Verbale Consiglio Pastorale Vicariale del 25 gennaio 2017
Mercoledì 25 gennaio 2017 alle ore 20.45, presso la consueta sala dell’oratorio di Zogno, si è riunito il Consiglio Pastorale Vicariale di Brembilla-Zogno. Presenti otto membri, di cui tre (Claudio della parrocchia di Gerosa e Graziella con Maurizio della parrocchia di Poscante) di fresca nomina. Dopo la preghiera introduttiva, centrata sul Vangelo della giornata, il vicario locale don Cesare Micheletti ha illustrato il punto all’ordine del giorno: la lettura e la condivisione delle schede 1 e 3 del documento sulla riforma dei vicariati (“Ragioni, finalità e caratteristiche della riforma dei vicariati”), anche in preparazione della presenza del Vescovo al Consiglio che si terrà il 15 marzo, finalizzata a dare sostanza concreta alla sua proposta di riforma, che prevede una riduzione dei vicariati dai ventotto attuali a undici e una rimodulazione del ruolo del vicariato sul territorio (non a caso il vicariato assumerà l’atributo di “territoriale”). Proposta che si dovrebbe attura nel corso dell’anno pastorale 2018/2019.
La lettura della prima scheda ha permesso di focalizzare l’attenzione sui seguenti nodi della questione:
1) OBIETTIVI (vocazione territoriale del vicariato, con particolare riferimento ai cinque ambiti posti dal Convegno di Verona – amore e relazioni; lavoro e festa; fragilità umane; tradizione ed educazione; cittadinanza e politica – che si traduce in una ricerca di relazione più forte con le istituzioni del territorio demandate alla cura di questi stessi ambiti; corresponsabilità dei laici – ognuno dei cinque ambiti sarà assegnato ad un laico cui spetterà di coordinare i lavori delle rispettive commissioni; formazione qualificata degli operatori pastorali; suscitare forme di intesa pastorale nel territorio del vicariato, promuovere una interazione più intensa con il Consiglio pastorale diocesano).
2) DATI DI FATTO (diffusa stanchezza della vita e della pastorale vicariale; confusione circa le finalità e il ruolo del vicariato; disomogeneità territoriale; scarsa relazione con il territorio e le sue istituzioni; tendenziale autoreferenzialità del vicariato; assenza, in molti vicariati, di un Consiglio Pastorale; la mobilità del presbiterio vicariale e il numero – ancora ridotto – di forme strutturate di fraternità sacerdotale, la scarsa formazione di molti laici coinvolti nella pastorale).
Il Consiglio condivide come i due nodi cruciali della riforma coincidano con la vocazione territoriale del Vicariato e sulla promozione di fraternità sacerdotali strutturate. E conviene che, alla luce della moltiplicazione degli incontri caratteristica degli ultimi anni, ci sia modo di lasciare più spazio al concreto. Auspicando che la nuova struttura del vicariato dia modo di realizzare questa istanza.
Si passa poi alla lettura della terza scheda, che del Vicariato territoriale approfondisce, nel dettaglio, struttura (Consiglio vicariale, giunta vicariale e vicario territoriale) e compiti dei vari organismi che lo costituiscono. Si auspica, al proposito, un’attenzione particolare per le parrocchie ai margini e al rischio di una scollatura (ulteriore) rispetto alle parrocchie intorno a cui, geograficamente, si strutturerà il nuovo organismo. Per quanto riguarda la nostra realtà, l’istituzione di un solo Vicariato che coincida, territorialmente, con la medio-alta Val Brembana, la Val Brembilla e la Valserina, non implicherebbe una difficoltà di compartecipazione alle attività pastorali vicariali per quelle comunità (o i rappresentatìnti di quelle comunità) poste geograficamente ai margini? Non sarebbe più auspicabile promuovere una suddivisione (più congrua) in due Vicariati?
Dopo la preghiera di commiato, la seduta è tolta alle ore 22.30 circa.
La lettura della prima scheda ha permesso di focalizzare l’attenzione sui seguenti nodi della questione:
1) OBIETTIVI (vocazione territoriale del vicariato, con particolare riferimento ai cinque ambiti posti dal Convegno di Verona – amore e relazioni; lavoro e festa; fragilità umane; tradizione ed educazione; cittadinanza e politica – che si traduce in una ricerca di relazione più forte con le istituzioni del territorio demandate alla cura di questi stessi ambiti; corresponsabilità dei laici – ognuno dei cinque ambiti sarà assegnato ad un laico cui spetterà di coordinare i lavori delle rispettive commissioni; formazione qualificata degli operatori pastorali; suscitare forme di intesa pastorale nel territorio del vicariato, promuovere una interazione più intensa con il Consiglio pastorale diocesano).
