’ampiezza del problema, una soluzione individuale.
Ci si trova così a vivere in una situazione tutta particolare. Da una parte l’esigenza di un lavoro comune, dall’altra la nostra tendenza a essere sempre più individualisti, a chiuderci in noi stessi nella nostra situazione difficile, nella ricerca angosciosa di qualcosa che ci possa distrarre da questo.
Come ricostruire il tessuto di una fiducia reciproca, di un lavoro comune? Come ricostruìre una fiducia in sè stessi, dell’importanza del ruolo di genitori?
Per lo meno, non credo sia fiducia in sè stessi il delegare completamente parte del proprio compito ad altri.
Non credo sia comportarsi da genitori non capire cosa sta avvenendo in un figlio e confondere l’educazione con quelle risposte che tutto ad un tratto abbiamo scoperto, dare la libertà alle persone.
Abbiamo abbandonato tutto uno stile di vita, definendolo ridicolo, da antenati, perchè abbiamo scoperto il véro modo di vivere.
Non fa niente se adesso siamo scontenti e non sappiamo più dove aggrapparci, ci basta essere al ritmo dei tempi.
Credo sia necessario ritornare ad utilizzare la nostra testa per poi muoverci.
Non lasciamoci muovere e giustifichiamo il nostro movimento.
Noi che ci guardiamo, ci sembriamo normali, ma se ci vede qualcuno da fuori, ci prenderà per handicappati.
don Giacomo Invernizzi
Si ricomincia.
L’esperienza di un anno porta con sè un nuovo modo di vedere e di trattare le cose. Soprattutto la conoscenza delle persone delle situazioni di un paese rende più consapevole il ruolo che tu vuoi o devi giocare. I modi di esercitare questi ruoli, sono infiniti. Dipendono dall’importanza che tu dai alle persone e alle situazioni che stai vivendo e dal cammino che con loro costruisci per riuscire a fare emergere questo valore delle persone. E’ un modo anche quello di non proporre niente di essere passivi di vivere alla giornata. E’ questa una modalità a cui siamo spesso inclini. Special-mente perchè la nostra cultura tende a unificare l’esperienza che uno fa, o si trova ad affrontare con l’identità da uomo. Cioè quello che tu sei dipende dall’esperienza che fai: ti alzi vai a scuola o al lavoro, mangi, vai al bar, vai al cinema, vai in chiesa o da qualche altra parte. In questo modo il nostro agire non attraversa il livello critico della nostra coscienza. Non mi domando perchè faccio questo, quale è il modo migliore di farlo, importante che sia fatto. E’ questo il modo migliore per perdere il primato della coscienza della persona, affermando il primato della situazione. C’è una situazione politica, interessa che sia salvaguardata questa, non le persone che dovrebbero usufruire della politica.
C’e una situazione economica va salvaguardata questa, non interessa le condizioni delle persone.
C’e una situazione assistenziale, culturale educativa, importante che ci sia non interessa il servizio fatto alle persone. Se questa è una situazione, la nostra situazione; si può notare dove c’è lo stimolo la voglia di riaprirsi della propria coscienza, della propria libertà. È una voglia lenta difficile a diventare forte perchè sommersa da tanti condizionamenti. Se vogliamo ancora parlare di storia di salvezza che un Dio compie per la sua comunità bisogna parlare di una storia in cui Dio è presente nello sforzo della persona per liberare la sua coscienza, nella possibilità che una comunità mette a disposizione perchè tutti possono appropriarne nella loro vita.
È possibile parlare di incontro con Dio quando uno prende la decisione in favore della sua libertà.
Da questo confronto con le persone e le situazioni in cui emerge la grande responsabilità di formare delle coscienze libere si cercherà di impostare la catechesi, e le varie proposte dell’oratorio.
Credo sia molto importante puntare a proposte qualificate e chiare. Che possono cogliere i diversi aspetti della popolazione. Soprattutto che siano "DEMOCRATICHE” cioè che non siano una delle tante voci o "esperienze” ma proposte e portate avanti dalla gente che prende coscienza del suo ruolo. Una definizione chiara è ancora prematura per il momento, però se ne possono raccogliere dei segni.
don Giacomo Invernizzi
Uno spazio per giocare
Un gruppo di giovani, conscio del valore che l’attività sportiva riveste nella vita del preadolescente e dell’adolescente e altresì conscio della mancanza di un adeguata risposta alle esigenze di questi, si propone di offrire il proprio contributo.
