2012
PAPA GIOVANNI PAOLO II e L’ARTE
Inaugurazione 23 dicembre 2011 - 8 aprile 2012
Carissima Comunità, in occasione del Progetto “Tutti insieme per... Papa Giovanni Paolo II”, con la collaborazione degli artisti brembani e della provincia di Bergamo, l’Oratorio e la Parrocchia di Zogno si sono fatti promotori di una mostra di pittura e scultura sulla figura di questo Papa straordinario. I quadri e le sculture verranno esposti presso il Santuario Madonna del Carmine di via Antonio Locatelli a Zogno dal 23 dicembre 2011 al 08 aprile 2012. Le opere potranno essere acquistate ad offerta libera ed il ricavato sarà interamente devoluto per la ristrutturazione della Chiesina della Foppa. Confidiamo nella vostra generosità e vi aspettiamo numerosi! Ringraziamo di cuore la disponibilità e la collaborazione di tutti gli artisti che, ad oggi, hanno aderito all’iniziativa.
31 GENNAIO MEMORIA DI SAN GIOVANNI BOSCO
Patrono del nostro oratorio settimana 29 gennaio - 05 febbraio 2mila12
IL COMMESSO DELLA PROVVIDENZA
“Le mani bucate”
Le mani di San Giovanni Bosco avevano una caratteristica ben precisa: erano BUCATE. Sì, proprio bucate! E che cosa vuol dire? ERANO MANI CHE DONAVANO TUTTO QUELLO CHE AVEVANO, mani che non trattenevano nulla per sé. Fin da piccolo Giovannino aveva dimostrato di saperci fare con le mani: aveva una grande destrezza che gli permetteva di fare giochi di prestigio. Andava con la mamma alle fiere, vedeva i prestigiatori, capiva i trucchi, andava a casa, provava e riprovava in continuazione fino a quando riusciva a fare lui lo spettacolo dimostrando che le sue mani erano abilissime. E ancora le sue mani si dimostravano abilissime quando si trattava di salire sugli alberi per rubare i nidi...Ma la vera destrezza delle mani di San Giovanni Bosco sarà quella della carità. Fin da quando era piccolo Giovannino era stato abituato da mamma Margherita alla carità e ad una carità fatta sul serio. Mamma Margherita offriva sempre una scodella di brodo e una fetta di pane a chi bussava alla sua porta. Quando un mendicante bussava la sera, mamma Margherita preparava il brodo, sistemava i piedi, preparava il fienile. E quando qualcuno veniva alle due o alle tre di notte, mamma Margherita si alzava e, a turno, chiamava i suoi figli a darle una mano. Cosi Giovannino verrà svegliato diverse volte dalla mamma per aiutare chi veniva a chiedere la carità. Quando diventerà prete, don Bosco ha in bocca sempre una frase che ripete ai suoi ragazzi: “TI VOGLIO COSÌ BENE CHE, ANCHE SE AVESSI UN SOLO PEZZO DI PANE, LO FAREI A METÀ CON TE” Un giorno a don Bosco, capitò questo episodio: “LA CARITÀ RITORNATA” Era domenica e prima di partire dovetti dire la Messa per la gente di Castelnuovo. Per arrivare poi a tempo a Lavriano non andai a piedi, ma a cavallo. Avevo percorso metà strada al trotto e al galoppo. Mi trovavo nella valle di Casalborgone tra Cinzano e Bersano, quando da un campo seminato a miglio si alzò di colpo uno stormo di passeri. Quel frullare rumoroso e improvviso spaventò il mio cavallo che scattò in una corsa frenetica per campi e prati. Cercai di tenermi saldamente in sella, ma ad un tratto mi accorsi che essa cedeva e scivolava di lato. Tentai di raddrizzarla, ma uno scarto improvviso mi catapultò in alto. Caddi riverso sopra un mucchio di pietre. Un uomo aveva assistito da una collina alla mia brutta avventura, e scese di corsa insieme ad un aiutante. Mi trovò svenuto. Con delicatezza mi portò in casa sua e mi distese sul letto migliore che aveva. Mi prestò tutte le cure possibili, e dopo un’ora rinvenni. Mi meravigliai di essere in una casa sconosciuta. - “Non si spaventi “- mi disse subito quel brav’uomo - “Vedrà che qui non le mancherà niente. Ho già mandato a chiamare il medico, e un mio aiutante è andato a recuperare il cavallo. Io sono solo un contadino, ma in casa mia troverà tutto il necessario. Si sente molto male?” - “Dio la ricompensi della sua carità, mio caro amico. Non credo di aver niente di grave. Non posso muovere una spalla, ho paura che si sia rotta. Qui dove sono?” - “Sulla collina di Bersano, in casa di Giovanni Calosso, soprannominato Brina. Lei non mi conosce, ma anch’io ho girato il mondo e ho avuto bisogno di altri. Sono stato un frequentatore di fiere e di mercati, e me ne sono capitate tante!” - “Mentre attendiamo il medico, perche non mi racconta qualche sua avventura?” - “Ne avrei tante da raccontare! Molti anni fa, tanto per fare un esempio, ero andato ad Asti con la mia asina. Dovevo far provviste per l’inverno. Tornando, la mia povera bestia era fin troppo carica. Mentre ero nelle valli di Moriondo, scivolò in un pantano e stramazzò nel bel mezzo della strada. I miei sforzi per rimetterla in piedi non servirono a niente. Era mezzanotte, pioveva ed era buio pesto. Non sapevo più a che Santo raccomandarmi, e mi misi a gridare aiuto. Dopo alcuni minuti qualcuno mi rispose da un casolare vicino. Con delle fiaccole accese per fare un po’ di luce, vennero in mio aiuto un chierico, suo fratello e due altri uomini. Mi aiutarono a scaricare l’asina, la tirarono fuori dal fango e mi ospitarono in casa loro. Io ero mezzo morto, imbrattato di fango dalla testa ai piedi. Mi pulirono, mi prepararono un’ottima cena, poi mi fecero dormire in un letto morbidissimo. Prima di ripartire, il mattino dopo, volevo pagare il disturbo, come mi pareva mio dovere. Il chierico si rifiutò gentilmente dicendo: «Domani anche noi potremmo aver bisogno di lei»”. A quelle parole mi sentii commosso. Quel brav’uomo si accorse che avevo gli occhi rossi e domandò:
- “Si sente male?”
- “No. Questo suo racconto è bello e commovente”.
- “Era proprio una brava famiglia, quella che incontrai quella notte. Potessi far qualcosa per loro lo farei volentieri”.
- “Come si chiamava?”
- “La famiglia dei Bosco, chiamati in dialetto «Boschett». Ma perché si commuove di nuovo? Conosce per caso quelle persone? Quel chierico sta bene?”
- “Quel chierico, mio caro amico, è questo sacerdote che lei ha accolto in casa sua. Lei mi ha ricompensato mille volte per quello che ho fatto quella notte. Mi ha portato svenuto nella sua casa, mi ha messo nel suo letto. La divina Provvidenza ci ha voluto fare vedere con i fatti che chi fa del bene, trova del bene”. Hai visto? La carità è proprio come un BOOMERANG! Sai che il boomerang è quell’oggetto che, una volta lanciato, ritorna indietro. Ebbene, LA CARITÀ, prima o poi, TORNA INDIETRO.
San Giovanni Bosco ha vissuto nell’oratorio con le mani bucate: donava tutto e le sue mani erano bucate anche perche DISTRIBUIVANO CIÒ CHE LA PROVVIDENZA GLI DONAVA. Un prete dalle mani bucate che si presenta a noi come UN COMMESSO DELLA PROVVIDENZA. C’è una Grazia, che è l’Amore di Dio, da distribuire. Così è ogni prete: un commesso della Provvidenza, cioè colui che distribuisce ciò che non è suo, ciò che a sua volta riceve, quella Grazia, quell’Amore sovrabbondante che Dio vuole fare arrivare a tutti gli uomini.
“Le mani bucate”
Le mani di San Giovanni Bosco avevano una caratteristica ben precisa: erano BUCATE. Sì, proprio bucate! E che cosa vuol dire? ERANO MANI CHE DONAVANO TUTTO QUELLO CHE AVEVANO, mani che non trattenevano nulla per sé. Fin da piccolo Giovannino aveva dimostrato di saperci fare con le mani: aveva una grande destrezza che gli permetteva di fare giochi di prestigio. Andava con la mamma alle fiere, vedeva i prestigiatori, capiva i trucchi, andava a casa, provava e riprovava in continuazione fino a quando riusciva a fare lui lo spettacolo dimostrando che le sue mani erano abilissime. E ancora le sue mani si dimostravano abilissime quando si trattava di salire sugli alberi per rubare i nidi...Ma la vera destrezza delle mani di San Giovanni Bosco sarà quella della carità. Fin da quando era piccolo Giovannino era stato abituato da mamma Margherita alla carità e ad una carità fatta sul serio. Mamma Margherita offriva sempre una scodella di brodo e una fetta di pane a chi bussava alla sua porta. Quando un mendicante bussava la sera, mamma Margherita preparava il brodo, sistemava i piedi, preparava il fienile. E quando qualcuno veniva alle due o alle tre di notte, mamma Margherita si alzava e, a turno, chiamava i suoi figli a darle una mano. Cosi Giovannino verrà svegliato diverse volte dalla mamma per aiutare chi veniva a chiedere la carità. Quando diventerà prete, don Bosco ha in bocca sempre una frase che ripete ai suoi ragazzi: “TI VOGLIO COSÌ BENE CHE, ANCHE SE AVESSI UN SOLO PEZZO DI PANE, LO FAREI A METÀ CON TE” Un giorno a don Bosco, capitò questo episodio: “LA CARITÀ RITORNATA” Era domenica e prima di partire dovetti dire la Messa per la gente di Castelnuovo. Per arrivare poi a tempo a Lavriano non andai a piedi, ma a cavallo. Avevo percorso metà strada al trotto e al galoppo. Mi trovavo nella valle di Casalborgone tra Cinzano e Bersano, quando da un campo seminato a miglio si alzò di colpo uno stormo di passeri. Quel frullare rumoroso e improvviso spaventò il mio cavallo che scattò in una corsa frenetica per campi e prati. Cercai di tenermi saldamente in sella, ma ad un tratto mi accorsi che essa cedeva e scivolava di lato. Tentai di raddrizzarla, ma uno scarto improvviso mi catapultò in alto. Caddi riverso sopra un mucchio di pietre. Un uomo aveva assistito da una collina alla mia brutta avventura, e scese di corsa insieme ad un aiutante. Mi trovò svenuto. Con delicatezza mi portò in casa sua e mi distese sul letto migliore che aveva. Mi prestò tutte le cure possibili, e dopo un’ora rinvenni. Mi meravigliai di essere in una casa sconosciuta. - “Non si spaventi “- mi disse subito quel brav’uomo - “Vedrà che qui non le mancherà niente. Ho già mandato a chiamare il medico, e un mio aiutante è andato a recuperare il cavallo. Io sono solo un contadino, ma in casa mia troverà tutto il necessario. Si sente molto male?” - “Dio la ricompensi della sua carità, mio caro amico. Non credo di aver niente di grave. Non posso muovere una spalla, ho paura che si sia rotta. Qui dove sono?” - “Sulla collina di Bersano, in casa di Giovanni Calosso, soprannominato Brina. Lei non mi conosce, ma anch’io ho girato il mondo e ho avuto bisogno di altri. Sono stato un frequentatore di fiere e di mercati, e me ne sono capitate tante!” - “Mentre attendiamo il medico, perche non mi racconta qualche sua avventura?” - “Ne avrei tante da raccontare! Molti anni fa, tanto per fare un esempio, ero andato ad Asti con la mia asina. Dovevo far provviste per l’inverno. Tornando, la mia povera bestia era fin troppo carica. Mentre ero nelle valli di Moriondo, scivolò in un pantano e stramazzò nel bel mezzo della strada. I miei sforzi per rimetterla in piedi non servirono a niente. Era mezzanotte, pioveva ed era buio pesto. Non sapevo più a che Santo raccomandarmi, e mi misi a gridare aiuto. Dopo alcuni minuti qualcuno mi rispose da un casolare vicino. Con delle fiaccole accese per fare un po’ di luce, vennero in mio aiuto un chierico, suo fratello e due altri uomini. Mi aiutarono a scaricare l’asina, la tirarono fuori dal fango e mi ospitarono in casa loro. Io ero mezzo morto, imbrattato di fango dalla testa ai piedi. Mi pulirono, mi prepararono un’ottima cena, poi mi fecero dormire in un letto morbidissimo. Prima di ripartire, il mattino dopo, volevo pagare il disturbo, come mi pareva mio dovere. Il chierico si rifiutò gentilmente dicendo: «Domani anche noi potremmo aver bisogno di lei»”. A quelle parole mi sentii commosso. Quel brav’uomo si accorse che avevo gli occhi rossi e domandò:
- “Si sente male?”
- “No. Questo suo racconto è bello e commovente”.
- “Era proprio una brava famiglia, quella che incontrai quella notte. Potessi far qualcosa per loro lo farei volentieri”.
- “Come si chiamava?”
- “La famiglia dei Bosco, chiamati in dialetto «Boschett». Ma perché si commuove di nuovo? Conosce per caso quelle persone? Quel chierico sta bene?”
- “Quel chierico, mio caro amico, è questo sacerdote che lei ha accolto in casa sua. Lei mi ha ricompensato mille volte per quello che ho fatto quella notte. Mi ha portato svenuto nella sua casa, mi ha messo nel suo letto. La divina Provvidenza ci ha voluto fare vedere con i fatti che chi fa del bene, trova del bene”. Hai visto? La carità è proprio come un BOOMERANG! Sai che il boomerang è quell’oggetto che, una volta lanciato, ritorna indietro. Ebbene, LA CARITÀ, prima o poi, TORNA INDIETRO.
San Giovanni Bosco ha vissuto nell’oratorio con le mani bucate: donava tutto e le sue mani erano bucate anche perche DISTRIBUIVANO CIÒ CHE LA PROVVIDENZA GLI DONAVA. Un prete dalle mani bucate che si presenta a noi come UN COMMESSO DELLA PROVVIDENZA. C’è una Grazia, che è l’Amore di Dio, da distribuire. Così è ogni prete: un commesso della Provvidenza, cioè colui che distribuisce ciò che non è suo, ciò che a sua volta riceve, quella Grazia, quell’Amore sovrabbondante che Dio vuole fare arrivare a tutti gli uomini.
29 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2mila12
Settimana di San Giovanni Bosco
29 GENNAIO DOMENICA
ore 16.30 sfilata per le vie del paese di tutte
le associazione sportive locali
ore 18.00 Santa Messa celebrata da DON ANTONIO MAZZI
ore 20.45 incontro con DON ANTONIO MAZZI con la comunità sul tema “il valore dei ragazzi nello sport - sport e doping”
31 GENNAIO MARTEDÍ
ore 20.30 Santa Messa Vicariale c/o la Parrocchiale di Zogno
01 FEBBRAIO MERCOLEDÍ
ore 20.45 CINEMA TRIESTE incontro con giovani sportivi dell’ATALANTA e FOPPAPEDRETTI
oltre a giovani atleti zognesi che si sono distinti nell’ambito sportivo
03 FEBBRAIO VENERDÍ: I COLLOQUI ITINERANTI : “PAPA GIOVANNI PAOLO II e lo SPORT”
ore 20.45 incontro c/o CONI con il presidente fondazione Giovanni Paolo II per lo sport
EDIO COSTANTINI e il presidente del CONI Valerio Bettoni
04 FEBBRAIO SABATO
Ore 18.00 Santa Messa per i ragazzi delle medie, a seguire pizzata e grande gioco
05 FEBBRAIO DOMENICA: ORATORIOLAND
ore 11.00 Santa Messa per le famiglie - ore 14.00 grande caccia al tesoro
ore 16.30 sfilata per le vie del paese di tutte
le associazione sportive locali
ore 18.00 Santa Messa celebrata da DON ANTONIO MAZZI
ore 20.45 incontro con DON ANTONIO MAZZI con la comunità sul tema “il valore dei ragazzi nello sport - sport e doping”
31 GENNAIO MARTEDÍ
ore 20.30 Santa Messa Vicariale c/o la Parrocchiale di Zogno
01 FEBBRAIO MERCOLEDÍ
ore 20.45 CINEMA TRIESTE incontro con giovani sportivi dell’ATALANTA e FOPPAPEDRETTI
oltre a giovani atleti zognesi che si sono distinti nell’ambito sportivo
03 FEBBRAIO VENERDÍ: I COLLOQUI ITINERANTI : “PAPA GIOVANNI PAOLO II e lo SPORT”
ore 20.45 incontro c/o CONI con il presidente fondazione Giovanni Paolo II per lo sport
EDIO COSTANTINI e il presidente del CONI Valerio Bettoni
04 FEBBRAIO SABATO
Ore 18.00 Santa Messa per i ragazzi delle medie, a seguire pizzata e grande gioco
05 FEBBRAIO DOMENICA: ORATORIOLAND
ore 11.00 Santa Messa per le famiglie - ore 14.00 grande caccia al tesoro
CARISSIMI, DIRIGENTI SPORTIVI
E ANIMATORI CULTURALI SPORTIVI PARROCCHIALI
“Tra le varie attività umane vi è quella sportiva, che attende, anch’essa,
di essere illuminata da Dio, mediante Cristo, perché i valori che esprime siano purificati
ed elevati sia a livello individuale che collettivo”. (Benedetto XVI, 29 novembre 2005)
“Accanto a uno sport che aiuta la persona, ve n’è un altro che danneggia.
Accanto a uno sport che esalta il corpo, ce n’è un altro che lo mortifica e lo tradisce”.
(Giovanni Paolo II, Giubileo degli sportivi 29 ottobre 2000)
“È un laboratorio di pensiero e di ricerca aperto a tutti coloro che sono interessati a rilanciare un progetto di cultura sportiva: “Lo sport è per l’uomo e non l’uomo per lo sport”. (cfr. Sport e vita cristiana n. 12)
Lo sport non educa automaticamente, ma solo attraverso un’attività sportiva che è intrisa di valori umani, di relazioni educative, di comportamenti concreti che è rivolta a tutte le fasce di età e soprattutto a quella giovanile. Secondo la visione cristiana dell’uomo, la persona costituisce un’unità inscindibile fra corpo, anima e spirito; pertanto tale unità deve caratterizzarne il processo educativo. Non è perciò possibile separare nel percorso formativo le dimensioni prettamente umane, morali e sociali, da quelle spirituali e religiose. Sono sette i pilastri fondamentali affinché lo sport sia educativo:
1) la centralità della persona umana
2) l’intenzionalità educativa
3) l’esperienza associativa
4) i luoghi educativi
5) gli educatori
6) le alleanze educative
7) il metodo educativo.
Per rendere omogeneo l’impegno educativo è indispensabile adottare un metodo educativo chiaro, omogeneo e condiviso da tutti gli educatori. Il metodo, che non ha il sapore della sola competizione, consiste da parte dell’educatore nell’accogliere, orientare, allenare, accompagnare e dare speranza all’atleta. In questo modo i nostri ragazzi percepiscono che la società/gruppo sportivo a cui appartengono sta investendo sulla loro persona perché cresca come buoni atleti e prima ancora come persone di sani e buoni valori, che pure l’attività sportiva può condividere, se lo desidera. “[…] C’è bisogno di educatori e non di prestatori d’opera. Ciò significa avere le grinta e le motivazioni per andare controcorrente, essere disposti ad abitare i territori più aridi […] per portarvi un messaggio di umanità e di speranza. […] di essere ben di più che i maestri di un gesto tecnico o gli allenatori di una capacità fisica”. (La sfida Educativa) Sono gli educatori cristianamente motivati, adeguatamente formati e coerentemente impegnati quelli che garantiscono la piena funzionalità del circolo culturale e sportivo; ed è necessario che negli educatori ci sia la passione educativa, che ci sia la voglia di non accontentarsi di organizzare le attività, ma la voglia di mettersi in gioco in una relazione educativa. Carissimi, meglio ricordare quanto Papa Benedetto XVI ha detto ai dirigenti delle società sportive dall’ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero/turismo e sport: “Siate persone umanamente e spiritualmente mature che sappiano rigenerare, attraverso stili di vita positivi, e di gestione oculata e trasparente, la vita del mondo sportivo. Solo un dirigente che rimette al centro il bene ultimo dell’atleta, la sua dignità e la questione educativa potrà dare credibilità all’intero sistema sportivo italiano”. Con molta fraternità auspico e confido che nei prossimi anni tutti abbiamo avere maggiore attenzione rispetto al “tempo” che chiediamo ai nostri ragazzi: che hanno sempre mille cose da fare, spesso tutte ravvicinate e un po’ a discapito di altri impegni. Come agenzie educative dobbiamo sbriciolare le loro giornate per evitare troppi impegni e trasmettere loro, e in parte già lo facciamo, che sia lo sport sia il cammino di fede sono importanti... ma occorre dare il giusto tempo a tutto!… Come educatori e come dirigenti sportivi qui ne va della nostra credibilità e poi, con tutta onestà, questa è la grande sfida educativa che i nostri ragazzi oggi ci chiedono!!! A queste parole non mi permetto di aggiungere altro, se non invitarvi calorosamente insieme ai vostri atleti, nonché nostri ragazzi, all’appuntamento di domenica 29 gennaio 2012. Conto sulla vostra presenza!!!