2) DATI DI FATTO (diffusa stanchezza della vita e della pastorale vicariale; confusione circa le finalità e il ruolo del vicariato; disomogeneità territoriale; scarsa relazione con il territorio e le sue istituzioni; tendenziale autoreferenzialità del vicariato; assenza, in molti vicariati, di un Consiglio Pastorale; la mobilità del presbiterio vicariale e il numero – ancora ridotto – di forme strutturate di fraternità sacerdotale, la scarsa formazione di molti laici coinvolti nella pastorale).
Il Consiglio condivide come i due nodi cruciali della riforma coincidano con la vocazione territoriale del Vicariato e sulla promozione di fraternità sacerdotali strutturate. E conviene che, alla luce della moltiplicazione degli incontri caratteristica degli ultimi anni, ci sia modo di lasciare più spazio al concreto. Auspicando che la nuova struttura del vicariato dia modo di realizzare questa istanza.
Si passa poi alla lettura della terza scheda, che del Vicariato territoriale approfondisce, nel dettaglio, struttura (Consiglio vicariale, giunta vicariale e vicario territoriale) e compiti dei vari organismi che lo costituiscono. Si auspica, al proposito, un’attenzione particolare per le parrocchie ai margini e al rischio di una scollatura (ulteriore) rispetto alle parrocchie intorno a cui, geograficamente, si strutturerà il nuovo organismo. Per quanto riguarda la nostra realtà, l’istituzione di un solo Vicariato che coincida, territorialmente, con la medio-alta Val Brembana, la Val Brembilla e la Valserina, non implicherebbe una difficoltà di compartecipazione alle attività pastorali vicariali per quelle comunità (o i rappresentatìnti di quelle comunità) poste geograficamente ai margini? Non sarebbe più auspicabile promuovere una suddivisione (più congrua) in due Vicariati?
Dopo la preghiera di commiato, la seduta è tolta alle ore 22.30 circa.
Verbale Consiglio Pastorale Vicariale del 22 febbraio 2017
Mercoledì 22 febbraio alle ore 20.30, presso la consueta sede di Zogno, si è tenuta la prima del Consiglio Pastorale Vicariale.
Purtroppo non c’è stata la presenza di don Edoardo Algeri il quale, in preparazione all’incontro col vescovo che si terrà il giorno 15 marzo, avrebbe dovuto parlare della revisione dei vicariati.
Il consiglio concentra quindi l’attenzione sulla questione riguardante la corresponsabilità dei laici nella chiesa del domani: uno dei motivi per cui la sopracitata revisione è stata avviata.
Uno dei motivi principali per cui si ha difficoltà a trovare dei laici disponibili è il fatto che i preti avrebbero “accentrato” i compiti, limitandosi a delegare solo quando assolutamente indispensabile.
La situazione “rosea” della diocesi di Bergamo, in cui, almeno finora, si è avvertito di meno il calo delle vocazioni, ha fatto in modo che i preti non sentissero immediatamente l’esigenza di delegare alle figure laicali dei compiti organizzativi e direttivi.
Si pone la questione per cui purtroppo è venuta meno un’adeguata preparazione dei laici, che possano in futuro occuparsi della gestione delle parrocchie. In ogni caso emerge un cauto ottimismo sulla possibilità di coinvolgere molteplici figure laicali. Oltre naturalmente a un cambiamento di mentalità da parte dei sacerdoti, occorrerà un maggiore spirito di iniziativa da parte dei laici che incrementi il coinvolgimento della popolazione e, in modo particolare, dei giovani.
La formazione risulta essere un aspetto importante, in quanto la problematica principale riguardante le iniziative laicali risulta essere il rischio di dispersione, contraddizione, ambizione personale e individualismo. Emerge quindi in ogni caso la necessità di una figura di coordinamento preparata e competente nei rispettivi ambiti.
Tale coinvolgimento non riguarderà solamente l’ambito della gestione materiale della parrocchia, ma anche gli aspetti spirituali; per questo motivo particolare attenzione verrà data alle figure dei ministri straordinari dell’eucarestia.
