L’adorazione dei Pastori con San Rocco di Palma il Vecchio
Il dipinto è attualmente collocato sull'altare della prima cappella destra della parrocchiale di Zogno, tuttavia non era questa la sua destinazione originaria. La tela venne infatti licenziata da Palma il Vecchio per la chiesa di Santa Maria dei Serviti di Zogno e collocata sull'altare della Natività e di San Giuseppe officiato dall'omonima confraternita, committente del dipinto, collocazione attestata fra l’altro dalla visita pastorale dei 1575. Il dipinto vanta una vasta ed antica letteratura che, tuttavia, non è sempre stata concorde nella sua attribuzione al celebre pittore bergamasco. La prima citazione risale al Ridolfi (1648) che riferiva l'opera, collocata nella chiesa dei Serviti, ad un altro pittore cinquecentista largamente attivo nella nostra zona: Giovanni Cariani. Già nel 1660, tuttavia, il Teniers pensava a Palma il Vecchio come autore della tela, di cui egli stesso eseguiva copie. Nel 1681 l'ordine Serviti veniva soppresso e la chiesa zognese venduta a due privati cittadini: i fratelli Furietti. Essi a loro volta cedettero i beni al Comune che li concesse in uso alle Terziarie Francescane, insediatesi stabilmente nella ex chiesa dei Serviti a partire dal 5 gennaio 1731, all'epoca la confraternita di San Giuseppe era ancora in vita. A seguito del rifacimento della chiesa parrocchiale e della soppressione dei monastero delle Terziarie, nel 1816, l'opera venne trasportata in San Lorenzo. E' più o meno a quest'epoca che risale un improvvido restauro del Crotta, criticato data stessa letteratura ottocentesca. L’esperto restauratore Mauro Pelliccioli, nel 1958, riuscì tuttavia ad eliminare gran parte delle ridipinture ottocentesche e a riportare l'opera in discrete condizioni. La dibattuta attribuzione del dipinto è risolta in favore del Palma già da illustri conoscitori quali il Berenson e Adolfo Venturi nel 1932 e 1934, per quanto la maggior parte dei critici sembri in seguito concorde nel riferimento al Cariani fino ad anni recenti. Nel 1976 il Rearick la assegna al Palma. Il Pallucchini e il Rossi la eliminano definitivamente dal catalogo del Cariani nel 1983, finché nel 1988 essa viene inclusa in quello completo dell'opera di Palma il Vecchio redatto da Philip Rylands, al quale si deve la discussione critica dell'opera. Nativo di Serina, probabilmente attorno al 1480, Jacopo Negretti detto Palma si trasferì a Venezia nel 1510 per rimanervi in pianta stabile. Nel borgo natale il Palma lascia il celebre polittico con la Presentazione al tempio, dove la figura di San Giuseppe mostra più di una affinità con quella omonima nel dipinto di Zogno, probabilmente realizzato attorno al 1514-1515. La centralità di Giuseppe all'interno della composizione sembra dovuta alla commissione della potente confraternita di San Giuseppe naturalmente devota al grande santo. L’opera segna una tappa importante all'interno dei percorso del grande artista, perché illustra il mutare della rappresentazione delle scene sacre dalla tradizionale orazione dei santi fra loro accostati senza un particolare legame affettivo, al tema della Sacra Conversazione in cui i protagonisti sono uniti da affiatamento e sentimenti comuni. In questo senso l'opera va accostata alle numerose raffigurazioni di Santi di formato orizzontale e di dimensioni spesso contenute destinate alla devozione privata, più che alle grandi pale d’altare delle quali comunque la tela di Zogno condivide l'impostazione ampia ed ariosa e le notevoli aperture paesaggistiche. Sembra inoltre avvalorare questa interpretazione la figura inginocchiata in primo piano in atteggiamento orante, che qui si propone di identificare, più che con un comune pastore (si misuri la differenza con la raffigurazione dei due pastori alle sue spalle), con San Rocco, anche per il particolare del cane che si affaccia sulla destra della composizione, tradizionale attributo iconografico del Santo. Il fatto non può stupire, dal momento che la devozione a San Rocco era diffusissima a Zogno, dove gli era, ad esempio, dedicato un altare della parrocchiale e, d'altronde, conferma il carattere di Sacra Conversazione che l'artista intendeva imprimere all’opera.