Con stima
don Samuele Novali
di essere illuminata da Dio, mediante Cristo, perché i valori che esprime siano purificati
ed elevati sia a livello individuale che collettivo”. (Benedetto XVI, 29 novembre 2005)
“Accanto a uno sport che aiuta la persona, ve n’è un altro che danneggia.
Accanto a uno sport che esalta il corpo, ce n’è un altro che lo mortifica e lo tradisce”.
(Giovanni Paolo II, Giubileo degli sportivi 29 ottobre 2000)
“È un laboratorio di pensiero e di ricerca aperto a tutti coloro che sono interessati a rilanciare un progetto di cultura sportiva: “Lo sport è per l’uomo e non l’uomo per lo sport”. (cfr. Sport e vita cristiana n. 12)
Lo sport non educa automaticamente, ma solo attraverso un’attività sportiva che è intrisa di valori umani, di relazioni educative, di comportamenti concreti che è rivolta a tutte le fasce di età e soprattutto a quella giovanile. Secondo la visione cristiana dell’uomo, la persona costituisce un’unità inscindibile fra corpo, anima e spirito; pertanto tale unità deve caratterizzarne il processo educativo. Non è perciò possibile separare nel percorso formativo le dimensioni prettamente umane, morali e sociali, da quelle spirituali e religiose. Sono sette i pilastri fondamentali affinché lo sport sia educativo:
1) la centralità della persona umana
2) l’intenzionalità educativa
3) l’esperienza associativa
4) i luoghi educativi
5) gli educatori
6) le alleanze educative
7) il metodo educativo.
Per rendere omogeneo l’impegno educativo è indispensabile adottare un metodo educativo chiaro, omogeneo e condiviso da tutti gli educatori. Il metodo, che non ha il sapore della sola competizione, consiste da parte dell’educatore nell’accogliere, orientare, allenare, accompagnare e dare speranza all’atleta. In questo modo i nostri ragazzi percepiscono che la società/gruppo sportivo a cui appartengono sta investendo sulla loro persona perché cresca come buoni atleti e prima ancora come persone di sani e buoni valori, che pure l’attività sportiva può condividere, se lo desidera. “[…] C’è bisogno di educatori e non di prestatori d’opera. Ciò significa avere le grinta e le motivazioni per andare controcorrente, essere disposti ad abitare i territori più aridi […] per portarvi un messaggio di umanità e di speranza. […] di essere ben di più che i maestri di un gesto tecnico o gli allenatori di una capacità fisica”. (La sfida Educativa) Sono gli educatori cristianamente motivati, adeguatamente formati e coerentemente impegnati quelli che garantiscono la piena funzionalità del circolo culturale e sportivo; ed è necessario che negli educatori ci sia la passione educativa, che ci sia la voglia di non accontentarsi di organizzare le attività, ma la voglia di mettersi in gioco in una relazione educativa. Carissimi, meglio ricordare quanto Papa Benedetto XVI ha detto ai dirigenti delle società sportive dall’ufficio nazionale per la pastorale del tempo libero/turismo e sport: “Siate persone umanamente e spiritualmente mature che sappiano rigenerare, attraverso stili di vita positivi, e di gestione oculata e trasparente, la vita del mondo sportivo. Solo un dirigente che rimette al centro il bene ultimo dell’atleta, la sua dignità e la questione educativa potrà dare credibilità all’intero sistema sportivo italiano”. Con molta fraternità auspico e confido che nei prossimi anni tutti abbiamo avere maggiore attenzione rispetto al “tempo” che chiediamo ai nostri ragazzi: che hanno sempre mille cose da fare, spesso tutte ravvicinate e un po’ a discapito di altri impegni. Come agenzie educative dobbiamo sbriciolare le loro giornate per evitare troppi impegni e trasmettere loro, e in parte già lo facciamo, che sia lo sport sia il cammino di fede sono importanti... ma occorre dare il giusto tempo a tutto!… Come educatori e come dirigenti sportivi qui ne va della nostra credibilità e poi, con tutta onestà, questa è la grande sfida educativa che i nostri ragazzi oggi ci chiedono!!! A queste parole non mi permetto di aggiungere altro, se non invitarvi calorosamente insieme ai vostri atleti, nonché nostri ragazzi, all’appuntamento di domenica 29 gennaio 2012. Conto sulla vostra presenza!!!
Con stima
don Samuele Novali
ROMANIA
Inverno 2011-2012
Onesti, Romania 4-1-2012
Giorni pieni, giorni di vita vissuta. Giorni in cui solo per sbaglio ti ritrovi a contare i giorni che mancano per tornare a casa. E te ne penti perché sono troppo pochi. Giorni in cui ti ritrovi a pensare a quanto è bella questa semplice quotidianità e a desiderare di viverla per più tempo. Giorni in cui ti ritrovi di fronte a mille domande e non riesci a darti risposte. Giorni in cui prendi in mano una biro e ti rendi conto che c’è troppo da vivere, qui, per perdere tempo a scrivere.
Milano, Italia 10-1-2012
Sono due giorni che sono tornata e sono due giorni che continuo a inciampare su questa frase: “Quando ti viene nostalgia, non è una mancanza, è una presenza, è una visita, arrivano persone, paesi, da lontano e ti tengono un poco di compagnia.”(E. de Luca - Montedidio). Romania in Italia è la più bella nostalgia che io abbia mai vissuto. Di ritorno da ogni viaggio in Romania sento forte questa nostalgia. È una nostalgia strana, di quelle che pian piano, con l’avvicinarsi del viaggio successivo, si trasformano in ansia e gioia per il ritorno. È una nostalgia fatta di volti, di parole, di attimi e di relazioni. È la nostalgia per la mia Romania. La mia Romania è sapere che i bambini ti aspettano “quando arriva la neve” e scoprire che chiedono di te di fronte al primo fiocco. È sentirsi dire dai bambini che noi siamo “i loro italiani”. Romania è “nu placam, sta aicia!”, “non andare, resta qui!”, sussurrato sottovoce ad un orecchio. È attendere con trepidazione il momento della scenetta e della tombola e vedere un fratello che regala tutti gli ambiti premi vinti alla sorella, perché lei non è stata così fortunata. Romania è attesa, necessità dell’altro, condivisione. La Romania per me è sorridere di fronte ai bambini che sono cresciuti, gioire perché hanno imparato i colori e a contare fino a dieci in italiano, stupirsi per le loro conquiste, sostenerli nelle loro sconfitte ed emozionarsi di fronte ad una poesia recitata per te, guardandoti fissa negli occhi. Romania è casa, famiglia, è riscoprirsi sorella e figlia, è risvegliar il tuo essere un po’ mamma. La mia Romania è la fiducia che ti viene donata gratuitamente, è il bacio, tanto atteso, della noapte buna. È andare al cinema per vedere un film in 3D e scoprire che nessuno se l’è visto con gli occhiali. Romania è una richiesta inespressa e compresa e, allo stesso tempo, necessità di dire e di sentirsi dire. Romania è guardarsi intorno e scoprire un mondo pieno di contraddizioni, di medaglie con due facce fra loro diametralmente opposte. La mia Romania è l’ultimo saluto dei bambini che escono sul balcone di casa e ti cantano forte: “Accendi le stelle, accendile tu che puoi, sulle stelle ci sono tutti i sogni che facciamo noi...”. È un saluto che va dritto al cuore e che ti dice: “Grazie perché in questi giorni siete stati al nostro fianco.” La mia Romania sono le lacrime del bambino sempre felice e sorridente e la febbre a 39 del bambino più “duro” la sera della tua partenza, perché torni dalla famiglia da cui sei partito. Romania è scoprire che la tua corazza non basta. È scoprire che per proteggere ed essere protetta non servono scene da eroe o mille parole, ma una mano, uno sguardo e un tiepido silenzio che ti scalda dentro. La mia Romania è una promessa per cui là nessuno ha bisogno di sentirsi dire: ci rivedremo presto. Un grazie particolare da parte mia, del gruppo giovani interparrocchiale e delle suore, va alle comunità di Endenna e di Zogno e a quanti hanno voluto aiutare la missione in Romania delle suore di Gesù Redentore.
Paola
Per l’estate prossima, durante il CRE, una decina di bambini rumeni sarà ospite delle nostre famiglie di Zogno: sarà l’occasione, per le famiglie ospitanti, di sperimentarsi nell’appassionante arte dell’accoglienza, in pieno accordo con il piano diocesano. Il Piano pastorale, che quest’anno il Vescovo ha voluto proporre alle nostre comunità cristiane, ruota attorno alla FAMIGLIA, IL LAVORO E LA FESTA; come parrocchia ci siamo lasciati interrogare da questa piccola e preziosa realtà, quale il nucleo familiare, pertanto le abbiamo dedicato alcune attenzioni: le catechesi vicariali d’Avvento; l’iniziativa Oratorioland, aperta a tutte le famiglie della comunità; il tentativo, che speriamo possa avere una continuità, dell’esperienza dell’affido. Con il nostro gruppo giovani interparrocchiale, che da anni si reca nell’orfanotrofio della Romania, abbiamo pensato insieme con il loro aiuto e con la disponibilità delle suore dell’Istituto, di dare inizio a questo progetto.
Giorni pieni, giorni di vita vissuta. Giorni in cui solo per sbaglio ti ritrovi a contare i giorni che mancano per tornare a casa. E te ne penti perché sono troppo pochi. Giorni in cui ti ritrovi a pensare a quanto è bella questa semplice quotidianità e a desiderare di viverla per più tempo. Giorni in cui ti ritrovi di fronte a mille domande e non riesci a darti risposte. Giorni in cui prendi in mano una biro e ti rendi conto che c’è troppo da vivere, qui, per perdere tempo a scrivere.
Milano, Italia 10-1-2012
Sono due giorni che sono tornata e sono due giorni che continuo a inciampare su questa frase: “Quando ti viene nostalgia, non è una mancanza, è una presenza, è una visita, arrivano persone, paesi, da lontano e ti tengono un poco di compagnia.”(E. de Luca - Montedidio). Romania in Italia è la più bella nostalgia che io abbia mai vissuto. Di ritorno da ogni viaggio in Romania sento forte questa nostalgia. È una nostalgia strana, di quelle che pian piano, con l’avvicinarsi del viaggio successivo, si trasformano in ansia e gioia per il ritorno. È una nostalgia fatta di volti, di parole, di attimi e di relazioni. È la nostalgia per la mia Romania. La mia Romania è sapere che i bambini ti aspettano “quando arriva la neve” e scoprire che chiedono di te di fronte al primo fiocco. È sentirsi dire dai bambini che noi siamo “i loro italiani”. Romania è “nu placam, sta aicia!”, “non andare, resta qui!”, sussurrato sottovoce ad un orecchio. È attendere con trepidazione il momento della scenetta e della tombola e vedere un fratello che regala tutti gli ambiti premi vinti alla sorella, perché lei non è stata così fortunata. Romania è attesa, necessità dell’altro, condivisione. La Romania per me è sorridere di fronte ai bambini che sono cresciuti, gioire perché hanno imparato i colori e a contare fino a dieci in italiano, stupirsi per le loro conquiste, sostenerli nelle loro sconfitte ed emozionarsi di fronte ad una poesia recitata per te, guardandoti fissa negli occhi. Romania è casa, famiglia, è riscoprirsi sorella e figlia, è risvegliar il tuo essere un po’ mamma. La mia Romania è la fiducia che ti viene donata gratuitamente, è il bacio, tanto atteso, della noapte buna. È andare al cinema per vedere un film in 3D e scoprire che nessuno se l’è visto con gli occhiali. Romania è una richiesta inespressa e compresa e, allo stesso tempo, necessità di dire e di sentirsi dire. Romania è guardarsi intorno e scoprire un mondo pieno di contraddizioni, di medaglie con due facce fra loro diametralmente opposte. La mia Romania è l’ultimo saluto dei bambini che escono sul balcone di casa e ti cantano forte: “Accendi le stelle, accendile tu che puoi, sulle stelle ci sono tutti i sogni che facciamo noi...”. È un saluto che va dritto al cuore e che ti dice: “Grazie perché in questi giorni siete stati al nostro fianco.” La mia Romania sono le lacrime del bambino sempre felice e sorridente e la febbre a 39 del bambino più “duro” la sera della tua partenza, perché torni dalla famiglia da cui sei partito. Romania è scoprire che la tua corazza non basta. È scoprire che per proteggere ed essere protetta non servono scene da eroe o mille parole, ma una mano, uno sguardo e un tiepido silenzio che ti scalda dentro. La mia Romania è una promessa per cui là nessuno ha bisogno di sentirsi dire: ci rivedremo presto. Un grazie particolare da parte mia, del gruppo giovani interparrocchiale e delle suore, va alle comunità di Endenna e di Zogno e a quanti hanno voluto aiutare la missione in Romania delle suore di Gesù Redentore.
Paola
Per l’estate prossima, durante il CRE, una decina di bambini rumeni sarà ospite delle nostre famiglie di Zogno: sarà l’occasione, per le famiglie ospitanti, di sperimentarsi nell’appassionante arte dell’accoglienza, in pieno accordo con il piano diocesano. Il Piano pastorale, che quest’anno il Vescovo ha voluto proporre alle nostre comunità cristiane, ruota attorno alla FAMIGLIA, IL LAVORO E LA FESTA; come parrocchia ci siamo lasciati interrogare da questa piccola e preziosa realtà, quale il nucleo familiare, pertanto le abbiamo dedicato alcune attenzioni: le catechesi vicariali d’Avvento; l’iniziativa Oratorioland, aperta a tutte le famiglie della comunità; il tentativo, che speriamo possa avere una continuità, dell’esperienza dell’affido. Con il nostro gruppo giovani interparrocchiale, che da anni si reca nell’orfanotrofio della Romania, abbiamo pensato insieme con il loro aiuto e con la disponibilità delle suore dell’Istituto, di dare inizio a questo progetto.
COLLOQUI ITINERANTI
GENOVA...
Terra di ricordi, di lavoro, di affetti e di nuove emozioni
È consuetudine estate e inverno, da ormai cinque anni, trascorrere con gli adolescenti qualche giorno insieme, semplicemente per offrire loro un’occasione bella di crescita umana e spirituale, nel servizio, nella preghiera e nel gioco. Non voglio raccontare quanto abbiamo fatto in questi giorni perché desidero più soffermarmi sulle emozioni, sulle domande e sulle parole che il primo giorno ha saputo suscitare con la sua intima atmosfera... Siamo andati a Genova: abbiamo visitato con una guida la chiesa del Bambin Gesù e con una caccia al tesoro abbiamo conosciuto spazi preziosi ed eleganti di una Genova seicentesca e settecentesca (era infatti la città più ricca d’Europa a quel tempo), quali il Duomo di San Lorenzo e la Chiesa di San Barnaba, su suggerimento di don Giulio perché sono luoghi molto cari ai nostri zognesi. Ma a Genova abbiamo abitato, il giorno e la notte del 27 dicembre, nelle mura di un antico monastero del 1000 d.C. ora dei Gesuiti: per un giorno la nostra casa! Il pasto l’abbiamo condiviso nel loro refettorio: lunghe tavole di legno con panche disposte in un grande rettangolo formavano la tavola e non era impossibile parlare con chi ci stava di fronte; evidentemente ciò richiedeva ascolto, ma soprattutto ci invitava all’essenzialità. Lunghi discorsi, troppe parole, si sarebbero perse in quella grande stanza. Nel monastero dei gesuiti ormai vuoto, a parte i cinque frati che lo abitano, la notte l’abbiamo trascorsa in piccole celle: sobrie stanze con un tavolo, un letto, pareti bianche con appese al muro immagini sacre. I corridoi sono pavimentati da lunghe lastre nere di pietra, i muri tutti bianchi con piccoli lumini accesi vicino a statue, scritte in latino o immagini sacre... La notte... è stata per noi una veglia!!! In ogni vita comune estiva e invernale, c’è tempo oltre che per la preghiera e la Messa, per l’Adorazione Eucaristica: d’inverno questa si protrae per tutta la notte. Un momento tutti insieme, poi personalmente si prega davanti a Gesù Eucarestia: quest’anno abbiamo scritto una lettera a Gesù, dopo la testimonianza nella serata, di un gesuita che presta servizio ai senzatetto e dopo la meditazione sulla parabola del Buon Samaritano. Nella notte... pensieri, fatiche, gioie, parole, domande mi hanno tenuto piuttosto desto e ho motivato alcuni pensieri che desidero condividere con voi. Innanzitutto mi risuonavano le parole di Etty Hillesum che nel suo diario scrive: “Bisogna sempre più risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche che ci sono necessarie, e questa nuova forma d’espressione deve maturare nel silenzio”. Ed è proprio così: le parole talvolta ci ingannano, ci persuadono o addirittura ci distraggono da quello che stiamo cercando! Davanti a Gesù Eucarestia basta il silenzio; non dobbiamo preoccuparci di quali parole dire, perché è Lui, con il suo Spirito, a suggerirci quelle giuste e non dobbiamo ascoltare altre parole se non la Sua... ecco cosa è l’Adorazione: è silenzio e ascolto! A pensarci bene, anche la parola, se ben usata, ha il potere di curare; ma il silenzio compie in noi qualcosa di più: fa rinascere ciò che dorme e riallaccia i rapporti con la nostra identità più profonda e autentica. E di questo tempo ne abbiamo assolutamente bisogno, altrimenti rischiamo di perderci e di non conoscerci bene!!! Quando incontriamo gli altri, lo stesso errore! Tendiamo a colmare il vuoto con le parole, mentre dovremmo lasciare quel vuoto aperto affinché la relazione con l’altro continui ad essere viva. Il silenzio, e lo credo davvero, è la condizione necessaria per continuare ad accogliere, senza soggiogare e dominare l’altro. Mi auguro che questi momenti preziosi di silenzio, che insieme con i ragazzi e i giovani cerco di vivere (non solo a Genova), possano far scoprire loro la bellezza di essere persone autentiche, semplici e libere da ogni maschera e narcisismo. Il silenzio richiede all’inizio uno sforzo, ma poi può e deve, diventare uno stile di vita, un modo di stare nella realtà. Due volte al mese la domenica alle ore 20.30, presso la Chiesa delle suore di clausura, per gli adolescenti e i giovani che desiderano pregare propongo l’Adorazione Eucaristica. All’inizio alcuni ragazzi hanno evitato questo incontro, perché avvertivano quel sapore di assenza insopportabile, tanto da apparire noioso; ma poi, ad un certo punto, il silenzio è diventato quell’ospite che si desidera accogliere e “ascoltare” dentro di sé... Gesù, di fronte a qualcosa di bello, raccomandava ai suoi apostoli: “Non ditelo a nessuno”...; non penso lo dicesse per tener nascoste certe cose, ma semplicemente perché, per capire l’importanza e il senso di alcune esperienze, non basta ascoltare belle parole ma occorre viverle!!! Allora vi aspetto, cari giovani-adolescenti, a pregare un po’ insieme e... “Non ditelo a nessuno”!
Con affetto,
don Samuele Novali
N.B.: don Giulio mi ricorda che a Genova, la chiesa di san Barnaba era il ritrovo di tutti gli zognesi emigrati e, non solo, al cimitero diverse costruzioni sono opera dei nostri lavoratori zognesi. Possiamo dire che anche a Genova c’è un pezzo di storia zognese...
Con affetto,
don Samuele Novali
N.B.: don Giulio mi ricorda che a Genova, la chiesa di san Barnaba era il ritrovo di tutti gli zognesi emigrati e, non solo, al cimitero diverse costruzioni sono opera dei nostri lavoratori zognesi. Possiamo dire che anche a Genova c’è un pezzo di storia zognese...