Don Cesare parla inoltre della catechesi degli adulti presso la parrocchia di Brembilla che da quest’anno verrà tenuta da figure laicali. La formazione di queste ultime si è effettuata a livello diocesano nei due anni precedenti. Dal dibattito emerge come questa iniziativa possa costituire un arricchimento particolare per la parrocchia.
Emerge la difficoltà da parte dei preti, i quali hanno avuto una certa formazione, a cambiare la loro impostazione, specialmente per quanto riguarda i preti più anziani.
Nonostante il cambiamento di mentalità possa rivelarsi arduo (specialmente nei casi delle persone più anziane), viene affermato che in alcune zone del mondo la Chiesa prosegue il suo cammino con una presenza molto sporadica, se non addirittura nulla, delle figure sacerdotali. E proprio in tali contesti la presenza dei laici è molto più dinamica e attiva. Vengono citate esperienze pastorali in Africa e America Latina.
In ogni caso, per il fedele emerge la necessità di un pastore e sacerdote attento. Viene citata sia la metafora di papa Francesco (puzzare) sia la parabola della pecorella smarrita. L’essere vicini agli ultimi. L’importanza di un semplice “come stai?” detto con il cuore, di un abbraccio, uno sguardo o di una stretta di mano possono costituire aspetti decisivi per un approccio pastorale. Viene citato il carisma di papa Francesco, il quale non fa nulla di straordinario, ma semplicemente mette in pratica lo “stile” di Cristo. Tale stile costituirebbe un motivo di coinvolgimento e in particolare un sostegno per le persone malate.
Necessità quindi di un sacerdote che sappia dialogare e stare fra la gente mantenendo tuttavia il suo stato di prete. Emergono purtroppo casi di sacerdoti poco presenti nella realtà territoriale.
Tuttavia ci si chiede quali priorità debba avere un sacerdote: i giovani (quindi l’educazione) o i sofferenti (l’amministrazione dell’eucarestia e la carità)? La figura del prete è ancora richiesta in molteplici ambiti (malati, adolescenti, giovani, pellegrinaggi…) e inevitabilmente occorrerà fare delle scelte.
Don Samuele conferma il fatto che ci siano dei vuoti e delle assenze da parte dei preti. Occorre tuttavia conoscere le storie sia delle persone che delle parrocchie che li accolgono (ex: giovani sacerdoti gettati nelle nuove realtà). I sacerdoti hanno delle fragilità e debolezze propri.
Il fatto di uscire dalle parrocchie ma fare un lavoro di Unità Pastorale richiede una maggiore capacità organizzativa che richiede una ripartizione dei ruoli. Ciò tuttavia permette di raggiungere con maggiore efficacia i vari ambiti che richiedono la presenza del sacerdote.
Il dibattito si sofferma quindi su altri due aspetti della vita sacerdotale: da un lato la fatica di dover cambiare in itinere a seconda delle varie esigenze e dell’evoluzione dei tempi, dall’altro la difficoltà derivata dall’impegno dell’insegnamento.
Don Cesare afferma il fatto che la questione della formazione dei laici è emersa solamente recentemente e il progetto diocesano è ancora agli inizi. Viene accolta con una certa gioia la percezione del fatto che la presenza del prete è richiesta negli ambiti più molteplici.
Il prete è un uomo con le sue fragilità, carattere, domande, dubbi, storia… insomma è umano.
Il 15 marzo alle ore 20.30 si terrà l’incontro con il vescovo, al quale parteciperanno uniti il consiglio vicariale e quello presbiteriale. Il vescovo affronterà la questione della riforma dei vicariati.
Non essendoci altri argomenti di discussione, la riunione si chiude alle 22.30.
Purtroppo non c’è stata la presenza di don Edoardo Algeri il quale, in preparazione all’incontro col vescovo che si terrà il giorno 15 marzo, avrebbe dovuto parlare della revisione dei vicariati.
Il consiglio concentra quindi l’attenzione sulla questione riguardante la corresponsabilità dei laici nella chiesa del domani: uno dei motivi per cui la sopracitata revisione è stata avviata.
Uno dei motivi principali per cui si ha difficoltà a trovare dei laici disponibili è il fatto che i preti avrebbero “accentrato” i compiti, limitandosi a delegare solo quando assolutamente indispensabile.
La situazione “rosea” della diocesi di Bergamo, in cui, almeno finora, si è avvertito di meno il calo delle vocazioni, ha fatto in modo che i preti non sentissero immediatamente l’esigenza di delegare alle figure laicali dei compiti organizzativi e direttivi.