Prima di presentare il dettaglio la nostra proposta diamo alcune indicazioni sul valore del gioco.
Attività ludico-motorie per un indirizzo polisportivo
Dovendo operare con dei giovani, in un’attività di movimento, basata prevalentemente sulla collaborazione di tutti i partecipanti al gruppo, ci sembra indispensabile sapere, anche se in modo succinto, l’influenza che il gioco di movimento ha sulla formazione psicofisica del giovane Attraverso la caratteristica lucida noi possiamo intervenire positivamente per migliorare le attività motorie di base che sono incentrate sul camminare, correre, saltare, lanciare, prendere, rotolare, strascinare, ecc. Su queste abilità motorie semplici si innescano e si ampliano le abilità successive, più articolate e complesse. E’ facile capire che sotto il profilo organico si creano condizioni ottimali per la funzionalità polmonare, per l’afflusso sanguigno, per lo sviluppo dell’apparato locomotore e di tutti gli altri organi. Da un punto di vista psicomotorio il gioco di movimento rappresenta un valido strumento per il miglioramento e il consolidamento degli schemi motori di base (lateralizzazione, coordinazione. equilibri statico-dinamici, controllo posturale, senso della spazialità e della temporalità) e la strumentazione ottimale dello schema corporeo (coscienza di sè).
Anche la sfera affettivo sociale si manifesta chiaramente attraverso le attività ludico motorie anche se spesso, a torto, è tenuta in scarsa considerazione. Chi opera con un gruppo di ragazzi sa benissimo come nei giochi di movimento essi facciano liberamente trasparire reazioni, stati d’animo tensioni, interessi e pulsioni che l’educatore può e deve controllare e valutare adeguatamente. L’educatore si trova quindi nella condizione favorevole di individuare durante questa attività lo stile e i modelli comportamentali di ogni ragazzo (attitudini mentali, morali e sociali). Il clima sociale disinibito e disteso che il gioco sottintende, promuove le relazioni interpersonali unisce i ragazzi in attività comuni, li aiuta a vivere insieme (gruppo) e ad accettare gli scopi collettivi. Laddove il gruppo si presenta poco unito, frammentato o contrapposto nei suoi elementi essenziali che sono alla base di ogni processo di socializzazione.
È soprattutto attraverso i attività ludica che si acutizza la motivazione all’apprendimento e al rendimento; questa predisposizione è associata di norma a una condizione di allegria e tranquillità d’animo, per cui tutto ciò che il ragazzo compie in queste circostanze è destinato a durare nel tempo e ad avere un significato rilevante. Un ultimo aspetto che merita considerazione è collegato all’utilizzazione di queste attività in forma polivalente.
In opposizione alla moda corrente che vede l’attività motoria rivolta al conseguimento di un solo obiettivo tecnico (specializzazioni sportive precoci), noi pensiamo che il loro uso possa essere dilatato anche al fine di far conseguire ai ragazzi quelle qualità fisiche (destrezza, velocità, forza, resistenza, ecc.) che costituiscono la dotazione di fondo per una eventuale, successiva e libera scelta di attività sportive vere e proprie.
Un clima fortemente agonistico, un Agonismo adulto con esigenze di graduatorie offre emarginazione e rivalità e blocca il senso di collaborazione; ma eccessiva e precoce specializzazione può portare allo sviluppo non armonico dello schema corporeo e a stereotipi motori che possono ostacolare le funzioni creative. Tutto ciò è da evitare.
Infine, la presenza è l’intervento dell’educatore si spiega come garanzia di una partecipazione attiva di tutti e come organizzazione e guida di tutte le forme di attività. L’uso calibrato che egli saprà fare di norme permissive o restrittive gli consentirà un equilibrio di potere, per cui la situazione rimarrà sempre sotto il suo controllo, contribuendo a creare un’atmosfera produttiva e partecipativa.
Sono queste le ragioni che ci spingono a rigettare le proposte ventilate da molti pedagogisti e psicologi che troppo affrettata-mente richiedono che a costruire e ad organizzare le varie attività siano i ragazzi stessi senza l’intervento dell’adulto; cosi facendo, essi dicono, si incrementa e si rafforza la forza creativa. Noi siamo sicuri del contrario perchè così facendo si perverrebbe in breve tempo ad uno stadio assai pericoloso per sè e per gli altri di anarchia motoria, in cui la figura dell’educatore apparirebbe incolore e subalterna, sacrificata ai principi della non direttività.