QUANDO DIO TI CHIAMA PER NOME E TI CHIEDE UNA MANO
La messa di primo mattino presso la tomba di San Francesco in Assisi nella basilica inferiore... questo, (ma sono tantissimi gli altri momenti “forti” che ci hanno visti interpreti o spettatori estasiati) uno dei più toccanti che ci piace raccontare, riportando sotto le più significative “promesse” scritte e poi lette, solennemente, dai nostri ragazzi di terza media, in vista della loro prossima Professione di fede, proprio all’altare da cui don Samu ha celebrato. Quindi una eucarestia solo per noi, raccolta e sentita dai ragazzi emozionatissimi, nonché dai catechisti e dagli animatori altrettanto coinvolti. Nel breve commento al vangelo, don Samu esorta a cercare sempre la preghiera quotidiana come fosse una piccola spiaggia alla quale approdare nel mare della nostra vita, per gustare di quel pane e di quel pesce, fragrante e gustoso, che Gesù ci offre incondizionatamente. Poi, la lettura attenta e compìta delle riflessioni suscitate dal più profondo del cuore... “Signore, ho capito che nella vita non è il denaro a rendere felici, ma per essere davvero felici bisogna accettarsi per quello che si è, non pensare di diventare chissà chi, e amare e rispettare tutti, soprattutto i malati e i bisognosi.- Signore, voglio prometterti che non me la prenderò per i miei difetti o con le persone che me li fanno ricordare.- Signore, dopo l’esperienza di Assisi qualcosa è cambiato: ho finalmente capito l’importanza della preghiera e sono orgogliosa di fare questo grande passo.- Signore, ai ragazzini che verranno dopo di me mi sento di dire: imparate ad apprezzare le cose più semplici che sono le più belle!- Signore, aiuterò le persone che purtroppo non hanno avuto la fortuna di essere come me... di avere due genitori e una famiglia che mi vuole bene, di avere accanto persone che tengono a me per come sono dentro e non per come sono fuori!- Signore, la professione di fede è uno dei traguardi più importanti per un ragazzo della mia età: prometto di affrontarla come un ragazzo maturo e sicuro di ciò che vuole diventare.- Signore, cercherò di conoscere meglio le persone e aiutarle nei momenti difficili, avendo il coraggio di affrontare a testa alta gli ostacoli senza ripararmi dietro agli altri.- Signore, grazie a San Francesco ho capito che sono nate tante speranze nelle persone che si sono affidate a Te e a lui.- Signore, non riuscirò a diventare come San Francesco, ma mi impegnerò al massimo per riuscire ad assomigliargli almeno un po’. Inizierò dalle piccole cose...-Signore, grazie per i tre giorni bellissimi di Assisi, che mi hanno aiutato a riflettere. Ti ringrazio.- Signore, ho capito che è importante prendere in mano la propria vita e cambiarla in meglio, anche da un momento all’altro.- Signore, ho capito che le persone non si riconoscono solo dall’esteriorità ma soprattutto, da quello che hanno dentro.- Signore, voglio prometterti di vivere il resto della mia vita con amore, cercando sempre di andare dritto al cuore delle persone...- Signore, mi affido a Te per fare la professione di fede: è un’esperienza nuova che ti dice che se hai fatto la scelta della cresima, non è tempo sprecato continuare questo cammino...-Signore, vorrei impegnarmi a frequentare sempre più l’oratorio organizzando servizi in aiuto alla comunità, insieme alle mie amiche perché con loro mi sento più forte.- Signore, ti prometto che non sarò più testarda, ascolterò i consigli dei miei genitori, mi impegnerò di più nello studio e non sarò superficiale. Inoltre, prometto di venirti a trovare più spesso...- Signore, inizierò a pensare di più alla mia spiritualità, perché ho capito dalle testimonianze di fra Mattia e di suor Angela, che essa ci rende più belli! Una bellezza interiore che viene dal profondo del nostro cuore.- Signore, sarò capace di apprezzare e far apprezzare questa grande “famiglia” che è il nostro oratorio, aperto a tutti!- Signore, ti prometto fedeltà, però non tanto come fra Mattia e suor Angela, perché altrimenti non sarei onesto... credere è importante, credere con il cuore ci rende più felici con noi stessi.- Signore, grazie alla professione di fede riuscirò a coltivare le mie promesse e migliorare i miei rapporti con Te e con il prossimo.- Signore, adesso capisco l’importanza della professione di fede: di saper dire IO CREDO da sola, come mia scelta!-Signore, ti prometto di impegnarmi di più a pregare e a ricordarmi di Te: cosa che a casa non faccio spesso per le mie mille distrazioni.- Signore, la professione di fede l’ho capita poco, ho bisogno di farmela spiegare meglio dalle mia catechiste: sono sicura che con il loro aiuto posso farcela.- Signore, con la professione di fede desidero proseguire il cammino che mi hanno indicato i miei genitori.- Signore, la professione di fede è importantissima per migliorare il nostro rapporto con Te.- Signore, con la professione di fede confermerò, dopo aver realizzato i miei propositi, la fiducia che ho in Te.- Signore, ti prometto di aiutare sempre gli amici in difficoltà, dando loro un esempio da seguire.- Signore, ai ragazzini nuovi che arrivano in oratorio auguro che capiscano l’importanza di Te nelle loro vite.- Signore, pregare può essere una bella esperienza e mai una perdita di tempo.” Piccoli stralci delle loro più tenere e sincere affermazioni... tutte meritevoli di essere riportate per intero.. ma lo spazio purtroppo non ce lo concede! Saranno tutte conservate da don Samuele e dalle catechiste. Dopo la lettura emozionata delle proprie regole di vita, ciascun ragazzo e ragazza poneva la sua firma sopra un mattone rosso portato da Zogno e precisamente dal ritiro di avvento e dall’offertorio della messa di presentazione del gruppo, alla comunità. Mattoni che hanno fatto da filo conduttore alla nostra storia con san Francesco, al progetto da realizzare che il Signore ha pensato per ciascuno di noi, alla chiamata che dobbiamo saper ascoltare... se sapremo essere mattoni rossi, solidi e forti, riusciremo a mettere le giuste fondamenta nel progetto del Signore. Nel recitare il Padre Nostro, ci siamo presi tutti per mano in una immaginaria, infinita catena di mani, che continuava al di fuori della basilica, al di fuori di Assisi, in un intreccio forte e tenero di dita grandi e piccole, in un grande abbraccio che ha incluso tutti: tutti quelli che amiamo e che ci amano, tutti quelli che ci hanno chiesto una preghiera e tutti quelli che già stanno pregando per noi, tutti quelli che soffrono per tanti motivi ma sanno trovare ancora e nonostante tutto, tempo, fedeltà, disponibilità all’ascolto e alla preghiera, per dare senso, luce e speranza al proprio dolore. Francesco è stato esaudito, il Signore gli ha proprio parlato da quel crocifisso in San Damiano, dove lo Spirito lo aveva condotto a pregare. “Francesco va e ripara la mia casa, che come vedi è tutta in rovina”. Quando si alza e sta per uscire vede un mattone rosso, lì in mezzo alle rovine... è un invito chiaro, un richiamo, quel mattone rosso vivo gli fa capire che lì c’è ancora vita, c’è amore, c’è speranza... E noi sapremo riconoscere e capire che Gesù ci invita a fare i muratori ma con qualcosa di ben diverso da restaurare? Che non ha bisogno dei nostri soldi ma della nostra vita? Che ci chiede di vendere tutto ciò che abbiamo in terra per avere un tesoro nei cieli? Il Signore vuole da noi un servizio semplice, importantissimo ma fatto con umiltà e gioia o meglio “perfetta letizia”: che sappiamo costruire una Chiesa fatta di persone innamorate di Cristo!!! Proviamoci ragazzi, tutti insieme possiamo fare molto. Un abbraccio, le vostre catechiste.
P.S. ovviamente un grazie particolare ai nostri animatori-accompagnatori: Mara, Francesca Bonfa, Marzia, Mauro, Massimo, Giorgio sacrista, nonché al nostro carissimo don Samu. È soprattutto merito loro se il nostro viaggio, il nostro soggiorno, il nostro ritiro si sono svolti in allegria, condivisione e con la dovuta sicurezza. Di nuovo GRAZIE A TUTTI!!!”
P.S. ovviamente un grazie particolare ai nostri animatori-accompagnatori: Mara, Francesca Bonfa, Marzia, Mauro, Massimo, Giorgio sacrista, nonché al nostro carissimo don Samu. È soprattutto merito loro se il nostro viaggio, il nostro soggiorno, il nostro ritiro si sono svolti in allegria, condivisione e con la dovuta sicurezza. Di nuovo GRAZIE A TUTTI!!!”
ORATORIO SAN GIOVANNI BOSCO
ACCOGLIAMO IN FAMIGLIA
Un clima di silenzio, di curiosità e un po’ di imbarazzo nel gruppo di famiglie che ha iniziato mercoledì 8 febbraio il percorso di incontri che lo accompagnerà fino a giugno: si sono presentate in oratorio undici coppie che si sono rese disponibili a un’esperienza di accoglienza, e qualche persona interessata al tema, per comprendere meglio, per conoscerci, per ascoltare le basi di questo progetto, i pensieri dei volontari e il supporto del curato della Parrocchia di Zogno. Nel corso delle scorse settimane, hanno avuto il tempo per riflettere sull’idea di avere un nuovo componente in famiglia durante un mese estivo: un bambino o una bambina che verrà dall’orfanotrofio di Slanic Moldova (Romania) per una vacanza e per assaporare, anche solo per un breve periodo, la vita familiare, le abitudini di un nucleo in cui convivono poche persone, le relazioni reciproche con le figure genitoriali del padre e della madre...insomma, per vivere delle giornate a misura di famiglia! Diverse famiglie di Zogno e di alcune frazioni, hanno deciso di mettersi in gioco in questa esperienza e di far sperimentare ai propri figli i valori dell’accoglienza e della condivisione, nella concretezza della quotidianità; hanno dunque accolto con piacere la proposta di un percorso formativo in oratorio, che potrà favorire lo sviluppo di una rete di famiglie, per supportarsi vicendevolmente durante il periodo dell’accoglienza, e che permetterà di mettere a fuoco alcuni temi legati alle paure e ai desideri, alle aspettative, alle possibili difficoltà che potranno emergere nel condividere un tratto di cammino con un minore abituato a vivere con i ritmi di una comunità fatta di 30 persone, che ha dentro la ferita dell’abbandono, avvezzo ad una certa autonomia, che giunge in un contesto “altro” dal suo vissuto. In un aula dell’oratorio, Don Samuele ha salutato il gruppo e dopo una breve presentazione di ognuno, ci siamo subito collegati via web con Suor Michela, la responsabile di due case di accoglienza in Romania: dopo una sintesi dell’esperienza della comunità in cui vive, la suora ha raccontato i passi che hanno portato alla nascita di questo pensiero, di questo progetto. La proposta di Don Samuele di qualche mese fa, che nell’anno pastorale dedicato alla famiglia, ha voluto immaginare una messa in gioco delle famiglie di Zogno, è stata accolta con gioia dalla responsabile della missione in Romania, e successivamente è stata approvata anche dalle altre consorelle e dalla madre generale. È sicuramente un passo rischioso quello di far vivere un’esperienza in una famiglia italiana a questi bambini, che comunque poi tornano a vivere in un contesto come quello dell’orfanotrofio; ma è anche occasione per permettere a questi minori di sperimentare l’amore di un ambiente caldo, il volersi bene di una coppia, le cure di una mamma, il ruolo di un papà. Per meglio inquadrare il contesto a cui ci riferiamo, alcuni volontari del gruppo di giovani che ogni anno (ogni estate e ogni inverno) tornano in Romania, hanno raccontato la loro esperienza, il loro contributo in quei luoghi, la bellezza dell’animazione e, soprattutto, il valore del mantenere una relazione con i bambini e le suore: tale relazione va al di là dei singoli viaggi, ma perdura nelle attività durante l’anno ed assume una continuità salda nel loro tornare. Alcune fotografie hanno dunque mostrato i volti di tali relazioni, i nomi di quei piccoli che i volontari stanno imparando a conoscere. Il percorso di questi mesi vorrebbe accompagnare le famiglie affinché possano prepararsi ad allargare la propria famiglia, a far fronte magari a situazioni nuove e a dare un significato a questi gesti; non si tratta di una formazione accademica, di contenuti e di spiegazioni, bensì di “un tempo” che le famiglie riservano per sé, per la propria crescita, per potersi aprire, per poter guardare più in profondità, per tirar fuori il bello che hanno da mettere in comunione. Questo ciò che Don Emilio Brozzoni vorrebbe promuovere in questi pochi incontri. Ringraziamo dunque tutte le famiglie che si sono affidate, che hanno voluto provare a sperimentarsi in un modo nuovo, che hanno accolto con entusiasmo misto a paure una proposta così inconsueta per l’estate e, soprattutto, le ringraziamo per la fiducia che stanno mettendo in gioco. Ricordiamo che il prossimo appuntamento del gruppo sarà martedì 13 marzo, alle 20,30, presso l’aula 5 dell’oratorio di Zogno.
Patty
Patty
SETTIMANA DI SAN GIOVANNI BOSCO 2012
La statua di San Giovanni Bosco, che lungo l’anno staziona nell’angolo destro del bar del nostro oratorio, defilata ma sempre vigile e in ascolto, nell’attesa di uno scampolo di sole, di un vociare allegro, di musica, di risate e richiami, di quell’indaffarato andirivieni dalla porta della cucina e da quella del cortiletto interno, quest’anno ha vissuto un’esperienza diversa: ha varcato i confini dell’oratorio uscendo persino dal cancello e dal sagrato! Ebbene sì, San Giovanni se n’è andato a bordo di un furgone ed è stato ospitato in un piccolo e caldo laboratorio, dove mani amorevoli e rispettose si sono prese cura di lui, del suo fisico un po’ trascurato, della sua pelle e del suo sorriso un po’ spenti, dei suoi abiti un po’ ingrigiti e scoloriti. Mica poteva presentarsi così ai suoi ragazzi, ai suoi atleti, a quell’appuntamento gioioso di domenica 29 gennaio, all’esordio della settimana a lui dedicata! Immaginiamo che la statua di don Bosco, insieme alla freschezza del restauro (per il quale si ringraziano di cuore Emanuel e Vico Carrara!) abbia acquistato anche la capacità di fare alcune riflessioni su come ha vissuto da protagonista questa settimana... Di sicuro si ritrova frastornato e di certo impreparato a tutte queste attenzioni, perché l’aspetto fisico, per gente della sua generazione, della sua estrazione sociale e dell’epoca in cui ha vissuto, è sempre stato l’ultimo dei pensieri. Invece si accorge che oggi è forse quello a cui si dà più importanza nelle relazioni umane, quello a cui tutti dedicano molto tempo lungo la giornata, spesso anche con molte fatiche e rinunce. E pensa che sia un poco svilente anteporre la corporeità alla spiritualità, considerare di più la comparsa delle rughe e dei chili di soprappeso rispetto al desiderio, insito in ogni uomo, di ricerca e dedizione al senso ultimo della propria vita. Così come non riesce a capacitarsi del fatto che le menti dei ragazzi e dei giovani, sono oggi facile preda d’interessi economici e lucrosi e condizionati a credere che l’aspetto estetico è il primario e forse unico modo, di porsi al mondo, all’altro. Il suo pensiero è sicuramente quello che il corpo è sacro, è tempio di Dio e come tale va trattato! Quindi il rispetto per la vita è il principio di ogni atteggiamento cristiano... È ben vero che per promuovere il benessere oggi, la dimensione del corpo aiuta a dare significato alle cose, così come è fondamentale anche il ruolo dello sport e dell’attività fisica; concetto che per altro lui stesso ha sempre sostenuto nella sua attività educativa. Tanto che esigeva che i direttori delle sue case stessero “fisicamente” in mezzo ai ragazzi in tutti i momenti, sia di studio, che di preghiera, che di gioco, che di attività fisica: quindi che fossero visibili, percepibili, incontrabili, famigliari. In un regime educativo fondato allora solo sull’autoritarismo, la disciplina non doveva essere ottenuta con il castigo, ma con la persuasione; e non aveva bisogno di “schieramenti” o “file indiane”, ma bastava l’assembramento intorno all’educatore. Quindi è stato felice di vedere arrivare, accompagnati dal suono della nostra Banda Musicale, la sfilata di atleti, che a passo atletico appunto, da Piazza Belotti ha raggiunto l’oratorio! Un’ allegra brigata capeggiata da Don Samuele e dall’assessore Donadoni Diego, con tanto di portatori della fiamma olimpica con la quale si è acceso al braciere che attendeva tutti quanti sugli spalti dell’oratorio; dopo qualche spunto di riflessione datoci anche dalla voce di Giovanni Paolo II, al quale è stato sempre a cuore il tema dello sport e degli sportivi, don Bosco, nel ringraziare mentalmente tutti coloro che hanno sfidato il freddo pungente del pomeriggio, si sarà però chiesto perché i gruppi sportivi erano così poco “numericamente” rappresentati nonostante i numerosi iscritti alle discipline. Un plauso grande va a tutti coloro (allenatori, dirigenti, arbitri, accompagnatori, massaggiatori, presidenti e collaboratori) spesso in vesti di volontari, che si impegnano per dare istruzione e sostegno concreto ai ragazzi nelle attività sportive, dando testimonianza, anzitutto, che nella vita si può e si deve dare più di quanto si riceve! Di queste concretezze hanno bisogno i nostri adolescenti oggi: “di vedere nell’adulto un “testimone”, anche in figura informale e neutra ma con un “nome e cognome”, di chi condivide con loro un pezzo di strada piuttosto di chi si limita ad indicargli un percorso. Oggi, una parte ridotta della rete sportiva è significativa sotto il profilo della qualità educativa, perché la parte più congrua della attività sportiva giovanile è piuttosto un fenomeno di consumo, una moda, una risposta ad una generica istanza salutista. E anche se lo sport non è la risposta finale ai problemi educativi (perché questo è un compito globale e complesso dentro una società globale e complessa), questo andrebbe condiviso con le altre diverse componenti sociali, in una sinergia di crescita e maturità. E se è vero che la rete educativa in teoria c’è, (nei 95.000 punti di attività in Italia messi a disposizione dello sport, tra club e società sportive), sarebbe bello che realmente, tutte si assumessero la responsabilità di offrire educazione, per”riempire” il tempo libero giovanile.” (Don Mazzi). A proposito: un augurio grande a Don Antonio Mazzi che per gravi problemi di salute non ha potuto presenziare alla sfilata e alla Messa di apertura della settimana per Don Bosco. Preghiamo tutti per lui e per una sua pronta guarigione, nella attesa della sua prossima visita alla nostra comunità e ai nostri studenti del Turoldo. Don Michele Falabretti ha celebrato l’eucaristia delle 18,00 con tutti i ragazzi, accompagnando in chiesa il nostro don Giovanni Bosco. Il lunedì sera, don Giuseppe Belotti, anch’egli reduce da un ricovero in ospedale e da una serie di controlli, analisi ed esami clinici, ha tenuto per i genitori, gli educatori e i catechisti, il secondo dei tre incontri previsti, dal tema “ADOLESCENZA, SFIDA EDUCATIVA”. Nulla di tutto ciò che dice ci è particolarmente nuovo, avendolo già incontrato più volte, ma anche dalle sue parole, come da quelle di don Bosco, emana sempre quel sentore di “amorevolezza”, pur nella più grande serietà e autorevolezza, che alla fine è ciò che i ragazzi e i giovani si aspettano dagli adulti! La relazione di autorità è possibile però solo se il ragazzo ha fiducia dell’adulto. E qui anche don Bosco riconosce che la principale sua opera preventiva educativa si basava nell’incoraggiare i ragazzi, senza annoiarli con obblighi, ma dimostrando loro che, senza la pace del cuore, non si può essere veramente felici; per lui, senza famigliarità con Dio, senza “religione”, non è possibile educare. “L’educazione - diceva - è cosa del cuore e Dio solo ne è padrone e non potremo riuscire a niente se Dio non ci dà la chiave di questi cuori. Soltanto il cattolico può con successo applicare un metodo preventivo”. Ricordiamoci che questa è stata la genialità di don Bosco, come ribadiva don Belotti: non basta amare, bisogna far vedere che si ama, renderlo percepibile, con un amore che si esterna a parole, atti, persino nella espressione degli occhi e del volto. Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi sappiano di essere amati. Esiste un filo rosso che unisce gli educatori, i genitori, gli insegnanti, nella loro funzione: la capacità di ascolto. E mai come oggi i ragazzi sentono il bisogno di chi li ascolta, senza giudicarli, senza sapere già cosa rispondere loro, solo ascoltarli veramente, con tutto il cuore! Se fossimo anche solo “artigiani” dell’ascolto, anziché “maestri” nel dire, promuoveremmo una relazione diversa: certo, l’ascolto esige TEMPO, ACCOGLIENZA, FIDUCIA, RISPETTO, LASCIARE SPAZIO, PAZIENZA, SPERANZA. È assurdo parlare ai giovani della strada verso Dio, se non la si conosce per esperienza personale, e don Bosco questo lo aveva capito e lo ha insegnato: Dio ha parlato per mezzo del Vangelo e oggi parla pure per mezzo della vita, il nuovo vangelo di cui noi stessi tutti i giorni scriviamo una pagina. Ma siccome la nostra fede è troppo debole e la nostra vita troppo umana, di rado riceviamo il messaggio di Dio... Anche mercoledì sera alla Messa delle 20,30 in onore del patrono del nostro oratorio, pochissime presenze... sereno e riconoscente lo stesso, Monsignor Carlo Mazza Vescovo di Fidenza, ha concelebrato con i sacerdoti del nostro vicariato. La nevicata abbondante, anche se prevista, ha reso le strade impraticabili e gli spostamenti difficoltosi. Di nuovo, don Giovanni Bosco presenzia alle Messe del sabato sera alle 18.00 con tutti i ragazzi delle medie e di domenica alle 11.00 con tutte le famiglie e i bimbi, alle quali seguono la cena e il pranzo in armonia e condivisione, con i giochi e le sfide tra grandi e piccoli... L’oratorio quindi, dimostra di poter essere una tessitura di reti tra famiglie, sacerdoti, educatori, animatori, catechisti; e luogo creativo di attenzione personale e famigliare. Un luogo di quotidianità, non di eccezionalità, un luogo che non deve più rispondere necessariamente a determinati bisogni (così come quando è nato, nell’800, per far fronte ad un’emergenza grave riguardante gli orfani e i poverissimi, impossibilitati all’istruzione gratuita e destinati allo sbaraglio i tutti i sensi). L’oratorio, nato come un’urgenza educativa, diventa ferialità educativa e spesso qui, insieme, si possono “costruire” progetti che trovano spazio e luogo di crescita. La sera, don Giovanni Bosco torna al suo posto, ricompare nell’angolo dell’oratorio, guardando negli occhi, come sempre, il ragazzino che gli fa compagnia. Ciò che gli sta maggiormente a cuore è far capire a ciascuno, come ogni adulto educatore dovrebbe desiderare di saper fare, che...”chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani”. Ragione, religione, amorevolezza, era il trinomio su cui don Bosco ha inteso fondare la sua opera preventiva. Era un uomo che sentiva tutto, afferrava tutto, rispondeva a tutto, attentissimo a quello che succedeva attorno a lui e nello stesso tempo si sarebbe detto che non badava a niente, che il suo pensiero fosse altrove... Ed era veramente così, era altrove, era con Dio! E aveva la parola esatta per tutti, così da meravigliare. Questa la sua vita di santità...