Si pone la questione per cui purtroppo è venuta meno un’adeguata preparazione dei laici, che possano in futuro occuparsi della gestione delle parrocchie. In ogni caso emerge un cauto ottimismo sulla possibilità di coinvolgere molteplici figure laicali. Oltre naturalmente a un cambiamento di mentalità da parte dei sacerdoti, occorrerà un maggiore spirito di iniziativa da parte dei laici che incrementi il coinvolgimento della popolazione e, in modo particolare, dei giovani.
La formazione risulta essere un aspetto importante, in quanto la problematica principale riguardante le iniziative laicali risulta essere il rischio di dispersione, contraddizione, ambizione personale e individualismo. Emerge quindi in ogni caso la necessità di una figura di coordinamento preparata e competente nei rispettivi ambiti.
Tale coinvolgimento non riguarderà solamente l’ambito della gestione materiale della parrocchia, ma anche gli aspetti spirituali; per questo motivo particolare attenzione verrà data alle figure dei ministri straordinari dell’eucarestia.
Don Cesare parla inoltre della catechesi degli adulti presso la parrocchia di Brembilla che da quest’anno verrà tenuta da figure laicali. La formazione di queste ultime si è effettuata a livello diocesano nei due anni precedenti. Dal dibattito emerge come questa iniziativa possa costituire un arricchimento particolare per la parrocchia.
Emerge la difficoltà da parte dei preti, i quali hanno avuto una certa formazione, a cambiare la loro impostazione, specialmente per quanto riguarda i preti più anziani.
Nonostante il cambiamento di mentalità possa rivelarsi arduo (specialmente nei casi delle persone più anziane), viene affermato che in alcune zone del mondo la Chiesa prosegue il suo cammino con una presenza molto sporadica, se non addirittura nulla, delle figure sacerdotali. E proprio in tali contesti la presenza dei laici è molto più dinamica e attiva. Vengono citate esperienze pastorali in Africa e America Latina.
In ogni caso, per il fedele emerge la necessità di un pastore e sacerdote attento. Viene citata sia la metafora di papa Francesco (puzzare) sia la parabola della pecorella smarrita. L’essere vicini agli ultimi. L’importanza di un semplice “come stai?” detto con il cuore, di un abbraccio, uno sguardo o di una stretta di mano possono costituire aspetti decisivi per un approccio pastorale. Viene citato il carisma di papa Francesco, il quale non fa nulla di straordinario, ma semplicemente mette in pratica lo “stile” di Cristo. Tale stile costituirebbe un motivo di coinvolgimento e in particolare un sostegno per le persone malate.
Necessità quindi di un sacerdote che sappia dialogare e stare fra la gente mantenendo tuttavia il suo stato di prete. Emergono purtroppo casi di sacerdoti poco presenti nella realtà territoriale.
Tuttavia ci si chiede quali priorità debba avere un sacerdote: i giovani (quindi l’educazione) o i sofferenti (l’amministrazione dell’eucarestia e la carità)? La figura del prete è ancora richiesta in molteplici ambiti (malati, adolescenti, giovani, pellegrinaggi…) e inevitabilmente occorrerà fare delle scelte.
Don Samuele conferma il fatto che ci siano dei vuoti e delle assenze da parte dei preti. Occorre tuttavia conoscere le storie sia delle persone che delle parrocchie che li accolgono (ex: giovani sacerdoti gettati nelle nuove realtà). I sacerdoti hanno delle fragilità e debolezze propri.
Il fatto di uscire dalle parrocchie ma fare un lavoro di Unità Pastorale richiede una maggiore capacità organizzativa che richiede una ripartizione dei ruoli. Ciò tuttavia permette di raggiungere con maggiore efficacia i vari ambiti che richiedono la presenza del sacerdote.
Il dibattito si sofferma quindi su altri due aspetti della vita sacerdotale: da un lato la fatica di dover cambiare in itinere a seconda delle varie esigenze e dell’evoluzione dei tempi, dall’altro la difficoltà derivata dall’impegno dell’insegnamento.
Don Cesare afferma il fatto che la questione della formazione dei laici è emersa solamente recentemente e il progetto diocesano è ancora agli inizi. Viene accolta con una certa gioia la percezione del fatto che la presenza del prete è richiesta negli ambiti più molteplici.
Il prete è un uomo con le sue fragilità, carattere, domande, dubbi, storia… insomma è umano.