In base alle linee presentate il gruppo si propone questi obiettivi:
1) - Dare la possibilità a tutti di giocare;
2) - Offrire una varietà di proposte;
3) - Rendere anche lo spazio del gioco educativo e socializzante.
Inizialmente l’attività sarà prevalentemente indirizzata alla ideazione di giochi aperti a tutti.
In un secondo momento il nostro lavoro sarà rivolto ad alcune attività sportive specifiche (es.: pallavolo, pallacanestro, atletica, touch-football).
L’esperienza di un anno porta con sè un nuovo modo di vedere e di trattare le cose. Soprattutto la conoscenza delle persone delle situazioni di un paese rende più consapevole il ruolo che tu vuoi o devi giocare. I modi di esercitare questi ruoli, sono infiniti. Dipendono dall’importanza che tu dai alle persone e alle situazioni che stai vivendo e dal cammino che con loro costruisci per riuscire a fare emergere questo valore delle persone. E’ un modo anche quello di non proporre niente di essere passivi di vivere alla giornata. E’ questa una modalità a cui siamo spesso inclini. Special-mente perchè la nostra cultura tende a unificare l’esperienza che uno fa, o si trova ad affrontare con l’identità da uomo. Cioè quello che tu sei dipende dall’esperienza che fai: ti alzi vai a scuola o al lavoro, mangi, vai al bar, vai al cinema, vai in chiesa o da qualche altra parte. In questo modo il nostro agire non attraversa il livello critico della nostra coscienza. Non mi domando perchè faccio questo, quale è il modo migliore di farlo, importante che sia fatto. E’ questo il modo migliore per perdere il primato della coscienza della persona, affermando il primato della situazione. C’è una situazione politica, interessa che sia salvaguardata questa, non le persone che dovrebbero usufruire della politica.
C’e una situazione economica va salvaguardata questa, non interessa le condizioni delle persone.
C’e una situazione assistenziale, culturale educativa, importante che ci sia non interessa il servizio fatto alle persone. Se questa è una situazione, la nostra situazione; si può notare dove c’è lo stimolo la voglia di riaprirsi della propria coscienza, della propria libertà. È una voglia lenta difficile a diventare forte perchè sommersa da tanti condizionamenti. Se vogliamo ancora parlare di storia di salvezza che un Dio compie per la sua comunità bisogna parlare di una storia in cui Dio è presente nello sforzo della persona per liberare la sua coscienza, nella possibilità che una comunità mette a disposizione perchè tutti possono appropriarne nella loro vita.
È possibile parlare di incontro con Dio quando uno prende la decisione in favore della sua libertà.
Da questo confronto con le persone e le situazioni in cui emerge la grande responsabilità di formare delle coscienze libere si cercherà di impostare la catechesi, e le varie proposte dell’oratorio.
Credo sia molto importante puntare a proposte qualificate e chiare. Che possono cogliere i diversi aspetti della popolazione. Soprattutto che siano "DEMOCRATICHE” cioè che non siano una delle tante voci o "esperienze” ma proposte e portate avanti dalla gente che prende coscienza del suo ruolo. Una definizione chiara è ancora prematura per il momento, però se ne possono raccogliere dei segni.
don Giacomo Invernizzi
Uno spazio per giocare
Un gruppo di giovani, conscio del valore che l’attività sportiva riveste nella vita del preadolescente e dell’adolescente e altresì conscio della mancanza di un adeguata risposta alle esigenze di questi, si propone di offrire il proprio contributo.
Prima di presentare il dettaglio la nostra proposta diamo alcune indicazioni sul valore del gioco.
Attività ludico-motorie per un indirizzo polisportivo
Dovendo operare con dei giovani, in un’attività di movimento, basata prevalentemente sulla collaborazione di tutti i partecipanti al gruppo, ci sembra indispensabile sapere, anche se in modo succinto, l’influenza che il gioco di movimento ha sulla formazione psicofisica del giovane Attraverso la caratteristica lucida noi possiamo intervenire positivamente per migliorare le attività motorie di base che sono incentrate sul camminare, correre, saltare, lanciare, prendere, rotolare, strascinare, ecc. Su queste abilità motorie semplici si innescano e si ampliano le abilità successive, più articolate e complesse. E’ facile capire che sotto il profilo organico si creano condizioni ottimali per la funzionalità polmonare, per l’afflusso sanguigno, per lo sviluppo dell’apparato locomotore e di tutti gli altri organi. Da un punto di vista psicomotorio il gioco di movimento rappresenta un valido strumento per il miglioramento e il consolidamento degli schemi motori di base (lateralizzazione, coordinazione. equilibri statico-dinamici, controllo posturale, senso della spazialità e della temporalità) e la strumentazione ottimale dello schema corporeo (coscienza di sè).