I catechisti
I catechisti
PATTINAGGIO ADOLESCENTI VALLARE E CARNEVALE
ACCOGLIAMO IN FAMIGLIA
2° appuntamento
Perché vi è venuto in mente di fare questa mattata?”, ha esordito Don Emilio Brozzoni, il sacerdote che ha iniziato il percorso di accompagnamento alle famiglie che quest’estate accoglieranno per un mese i bambini dell’orfanotrofio di Slanic Moldova. Alla base di ogni costruzione, di ogni fondamenta, di ogni progetto, sta l’idea, la motivazione, quella spinta che parte dal cuore: talvolta è una spinta silenziosa, poco consapevole, che non stiamo troppo ad indagare e interrogare; talaltra è un desiderio nato da bisogni evidenti, da considerazioni rispetto alla nostra vita, alla nostra storia. Don Emilio ha evidenziato come anche il solo mettere in comune, il semplice scambio reciproco, possa arricchire ognuno di noi: “Spezzare il pane, spezzare i motivi delle nostre scelte, condividere tutti questi pensieri... anche questa è Eucarestia!”. È stato questo il tema centrale della prima serata di formazione, tenutasi martedì 13 Marzo, queste le parole che hanno dato il “La” al timido mettersi in gioco, alla voglia di condividere, di farsi conoscere, di raccontare di sé. È emerso come i motivi principali di questa scelta siano legati non solo al voler fare qualcosa di buono per l’altro, ma soprattutto al voler donare un’esperienza significativa e di crescita anche alla propria famiglia; una mamma ha infatti espresso il suo desiderio di arricchimento con queste parole: “Ogni volta che ci siamo aperti ad accogliere qualcun’altro e abbiamo fatto spazio nella nostra casa, questa è stata per noi una grande ricchezza. Questa scelta, quindi, crediamo possa arricchire noi e i nostri figli”. “Pensiamo che sia una cosa utile per i nostri figli, forse ancor più che per i bambini che accoglieremo: loro, abituati a questa realtà ovattata, fatta a loro misura, che risponde a ogni loro bisogno... loro per primi hanno bisogno di imparare altri valori, nella concretezza dell’esperienza”, ha commentato un papà. E poi ancora, è emersa la voglia di comunicare qualcosa alle nostre comunità, ai nostri paesi di Valle, che spesso si chiudono allo straniero, che vivono con rabbia e paura il contatto con tutti coloro che appaiono diversi. La conoscenza poi, da parte di alcune famiglie, della storia dell’orfanotrofio in Romania, aggiornate ogni anno dalle visite dei volontari, coinvolte nelle raccolte fondi e nelle adozioni a distanza, ha permesso loro di affezionarsi a questa realtà: “Mi sembra già di conoscerli questi bimbi, la loro storia... mi sembra di volergli già bene!”. “Voler bene”, è l’ espressione del desiderio che l’altro stia bene, come il Padre vuole il bene dei propri figli: quali i presupposti per amare? Per riuscire a volere il bene dell’altro? Don Emilio ha evidenziato come per poter amare sia necessario saper amare se stessi: “solo quando scopriamo di essere delle belle persone, quando ci accorgiamo di avere dentro qualcosa di buono, allora si impara a donare”. Il sacerdote ha dunque proposto degli “esercizi”, piccoli accorgimenti per aiutare a riconoscere in se stessi le cose buone, le cose positive, che aiutano ad apprezzarsi e a cogliere come dentro di ognuno ci sia tanto da donare agli altri. Riconoscere nella propria moglie, nel proprio marito, nei figli e nei genitori, le cose belle e le azioni positive, aiuta a far circolare il bene: questo è il centro di tutto, questo è il bisogno più grande che i bambini che arriveranno dalla Romani il prossimo giugno porteranno. Amare con i gesti, con le parole, con l’accoglienza silenziosa sarà il più grande annuncio (ben più significativo di ogni predica) che Dio ci vuole bene e che ognuno di noi è degno di amore. Ricordiamo che il prossimo appuntamento del gruppo sarà venerdì 13 aprile, alle 20.30, presso l’aula 5 dell’oratorio di Zogno guidato da don Emilio Brozzoni e don Samuele.
Patty
Patty
LABORATORIO DEL PANE
Nei venerdì 9 e 16 marzo, i bambini di 2ª e 3ª elementare e quelli di 4ª e 5ª elementare, hanno vissuto i loro ritiri quaresimali, iniziati con la preghiera nella chiesetta delle Suore di Clausura, dove hanno lodato e ringraziato il Signore per tutte le cose belle che ci ha donato, per i genitori e le persone che vogliono loro bene. Dopo il gesto del grazie il don ha letto il Vangelo di Giovanni della “moltiplicazione dei pani e dei pesci”, brano che ci accompagna in questa quaresima e, a lungo, abbiamo riflettuto sul valore del pane e sul suo significato. In avvento abbiamo scoperto cos’è il pane, come si prepara, quanto è importante, quanto è buono: “buono come il pane”. Gesù è come il pane, si offre a noi, si lascia spezzare e mangiare perché nutrendoci di Lui abbiamo la possibilità si somigliargli e di fare della nostra vita un dono per gli altri proprio come Lui ha fatto per noi. Ora in quaresima, impariamo a condividere questo pane, a consumarlo insieme, ad essere consapevoli che il pane benedetto in tavola, spezzato, condiviso e consumato ci insegna a vivere da fratelli e sederci alla stessa tavola ci rende un’unica famiglia. Poi il ritiro è continuato in Oratorio dove i bambini hanno imparato a impastare e a cuocere il pane. Il bar, per un giorno, è diventato uno spazio riservato a loro, ai genitori e ai catechisti che hanno partecipato a questo laboratorio del pane per ritrovare quella gioia e serenità che nasce in tutti noi quando stiamo insieme. È stato un momento bellissimo, all’insegna del divertimento per i più piccoli e un modo in più per imparare insieme i valori della condivisione e della comunione grazie a un simbolo speciale come il pane. I bambini sono stati liberi di preparare la loro pagnottella così da stimolare la loro creatività e condividere la serenità e l’efficacia di un momento davvero unico. Per questo dobbiamo ringraziare Davide, il nostro amico fornaio che è stato per tutto il tempo con i bambini facendo loro vedere non solo come impastare ma anche comunicando loro la gioia di fare questo mestiere nobile e antico. Dopo esserci ripuliti ben bene siamo andati in Chiesa per la S. Messa e alla fine, prima delle benedizione, Davide ci ha portato una bella cesta piena dei nostri panini caldi e fragranti: ogni bambino ha portato a casa il suo panino per condividerlo con i genitori nel pasto serale.
Angela |
In arrivo il CRE 2mila12
PASSPARTÚ dì soltanto una parola
IL TEMA
Il CRE di quest’anno gira intorno all’intenzione educativa di dare valore alla parola, perché non possiamo nascondere che c’è un’emergenza educativa che riguarda anche il tema della comunicazione. Per qualcuno la parola è obsoleta: è una forma comunicativa largamente superata dalle immagini e dalla tecnologia. Ne siamo così sicuri? I linguaggi per comunicare sono molti. È però attraverso la parola che possiamo dare corpo a pensieri e immaginazione; esplicitare e comunicare quello che ciascuno ha vissuto o porta nel cuore. Gli animali comunicano, ma solo gli uomini parlano. È con la parola che possiamo entrare dappertutto (passepartout, appunto): nel nostro cuore, per dare un nome ai sentimenti e consistenza ai pensieri; nel cuore delle cose, per usare le parole giuste e adatte; nel cuore degli altri, per costruire relazioni buone e positive; nel cuore di Dio, se impariamo a capire quando e come ci fa arrivare la sua parola. Non funziona automaticamente. Occorre averne cura, altrimenti non si entra da nessuna parte e riempiamo il mondo di tanti bla bla che creano disordine, rumore, confusione. Una parola al posto giusto rende la vita più bella e stiamo tutti molto meglio. Noi esistiamo grazie alle parole: abbiamo capito di esserci, proprio quando qualcuno ha cominciato a rivolgersi a noi, a chiamarci, a dire qualcosa di noi e del mondo. Trent’anni fa, il cardinal Martini scriveva la sua prima lettera pastorale intitolata “In principio la parola” e nell’introduzione diceva: È stata la Parola per prima a rompere il silenzio, a dire il nostro nome, a dare un progetto alla nostra vita. È in questa parola che il nascere e il morire, l’amare e il donarsi, il lavoro e la società, hanno un senso ultimo e una speranza. È grazie a questa Parola che io sono qui e tento di esprimermi. “Nella tua luce vediamo la luce” (Sal 35,10). Non è una riflessione nata a caso: il cristianesimo presenta la figura di Gesù come Parola di Dio offerta agli uomini; essi non sono semplicemente di fronte alla novità di Dio che offre parole al suo popolo. La novità vera è nella sua figura: in lui Dio è anche voce e presenza in prima persona. Parole buone non sono solo quelle eleganti. Parole buone sono quelle che sanno raccontare il bene ricevuto, il sogno di una vita buona per tutti. Non si tratterà, quindi, solo di insegnare ai ragazzi a “non dire le parolacce”, ma di aiutarli a trovare quelle parole che permettono di costruire il mondo. Per questo l’estate continuerà ad essere una grande occasione educativa.
Cari genitori, il CRE, che quest’anno viene proposto dalla nostra diocesi, porta il titolo di PASSPARTÙ ed è centrato sul valore e sull’uso della Parola. È evidente che tutto questo non vuole essere un impegno circoscritto solo per il CRE ma anche per il nostro intero vissuto quotidiano. Come adulti siamo chiamati, in ogni circostanza, a prenderci cura dei più piccoli (bambini e ragazzi). Questo modo di “lavorare”, per creare relazioni “buone”, non ci chiede altro che “esserci con stile” nel nostro ruolo di animatore-educatore: educando con la parola, correggendo con la parola, invitando a giocare con la parola, ammonendo con la parola e aggiungerei... con la Parola Buona dell’evangelo e quindi: ferma, appassionata e responsabile oltre che con l’azione. Tale consiglio lo estendo a tutti gli animatori: adolescenti, giovani e genitori che generosamente regalano il loro tempo per questo prezioso servizio. Vi ringrazio già da ora, anche a nome di tutta la comunità. Ai ragazzi e agli animatori rivolgo un forte augurio di vivere questo tempo di CRE come un tempo di “grazia”, dove crescere umanamente e spiritualmente, impastandovi generosamente e con responsabilità nelle tantissime relazioni e amicizie che nasceranno e che già ora vivete. Ai genitori mi permetto di chiedere un sincero sostegno nell’accompagnare gli adolescenti che si mettono in gioco come animatori: essi hanno, comunque e sempre, bisogno di regole, di fermezza, di comprensione ma, soprattutto di fiducia; aiutiamoli a prendere le loro responsabilità, non come un onere gravoso ma, con entusiasmo e coerenza. RIPONIAMO IN LORO LA FIDUCIA CHE SI MERITANO! Il rischio di evitare loro le fatiche è quello di condannarli ad essere eterni bambini! Qualora doveste notare che qualche animatore giovane osi atteggiamenti non appropriati per il ruolo che con FIDUCIA gli viene affidato, non esitate ad intervenire subito, ma sempre con tenerezza e fermezza (ammonire e aiutare i nostri adolescenti ad essere più maturi e responsabili nel loro servizio è nostro compito!). Saremo insieme con loro per sostenerli e correggerli senza la pretesa, però, di “insegnare loro il mestiere”: le capacità le hanno, anche, se a volte, vedo poca perseveranza e poco impegno nel servizio. Vi raccomando di non perdere tempo in chiacchiere per qualcosa che potrebbe non andare per il verso giusto: inconvenienti, problemi organizzativi... parlatemi con mitezza e chiarezza, sarò disponibile all’ascolto! Con questa vostra disponibilità, il regalo che faremo ai ragazzi sarà di aiutarli a crescere come uomini e donne responsabili. Cari genitori l’invito è quello di lasciarvi coinvolgere in questa avventura, la vostra parola buona e preziosa potrà essere ben spesa nel vostro impegno per qualche giorno all’interno del CRE. Grazie di cuore.
don Samuele Novali
Il CRE di quest’anno gira intorno all’intenzione educativa di dare valore alla parola, perché non possiamo nascondere che c’è un’emergenza educativa che riguarda anche il tema della comunicazione. Per qualcuno la parola è obsoleta: è una forma comunicativa largamente superata dalle immagini e dalla tecnologia. Ne siamo così sicuri? I linguaggi per comunicare sono molti. È però attraverso la parola che possiamo dare corpo a pensieri e immaginazione; esplicitare e comunicare quello che ciascuno ha vissuto o porta nel cuore. Gli animali comunicano, ma solo gli uomini parlano. È con la parola che possiamo entrare dappertutto (passepartout, appunto): nel nostro cuore, per dare un nome ai sentimenti e consistenza ai pensieri; nel cuore delle cose, per usare le parole giuste e adatte; nel cuore degli altri, per costruire relazioni buone e positive; nel cuore di Dio, se impariamo a capire quando e come ci fa arrivare la sua parola. Non funziona automaticamente. Occorre averne cura, altrimenti non si entra da nessuna parte e riempiamo il mondo di tanti bla bla che creano disordine, rumore, confusione. Una parola al posto giusto rende la vita più bella e stiamo tutti molto meglio. Noi esistiamo grazie alle parole: abbiamo capito di esserci, proprio quando qualcuno ha cominciato a rivolgersi a noi, a chiamarci, a dire qualcosa di noi e del mondo. Trent’anni fa, il cardinal Martini scriveva la sua prima lettera pastorale intitolata “In principio la parola” e nell’introduzione diceva: È stata la Parola per prima a rompere il silenzio, a dire il nostro nome, a dare un progetto alla nostra vita. È in questa parola che il nascere e il morire, l’amare e il donarsi, il lavoro e la società, hanno un senso ultimo e una speranza. È grazie a questa Parola che io sono qui e tento di esprimermi. “Nella tua luce vediamo la luce” (Sal 35,10). Non è una riflessione nata a caso: il cristianesimo presenta la figura di Gesù come Parola di Dio offerta agli uomini; essi non sono semplicemente di fronte alla novità di Dio che offre parole al suo popolo. La novità vera è nella sua figura: in lui Dio è anche voce e presenza in prima persona. Parole buone non sono solo quelle eleganti. Parole buone sono quelle che sanno raccontare il bene ricevuto, il sogno di una vita buona per tutti. Non si tratterà, quindi, solo di insegnare ai ragazzi a “non dire le parolacce”, ma di aiutarli a trovare quelle parole che permettono di costruire il mondo. Per questo l’estate continuerà ad essere una grande occasione educativa.
Cari genitori, il CRE, che quest’anno viene proposto dalla nostra diocesi, porta il titolo di PASSPARTÙ ed è centrato sul valore e sull’uso della Parola. È evidente che tutto questo non vuole essere un impegno circoscritto solo per il CRE ma anche per il nostro intero vissuto quotidiano. Come adulti siamo chiamati, in ogni circostanza, a prenderci cura dei più piccoli (bambini e ragazzi). Questo modo di “lavorare”, per creare relazioni “buone”, non ci chiede altro che “esserci con stile” nel nostro ruolo di animatore-educatore: educando con la parola, correggendo con la parola, invitando a giocare con la parola, ammonendo con la parola e aggiungerei... con la Parola Buona dell’evangelo e quindi: ferma, appassionata e responsabile oltre che con l’azione. Tale consiglio lo estendo a tutti gli animatori: adolescenti, giovani e genitori che generosamente regalano il loro tempo per questo prezioso servizio. Vi ringrazio già da ora, anche a nome di tutta la comunità. Ai ragazzi e agli animatori rivolgo un forte augurio di vivere questo tempo di CRE come un tempo di “grazia”, dove crescere umanamente e spiritualmente, impastandovi generosamente e con responsabilità nelle tantissime relazioni e amicizie che nasceranno e che già ora vivete. Ai genitori mi permetto di chiedere un sincero sostegno nell’accompagnare gli adolescenti che si mettono in gioco come animatori: essi hanno, comunque e sempre, bisogno di regole, di fermezza, di comprensione ma, soprattutto di fiducia; aiutiamoli a prendere le loro responsabilità, non come un onere gravoso ma, con entusiasmo e coerenza. RIPONIAMO IN LORO LA FIDUCIA CHE SI MERITANO! Il rischio di evitare loro le fatiche è quello di condannarli ad essere eterni bambini! Qualora doveste notare che qualche animatore giovane osi atteggiamenti non appropriati per il ruolo che con FIDUCIA gli viene affidato, non esitate ad intervenire subito, ma sempre con tenerezza e fermezza (ammonire e aiutare i nostri adolescenti ad essere più maturi e responsabili nel loro servizio è nostro compito!). Saremo insieme con loro per sostenerli e correggerli senza la pretesa, però, di “insegnare loro il mestiere”: le capacità le hanno, anche, se a volte, vedo poca perseveranza e poco impegno nel servizio. Vi raccomando di non perdere tempo in chiacchiere per qualcosa che potrebbe non andare per il verso giusto: inconvenienti, problemi organizzativi... parlatemi con mitezza e chiarezza, sarò disponibile all’ascolto! Con questa vostra disponibilità, il regalo che faremo ai ragazzi sarà di aiutarli a crescere come uomini e donne responsabili. Cari genitori l’invito è quello di lasciarvi coinvolgere in questa avventura, la vostra parola buona e preziosa potrà essere ben spesa nel vostro impegno per qualche giorno all’interno del CRE. Grazie di cuore.
don Samuele Novali
ACCOGLIAMO IN FAMIGLIA
3° appuntamento
Serata di formazione 13 aprile 2012
Ciò che alcune famiglie di Zogno vivranno quest’estate può definirsi una “piccola esperienza”, in termini di tempo, ma nella consapevolezza che nella vita sono i piccoli avvenimenti che segnano, che rimangono incisi nella nostra storia e che le danno significato. Anche la conoscenza iniziale tra un uomo e una donna può essere un evento semplice, breve, che poi assume una forma, un senso... ma può cambiare radicalmente la vita, nella scelta del fidanzamento, dell’essere coppia, dell’essere famiglia. La decisione dell’aprirsi all’accoglienza in una famiglia è indizio di quella fecondità, di quel senso di paternità e di maternità che non si spegne con il procreare figli e che non si limita a questo: tali istinti si esprimono già nelle prime fasi dello sviluppo, nel bambino che, a pochi mesi, cerca di imboccare la mamma, nell’amico che sostiene l’altro nelle difficoltà, nel prendersi cura, nel dare attenzione, nel voler bene all’altro. Il desiderio di aprire la propria casa diviene quindi segno evidente di una maternità e di una paternità che sono ancora svegli: tale dono di Dio, di cui spesso non ci rendiamo nemmeno conto, rende la persona generativa, feconda, capace di donare la vita, capace di dare amore. Il nascere, infatti, non è solo fisico: il dono, la generatività stanno nel ridonare ogni giorno la vita, nel donare amore e nel farlo circolare: far circolare il bene genera altro bene! Se una persona si sente amata e accolta, allora percepisce in sé di essere degna di amore: solo allora sarà portato ad amare a sua volta, a far circolare il bene ricevuto, poiché un bimbo che si sente benvoluto impara a sua volta a voler bene. Cristo ama l’uomo, Dio è Padre di tutti, generatore, donatore di vita e d’amore; i figli di Dio percepiscono l’Amore del Padre nel Cristo, e sono chiamati, a loro volta, a donarlo al prossimo: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi... tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Don Emilio evidenzia come Dio è proprio lì, nel più piccolo e fragile, e ogni volta che noi vogliamo bene a una creatura, dimostriamo che Dio c’è, che ama attraverso ognuno di noi: ciò non significa che l’amare l’altro, l’aprirsi al diverso sia facile e non porti con sé delle paure, delle insicurezze, ma questo fa parte del gioco della vita. Il semplice condividere tali timori con un gruppo, con una rete di supporto, con persone vicine potrà lenire tali preoccupazioni. Come ci poniamo dunque di fronte a questi bambini che arriveranno tra soli due mesi? Quali paure? Quali aspettative? Dal confronto emerge come la preoccupazione della lingua sia comune a tanti, nella consapevolezza comunque che ciò che conta sarà la lingua del cuore, dei gesti, dei segni di affetto. Le preoccupazioni rispetto al ritorno di questi bambini poi sono diverse: la fatica personale della separazione, le difficoltà del riadattarsi al contesto dell’orfanotrofio che il bambino potrà vivere, il senso di mancanza, la paura della solitudine e della sofferenza che i bambini potrebbero poi sperimentare una volta tornati in Romania. I volontari hanno cercato di rassicurare le famiglie sottolineando come i bambini vivano in un contesto sostanzialmente positivo, non di deprivazione, ma di dignità e di amore: certo, non è il contesto di una famiglia, ma le suore che si prendono cura quotidianamente di questi minori assumono il ruolo di mamme amorevoli, che seguono con affetto grande questi piccoli. Ciprian, un ragazzo che ha vissuto fino a qualche anno fa in quel contesto e che attualmente vive a Zogno in cerca di lavoro, ha poi portato la sua esperienza rispondendo a queste questioni: lui stesso ha vissuto l’esperienza della vacanza presso una famiglia che vive in provincia di Bergamo diversi anni fa e ha raccontato come, una volta tornato in Romania, attendesse una telefonata, una lettera, qualche segnale di attesa, di affetto; ha dunque pregato le famiglie di non sparire una volta che i bambini saranno tornati a casa, ma di mostrare il proprio interesse a mantenere la relazione, scrivendo o chiamando direttamente il bambino (qualora questo sia possibile) o anche solo mantenendo i contatti con le suore, che sono gli adulti che loro hanno come riferimento. Ciò che potrà aiutare i bambini a vivere bene l’esperienza e a tornare il più possibile serenamente a Slanic Moldova potrà essere il mantenere uno stile sobrio, abbracciando una quotidianità fatta di essenzialità (comunque dignitosa) con i propri figli, che non si fondi sui “voglio”.Inutile poi ribadire che nonostante si tratti di un’esperienza breve, il bene e l’amore che una persona riceve lo accompagnerà per sempre, andando a costituire il suo bagaglio di affetti. Mantenere il legame, poi, non potrà che far continuare quel bene, rinnovarlo, farlo rivivere.