Il 15 marzo alle ore 20.30 si terrà l’incontro con il vescovo, al quale parteciperanno uniti il consiglio vicariale e quello presbiteriale. Il vescovo affronterà la questione della riforma dei vicariati.
Non essendoci altri argomenti di discussione, la riunione si chiude alle 22.30.
Verbale Consiglio Pastorale Vicariale del 15 marzo 2017
Mercoledì 15 marzo alle ore 20.30, presso la consueta sede di Zogno, si è tenuta la riunione del Consiglio Pastorale Vicariale, la quale ha visto la partecipazione del vescovo Francesco e dei consigli vicariale e presbiteriale riuniti.
Dopo il momento di preghiera e una breve introduzione tenuta da don Cesare, il vescovo ha iniziato la sua riflessione prendendo spunto proprio da alcune parole tratte dalla preghiera precedentemente recitata: Regno e Chiesa.
La prima parola viene utilizzata molte volte da Gesù (molto più dell’espressione Chiesa, utilizzata una volta sola in occasione della vocazione dell’apostolo Pietro) e ricorre molto spesso nel Vangelo. Tra il Regno di Dio e la Chiesa c’è in effetti una profonda relazione, ma essi non si identificano reciprocamente. Responsabilità, intelligenza, passione e cuore, sono altri termini utilizzati dal vescovo Francesco per la sua riflessione. I cristiani e la Chiesa sono chiamati a coltivare la passione per la costruzione di un “mondo di giustizia e di pace”, da cui possa germogliare il Regno di Dio.
Presso quest’ultimo il potere non è più del male, della morte e del peccato, ma di un Dio che si manifesta nella vicenda di Cristo e in particolare nella sua morte e resurrezione e che regna tramite il suo farsi servitore. L’amore di Dio ha comportato il dono totale di sé nella croce e il riscatto della morte tramite un amore più grande del male.
Noi cristiani siamo chiamati a continuare questa storia. Nel gesto quotidiano del lavoro, della preghiera, della fraternità e della quotidianità noi stiamo alimentando il Regno di Dio.
Tuttavia al giorno d’oggi sembra che questo rapporto fra Chiesa e mondo si stia sfilacciando: il mondo se ne va per la sua strada e la comunità custodisce da sola la sua fede. A volte nella partenza di questo mondo ci sono anche i nostri figli, che si allontanano dalla fede e dai valori che essa ispira. Purtroppo questo percorso dura ormai da qualche decennio. La situazione odierna richiede quindi che la comunità cristiana si confronti con il mondo senza paura, altrimenti essa corre il rischio di non alimentare più il regno di Dio, ma solamente se stessa.
Gesù non è venuto per la Chiesa, ma per tutti gli uomini: “questo è il calice del mio sangue versato per voi e per tutti”.
Nella quotidianità famigliare, nella comunità e nel mondo del lavoro c’è l’incontro concreto con la fede, che passa attraverso la testimonianza, le parole e un certo modo di stare nel mondo. L’onestà per esempio, per quanto non sia un valore esclusivamente cristiano, può già costituire un ponte per un incontro.
Una volta lo sfruttamento delle persone avveniva in maniera particolarmente brutale. Ora, sebbene siano stati fatti notevoli progressi, occorre vigilare affinché questo cammino non si svuoti dal dentro seguendo le regole del mercato, ossia che la persona diventi un semplice meccanismo in un processo produttivo. Al giorno d’oggi sembra che la necessità di riproporre continuamente nuove esperienze abbia sposato il criterio della produzione. In una società come la nostra non ci è più concesso di essere sobri: se non consumiamo più di quanto ci è necessario, non siamo più competitivi. Gran parte della produzione non è di prima necessità, ma viene resa tale. E questa logica è entrata anche nella comunità cristiana.
Gesù invece non parla di prodotti, ma di frutti. Il prodotto è l’esito di “cose che creano altre cose”. Il frutto è vita ed è generato dalla vita. L’esperienza di stare bene nel proprio contesto famigliare non è un prodotto, ma un frutto. La produzione rappresenta in realtà una maledizione, in quanto sintomo di una perenne insoddisfazione.
Noi abbiamo sempre più bisogno di generatività: dal 1993 in Italia il numero dei decessi ha superato quello delle nascite, ogni anno vengono alla luce sempre meno bambini e, solamente nel 2016, sono nati 12.000 bambini in meno rispetto all’anno precedente. Ciononostante a nessuno sembra interessare che non vi siano ricambi generazionali. E questo processo avviene, seppur con numeri diversi, in tutto l’Occidente. Eppure il Vangelo e la Pasqua rappresentano la pienezza della vita che noi riceviamo da Cristo e che deve essere comunicata al mondo.