Anche la sfera affettivo sociale si manifesta chiaramente attraverso le attività ludico motorie anche se spesso, a torto, è tenuta in scarsa considerazione. Chi opera con un gruppo di ragazzi sa benissimo come nei giochi di movimento essi facciano liberamente trasparire reazioni, stati d’animo tensioni, interessi e pulsioni che l’educatore può e deve controllare e valutare adeguatamente. L’educatore si trova quindi nella condizione favorevole di individuare durante questa attività lo stile e i modelli comportamentali di ogni ragazzo (attitudini mentali, morali e sociali). Il clima sociale disinibito e disteso che il gioco sottintende, promuove le relazioni interpersonali unisce i ragazzi in attività comuni, li aiuta a vivere insieme (gruppo) e ad accettare gli scopi collettivi. Laddove il gruppo si presenta poco unito, frammentato o contrapposto nei suoi elementi essenziali che sono alla base di ogni processo di socializzazione.
È soprattutto attraverso i attività ludica che si acutizza la motivazione all’apprendimento e al rendimento; questa predisposizione è associata di norma a una condizione di allegria e tranquillità d’animo, per cui tutto ciò che il ragazzo compie in queste circostanze è destinato a durare nel tempo e ad avere un significato rilevante. Un ultimo aspetto che merita considerazione è collegato all’utilizzazione di queste attività in forma polivalente.
In opposizione alla moda corrente che vede l’attività motoria rivolta al conseguimento di un solo obiettivo tecnico (specializzazioni sportive precoci), noi pensiamo che il loro uso possa essere dilatato anche al fine di far conseguire ai ragazzi quelle qualità fisiche (destrezza, velocità, forza, resistenza, ecc.) che costituiscono la dotazione di fondo per una eventuale, successiva e libera scelta di attività sportive vere e proprie.
Un clima fortemente agonistico, un Agonismo adulto con esigenze di graduatorie offre emarginazione e rivalità e blocca il senso di collaborazione; ma eccessiva e precoce specializzazione può portare allo sviluppo non armonico dello schema corporeo e a stereotipi motori che possono ostacolare le funzioni creative. Tutto ciò è da evitare.
Infine, la presenza è l’intervento dell’educatore si spiega come garanzia di una partecipazione attiva di tutti e come organizzazione e guida di tutte le forme di attività. L’uso calibrato che egli saprà fare di norme permissive o restrittive gli consentirà un equilibrio di potere, per cui la situazione rimarrà sempre sotto il suo controllo, contribuendo a creare un’atmosfera produttiva e partecipativa.
Sono queste le ragioni che ci spingono a rigettare le proposte ventilate da molti pedagogisti e psicologi che troppo affrettata-mente richiedono che a costruire e ad organizzare le varie attività siano i ragazzi stessi senza l’intervento dell’adulto; cosi facendo, essi dicono, si incrementa e si rafforza la forza creativa. Noi siamo sicuri del contrario perchè così facendo si perverrebbe in breve tempo ad uno stadio assai pericoloso per sè e per gli altri di anarchia motoria, in cui la figura dell’educatore apparirebbe incolore e subalterna, sacrificata ai principi della non direttività.
In base alle linee presentate il gruppo si propone questi obiettivi:
1) - Dare la possibilità a tutti di giocare;
2) - Offrire una varietà di proposte;
3) - Rendere anche lo spazio del gioco educativo e socializzante.
Inizialmente l’attività sarà prevalentemente indirizzata alla ideazione di giochi aperti a tutti.
In un secondo momento il nostro lavoro sarà rivolto ad alcune attività sportive specifiche (es.: pallavolo, pallacanestro, atletica, touch-football).
LA VOCE DELL’ORATORIO
QUANDO DIO È NELLA TERRA, NEL LAVORO E NELL’EDUCAZIONE
“Queste non sono cose che interessano i preti. Tu va a pregare”. “Ma che modo di fare catechismo è questo? Insegnate i dieci comandamenti, i sacramenti e le preghiere. E poi sarebbe meglio se il catechismo lo facessero i preti e le suore”.
Sono frasi comuni che esprimono il nostro modo di vedere il rapporto fede vita.
Un rapporto che a M. e F. avevano permesso di affermare la religione è T’oppio dei popoli”.