Patty
Ciò che alcune famiglie di Zogno vivranno quest’estate può definirsi una “piccola esperienza”, in termini di tempo, ma nella consapevolezza che nella vita sono i piccoli avvenimenti che segnano, che rimangono incisi nella nostra storia e che le danno significato. Anche la conoscenza iniziale tra un uomo e una donna può essere un evento semplice, breve, che poi assume una forma, un senso... ma può cambiare radicalmente la vita, nella scelta del fidanzamento, dell’essere coppia, dell’essere famiglia. La decisione dell’aprirsi all’accoglienza in una famiglia è indizio di quella fecondità, di quel senso di paternità e di maternità che non si spegne con il procreare figli e che non si limita a questo: tali istinti si esprimono già nelle prime fasi dello sviluppo, nel bambino che, a pochi mesi, cerca di imboccare la mamma, nell’amico che sostiene l’altro nelle difficoltà, nel prendersi cura, nel dare attenzione, nel voler bene all’altro. Il desiderio di aprire la propria casa diviene quindi segno evidente di una maternità e di una paternità che sono ancora svegli: tale dono di Dio, di cui spesso non ci rendiamo nemmeno conto, rende la persona generativa, feconda, capace di donare la vita, capace di dare amore. Il nascere, infatti, non è solo fisico: il dono, la generatività stanno nel ridonare ogni giorno la vita, nel donare amore e nel farlo circolare: far circolare il bene genera altro bene! Se una persona si sente amata e accolta, allora percepisce in sé di essere degna di amore: solo allora sarà portato ad amare a sua volta, a far circolare il bene ricevuto, poiché un bimbo che si sente benvoluto impara a sua volta a voler bene. Cristo ama l’uomo, Dio è Padre di tutti, generatore, donatore di vita e d’amore; i figli di Dio percepiscono l’Amore del Padre nel Cristo, e sono chiamati, a loro volta, a donarlo al prossimo: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi... tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Don Emilio evidenzia come Dio è proprio lì, nel più piccolo e fragile, e ogni volta che noi vogliamo bene a una creatura, dimostriamo che Dio c’è, che ama attraverso ognuno di noi: ciò non significa che l’amare l’altro, l’aprirsi al diverso sia facile e non porti con sé delle paure, delle insicurezze, ma questo fa parte del gioco della vita. Il semplice condividere tali timori con un gruppo, con una rete di supporto, con persone vicine potrà lenire tali preoccupazioni. Come ci poniamo dunque di fronte a questi bambini che arriveranno tra soli due mesi? Quali paure? Quali aspettative? Dal confronto emerge come la preoccupazione della lingua sia comune a tanti, nella consapevolezza comunque che ciò che conta sarà la lingua del cuore, dei gesti, dei segni di affetto. Le preoccupazioni rispetto al ritorno di questi bambini poi sono diverse: la fatica personale della separazione, le difficoltà del riadattarsi al contesto dell’orfanotrofio che il bambino potrà vivere, il senso di mancanza, la paura della solitudine e della sofferenza che i bambini potrebbero poi sperimentare una volta tornati in Romania. I volontari hanno cercato di rassicurare le famiglie sottolineando come i bambini vivano in un contesto sostanzialmente positivo, non di deprivazione, ma di dignità e di amore: certo, non è il contesto di una famiglia, ma le suore che si prendono cura quotidianamente di questi minori assumono il ruolo di mamme amorevoli, che seguono con affetto grande questi piccoli. Ciprian, un ragazzo che ha vissuto fino a qualche anno fa in quel contesto e che attualmente vive a Zogno in cerca di lavoro, ha poi portato la sua esperienza rispondendo a queste questioni: lui stesso ha vissuto l’esperienza della vacanza presso una famiglia che vive in provincia di Bergamo diversi anni fa e ha raccontato come, una volta tornato in Romania, attendesse una telefonata, una lettera, qualche segnale di attesa, di affetto; ha dunque pregato le famiglie di non sparire una volta che i bambini saranno tornati a casa, ma di mostrare il proprio interesse a mantenere la relazione, scrivendo o chiamando direttamente il bambino (qualora questo sia possibile) o anche solo mantenendo i contatti con le suore, che sono gli adulti che loro hanno come riferimento. Ciò che potrà aiutare i bambini a vivere bene l’esperienza e a tornare il più possibile serenamente a Slanic Moldova potrà essere il mantenere uno stile sobrio, abbracciando una quotidianità fatta di essenzialità (comunque dignitosa) con i propri figli, che non si fondi sui “voglio”.Inutile poi ribadire che nonostante si tratti di un’esperienza breve, il bene e l’amore che una persona riceve lo accompagnerà per sempre, andando a costituire il suo bagaglio di affetti. Mantenere il legame, poi, non potrà che far continuare quel bene, rinnovarlo, farlo rivivere.
Patty
VIA CRUCIS 2012
3ª media
Un grazie va anche alle persone delle varie contrade, che negli altri venerdì di quaresima hanno partecipato numerose, dedicandosi anche alla preparazione attenta delle piccole stazioni di sosta. Così come ringraziamo don Angelo, per aver dato “ascolto ai giovani”, che dicevano di uscire con la processione del Cristo Morto, il venerdì santo, perché non avrebbe piovuto! E così è stato!
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In questo numero del notiziario, l’occasione di riparlare della classe terza media di catechismo, ci viene data dalla rappresentazione della Via Crucis che essi hanno interpretato la sera del 30 marzo. E ci viene spontaneo fare un passo indietro, ai primi di gennaio, quando si sono vissuti i tre giorni ad Assisi... Sicuramente un appuntamento ben strutturato, curato e proficuo per i ragazzi e per noi che li accompagniamo; nel senso che tutto il percorso di conoscenza reciproca che si mette in atto in prima e seconda media (al di là del programma indicato dalla diocesi e dal catechismo e riferito all’ultimo sacramento dell’iniziazione cristiana che è la Cresima o Confermazione) trova, con il viaggio ad Assisi, una sua particolarissima forma di esplicitazione, che non emerge in nessun altra occasione di “convivenza”. Vuoi per la lontananza da casa, dal quotidiano e dalla sicurezza famigliare; vuoi per l’improvvisa occasione di “esibire” la propria indipendenza per dimostrare a se stessi e ai compagni che ci si sa gestire nel viaggio, nel soggiorno, nelle notti in ambienti nuovi; vuoi per l’atmosfera specialissima di cui Assisi è intrisa, come un profumo soave di serenità e pace per l’anima. Queste sensazioni amplificano, spesso senza che ce ne accorgiamo, quelle dinamiche di coinvolgimento personale che permettono e facilitano un approfondimento delle relazioni personali con gli altri: con il compagno di poltrona sul pullman, con i compagni di camera (compreso l’adulto), con i vicini a tavola, negli spostamenti a piedi, nel gioco e nelle sfide di intrattenimento, nei tantissimi momenti di silenzio, riflessione, raccoglimento spirituali. Nelle ore di prove precedenti la Via Crucis di venerdì, di spirituale c’è stato gran poco! Ma tra le righe, tornavano quelle dinamiche che dicevamo prima: i ragazzi sapevano perfettamente che erano chiamati a fare qualcosa di davvero importante e impegnativo, che coinvolgeva essi stessi, le catechiste, le famiglie invitate, qualcosa di veramente “loro”, per la comunità. Di fatto, quella sera, dopo la baraonda iniziale della vestizione, (pur avendo preparato in anticipo tutti gli abiti e gli accessori per ciascuno dei personaggi) una volta in chiesa è accaduto che il silenzio e la concentrazione abbiano avvolto gli animi di tutti, anche dei più irrequieti. L’atmosfera creatasi ha reso tutto molto commovente e si è visto chiaramente il loro impegno. Dobbiamo dire che non avendo mai fatto nessuna prova con i microfoni accesi e posizionati, quella sera qualcosa non ha funzionato a dovere lasciando così le loro voci, nei dialoghi delle stazioni, prive di sonoro. Forse si è udito nei primi banchi, ma nel resto della chiesa, per altro gremita, si è potuto solo immaginare ciò che si sono detti... Peccato! Si è comunque capito, ed è stato spiegato anche da don Samu, che in ogni stazione San Francesco raccontava di sé, della sua vocazione, della sua scelta di vita nella sequela di Gesù, accanto ai poveri, ai lebbrosi, ai sofferenti e agli emarginati. Aiutandoci a meditare sugli ultimi passi di Gesù verso la croce: quello che dovremmo e potremmo fare tutti noi, imparando a portare dietro a Lui, la nostra! Speriamo di aver trasmesso alle famiglie presenti la disposizione d’animo necessaria per condividere davvero con Cristo il momento atroce della sua condanna e morte in croce... “convinti che colui che ha resuscitato il Signore Gesù, resusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a Lui...” (2a lett. ai Cor.) Tutti coloro che si sono offerti per l’acquisto del tessuto e la confezione e realizzazione di tutte le nuove tuniche dei San Francesco e delle Santa Chiara, ricevono da queste pagine il nostro più affettuoso ringraziamento, così come ringraziamo tutti coloro che con la presenza e la preghiera hanno dato valore e importanza a questo momento. E grazie ovviamente ai nostri ragazzi! Con affetto,
le catechiste |
TUTTI INSIEME PER… GIOVANNI PAOLO II
Con la giornata del Lunedì dell’Angelo, ha chiuso i battenti la MOSTRA DI PITTURA dedicata a Giovanni Paolo II, inaugurata presso il Santuario della Madonna del Carmine poco prima di Natale, il 23 dicembre e continuata poi presso la Chiesa della Confraternita a fianco della Parrocchiale dal 22 gennaio. L’idea di coinvolgere i pittori e gli artisti locali, indirizzandoli al tema della persona affascinante di Giovanni Paolo II, è venuta al Gruppo Giovani dell’oratorio per allargare gli spunti di conoscenza e approfondimento da offrire anche agli appassionati di arte: tutto all’interno del Progetto “TUTTI INSIEME PER... GIOVANNI PAOLO II”, nato con il famoso Concerto estivo in oratorio e proseguito con i “COLLOQUI ITINERANTI” in alcune sedi parrocchiali della diocesi bergamasca e dei quali abbiamo riportato ampie riflessioni con argomenti e ospiti intervenuti. I visitatori sono accorsi numerosi (quasi 600) ponendo le loro firme sul registro presenze e omaggiando così della loro visita e anche dei loro acquisti, gli artisti esponenti. Vogliamo ringraziare pubblicamente da queste pagine tutti i pittori e gli artisti del Circolo Artisti brembani che hanno aderito all’iniziativa, pur con il poco preavviso! Scopo dell’iniziativa e messa in vendita delle opere, voleva anche essere la raccolta di fondi da destinare alla ristrutturazione urgente della chiesa di Foppa o meglio della NATIVITA’ DI MARIA VERGINE: l’affresco del 400 raffigurante la “Beata Vergine che allatta il Bambino”, mentre viene incoronata da due angeli, è uno dei tanti preziosi tesori, insieme a tele e bassorilievi antichissimi e a vari arredi sacri. Il passaggio dell’antica strada Priula sotto il porticato e poi il passaggio a monte della strada Regia ad opera degli austriaci, hanno letteralmente “stretto d’assedio” la chiesa: l’attuale sede stradale poi, allargata e sopraelevata per sostenere i ritmi sempre più esigenti del passaggio di autoveicoli, hanno costretto il nostro monumento a ricevere, ahimè, tutte le sollecitazioni e infiltrazioni d’acqua che sono sopraggiunte negli anni, deteriorandola così gravemente: a riprova di quanto la chiesa sta sopportando da tempo, sono state esposte all’interno della mostra le fotografie recentissime di quello che stanno procurando in termini di ammaloramento. Un monumento così importante è assolutamente da salvare! La vendita di alcune opere e le offerte per la mostra dunque, hanno permesso di ricavare, al netto delle spese di rappresentanza e di cancelleria, la somma di € 1.200,00. Don Angelo ci ha informati dell’apertura di un conto corrente specifico sul quale già compare una piccola somma destinata alle opere di risanamento e recupero della nostra chiesina, così importante per la sua storia e per la comunità di Zogno. L’apertura della mostra, nelle giornate del sabato e della domenica negli orari delle sante messe, è stata curata dai pittori medesimi, che si sono presi davvero a cuore l’impegno. Crediamo di non aver sfruttato al meglio, secondo le regole di mercato odierne, l’organizzazione dell’intera mostra: ma per essere la prima esperienza del genere, ci riteniamo soddisfatti del successo e del ricavato! Di nuovo ringraziamo tutti coloro che si sono prestati per la buona riuscita dell’evento e coloro che hanno ospitato di buon grado l’iniziativa!
Il Gruppo Giovani dell’oratorio
Il Gruppo Giovani dell’oratorio
CARI GENITORI...
Il mese di maggio è particolare per me, è carico d’impegni (pianificare il CRE, la sagra... e la scuola richiede più tempo); è il mese in cui si sente anche un po’ la stanchezza fisica, è il mese delle celebrazioni dei primi sacramenti dei bambini e ragazzi, è il mese di transizione tra il periodo pastorale e quello ricreativo estivo, è tempo dei primi bilanci. È il mese di Maria, presenza quotidiana e fondamentale per il mio ministero. Maria e Giuseppe sono le due figure che in questi ultimi mesi mi accompagnano costantemente nella mia crescita spirituale e nella mia formazione personale, nel ruolo di educatore che il mio ministero mi porta a compiere. Come già ho scritto in un precedente articolo, con l’intera comunità di Zogno, con i bambini, i ragazzi e gli adulti, sto crescendo anch’io. Sto scoprendo quotidianamente “chi sono” e come il Signore desidera che “io sia” per essere un prete felice. Le figure di Giuseppe e Maria mi richiamano costantemente alla memoria le figure determinanti nella mia educazione, sia morale che spirituale: papà e mamma. Due presenze discrete e silenziose, forti e determinate, ma soprattutto coerenti nella consegna della speranza e della fiducia in quel Dio che per loro è sempre stato il punto fermo per la mia educazione. Da piccolissimo mi hanno presentato al Signore, consapevoli che ogni figlio è innanzitutto figlio e dono di Dio: da allora mi accompagnano costantemente, non mi hanno mai “perso di vista”. Ho avuto la fortuna di incontrare diverse guide spirituali, ma la matrice di fede che i “miei” mi hanno impresso è stata significativa per la mia crescita e le mie scelte, per il mio essere uomo e sacerdote. Lo scorso autunno, in occasione dell’apertura dell’anno pastorale 2011/12, con una lettera ho cercato di invitare e incoraggiare alcune mamme, e perché no, alcuni papà, a sperimentare la condivisione del cammino di accompagnamento alla preparazione ai sacramenti dei propri figli. Mi ritrovo anch’io sulla stessa linea che i partecipanti al Convegno regionale dei catechisti, vescovi, sacerdoti e laici, tenuto a Caravaggio il 21 Aprile scorso, hanno convenuto: L’ANNUNCIO SENZA LA FAMIGLIA COINVOLTA RENDE FITTIZIO IL CAMMINO DEI RAGAZZI: “SE VUOI CHE TUO FIGLIO SIA CRISTIANO, DEVI ESSERLO ANCHE TU”. IL CATECHISMO RIPARTE IN CASA. L’argomento specifico che i catechisti lombardi dovevano discutere è stato l’“Iniziazione cristiana dei ragazzi e rievangelizzazione degli adulti”, con particolare attenzione alla famiglia come luogo della trasmissione della fede. Le convinzioni emerse dai partecipanti del convegno sono che:
• il coinvolgimento delle famiglie è essenziale
• la catechesi da sola non può fare tutto; il contributo dei catechisti è efficace solo laddove anche il genitore collabora e si occupa del figlio
• il fulcro del rinnovamento catechistico sta nel costruire e recuperare la collaborazione educativa con gli adulti della famiglia, sia genitori che nonni.
Mi permetto di rendere mie le parole del vescovo di Brescia ricordando che «i contenuti dottrinali sono comunicati dagli organi parrocchiali, ma l’annuncio di un incontro che cambia la vita è opera della famiglia». SOLO GESÙ È COLUI CHE TI CAMBIA LA VITA, MA NON AGISCE DA SOLO, HA BISOGNO DI COLLABORATORI. Senza la famiglia con le sue motivazioni e il suo sostegno, noi sacerdoti e i catechisti possiamo fare ben poco. Incontri pensati e programmati, attività pratiche, laboratori liturgici, proposte nuove e allettanti... servono a poco se non sono sorrette dalla credibilità e dalla risonanza che gli adulti presentano coerentemente ai piccoli. Sia a Cremona che a Milano, si sta da tempo sperimentando l’accompagnamento dei genitori alla preparazione ai sacramenti dei propri figli e alla loro crescita spirituale. Nella diocesi di Brescia l’accompagnamento dei genitori nel cammino catecumenale dei figli è obbligatorio da ben nove anni. Nelle parrocchie è stato avviato un nuovo modello di catechesi per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi. Nel primo anno sono previsti solo incontri con i genitori che poi negli anni seguenti, in collaborazione con i catechisti, accompagnano i figli nelle varie «tappe». Il contributo dei genitori nell’iniziare i propri figli alla fede cristiana, è un compito originario e originale che non può mai essere delegato ed è per questa ragione che le ultime sperimentazioni avviate nella diocesi bresciana e in altre parrocchie lombarde hanno dato buoni frutti. L’obiettivo maggiore è quello di offrire la possibilità ai genitori di un itinerario di fede comunitario, perché la famiglia torni a essere il luogo privilegiato dell’evangelizzazione e trasmissione della fede. Le domande che naturalmente possono sorgere sono: che senso ha credere? Perché comunicare la fede ai figli? La nostra vita ha veramente così bisogno di una buona notizia? Perché il Vangelo di Gesù è una lieta notizia? Dove e come incontriamo la buona notizia? Che cosa significa credere da adulti? Decidere di accompagnare i propri figli nella catechesi, può esprimere la voglia di “tornare” alla fede, il desiderio di trasmettere ai figli soltanto cose belle e scoprire che la “cosa più bella” è proprio Dio. Io penso, e ne sono pienamente convinto, quanto sia prezioso poter condividere con i ragazzi la scoperta che ogni parola del Vangelo può essere vissuta concretamente, in ogni momento della giornata. La scelta di battezzare i figli difficilmente è contestata quindi succede che alcuni genitori si riavvicinano alla fede, proprio grazie a loro, dopo anni di “lontananza”... e la scelta di seguirli più da vicino nel cammino della fede è spesso alimentata da perplessità, incoerenza, leggerezza e poca consapevolezza dello spessore dei doni che i figli riceveranno con i sacramenti e con l’incontro del Cristo risorto. Conosco bene le difficoltà e le attese (spesso distanti dalle nostre) che ci sono nei genitori quando decidono di iscrivere i figli al catechismo: ma generare la fede, anziché darla per scontata, mediante una forma di primo annuncio e introdurre a tutta la vita cristiana e non semplicemente alla “dottrina”, non è compito solo dei sacerdoti e dei catechisti, ma soprattutto dei genitori. Mi ha lasciato perplesso, durante una piccola indagine all’interno dei gruppi di catechismo, che il numero medio dei bambini e dei ragazzi che vivono la messa domenicale è 15/16 su 40/45 ragazzi per ogni annata. È per queste semplici ragioni che penso che la collaborazione che è chiesta ai genitori non sia un “compito” da assolvere per poter fare accedere i propri figli ai Sacramenti, ma un’opportunità per riscoprire la bellezza della fede cristiana e condividerla con loro. Raccontando Gesù al proprio figlio, l’adulto ha l’occasione, se crede, di interrogarsi sul proprio percorso personale, per svilupparlo e sostenere le domande di senso che il ragazzo gli farà riguardo alla vita e alla fede. Noi tutti siamo dei semplici strumenti, magari un poco sgangherati. Se però, cerchiamo di amare i nostri ragazzi, di trasmettere qualcosa della nostra esperienza di fede e soprattutto se preghiamo per loro, stiamo certi che al momento opportuno Dio saprà conquistarli e condurli alla salvezza eterna. Quest’anno in alcuni gruppi, alcune mamme “coraggiose” si sono avventurate nell’esperienza di condividere con altre catechiste la gioia di trasmettere l’Annuncio ai bambini. Assecondando le fatiche che ogni ministero richiede, l’esperienza è stata indubbiamente positiva per ogni protagonista del cammino. Le catechiste hanno potuto avvalersi della connaturata capacità educativa delle mamme che il ruolo di genitore affina crescendo i figli, della loro capacità comunicativa e immediata, nel rapportarsi con i piccoli. Le mamme, sono state sostenute dalle catechiste sul piano più teologico e dottrinale del percorso; e le ragazze più giovani hanno dato il loro contributo nella parte più creativa degli incontri. Prima di concludere, per l’anno prossimo, chiedo la presenza costante di almeno due genitori per ogni annata di catechismo, che si possano rendere disponibili, anche a rotazione, come figure preziose ed educanti all’interno dei gruppi. Ringrazio quelle mamme che hanno accolto l’invito a mettersi in gioco in questa esperienza per il proprio/a figlio/a, estendendo di riflesso questa stessa passione e amore anche agli altri bambini; qualcuna lo ha fatto coprendo delle assenze temporanee, altre con un impegno costante... ora, lascio la parola a Giuliana e a Gabriella!