Una volta il mondo della persona era tutto cristiano, la convivialità fra le famiglie era assodata, gli orizzonti di valore erano gli stessi e Dio non si discuteva: fra le due espressioni “non praticante” e “non credente”, solo la prima veniva utilizzata.
La tentazione della Chiesa del giorno d’oggi è quella di costruirsi il suo mondo in opposizione al contesto esterno. La riforma dei vicariati nasce quindi dal desiderio di un rinnovamento di fronte a tante fatiche e rassegnazioni e dal desiderio di una nuova partecipazione della Chiesa ai molteplici ambiti della società quali la famiglia, il lavoro e l’educazione.
Il Regno di Dio è un “mondo fermentato di Vangelo”. Ciò non significa che esso sia interamente cristiano, ma che contiene in se stesso i semi del Vangelo.
Le attuali possibilità di spostamento e di comunicazione hanno introdotto la necessità di allargare i confini degli attuali vicariati, rinunciando peraltro all’idea che quanto fatto da questi ultimi debba semplicemente essere riproposto su un territorio più esteso. L’intento è invece quello di riproporre una nuova presenza da cristiani sul territorio. L’iniziativa di carattere pastorale è chiamata a vedere il territorio non tanto come l’insieme delle istituzioni, ma come la rappresentazione dei mondi vitali, ossia una manifestazione completa della concretezza della realtà. In tale visione gli interlocutori del nuovo vicariato non saranno più solo le istituzioni.
Oggi l’aspetto educativo culturale rappresenta una questione di emergenza. La nostra diocesi conta 397 parrocchie e 1700 chiese, le quali costituiscono cultura, arte e storia. Tuttavia con il termine cultura non si identificano solo aspetti prettamente intellettuali, ma anche un territorio e un vero e proprio stile di vita: i bergamaschi non sono solo lavoratori, ma anche “buoni” lavoratori, e ciò denota quindi una qualità morale.
Il cristiano interagisce col mondo sia attraverso la testimonianza personale, sia col contributo che viene dalla fede per la creazione di un mondo di giustizia e di pace.
In val Brembana c’è il Tavolo vallare, ossia un contesto in cui si riuniscono varie persone cristiane che portano la loro esperienza. Un contesto che crea speranza di vita, movimento e vittoria nei confronti della rassegnazione di fronte ai mutamenti e alla lontananza che il mondo sembra avere nei confronti della fede.
Il progetto del nuovo vicariato prevede naturalmente la presenza di un vicario e di un consiglio vicariale. Per quest’ultimo viene ipotizzata una frequenza di quattro riunioni annuali. Occorre tuttavia pensare delle condizioni preparatorie corrette e adeguate individuando degli ambiti di lavoro in cui possa iniziare a germogliare qualcosa.
Il vicariato della Val Brembana prevede attualmente 62 parrocchie per 47.000 abitanti e 53 sacerdoti.
In una proposta di questo genere è chiaro che la realtà della parrocchia emerge, in quanto l’esperienza cristiana viene vissuta all’interno di essa. La forza della parrocchia è la possibilità per le persone di “guardarsi in faccia” riconoscendosi e rappresenta il modo con cui noi viviamo la comunità cristiana. Essa costituisce il presupposto per un corretto vivere anche nel vicariato.
Determinate iniziative, magari nate da precedenti esperienze vicariali, potranno essere proposte proprio in virtù dei rapporti interparrocchiali.
Il timore di un “sentirsi abbandonati” da parte dei parrocchiani, in quanto sia l’introduzione dell’unità pastorale, che quella dell’ampliamento dei vicariati produce inevitabilmente una distanza dalla figura sacerdotale e l’”abbandono” delle parrocchie piccole, appare lecito. Per quanto in alta val Brembana possa essere compiuto il massimo sforzo per mantenere il più possibile una costante presenza di sacerdoti, il calo delle vocazioni rappresenta un dato oggettivo.
Emerge l’importanza di privilegiare le relazioni. Nel passato la vita quotidiana della gente era quasi globalmente sotto l’occhio del sacerdote. La pastorale ora è diventata organizzativa e le energie impiegate in tale ambito sono enormi. Purtroppo lo spazio dedicato alle relazioni si è molto ristretto. Il vicariato nuovo dovrà essere più leggero di quello attuale. Non dovrà occuparsi di tutto, ma produrre dei piccoli germogli. La linea guida dovrà essere la frase pronunciata da papa Francesco a Firenze: “Più relazione e meno organizzazione”.