La fede non vive del contrasto che la vita offre alla persona, ma diventa il luogo in cui uno accetta questo contrasto soffocandolo nella speranza che Dio ripagherà con la felicità, questa difficoltà.
In questo modo la fede non diventa il risveglio della persona; un risveglio volto alla ricerca della vita, perchè questa non è vita, ma passaggio verso la vera vita, quella futura (eppure qualcuno ha scoperto che può essere vita anche questa, anzi si è costruito qui il paradiso). Credo non ci sia religione più dissoluta di questa, negatrice di Dio e della vita che Lui ha creato. “Il verbo si fece carne”.
Non esiste altro luogo in cui si possa incontrare Dio, meglio in cui Dio ci incontra, che non sia la nostra vita. “Ho avuto fame...”.
Solamente a partire dalla nostra situazione si potrà parlare di Dio, e confrontandoci con la sua Parola del Dio, crediamo, in modo che il Vangelo scritto possa diventare in noi Vangelo incarnato.
Voglio cogliere solo alcuni aspetti del nostro vivere, senza pretendere di essere esaustivo, ma anche solo per offrire un metodo di lettura della nostra vita.
1) Una grande problematica che ci troviamo ad affrontare è la spaccatura tra il nostro vivere e la conoscenza che ne abbiamo, cioè tra la realtà che viviamo e la preparazione a vivere questa realtà.
La conseguenza immediata è un grande disorientamento, un senso di incertezza che lascia il campo alla fantasia individuale o al ritorno su posizioni consolidate. In questa situazione la Parola di Dio, come rinuncia all’affanno del vivere e riscoperta della semplicità, passa attraverso cammini educativi.
Secondo me, non può una comunità affidare la strutturazione del tempo libero senza chiedersi quali siano i contenuti che vengono utilizzati. Nell’educazione non è sufficiente la buona volontà, tanto meno l’interesse. Allo stesso modo vengono date possibilità di preparazione per lo sci, per la piscina,... Per persone che si sposano non viene offerto un cammino di preparazione (per entrare in fabbrica bisogna prepararsi, l’esperienza delle bambole, non è sufficiente per dirsi preparati a stare con i ragazzi). Così è per gli anziani, dopo aver strutturato tutta la vita con l’unica finalità del produrre, non gli viene offerta la possibilità di un recupero di tanti valori tipici della vecchiaia, con il rischio di una perdita del senso del vivere.
2) Un’altra caratteristica del nostro vivere è la sua frammentarietà, cioè l’essere sottoposti contemporaneamente a vivere valori diversi, discordanti.
Questa crea a livello personale la mancanza di un progetto di vita, l’essere costretti a soffocare i buchi di una vita spezzettata.
A livello educativo, nel rapporto-adulto ragazzo, questo porta a una mancanza di modelli di identificazione. Non a caso alcuni sociologi hanno ipotizzato lo spostamento del campo di identificazione da luoghi comuni come la scuola, il lavoro, la famiglia al tempo libero.
La fame giovanile di modelli nel campo musicale, nel campo sportivo, la teledipendenza verso i cartoni deriva anche da una carenza pratica di modelli.
3) Una terza caratteristica causa-effetto della precedente è la finalizzazione della nostra società e quindi del nostro personale modo di vivere ai valori economici.
Prendo in considerazione solo uno di questi valori economici: la produzione. Un modo attualmente molto utilizzato per raggiungere questo fine è creare competizione tra i lavoratori. Parlando con alcuni giovani di questo problema ne emergeva la distruttività a livello umano. Da una parte la creazione di divisione tra gli operai, togliendo a loro in questo modo l’unica possibilità di difesa che è l’unità.
Dall’altra questo costringe la gente a licenziarsi perchè distrutta dal modo di lavorare o di essere licenziati perchè non produttiva o rientrante negli schemi della fabbrica (non sto parlando di cose lontane, sono fatti capitati nel nostro paese).
In una situazione come la nostra parlare di fede è affermare che Dio è con noi, “Oggi è nato il Salvatore” come colui che salva, che libera nella forza che una comunità di uomini ha nel prendere coscienza di quello che è nel tentativo di delineare dei valori che la mantengono umana. Credere è rinunciare alla delusione, al dire di non si può fare niente, al chiudere gli occhi e dire: i problemi non ci sono, è affermare la Sua presenza nel nostro SI alla vita.
don Giacomo Invernizzi
Sono frasi comuni che esprimono il nostro modo di vedere il rapporto fede vita.