don Samuele Novali
Quante volte ci sentiamo dire che i primi catechisti sono i genitori e quante volte a queste parole ci sentiamo inadeguati, impreparati e anche dubbiosi... eppure è proprio così: essendo i primi educatori siamo anche i primi educatori alla fede. Tante volte però , sentendoci impreparati, preferiamo delegare l’educazione alla fede ai catechisti, al don, a volte ai nonni, mentre dovremmo riappropriarci di questo ruolo e di questa responsabilità. Nella mia esperienza di genitore ho sperimentato che il mettermi in gioco come catechista è stato una grandissima ricchezza personale e una risorsa anche al mio essere genitore ed educatore. Ho dovuto umilmente rimettermi alla scuola di Gesù.. lasciarmi educare da Lui... per capire che imparo ogni giorno. I bambini e i ragazzi ci guardano e non hanno bisogno di genitori e catechisti perfetti, che sanno già tutto, ma di educatori che mettendosi al loro fianco camminano con loro indicando la meta. Camminare con loro non vuol dire semplicemente “mandarli al catechismo” vuol dire lasciarci interrogare da Gesù, trovare momenti di preghiera, partecipare insieme alla messa e alla vita della comunità, vuol dire testimoniare che il Signore ogni giorno parla alla nostra vita!
Giuliana
Sono una mamma che quest’anno ha accompagnato, insieme alle catechiste, i ragazzi di 1ª media durante il loro percorso di catechismo. Invitata da don Samuele e da alcune di loro a dare una mano, perché sicuramente “mi avrebbe fatto bene”, in un periodo particolare della mia vita, con un po’ di titubanza ho accettato. Mi ritrovo ora ad invitare altre mamme a fare questa esperienza perché è bello stare al fianco del proprio figlio durante il suo cammino, ti senti più partecipe della sua vita, hai l’occasione di conoscere meglio i suoi compagni e cogliere alcune espressioni di loro a te sconosciute. Mi sono sentita “madre” di tutti questi ragazzi riconoscendo in loro la bellezza e la fatica del crescere. Inoltre il cammino di catechismo serve anche a noi stessi: ci aiuta a “rispolverare” un po’ la nostra fede, a crescere e rafforzare il nostro cammino di credenti. I nostri figli hanno BISOGNO di vederci partecipi all’interno di questa realtà!
Gabriella
• il coinvolgimento delle famiglie è essenziale
• la catechesi da sola non può fare tutto; il contributo dei catechisti è efficace solo laddove anche il genitore collabora e si occupa del figlio
• il fulcro del rinnovamento catechistico sta nel costruire e recuperare la collaborazione educativa con gli adulti della famiglia, sia genitori che nonni.
Mi permetto di rendere mie le parole del vescovo di Brescia ricordando che «i contenuti dottrinali sono comunicati dagli organi parrocchiali, ma l’annuncio di un incontro che cambia la vita è opera della famiglia». SOLO GESÙ È COLUI CHE TI CAMBIA LA VITA, MA NON AGISCE DA SOLO, HA BISOGNO DI COLLABORATORI. Senza la famiglia con le sue motivazioni e il suo sostegno, noi sacerdoti e i catechisti possiamo fare ben poco. Incontri pensati e programmati, attività pratiche, laboratori liturgici, proposte nuove e allettanti... servono a poco se non sono sorrette dalla credibilità e dalla risonanza che gli adulti presentano coerentemente ai piccoli. Sia a Cremona che a Milano, si sta da tempo sperimentando l’accompagnamento dei genitori alla preparazione ai sacramenti dei propri figli e alla loro crescita spirituale. Nella diocesi di Brescia l’accompagnamento dei genitori nel cammino catecumenale dei figli è obbligatorio da ben nove anni. Nelle parrocchie è stato avviato un nuovo modello di catechesi per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi. Nel primo anno sono previsti solo incontri con i genitori che poi negli anni seguenti, in collaborazione con i catechisti, accompagnano i figli nelle varie «tappe». Il contributo dei genitori nell’iniziare i propri figli alla fede cristiana, è un compito originario e originale che non può mai essere delegato ed è per questa ragione che le ultime sperimentazioni avviate nella diocesi bresciana e in altre parrocchie lombarde hanno dato buoni frutti. L’obiettivo maggiore è quello di offrire la possibilità ai genitori di un itinerario di fede comunitario, perché la famiglia torni a essere il luogo privilegiato dell’evangelizzazione e trasmissione della fede. Le domande che naturalmente possono sorgere sono: che senso ha credere? Perché comunicare la fede ai figli? La nostra vita ha veramente così bisogno di una buona notizia? Perché il Vangelo di Gesù è una lieta notizia? Dove e come incontriamo la buona notizia? Che cosa significa credere da adulti? Decidere di accompagnare i propri figli nella catechesi, può esprimere la voglia di “tornare” alla fede, il desiderio di trasmettere ai figli soltanto cose belle e scoprire che la “cosa più bella” è proprio Dio. Io penso, e ne sono pienamente convinto, quanto sia prezioso poter condividere con i ragazzi la scoperta che ogni parola del Vangelo può essere vissuta concretamente, in ogni momento della giornata. La scelta di battezzare i figli difficilmente è contestata quindi succede che alcuni genitori si riavvicinano alla fede, proprio grazie a loro, dopo anni di “lontananza”... e la scelta di seguirli più da vicino nel cammino della fede è spesso alimentata da perplessità, incoerenza, leggerezza e poca consapevolezza dello spessore dei doni che i figli riceveranno con i sacramenti e con l’incontro del Cristo risorto. Conosco bene le difficoltà e le attese (spesso distanti dalle nostre) che ci sono nei genitori quando decidono di iscrivere i figli al catechismo: ma generare la fede, anziché darla per scontata, mediante una forma di primo annuncio e introdurre a tutta la vita cristiana e non semplicemente alla “dottrina”, non è compito solo dei sacerdoti e dei catechisti, ma soprattutto dei genitori. Mi ha lasciato perplesso, durante una piccola indagine all’interno dei gruppi di catechismo, che il numero medio dei bambini e dei ragazzi che vivono la messa domenicale è 15/16 su 40/45 ragazzi per ogni annata. È per queste semplici ragioni che penso che la collaborazione che è chiesta ai genitori non sia un “compito” da assolvere per poter fare accedere i propri figli ai Sacramenti, ma un’opportunità per riscoprire la bellezza della fede cristiana e condividerla con loro. Raccontando Gesù al proprio figlio, l’adulto ha l’occasione, se crede, di interrogarsi sul proprio percorso personale, per svilupparlo e sostenere le domande di senso che il ragazzo gli farà riguardo alla vita e alla fede. Noi tutti siamo dei semplici strumenti, magari un poco sgangherati. Se però, cerchiamo di amare i nostri ragazzi, di trasmettere qualcosa della nostra esperienza di fede e soprattutto se preghiamo per loro, stiamo certi che al momento opportuno Dio saprà conquistarli e condurli alla salvezza eterna. Quest’anno in alcuni gruppi, alcune mamme “coraggiose” si sono avventurate nell’esperienza di condividere con altre catechiste la gioia di trasmettere l’Annuncio ai bambini. Assecondando le fatiche che ogni ministero richiede, l’esperienza è stata indubbiamente positiva per ogni protagonista del cammino. Le catechiste hanno potuto avvalersi della connaturata capacità educativa delle mamme che il ruolo di genitore affina crescendo i figli, della loro capacità comunicativa e immediata, nel rapportarsi con i piccoli. Le mamme, sono state sostenute dalle catechiste sul piano più teologico e dottrinale del percorso; e le ragazze più giovani hanno dato il loro contributo nella parte più creativa degli incontri. Prima di concludere, per l’anno prossimo, chiedo la presenza costante di almeno due genitori per ogni annata di catechismo, che si possano rendere disponibili, anche a rotazione, come figure preziose ed educanti all’interno dei gruppi. Ringrazio quelle mamme che hanno accolto l’invito a mettersi in gioco in questa esperienza per il proprio/a figlio/a, estendendo di riflesso questa stessa passione e amore anche agli altri bambini; qualcuna lo ha fatto coprendo delle assenze temporanee, altre con un impegno costante... ora, lascio la parola a Giuliana e a Gabriella!
don Samuele Novali
Quante volte ci sentiamo dire che i primi catechisti sono i genitori e quante volte a queste parole ci sentiamo inadeguati, impreparati e anche dubbiosi... eppure è proprio così: essendo i primi educatori siamo anche i primi educatori alla fede. Tante volte però , sentendoci impreparati, preferiamo delegare l’educazione alla fede ai catechisti, al don, a volte ai nonni, mentre dovremmo riappropriarci di questo ruolo e di questa responsabilità. Nella mia esperienza di genitore ho sperimentato che il mettermi in gioco come catechista è stato una grandissima ricchezza personale e una risorsa anche al mio essere genitore ed educatore. Ho dovuto umilmente rimettermi alla scuola di Gesù.. lasciarmi educare da Lui... per capire che imparo ogni giorno. I bambini e i ragazzi ci guardano e non hanno bisogno di genitori e catechisti perfetti, che sanno già tutto, ma di educatori che mettendosi al loro fianco camminano con loro indicando la meta. Camminare con loro non vuol dire semplicemente “mandarli al catechismo” vuol dire lasciarci interrogare da Gesù, trovare momenti di preghiera, partecipare insieme alla messa e alla vita della comunità, vuol dire testimoniare che il Signore ogni giorno parla alla nostra vita!
Giuliana
Sono una mamma che quest’anno ha accompagnato, insieme alle catechiste, i ragazzi di 1ª media durante il loro percorso di catechismo. Invitata da don Samuele e da alcune di loro a dare una mano, perché sicuramente “mi avrebbe fatto bene”, in un periodo particolare della mia vita, con un po’ di titubanza ho accettato. Mi ritrovo ora ad invitare altre mamme a fare questa esperienza perché è bello stare al fianco del proprio figlio durante il suo cammino, ti senti più partecipe della sua vita, hai l’occasione di conoscere meglio i suoi compagni e cogliere alcune espressioni di loro a te sconosciute. Mi sono sentita “madre” di tutti questi ragazzi riconoscendo in loro la bellezza e la fatica del crescere. Inoltre il cammino di catechismo serve anche a noi stessi: ci aiuta a “rispolverare” un po’ la nostra fede, a crescere e rafforzare il nostro cammino di credenti. I nostri figli hanno BISOGNO di vederci partecipi all’interno di questa realtà!
Gabriella
ACCOGLIAMO IN FAMIGLIA
4° appuntamento
Il percorso di formazione avviato due mesi fa, è giunto al suo epilogo con il terzo ed ultimo incontro tenutosi in data 16 maggio 2012. A reggere le redini della serata è stato Don Emilio Brozzoni, il quale con semplicità e chiarezza ha saputo far aprire i cuori dei genitori “accoglienti” i bambini provenienti dall’orfanotrofio di Slanic Moldova, in Romania. Le serate passate hanno avuto come argomenti principali, la messa a tema delle motivazioni che spingevano a incamminarsi in un’avventura simile e l’analisi delle ansie e delle paure. Questa terza serata invece ha avuto per tema la definizione del senso più ampio che questa esperienza avrà, non solo per la famiglia ma anche per la comunità nella quale la famiglia vivrà, quella zognese. Don Emilio ha trovato un’assemblea molto frizzante, riconoscendo evidenti nel cuore e negli occhi dei presenti i sentimenti della gioia e dell’attesa dei bimbi rumeni in arrivo. Cosa è l’attesa? Come gestirla? Quali rischi contiene? Un’attesa carica di aspettative, rischia di essere onnipotente. E se poi incappiamo in qualche fallimento in itinere? Un’attesa carica di “accoglienza” invece è un’attesa che parte prima di tutto del voler bene, dal voler bene a se stessi... Accogliere un bambino che comunque rimane “diverso” da se stessi e dai propri figli non è facile, se gli si vuole bene, lo si accoglierà e non lo si giudicherà. Sicuramente questo passaggio non sarà facile, il giudizio sarà naturale: non è un figlio proprio, non si sa cosa abbia alle spalle e non lo si dovrà nemmeno sapere, viene da una cultura comunque diversa dalla propria (nel modo di pensare, di parlare, di vivere, ecc...). Su moltissime cose questi bambini avranno molto da insegnare alle famiglie direttamente coinvolte ma anche alla comunità zognese più allargata. Dovrà emergere una capacità di mediazione tra noi e loro, tra ciò che offriremo loro e ciò che loro chiederanno. La generosità dovrà costruirsi attimo per attimo. È vero, la diversità a volte fa paura, ma se la si riesce a vedere come una ricchezza piuttosto che come un limite, allora essa può diventare occasione preziosa per migliorare noi stessi. Dobbiamo partire dal presupposto che le nostre “verità” (così le ha definite Don Emilio) possano essere condivise con le verità di altri e che insieme possano dare vita a verità più grandi. La strada maestra per perseguire questo processo è quella di dare sfogo alle potenzialità che ognuno di noi porta dentro di se. Uno strumento utile all’esperienza sarà il gioco. Alcuni papà magari un po’ “arrugginiti” su questo tema avranno la possibilità di rigiocarsi in questo ambito. Il tempo del gioco non è tempo perso. Sarà bello vedere i propri figli meravigliarsi perché vedranno i loro genitori “perdere tempo” per stare con loro, con l’ospite. Infine Don Emilio ha riflettuto con le famiglie intorno al senso del gesto di generosità che esse si stanno accingendo a vivere. Tale gesto, pare andare contro corrente in questo periodo di crisi. Esso aiuterà in primis i figli a capire che per i genitori al primo posto viene la generosità, la disponibilità verso chi è meno fortunato. La crisi di certo sta spingendo ognuno di noi verso uno stile di vita più sobrio, verso un ritorno alla capacità del sapersi accontentare, verso la semplicità. Avere del sovrappiù, in questo particolare periodo storico suona un po’ come una “sberla in faccia” a chi non ha del necessario. Questo gesto di accoglienza quindi si pone in chiara controtendenza con la logica odierna. Dobbiamo pensare che è con il cuore che abbiamo bisogno di fare le scelte del nostro vivere quotidiano. Questo gesto in un certo qual modo è “sacramento”, “segno”, di quel sogno di Dio, il quale essendo povero e disarmato necessita di tutti i nostri piccoli-grandi gesti d’amore. In occasione di questa serata abbiamo invitato anche i bambini e ragazzi, i figli delle famiglie: loro, infatti, vivranno questa esperienza da “fratelli” e “sorelle”, probabilmente condividendo con questi bambini davvero molto, ancor più dei genitori. Molti dei piccoli, infatti, dovranno dividere la camera con il nuovo arrivato, vivranno con lui/lei le ore del CRE in oratorio, condivideranno i giochi e le ore di svago... Insomma, saranno i primi protagonisti dell’accoglienza perché la vivranno molto da vicino! Dopo un primo momento di presentazioni i ragazzi hanno realizzato dei fantastici disegni per quei nomi che sapevano sarebbero presto arrivati in casa loro: sapere il nome, questo è l’importante... Anche i ragazzi e gli adolescenti si sono confrontati a lungo, affrontando i temi legati all’accoglienza e alla famiglia: hanno scritto una lettera... loro, i più grandi, che hanno più parole e con più facilità trasformano i pensieri e le emozioni in espressioni verbali. Un gioco finale, poi, ha visto coinvolti tutti quanti, grandi e piccoli, per giocare con le parole, con la lingua rumena, per allenarsi ad accogliere, a cambiare gli schemi, per prepararsi a confrontarsi con la diversità. Il percorso conclusosi ha offerto a tutti l’opportunità di esprimersi su dubbi e perplessità. I nostri appuntamenti però non si sono chiusi, infatti il 29 Maggio è stata fatta una cena “giro pasta” in collaborazione con i giovani volontari dell’associazione “Mano x Mano” ONLUS, che aveva lo scopo di raccogliere fondi per finanziare il progetto di accoglienza (biglietti aerei, pagamento delle pratiche notarili e di espatrio dei piccoli). Il ricavato della serata è stato di 1497 Euro. Ringraziamo tutti quelli che hanno partecipato e invitiamo tutti coloro che fossero interessati a collaborare in vari modi al progetto dell’accoglienza a contattare Don Samu.