La riunione si conclude alle ore 22.30.
Pierluigi Rota
Dopo il momento di preghiera e una breve introduzione tenuta da don Cesare, il vescovo ha iniziato la sua riflessione prendendo spunto proprio da alcune parole tratte dalla preghiera precedentemente recitata: Regno e Chiesa.
La prima parola viene utilizzata molte volte da Gesù (molto più dell’espressione Chiesa, utilizzata una volta sola in occasione della vocazione dell’apostolo Pietro) e ricorre molto spesso nel Vangelo. Tra il Regno di Dio e la Chiesa c’è in effetti una profonda relazione, ma essi non si identificano reciprocamente. Responsabilità, intelligenza, passione e cuore, sono altri termini utilizzati dal vescovo Francesco per la sua riflessione. I cristiani e la Chiesa sono chiamati a coltivare la passione per la costruzione di un “mondo di giustizia e di pace”, da cui possa germogliare il Regno di Dio.
Presso quest’ultimo il potere non è più del male, della morte e del peccato, ma di un Dio che si manifesta nella vicenda di Cristo e in particolare nella sua morte e resurrezione e che regna tramite il suo farsi servitore. L’amore di Dio ha comportato il dono totale di sé nella croce e il riscatto della morte tramite un amore più grande del male.
Noi cristiani siamo chiamati a continuare questa storia. Nel gesto quotidiano del lavoro, della preghiera, della fraternità e della quotidianità noi stiamo alimentando il Regno di Dio.
Tuttavia al giorno d’oggi sembra che questo rapporto fra Chiesa e mondo si stia sfilacciando: il mondo se ne va per la sua strada e la comunità custodisce da sola la sua fede. A volte nella partenza di questo mondo ci sono anche i nostri figli, che si allontanano dalla fede e dai valori che essa ispira. Purtroppo questo percorso dura ormai da qualche decennio. La situazione odierna richiede quindi che la comunità cristiana si confronti con il mondo senza paura, altrimenti essa corre il rischio di non alimentare più il regno di Dio, ma solamente se stessa.
Gesù non è venuto per la Chiesa, ma per tutti gli uomini: “questo è il calice del mio sangue versato per voi e per tutti”.
Nella quotidianità famigliare, nella comunità e nel mondo del lavoro c’è l’incontro concreto con la fede, che passa attraverso la testimonianza, le parole e un certo modo di stare nel mondo. L’onestà per esempio, per quanto non sia un valore esclusivamente cristiano, può già costituire un ponte per un incontro.
Una volta lo sfruttamento delle persone avveniva in maniera particolarmente brutale. Ora, sebbene siano stati fatti notevoli progressi, occorre vigilare affinché questo cammino non si svuoti dal dentro seguendo le regole del mercato, ossia che la persona diventi un semplice meccanismo in un processo produttivo. Al giorno d’oggi sembra che la necessità di riproporre continuamente nuove esperienze abbia sposato il criterio della produzione. In una società come la nostra non ci è più concesso di essere sobri: se non consumiamo più di quanto ci è necessario, non siamo più competitivi. Gran parte della produzione non è di prima necessità, ma viene resa tale. E questa logica è entrata anche nella comunità cristiana.
Gesù invece non parla di prodotti, ma di frutti. Il prodotto è l’esito di “cose che creano altre cose”. Il frutto è vita ed è generato dalla vita. L’esperienza di stare bene nel proprio contesto famigliare non è un prodotto, ma un frutto. La produzione rappresenta in realtà una maledizione, in quanto sintomo di una perenne insoddisfazione.
Noi abbiamo sempre più bisogno di generatività: dal 1993 in Italia il numero dei decessi ha superato quello delle nascite, ogni anno vengono alla luce sempre meno bambini e, solamente nel 2016, sono nati 12.000 bambini in meno rispetto all’anno precedente. Ciononostante a nessuno sembra interessare che non vi siano ricambi generazionali. E questo processo avviene, seppur con numeri diversi, in tutto l’Occidente. Eppure il Vangelo e la Pasqua rappresentano la pienezza della vita che noi riceviamo da Cristo e che deve essere comunicata al mondo.