Un rapporto che a M. e F. avevano permesso di affermare la religione è T’oppio dei popoli”.
La fede non vive del contrasto che la vita offre alla persona, ma diventa il luogo in cui uno accetta questo contrasto soffocandolo nella speranza che Dio ripagherà con la felicità, questa difficoltà.
In questo modo la fede non diventa il risveglio della persona; un risveglio volto alla ricerca della vita, perchè questa non è vita, ma passaggio verso la vera vita, quella futura (eppure qualcuno ha scoperto che può essere vita anche questa, anzi si è costruito qui il paradiso). Credo non ci sia religione più dissoluta di questa, negatrice di Dio e della vita che Lui ha creato. “Il verbo si fece carne”.
Non esiste altro luogo in cui si possa incontrare Dio, meglio in cui Dio ci incontra, che non sia la nostra vita. “Ho avuto fame...”.
Solamente a partire dalla nostra situazione si potrà parlare di Dio, e confrontandoci con la sua Parola del Dio, crediamo, in modo che il Vangelo scritto possa diventare in noi Vangelo incarnato.
Voglio cogliere solo alcuni aspetti del nostro vivere, senza pretendere di essere esaustivo, ma anche solo per offrire un metodo di lettura della nostra vita.
1) Una grande problematica che ci troviamo ad affrontare è la spaccatura tra il nostro vivere e la conoscenza che ne abbiamo, cioè tra la realtà che viviamo e la preparazione a vivere questa realtà.
La conseguenza immediata è un grande disorientamento, un senso di incertezza che lascia il campo alla fantasia individuale o al ritorno su posizioni consolidate. In questa situazione la Parola di Dio, come rinuncia all’affanno del vivere e riscoperta della semplicità, passa attraverso cammini educativi.
Secondo me, non può una comunità affidare la strutturazione del tempo libero senza chiedersi quali siano i contenuti che vengono utilizzati. Nell’educazione non è sufficiente la buona volontà, tanto meno l’interesse. Allo stesso modo vengono date possibilità di preparazione per lo sci, per la piscina,... Per persone che si sposano non viene offerto un cammino di preparazione (per entrare in fabbrica bisogna prepararsi, l’esperienza delle bambole, non è sufficiente per dirsi preparati a stare con i ragazzi). Così è per gli anziani, dopo aver strutturato tutta la vita con l’unica finalità del produrre, non gli viene offerta la possibilità di un recupero di tanti valori tipici della vecchiaia, con il rischio di una perdita del senso del vivere.
2) Un’altra caratteristica del nostro vivere è la sua frammentarietà, cioè l’essere sottoposti contemporaneamente a vivere valori diversi, discordanti.
Questa crea a livello personale la mancanza di un progetto di vita, l’essere costretti a soffocare i buchi di una vita spezzettata.
A livello educativo, nel rapporto-adulto ragazzo, questo porta a una mancanza di modelli di identificazione. Non a caso alcuni sociologi hanno ipotizzato lo spostamento del campo di identificazione da luoghi comuni come la scuola, il lavoro, la famiglia al tempo libero.
La fame giovanile di modelli nel campo musicale, nel campo sportivo, la teledipendenza verso i cartoni deriva anche da una carenza pratica di modelli.
3) Una terza caratteristica causa-effetto della precedente è la finalizzazione della nostra società e quindi del nostro personale modo di vivere ai valori economici.
Prendo in considerazione solo uno di questi valori economici: la produzione. Un modo attualmente molto utilizzato per raggiungere questo fine è creare competizione tra i lavoratori. Parlando con alcuni giovani di questo problema ne emergeva la distruttività a livello umano. Da una parte la creazione di divisione tra gli operai, togliendo a loro in questo modo l’unica possibilità di difesa che è l’unità.
Dall’altra questo costringe la gente a licenziarsi perchè distrutta dal modo di lavorare o di essere licenziati perchè non produttiva o rientrante negli schemi della fabbrica (non sto parlando di cose lontane, sono fatti capitati nel nostro paese).
In una situazione come la nostra parlare di fede è affermare che Dio è con noi, “Oggi è nato il Salvatore” come colui che salva, che libera nella forza che una comunità di uomini ha nel prendere coscienza di quello che è nel tentativo di delineare dei valori che la mantengono umana. Credere è rinunciare alla delusione, al dire di non si può fare niente, al chiudere gli occhi e dire: i problemi non ci sono, è affermare la Sua presenza nel nostro SI alla vita.
don Giacomo Invernizzi