Diego
Diego
ORATORIOLAND
e ORATORI VALLARI
ACCOGLIAMO IN FAMIGLIA
Da Onesti a Zogno
Finalmente dopo tanta e trepida attesa sei arrivata. Da qualche mese sei entrata nei nostri pensieri, nei nostri discorsi, nei nostri programmi di vita....e pensare che nemmeno ci conosciamo, non ci hai mai parlato e non ci hai mai chiesto nulla. I tuoi sguardi sono quelli curiosi e, al tempo stesso timorosi, di tutti i bimbi calati repentinamente e (forse) contro la loro volontà in un ambiente nuovo, abitato da gente diversa altrettanto curiosa e timorosa nell’avvicinarti e prenderti per mano. Il tuo viaggio è iniziato presto, è stato sicuramente lungo e faticoso, una vera e propria avventura; anche il percorso che abbiamo intrapreso noi per accoglierti è stato lungo, pieno di incognite e interrogativi; come vedi, ci accomunano tanti sentimenti e sensazioni. Quando si è bambini si vola in tutte le direzioni, le opportunità intorno sono molte e non si vuole perderne nemmeno una. Quando si è adulti ci rendiamo conto che una vale molto più di molte e questa opportunità non la volevamo perdere! Anche per le sensazioni si dice spesso che la differenza la fanno le piccole cose, i particolari: ed ecco che ci togli dall’imbarazzo di accoglierti, venendoci incontro allungando le tue esili mani per un inaspettato e spontaneo abbraccio. In questi primi giorni, la tua presenza non fa che confermare ciò che da tempo, faticosamente, cerchiamo di trasmettere ai nostri figli: la ricerca e l’accettazione del confronto con la realtà di ogni giorno, quella scomoda, non può non “farci sporcare le mani”, non può non renderci inquieti e questo interagire con chi è meno fortunato ci porta inevitabilmente ad una continua modificazione e scoperta di noi stessi. Ci è capitato di guardarti mentre ti muovi nella nostra casa, tra le nostre cose, mentre giochi; che bello quando ti sorprendi per qualcosa a cui i nostri figli guardano ormai con scontatezza e in maniera fugace. Ti abbiamo guardata mentre dormivi, come fossi nostra figlia, e dopo aver pensato alla tua giocosa giornata al CRE, ci siamo chiesti “...e quando ripartirai? E domani dove andrai? chi diventerai? Quale sarà il tuo futuro?...” Siamo solamente all’inizio di questa esperienza, ma ci sentiamo già in dovere di dirti GRAZIE e, mentre pensiamo a tutto questo, ci ritroviamo a sfogliare un libro abbandonato tempo fa: “...Dal momento in cui nasciamo dipendiamo dall’ospitalità che altri vorranno darci e senza la quale non potremmo vivere. Non domandarti che diritto abbia l’altro alla tua ospitalità; ricordati solo che anche tu ne hai avuto bisogno e l’hai avuta; e se non l’hai avuta, ricordati che volevi ottenerla e tratta l’altro come avresti voluto essere trattato tu. In fin dei conti tutti gli uomini sono migranti in questo pianeta e, certamente, chi arriva da un altro paese non viene da più lontano né è più straniero di colui che per la prima volta sboccia dal nulla nel grembo di sua madre. Forse tutta l’etica di cui tanto si parla può riassumersi nel rispetto delle leggi non scritte dell’ospitalità: in tutte le epoche e a tutte le latitudini, comportarsi in maniera ospitale con chi ne ha bisogno, significa essere realmente umani. Poiché non sappiamo da dove veniamo, chiunque venga da chissà dove merita il nostro complice occhiolino....” (Fernando Savater – Etica per un figlio - Editori Laterza)
Due genitori
Due genitori
SAGRA DI SAN LORENZO 27-28-29 LUGLIO 3-10 AGOSTO 2012
SPECIALE ESTATE
TU MI DAI FIDUCIA
I nostri adolescenti prima di dedicare il proprio tempo a far l’animatore del Cre, hanno chiesto davanti al Signore, affidandosi a Lui, lo “stile buono” per entrare in relazione con l’alto e poter essere nello stesso tempo degli educatori capaci di vivere bene la relazione con i piccoli e con i grandi che li hanno accompagnati durante l’avventura estiva del Cre. Questa preghiera raccoglie i pensieri che i ragazzi hanno scritto durante il ritiro spirituale a Somendenna il 13 giugno: Stasera ho scoperto di essere meritevole di fiducia: la tua, Gesù, quella dei miei, quella dei genitori che sperano che il don abbia scelto animatori responsabili e maturi a cui affidare i propri figli, quella degli amici che condivideranno con me il CRE, quella del don che ripone in me sane aspettative. Al CRE non si va solo per divertirsi ma per vivere l’amore di Gesù anche nella RI-CREAZIONE = creare nuovamente con la fantasia e l’amore ciò che Dio mi ha donato gratuitamente (attraverso la preghiera e gli incontri umani che hanno definito la formazione del mio carattere e la mia personalità). Potrò così rendere il tempo del riposo e dello svago non come tempo vissuto così così, ma come la restituzione in rendimento di grazie per tutto ciò che ho ricevuto finora. Al CRE riceverò la fiducia anche dei piccoli che con i loro occhioni scruteranno il mio modo di presentarmi a loro. Chissà come mi vedranno e cosa penseranno di me, cosa si aspetteranno da me? Cercherò di essere il più autentico/a possibile, di misurare con intelligenza le parole che userò, potrei essere per loro anche un buon modello da imitare, li potrò stupire con impreviste attenzioni, una lode, un complimento, un gesto d’affetto e anche una tenera correzione la dove se la meritano. Presterò particolare attenzione all’ospitalità che siamo chiamati a offrire ai bambini rumeni accolti in alcune famiglie della comunità, cogliendo la loro presenza come una ricchezza! Sarò attento/a che nessun bambino viva esperienze di esclusione, incoraggiandolo laddove avrà delle paure o resistenze. Parole buone le avrò per tutti, grandi e piccoli. Un occhio particolare lo rivolgerò ai bambini più timidi e fragili! Sì, penso di aver capito che essere scelti per un compito o un servizio è quasi come un “privilegio”, è la conferma che qualcuno ripone in me la fiducia, che vede in me le potenzialità ancora prima che io ne abbia coscienza. Sono consapevole che IN ORATORIO C’È BISOGNO DI ME! C’è chi si fida di me, si proprio di me! Dare fiducia... Ricevere fiducia... Chiedere timidamente o pretendere fiducia... Meritare la fiducia... Tradire la fiducia... Guadagnare la fiducia. Chi mi può dare coraggio in tutto questo se non Gesù stesso. Durante il CRE sono soprattutto chiamato/a a vivere in modo sano le relazioni, con i miei coetanei, con le mamme e con i ragazzi. Sono consapevole che il sale della relazione è l’uomo/donna che è capace di meritare e di dare la fiducia! Rendimi Gesù all’altezza di questo servizio, donami il coraggio necessario (coraggio deriva da “corhabeo” = “ho un cuore”: se qualcuno vive nell’incoraggiamento impara ad avere fiducia). Mi chiedi di “avere un cuore”, mi inviti a non “togliere il cuore” a nessuno. Fa che sia coerente in ciò che dico e faccio e che... “Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per il necessario incoraggiamento, giovando a quelli che ascoltano” (Ef 4, 29). IO MI FIDO DI TE, DELLA TUA PAROLA!
PAROLA AGLI ANIMATORI DEL CRE PINOCCHIO
Eccoci qua, anche quest’anno a raccontarvi il CRE dei bimbi dell’asilo: che ha accolto ben 50 bimbi all’interno di un CRE che ha coinvolto, compreso gli animatori, 410 ragazzi... Poiché quest’anno abbiamo notato molto entusiasmo da parte delle nuove animatrici, ci è sembrato giusto dare spazio a loro. Cogliamo l’occasione per invitare l’anno prossimo altre mamme a provare questa indimenticabile esperienza. Innanzitutto vorremmo ringraziare Don Samuele per averci dato l’opportunità di aver vissuto un’esperienza unica e per essersi fidato di noi assegnandoci bambini così piccoli che sicuramente richiedono più attenzione di tutti gli altri. All’inizio pensavamo che partecipare al CRE asilo significasse essere escluse da tutti i nostri amici, però grazie ai più piccoli abbiamo scoperto la gioia di ritornare bambine! La loro sincerità, semplicità e spontanea ci faceva vivere ogni giorno momenti indimenticabili e ci faceva capire ancora di più di essere importanti per loro. A poco a poco ci affezionavamo a tutti fino ad arrivare all’ultimo giorno con la voglia di restare, ma con la consapevolezza che ciò non poteva durare tutto il CRE. Infine vorremmo ringraziare anche le mamme per esserci state accanto e aiutato, ma soprattutto i bambini che sono stati fantastici e ci hanno regalato un’esperienza unica. Ci sono stati alti e bassi infatti abbiamo avuto delle difficoltà, alcuni bambini, a causa della loro vivacità, non rispettavano le regole, tuttavia quando capivano che facendo così rimanevano esclusi erano disposti ad ascoltarci. Per i bambini rumeni è stata un’opportunità passare un mese in una realtà così diversa dalla loro, ma abbiamo scoperto che anche per noi è stata una vera occasione passare del tempo con loro; in noi è rimasta la soddisfazione di avergli fatto passare una settimana piena di gioco e divertimento. Abbiamo capito che non importano le origini che un bambino ha, vederlo giocare insieme agli altri, intendersi e capirsi al di là della lingua, ti fa pensare che si può superare ogni frontiera. Speriamo che l’anno prossimo potremmo divertirci come abbiamo fatto in questo CRE 2012.
Greta, Letizia, Silvia
La mia esperienza al CRE è stata positiva. Ho deciso di fare il CRE solo perché i miei genitori volevano che Roberta, una dei tredici bambini rumeni che sono stati ospitati dalla nostra comunità, avesse un punto di riferimento che potesse dar continuità alla sua presenza nella nostra famiglia. Avevo deciso di frequentare il CRE solo le due settimane in cui lo avrebbe frequentato Roberta; ma con il passare dei giorni mi sono affezionata ai bambini e al clima di serenità di questo ambiente, e mi è stato spontaneo rispondere “sì” quando Livia mi ha chiesto di restare anche la terza settimana; settimana in cui Roberta non lo avrebbe frequentato perché purtroppo è rientrata nel suo paese. È un’esperienza che consiglio a chiunque sia a proprio agio con i bambini e che ripeterei volentieri in futuro.
Michela
Sono una mamma e per la prima volta ho fatto l’animatrice al CRE pinocchio. Come esperienza è stata impegnativa ma molto gratificante. Mi sono inserita al CRE con l’idea di aiutare le animatrici che da tempo offrono questo servizio alla comunità per fare giocare e divertire i nostri piccoli, ma mi sono resa conto che un animatore è prima di tutto un educatore con il difficile compito di trovare i modi e le parole giuste per insegnare ai nostri figli il rispetto per gli altri e la condivisione. È stato anche molto divertente, soprattutto vedere l’entusiasmo dei bambini al momento della piscina, con tutti indaffarati a mettersi costume e braccioli... e poi i loro sorrisi sono indimenticabili...
Simonetta
Grazie a don Samuele ho avuto modo anch’io quest’anno di partecipare come animatrice al CRE Pinocchio, anche se più che animatrice mi sono sentita una mamma tra tanti bambini. È stato bello, tra momenti di gioco, svago, lavoretti, merende; senti forte la responsabilità e soprattutto l’impegno, impegno perché PASSPARTÙ ti dice di trovare la chiave giusta per aprire questo mondo a cui si stanno appena affacciando i bambini, che poi tante volte sono i primi a darci lezioni di vita. Un grazie anche alle mie “colleghe” animatrici che mi hanno affiancato in questa grande avventura!!
Anna
Greta, Letizia, Silvia
La mia esperienza al CRE è stata positiva. Ho deciso di fare il CRE solo perché i miei genitori volevano che Roberta, una dei tredici bambini rumeni che sono stati ospitati dalla nostra comunità, avesse un punto di riferimento che potesse dar continuità alla sua presenza nella nostra famiglia. Avevo deciso di frequentare il CRE solo le due settimane in cui lo avrebbe frequentato Roberta; ma con il passare dei giorni mi sono affezionata ai bambini e al clima di serenità di questo ambiente, e mi è stato spontaneo rispondere “sì” quando Livia mi ha chiesto di restare anche la terza settimana; settimana in cui Roberta non lo avrebbe frequentato perché purtroppo è rientrata nel suo paese. È un’esperienza che consiglio a chiunque sia a proprio agio con i bambini e che ripeterei volentieri in futuro.
Michela
Sono una mamma e per la prima volta ho fatto l’animatrice al CRE pinocchio. Come esperienza è stata impegnativa ma molto gratificante. Mi sono inserita al CRE con l’idea di aiutare le animatrici che da tempo offrono questo servizio alla comunità per fare giocare e divertire i nostri piccoli, ma mi sono resa conto che un animatore è prima di tutto un educatore con il difficile compito di trovare i modi e le parole giuste per insegnare ai nostri figli il rispetto per gli altri e la condivisione. È stato anche molto divertente, soprattutto vedere l’entusiasmo dei bambini al momento della piscina, con tutti indaffarati a mettersi costume e braccioli... e poi i loro sorrisi sono indimenticabili...
Simonetta
Grazie a don Samuele ho avuto modo anch’io quest’anno di partecipare come animatrice al CRE Pinocchio, anche se più che animatrice mi sono sentita una mamma tra tanti bambini. È stato bello, tra momenti di gioco, svago, lavoretti, merende; senti forte la responsabilità e soprattutto l’impegno, impegno perché PASSPARTÙ ti dice di trovare la chiave giusta per aprire questo mondo a cui si stanno appena affacciando i bambini, che poi tante volte sono i primi a darci lezioni di vita. Un grazie anche alle mie “colleghe” animatrici che mi hanno affiancato in questa grande avventura!!
Anna
ACCOGLIAMO IN FAMIGLIA
Alcune riflessioni sull’accoglienza dei bambini rumeni
nelle nostre famiglie e nella nostra comunità
“Preservate nell’amore fraterno. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo.”Eb13,1-2 Quando qualcuno bussa alla porta di casa, non possiamo permetterci di non aprire, di non praticare l’ospitalità perché questa persona potrebbe essere un angelo di Dio, un povero, uno di noi, un uomo con la sua storia e i suoi dolori. Eppure, quanta fatica talvolta ad aprire la porta, anche solo per ascoltare, parlare con chiunque ti cerca... perché “a pelle” ci indispone, ci viene da dire “scusa, ma non ho tempo!”. L’esperienza che abbiamo vissuto quest’estate nella nostra comunità, cioè l’accoglienza di 13 bambini romeni in 13 nostre famiglie, è stata come aprire la porta di casa: aprirla all’amore/carità, intesa non solo come “elemosina” ma nel senso di donare amore e totalmente gratuito; aprirla ad un bisogno, che prima ancora di essere dei bambini, è nostro. È il desiderio di aprirci all’altro, di accogliere un fratello/figlio e di non vivere solo delle nostre certezze: troppo spesso corriamo il rischio di BASTARE A NOI STESSI, di non vivere nella comunione e nella fraternità!! Ringrazio profondamente il Signore per avermi dato la forza di accogliere questo progetto e condividerlo insieme all’ASSOCIAZIONE MANOPERMANO E ALLE SUORE DEGLI ORFANATROFI DI ONESTI E SLĂNIC. È STATA UNA CONDIVISIONE E UN “SI, CI STO!” CHE HA APERTO PIÙ PORTE! La porta della memoria:... la mia esperienza fatta 6 anni fa in Romania con i giovani della comunità; la porta dell’accoglienza: quando si ospita, si può accogliere anche un angelo; la porta della riconoscenza: la proposta fatta da un’associazione giovane, laica e interparrocchiale, che ho ritenuto concreta e fattibile e perché no, anche gesto di riconoscenza nei confronti dei giovani che da anni, con perseveranza e coraggio, hanno sempre creduto in questa esperienza; la porta dell’ospitalità: nella misura della generosità e del saper accogliere anche realtà diverse e lontane dalle nostre; la porta della carità: il sapere tradurre in concreti gesti d’amore il percorso di formazione pastorale “ La famiglia, il lavoro e la festa”; la porta dell’educazione: questa esperienza ha educato tutti grandi e piccoli, ed è riuscita a far emergere dalle persone coinvolte, il meglio di ciascuno; la porta della fede: i frutti della fede sono la preghiera e la carità; la porta della solidarietà e della collaborazione: è stata bella la simpatia che questo piccolo gruppo di ragazzi ha generato, coinvolgendo emotivamente e affettivamente le persone che ruotano intorno alle famiglie con semplici gesti di attenzione, di collaborazione e di condivisione; la porta della formazione: i ragazzi dell’associazione e le famiglie hanno partecipato ad alcuni incontri di formazione con don Emilio Brozzoni. Inoltre gli animatori del CRE hanno avuto l’opportunità di crescere umanamente cogliendo i frutti buoni che la nuova esperienza ha regalato loro. E ancora la porta della speranza: sperare che si trovassero le famiglie disponibili e l’accoglienza da parte dell’intera comunità; la porta della testimonianza: le famiglie ci hanno testimoniato che tutto è possibile! La crisi economica non ha creato nessuna difficoltà; inoltre, in alcune famiglie, dove entrambi i genitori lavorano è bastata la collaborazione, l’organizzazione e l’uso dei giorni di ferie per garantire una presenza continua, senza tener conto, inoltre, che 4/5 figli possono già bastare, uno in più...; la porta della volontà: nonostante la consapevolezza della responsabilità, delle fatiche, della “rivoluzione” che i bambini avrebbero portato in casa, delle giustificate paure... se vuoi, puoi!!! La porta della novità: si sono create nuove opportunità, nuove amicizie, nuovi discorsi, nuove relazioni...; la porta della conoscenza: di realtà diverse, della fede ortodossa, di abitudini diverse, di una nuova lingua. Da subito mi sono convinto che questa proposta sia giunta al momento propizio. Da qualche tempo il mio desiderio, condiviso anche con don Angelo, è quello di arrivare a rendere di nuovo la famiglia protagonista della vita cristiana comunitaria. In parrocchia non è definita ancora una pastorale della famiglia, speriamo di lavorare bene il terreno e che sia fertile. In concreto si è formato il gruppo famiglie, che si incontra periodicamente in oratorio tre/quattro domeniche l’anno per condividere la S. Messa, il pranzo e i giochi, in semplicità: ma non basta! Avvertivo il bisogno di incarnare nella realtà dell’oratorio un’esperienza viva che sintetizzasse la famiglia, il lavoro e la festa. Intuivo che, come curato al quale è affidata la formazione dei bambini e dei ragazzi, non mi bastava parlare di carità e fraternità...ma era necessario vivere la carità e la fraternità... E da dove partire se non dai bambini? Cercando di portarli a vivere tutto questo in un contesto di allegria che un CRE può offrire (un’opportunità che coinvolge i piccoli, i ragazzi gli ado, le mamme, le famiglie, la comunità intera); offrendo così ai nostri ragazzi la possibilità di vivere concretamente la fraternità e l’accoglienza, nel tentativo di dare un volto alla carità che faranno anche durante l’anno (raccolta dei frutti delle loro rinunce, dell’adozione a distanza, pensare a un contatto vivo da mantenere con i ragazzi in Romania, via internet o posta...). La scelta di accogliere questi piccoli durante il Cre è stata motivata anche dall’attenzione di non gravare troppo sulle famiglie. La vita ha portato i nostri piccoli amici a vivere un modello di famiglia “allargata”, ma non nel senso che conosciamo noi: vivono in un orfanatrofio, come ormai sapete, come in una grande famiglia, con le suore che si prendono amorevolmente cura di loro in ogni cosa e il ragazzo più grande è chiamato responsabilmente a prendersi cura del più piccolo. Non sono tutti “fratelli” ma sanno vivere da fratelli. Con tutta sincerità ho sperimentato che il Signore, attraverso l’invocazione quotidiana dello Spirito Santo, suscita buoni pensieri, attende che tu li accolga e liberamente gli dia vita. Con estrema semplicità è arrivato tutto: le famiglie disponibili all’accoglienza, i soldi che grazie alle cene organizzate a tale scopo e alla generosità di molti di voi hanno permesso di coprire le spese del viaggio e l’assistenza legale, la disponibilità di don Emilio per la formazione. Questi piccoli, nella loro semplicità ed esuberanza mi hanno fatto scoprire il volto della gioia, dello stupore, degli affetti, della sana nostalgia, della ricerca costante dell’Amore e del rispetto e della paternità. Grazie a questa esperienza, tutti noi abbiamo riscoperto i valori della buona convivenza: il rispetto, la collaborazione, la solidarietà che talvolta però lasciamo nel dimenticatoio! Alla fine ho realizzato che in fondo abbiamo avuto più bisogno noi di questa esperienza, che loro. Il gruppo di bambini ha saputo mantenersi compatto e unito, ha incarnato in noi il senso di fraternità che tutti sono chiamati a vivere, il senso di responsabilità educativa che il grande ha sempre nei confronti dei piccoli, la necessità di avere un punto fermo tra le varie figure educative che si alternano al Cre. Mi emozionavo ogni volta che i piccoli amici si raccoglievano attorno a me, mi appariva l’immagine di Gesù tra i piccoli che invita i grandi a diventare così piccoli per entrare nel Regno. Mi ha stupito il profondo rispetto che loro hanno per la figura del sacerdote, la spontaneità dei loro abbracci, lo sguardo curioso, la scaltrezza nel divincolarsi dai problemi, la facilità di imparare da subito i giochi e...con loro e con le famiglie che li hanno accolti abbiamo vissuto la famiglia, la festa e perché no, anche il lavoro. La loro presenza ci ha permesso di rompere con vecchie abitudini e schemi, di aprirci alle novità e all’imprevisto, di ridimensionare le pretese, di scoprire che saper vivere da fratelli in Gesù ha un senso molto più esteso. Tutto questo ha creato la collaborazione tra le famiglie, suscitato gesti di solidarietà, di collaborazione, occasioni di sano confronto, il piacere di vivere la festa... L’accoglienza di questi bambini è stata senz’altro un bisogno e un dono per la nostra comunità cristiana: ora, come tutti i tesori, è da custodire!!! A noi la responsabilità e l’impegno di dare continuità a quella carità che non si vanta, non si adira e che confida solo nel Signore. E ALLORA! QUANDO LA CARITÀ/AMORE CI BUSSA ALLA PORTA DI CASA, NON PRENDIAMO SCUSE, MA APRIAMO LA PORTA! PUÒ ESSERE GESÙ CHE DESIDERA FERMARSI A CASA NOSTRA PER CENARE CON NOI!
Con affetto!
don Samuele Novali
Con affetto!
don Samuele Novali
LASCIAMO PARLARE I RAGAZZI
Toscana-Borgo San Lorenzo (16-22 luglio)
Prendiamo spunto per comporre questo articolo-intervista, da alcune considerazioni che i ragazzi sono stati invitati ad esprimere spontaneamente lungo la settimana nonché da alcune loro riflessioni, scritte nel pomeriggio di adorazione Eucaristica di sabato 21 luglio. Sono ragazzi e ragazze di età diverse, con motivazioni e aspettative diverse rispetto alla settimana ormai “mitica” dell’uscita estiva in Toscana e raccontano di sé e dell’esperienza vissuta, nella massima libertà e sincerità.