Una volta il mondo della persona era tutto cristiano, la convivialità fra le famiglie era assodata, gli orizzonti di valore erano gli stessi e Dio non si discuteva: fra le due espressioni “non praticante” e “non credente”, solo la prima veniva utilizzata.
La tentazione della Chiesa del giorno d’oggi è quella di costruirsi il suo mondo in opposizione al contesto esterno. La riforma dei vicariati nasce quindi dal desiderio di un rinnovamento di fronte a tante fatiche e rassegnazioni e dal desiderio di una nuova partecipazione della Chiesa ai molteplici ambiti della società quali la famiglia, il lavoro e l’educazione.
Il Regno di Dio è un “mondo fermentato di Vangelo”. Ciò non significa che esso sia interamente cristiano, ma che contiene in se stesso i semi del Vangelo.
Le attuali possibilità di spostamento e di comunicazione hanno introdotto la necessità di allargare i confini degli attuali vicariati, rinunciando peraltro all’idea che quanto fatto da questi ultimi debba semplicemente essere riproposto su un territorio più esteso. L’intento è invece quello di riproporre una nuova presenza da cristiani sul territorio. L’iniziativa di carattere pastorale è chiamata a vedere il territorio non tanto come l’insieme delle istituzioni, ma come la rappresentazione dei mondi vitali, ossia una manifestazione completa della concretezza della realtà. In tale visione gli interlocutori del nuovo vicariato non saranno più solo le istituzioni.
Oggi l’aspetto educativo culturale rappresenta una questione di emergenza. La nostra diocesi conta 397 parrocchie e 1700 chiese, le quali costituiscono cultura, arte e storia. Tuttavia con il termine cultura non si identificano solo aspetti prettamente intellettuali, ma anche un territorio e un vero e proprio stile di vita: i bergamaschi non sono solo lavoratori, ma anche “buoni” lavoratori, e ciò denota quindi una qualità morale.
Il cristiano interagisce col mondo sia attraverso la testimonianza personale, sia col contributo che viene dalla fede per la creazione di un mondo di giustizia e di pace.
In val Brembana c’è il Tavolo vallare, ossia un contesto in cui si riuniscono varie persone cristiane che portano la loro esperienza. Un contesto che crea speranza di vita, movimento e vittoria nei confronti della rassegnazione di fronte ai mutamenti e alla lontananza che il mondo sembra avere nei confronti della fede.
Il progetto del nuovo vicariato prevede naturalmente la presenza di un vicario e di un consiglio vicariale. Per quest’ultimo viene ipotizzata una frequenza di quattro riunioni annuali. Occorre tuttavia pensare delle condizioni preparatorie corrette e adeguate individuando degli ambiti di lavoro in cui possa iniziare a germogliare qualcosa.
Il vicariato della Val Brembana prevede attualmente 62 parrocchie per 47.000 abitanti e 53 sacerdoti.
In una proposta di questo genere è chiaro che la realtà della parrocchia emerge, in quanto l’esperienza cristiana viene vissuta all’interno di essa. La forza della parrocchia è la possibilità per le persone di “guardarsi in faccia” riconoscendosi e rappresenta il modo con cui noi viviamo la comunità cristiana. Essa costituisce il presupposto per un corretto vivere anche nel vicariato.
Determinate iniziative, magari nate da precedenti esperienze vicariali, potranno essere proposte proprio in virtù dei rapporti interparrocchiali.
Il timore di un “sentirsi abbandonati” da parte dei parrocchiani, in quanto sia l’introduzione dell’unità pastorale, che quella dell’ampliamento dei vicariati produce inevitabilmente una distanza dalla figura sacerdotale e l’”abbandono” delle parrocchie piccole, appare lecito. Per quanto in alta val Brembana possa essere compiuto il massimo sforzo per mantenere il più possibile una costante presenza di sacerdoti, il calo delle vocazioni rappresenta un dato oggettivo.
Emerge l’importanza di privilegiare le relazioni. Nel passato la vita quotidiana della gente era quasi globalmente sotto l’occhio del sacerdote. La pastorale ora è diventata organizzativa e le energie impiegate in tale ambito sono enormi. Purtroppo lo spazio dedicato alle relazioni si è molto ristretto. Il vicariato nuovo dovrà essere più leggero di quello attuale. Non dovrà occuparsi di tutto, ma produrre dei piccoli germogli. La linea guida dovrà essere la frase pronunciata da papa Francesco a Firenze: “Più relazione e meno organizzazione”.
La riunione si conclude alle ore 22.30.
Pierluigi Rota