I ragazzi di 3ª media raccontano:
«Per me questi giorni sono stati sinonimo di conoscenza personale profonda con ragazzi che conoscevo solo di vista e magari neanche salutavo; il sorriso e la buona disposizione degli animatori nei confronti di noi ragazzi di terza media ha reso questo soggiorno molto piacevole, perché pur essendo “i grandi”, si sono dimostrati simpatici e mi sono sempre venuti a cercare per i giochi, per conversare, per rendermi partecipe delle proposte. Ci tornerò molto volentieri!; per me e per noi di terza media è la prima volta in Toscana e ho scoperto che persone che credevo antipatiche sono invece molto diverse: piacevolmente divertenti!; ho scoperto che “fisicamente” è un periodo molto faticoso, tra bicicletta, nuoto, canoa e surf... ma non è certo un problema!; secondo me invece, il risvolto della medaglia in una convivenza quotidiana così stretta è la possibilità (capitata a me ma anche ad altre coppie di amiche) di arrivare alla discussione e alla lite perché si scopre che mettersi in gioco dalla mattina alla sera, compresa la notte, rinunciando ai propri spazi e ai propri tempi costa molta, molta fatica. Si torna poi a fare pace perché si capisce di volersi bene e di essere tra persone che ci vogliono bene, che ci fanno riflettere su molti nostri atteggiamenti; avevo un po’ il timore di dovermi sorbire ore e ore di preghiere e di messe: invece don Samu ha saputo alternare momenti di gioco e di svago e di libertà con gli appuntamenti delle lodi e della compieta e dei bei lavori di gruppo. Così tutto è stato più “leggero” anche se non vuol dire meno impegnativo; mi è piaciuta tanto la traccia di lavoro di quest’anno, la MEMORIA; i miei genitori hanno acconsentito che io venissi in Toscana senza che insistessi perché pensano che sia un’occasione valida e interessante di conoscere nuovi ragazzi e vedere nuovi posti; tutto divertente, a parte le alzate mattutine!; siamo il gruppo più numeroso perché tutti coloro che ci sono già stati parlano benissimo della settimana in Toscana e quindi anche la curiosità ci ha spinti ad iscriverci; ho trovato i momenti di preghiera un po’ impegnativi ma l’animazione ogni sera diversa, le gite, la serata bellissima al parco acquatico e la corrida finale, mi sono molto piaciute; so già che tornerò sempre in Toscana, è un’esperienza da fare, tutti dovrebbero viverla: non si pensi di venire ad oziare ma a “fare” e il bello è che siamo sempre tutti insieme!; la vicinanza del circuito del Mugello mi ha consentito di visitare anche la pista con le moto da corsa che giravano... ovviamente mi è piaciuta anche Bologna con la Torre degli Asinelli...; tutto dipende dalla personalità di ciascuno, ma il rapporto con i più grandi dipende molto da come ti sanno coinvolgere; mi aspettavo il meglio e il meglio ho avuto: ho passato giorni davvero fantastici!; ci sono molte meraviglie nel mondo, ma dipende tutto dagli occhi con cui le si guarda!». Con lo sguardo attento dell’adulto, si è potuto notare come, il comportamento spesso ancora un po’ infantile e superficiale dei ragazzi di terza media, abbia subìto un cambiamento in positivo, per adattarsi alle dinamiche di gruppo che hanno richiesto una collaborazione e una partecipazione attiva responsabile, allo svolgersi di tutte le attività. In pratica hanno dato prova di una maturità in crescita e di un desiderio sano di emulazione dei modelli più grandi! Ascoltando anche i ragazzi di prima e seconda superiore, questo è quanto ci hanno confidato: «Quest’anno è diverso dall’anno scorso ma comunque bello perché adesso che siamo un po’ più grandi abbiamo il compito “difficile ma stimolante” di integrare nel gruppo i più piccoli e secondo me ci stiamo riuscendo abbastanza bene; in Toscana, anche se è solo la seconda volta, è sempre bello! Io sono poco credente e frequento poco la chiesa e l’oratorio, ma quando sono qui mi sento particolarmente in sintonia con Dio!; a me sembra di essere in una grande famiglia, il don è davvero speciale, le mamme che cucinano per noi sempre molto disponibili, le amicizie vecchie e nuove mi danno sempre molto carica e le percepisco molto sincere e libere da preconcetti; è bello dormire in tanti!; per me tanta fatica negli spostamenti con le bici, ma anche in questi momenti negativi si ride e si scherza sempre; il parco acquatico che è stato la novità di quest’anno, è da preferire senz’altro all’uscita medievale: scivoli, buffet, acqua tiepida, musica a palla, nessun desiderio di bere per poi stare male!; è circolato il messaggio che “tutti ci siamo, per tutti”; bellissimo il clima e l’atmosfera anche se mi è mancato il mio animatore Diego!; l’unico posto in cui vedo le persone per come sono veramente è qui in Toscana: tutti vengono allo scoperto!; ci ho dovuto pensare quest’anno prima di iscrivermi..., non nascondo che avevo paura di trovarmi sola...; solo in queste bellissime uscite con il gruppo Ado ho la possibilità di passare del tempo con determinati amici che altrimenti vedo molto raramente; ritengo molto importante il fatto che ci venga richiesto l’aiuto concreto in cucina, nelle camere, negli spazi comuni... e soprattutto la fiducia che don Samuele ripone in noi, semplicemente perché ci ritiene capaci di metterci in gioco; è stata una settimana fantastica e siamo riusciti a divertirci con la massima semplicità e con la testa sulle spalle!».
Anche qualcuno di terza e quarta superiore ha sentito il desiderio di raccontarsi:
«Non sono di Zogno (della compagnia io e Mattia) e ho saputo dell’uscita in Toscana perché è venuta la mia ragazza: al mio paese non ci sono proposte del genere e non ho mai conosciuto una persona come don Samuele che sa curare particolarmente bene il risvolto religioso di ciò che organizza per i suoi ragazzi! I lavori di gruppo e le riflessioni sono serie ma mai noiose, suscitano domande e curiosità che poi vengono discusse e argomentate magari anche in modo divertente; questa settimana, anche se di soli otto giorni, richiede molto impegno e partecipazione più che qualsiasi altra iniziativa: si condividono molti più momenti e con motivazioni diverse che vanno dal gioco alla preghiera, dai pasti al riposo notturno, dallo scherzo alla confessione/colloquio con il don, dalle confidenze all’amico del cuore alle sfide divertenti con penitenza finale, dagli sketch della Corrida, alla preoccupazione per l’amico che ha mal di pancia o di testa o si è slogato una caviglia,...; non sono di Zogno ma ho don Samuele come professore di religione al 4° anno delle superiori: sto vedendo un gruppo molto coeso, che “viaggia” bene pur essendo molto numeroso; con componenti di età e pensieri diversi, per mantenere un rapporto così sereno significa che dietro c’è stato e c’è un lavoro preparatorio molto attento; le attività di ogni singola giornata danno modo a tutti di esserci e partecipare; non credo ci sia stato un momento più bello o più brutto in particolare, ognuno è stato prezioso per quello che ha lasciato nella mente e nel cuore di ciascuno».
Un di noi animatori, durante l’adorazione Eucaristica, conclude così la sua riflessione:
«Sono molto contenta della settimana trascorsa insieme, penso che molti dei ragazzi mi abbiano mostrato il senso dell’umiltà nonostante siano alle prime esperienze con il gruppo-ado e la vita comune. Oltre ad avermi arricchito dal punto di vista personale ed oggettivo, questa settimana mi ha fatto riflettere sul significato della memoria. Ho capito che la memoria è fondamentale quando si ricordano fatti belli e positivi, ma soprattutto momenti di sofferenza e di dolore. Grazie a questo ho capito che il ricordo deve poter superare il dolore, porta con sé una parte di me e non posso permettermi di perderlo, anche se riviverlo porta ancora dolore. Grazie a tutti voi ragazzi, mamme e don».
Gli animatori
I ragazzi di 3ª media raccontano:
«Per me questi giorni sono stati sinonimo di conoscenza personale profonda con ragazzi che conoscevo solo di vista e magari neanche salutavo; il sorriso e la buona disposizione degli animatori nei confronti di noi ragazzi di terza media ha reso questo soggiorno molto piacevole, perché pur essendo “i grandi”, si sono dimostrati simpatici e mi sono sempre venuti a cercare per i giochi, per conversare, per rendermi partecipe delle proposte. Ci tornerò molto volentieri!; per me e per noi di terza media è la prima volta in Toscana e ho scoperto che persone che credevo antipatiche sono invece molto diverse: piacevolmente divertenti!; ho scoperto che “fisicamente” è un periodo molto faticoso, tra bicicletta, nuoto, canoa e surf... ma non è certo un problema!; secondo me invece, il risvolto della medaglia in una convivenza quotidiana così stretta è la possibilità (capitata a me ma anche ad altre coppie di amiche) di arrivare alla discussione e alla lite perché si scopre che mettersi in gioco dalla mattina alla sera, compresa la notte, rinunciando ai propri spazi e ai propri tempi costa molta, molta fatica. Si torna poi a fare pace perché si capisce di volersi bene e di essere tra persone che ci vogliono bene, che ci fanno riflettere su molti nostri atteggiamenti; avevo un po’ il timore di dovermi sorbire ore e ore di preghiere e di messe: invece don Samu ha saputo alternare momenti di gioco e di svago e di libertà con gli appuntamenti delle lodi e della compieta e dei bei lavori di gruppo. Così tutto è stato più “leggero” anche se non vuol dire meno impegnativo; mi è piaciuta tanto la traccia di lavoro di quest’anno, la MEMORIA; i miei genitori hanno acconsentito che io venissi in Toscana senza che insistessi perché pensano che sia un’occasione valida e interessante di conoscere nuovi ragazzi e vedere nuovi posti; tutto divertente, a parte le alzate mattutine!; siamo il gruppo più numeroso perché tutti coloro che ci sono già stati parlano benissimo della settimana in Toscana e quindi anche la curiosità ci ha spinti ad iscriverci; ho trovato i momenti di preghiera un po’ impegnativi ma l’animazione ogni sera diversa, le gite, la serata bellissima al parco acquatico e la corrida finale, mi sono molto piaciute; so già che tornerò sempre in Toscana, è un’esperienza da fare, tutti dovrebbero viverla: non si pensi di venire ad oziare ma a “fare” e il bello è che siamo sempre tutti insieme!; la vicinanza del circuito del Mugello mi ha consentito di visitare anche la pista con le moto da corsa che giravano... ovviamente mi è piaciuta anche Bologna con la Torre degli Asinelli...; tutto dipende dalla personalità di ciascuno, ma il rapporto con i più grandi dipende molto da come ti sanno coinvolgere; mi aspettavo il meglio e il meglio ho avuto: ho passato giorni davvero fantastici!; ci sono molte meraviglie nel mondo, ma dipende tutto dagli occhi con cui le si guarda!». Con lo sguardo attento dell’adulto, si è potuto notare come, il comportamento spesso ancora un po’ infantile e superficiale dei ragazzi di terza media, abbia subìto un cambiamento in positivo, per adattarsi alle dinamiche di gruppo che hanno richiesto una collaborazione e una partecipazione attiva responsabile, allo svolgersi di tutte le attività. In pratica hanno dato prova di una maturità in crescita e di un desiderio sano di emulazione dei modelli più grandi! Ascoltando anche i ragazzi di prima e seconda superiore, questo è quanto ci hanno confidato: «Quest’anno è diverso dall’anno scorso ma comunque bello perché adesso che siamo un po’ più grandi abbiamo il compito “difficile ma stimolante” di integrare nel gruppo i più piccoli e secondo me ci stiamo riuscendo abbastanza bene; in Toscana, anche se è solo la seconda volta, è sempre bello! Io sono poco credente e frequento poco la chiesa e l’oratorio, ma quando sono qui mi sento particolarmente in sintonia con Dio!; a me sembra di essere in una grande famiglia, il don è davvero speciale, le mamme che cucinano per noi sempre molto disponibili, le amicizie vecchie e nuove mi danno sempre molto carica e le percepisco molto sincere e libere da preconcetti; è bello dormire in tanti!; per me tanta fatica negli spostamenti con le bici, ma anche in questi momenti negativi si ride e si scherza sempre; il parco acquatico che è stato la novità di quest’anno, è da preferire senz’altro all’uscita medievale: scivoli, buffet, acqua tiepida, musica a palla, nessun desiderio di bere per poi stare male!; è circolato il messaggio che “tutti ci siamo, per tutti”; bellissimo il clima e l’atmosfera anche se mi è mancato il mio animatore Diego!; l’unico posto in cui vedo le persone per come sono veramente è qui in Toscana: tutti vengono allo scoperto!; ci ho dovuto pensare quest’anno prima di iscrivermi..., non nascondo che avevo paura di trovarmi sola...; solo in queste bellissime uscite con il gruppo Ado ho la possibilità di passare del tempo con determinati amici che altrimenti vedo molto raramente; ritengo molto importante il fatto che ci venga richiesto l’aiuto concreto in cucina, nelle camere, negli spazi comuni... e soprattutto la fiducia che don Samuele ripone in noi, semplicemente perché ci ritiene capaci di metterci in gioco; è stata una settimana fantastica e siamo riusciti a divertirci con la massima semplicità e con la testa sulle spalle!».
Anche qualcuno di terza e quarta superiore ha sentito il desiderio di raccontarsi:
«Non sono di Zogno (della compagnia io e Mattia) e ho saputo dell’uscita in Toscana perché è venuta la mia ragazza: al mio paese non ci sono proposte del genere e non ho mai conosciuto una persona come don Samuele che sa curare particolarmente bene il risvolto religioso di ciò che organizza per i suoi ragazzi! I lavori di gruppo e le riflessioni sono serie ma mai noiose, suscitano domande e curiosità che poi vengono discusse e argomentate magari anche in modo divertente; questa settimana, anche se di soli otto giorni, richiede molto impegno e partecipazione più che qualsiasi altra iniziativa: si condividono molti più momenti e con motivazioni diverse che vanno dal gioco alla preghiera, dai pasti al riposo notturno, dallo scherzo alla confessione/colloquio con il don, dalle confidenze all’amico del cuore alle sfide divertenti con penitenza finale, dagli sketch della Corrida, alla preoccupazione per l’amico che ha mal di pancia o di testa o si è slogato una caviglia,...; non sono di Zogno ma ho don Samuele come professore di religione al 4° anno delle superiori: sto vedendo un gruppo molto coeso, che “viaggia” bene pur essendo molto numeroso; con componenti di età e pensieri diversi, per mantenere un rapporto così sereno significa che dietro c’è stato e c’è un lavoro preparatorio molto attento; le attività di ogni singola giornata danno modo a tutti di esserci e partecipare; non credo ci sia stato un momento più bello o più brutto in particolare, ognuno è stato prezioso per quello che ha lasciato nella mente e nel cuore di ciascuno».
Un di noi animatori, durante l’adorazione Eucaristica, conclude così la sua riflessione:
«Sono molto contenta della settimana trascorsa insieme, penso che molti dei ragazzi mi abbiano mostrato il senso dell’umiltà nonostante siano alle prime esperienze con il gruppo-ado e la vita comune. Oltre ad avermi arricchito dal punto di vista personale ed oggettivo, questa settimana mi ha fatto riflettere sul significato della memoria. Ho capito che la memoria è fondamentale quando si ricordano fatti belli e positivi, ma soprattutto momenti di sofferenza e di dolore. Grazie a questo ho capito che il ricordo deve poter superare il dolore, porta con sé una parte di me e non posso permettermi di perderlo, anche se riviverlo porta ancora dolore. Grazie a tutti voi ragazzi, mamme e don».
Gli animatori
HAPPENING NAZIONALE DEGLI ORATORI
Nella prima metà di settembre a Bergamo e Brescia si è tenuto il primo HAPPENING degli Oratori Italiani, un vero e proprio meeting nazionale guidato dal nostro Vescovo Francesco Beschi e da alcuni relatori quali Massimo Cicconi della Segreteria del Forum degli oratori (FOI), don Michele Falabretti direttore dell’Ufficio dell’età evolutiva della diocesi di Bg e don Marco Mori Presidente del FOI, con i quasi mille giovani venuti da tutta Italia. L’incontro era dedicato al confronto della vita oratoriale presente in modo diverso sul territorio italiano e a riscoprire il bisogno e la ricchezza di “mettersi in rete” per valorizzare le varie realtà oratoriali e prendere spunti per iniziare nuove e originali esperienze. Evidentemente non possiamo capire e comprendere che cos’è l’oratorio, senza il ricordo delle grandi figure del passato: da San Filippo Neri, al Vescovo Carlo Borromeo a San Giovanni Bosco, dove ognuno di loro ha apprezzato le esperienze precedenti e poi le ha rielaborate in modo personale ed in grado di rispondere ai bisogni della comunità. Lo stesso nostro Papa Giovanni XXIII, ricorda l’Oratorio “come la fontana del paese, semplice e fresca, a disposizione di tutti e capace di far crescere dando un po’ di vita”: cosa indicano queste parole alla nostra comunità? Il vescovo Beschi risponde dicendo che l’oratorio è il centro educativo della comunità, è il luogo aggregativo per eccellenza dove si riscoprono i veri valori e dove si cresce. Nel contesto attuale dove i ragazzi sono “bulimici” di attività sportive e ludiche è difficile poterli raggiungere; quindi il ruolo dell’oratorio è quello di essere il fulcro tra le mille associazioni territoriali e il garante dell’educazione, creando reti con le diverse agenzie educative (scuola, comuni, associazioni sportive, parrocchie...). L’oratorio si è evoluto, non solo nelle strutture ma anche nelle proposte formative; i nostri ragazzi non percepiscono l’impegno in quanto accecati dal “troppo” e non hanno più lo stimolo e il motivo di raggiungere una “meta” perché si ritengono già sazi. Se non ci prendiamo cura dei nostri ragazzi, il rischio è che perdano il senso del servizio, della gratuità, della riconoscenza, della collaborazione e della carità. Ricordando le parole del Cardinal Martini come in un incontro rivolgeva ai giovani le due domande “dove siamo?” e “dove andiamo”? e il vescovo Francesco faceva questo esempio: “quando ero curato in una parrocchia della Diocesi di Brescia, i miei ragazzi alle 14 del pomeriggio lasciavano l’oratorio per andare in discoteca, per essere grandi. Alle 18, alla chiusura, tornavano ed io ero pronto ad aspettarli per fare due parole. Durante la chiacchierata su come avevano trascorso il pomeriggio chiesi ad uno di loro: “ ma tu sei felice? Sei contento della tua giornata?”mi rispose: “ Boh, non saranno mica domande queste”. La riflessione che feci fu: i nostri adolescenti vanno in discoteca per sentirsi grandi, per uscire da quel luogo che è l’oratorio visto da bambino ma entrando in una realtà “vuota” priva di valori, si sentono persi. È necessario educare il loro sguardo a guardare l’oratorio da persone adulte e responsabili e quindi riconoscere i bisogni e le fatiche della sfida educativa che tutt’oggi l’oratorio sposa. Solo quando metti tutta la tua passione, il tuo tempo e la tua generosità riconosci l’oratorio come la tua seconda grande famiglia e sei solo allora disposto a “sacrificarti “ e ad inventare nuove strategie d’incontro. Talvolta l’equivoco è di pensare l’oratorio come una grande struttura in muratura: ma l’oratorio sono le persone che ci abitano, che sanno accogliere e che sanno condividere un cammino nel quale ti senti accompagnato e sostenuto per la persona che sei. Il rimanere impegnati in oratorio da parte di alcuni ragazzi, giovani e adulti nasce dalla decisione di chi condivide un progetto, e non da chi non trova alternative. La formazione oratoriale pertanto permette a tutti i ragazzi di creare le basi sul quale poter poi edificare la propria personalità, per imparare a discernere e acquisire con la preghiera e con la carità, la saggezza e la prudenza necessarie per la vita. Come don, cari ragazzi e genitori vi dico: VIVERE, SERVIRE e AMARE IL PROPRIO ORATORIO È DARE SAPORE AL PROPRIO QUOTIDIANO SEMPLICEMENTE PERCHÉ IMPARATE A DARE UN SENSO ALLA VOSTRA VITA NELLA GIOIA E NELLA FATICA. RicordateVi: le esperienze oratoriali di oggi sono ponti per le relazioni che l’indomani sarete chiamati a costruire nel mondo affettivo e lavorativo; impegnatevi quindi ricercando le Vostre strade per essere autentici testimoni dei veri valori, valori assenti nel mondi d’oggi. Consapevole inoltre che l’oratorio non può essere un’isola incantata staccata dalla complessità della vita, ma una giovane famiglia all’interno di una grande comunità e società adulta, chiedo un lavoro di forte sinergia fra le varie agenzie educative ed istituzioni civili. Questa è la vera sfida che ci porterà ad essere insieme costruttori e ponti per la nostra comunità.
don Samuele Novali |
…LIBERI NEL CUORE…
Musica nello stereo, cuscino per conciliare il sonno durante il viaggio, 20 valigie, due pulmini e un’auto: c’è tutto! Ah, certo... e ovviamente, la sostanza fondamentale: 20 ragazzi che han voglia, con le proprie convinzioni, indecisioni e paure, di condividere ogni situazione in cui si imbatteranno nei prossimi 7 giorni. Siamo già per strada e tra le palpebre semichiuse possiamo intravedere l’alba, il caldo inizia già a farsi percepire, ma la prima tappa è già qui: la foiba di Basovizza. Un posto che forza al raccoglimento. Fin da subito comprendiamo a quanto la crudeltà dell’uomo del passato, e probabilmente anche quello del presente, possa spingersi! Tutto questo in contrasto con l’ambiente candidamente dipinto dai naturali sassi bianchi: è necessario e doveroso il ricordo ed una preghiera con il cuore. Dopo molti altri chilometri e valichi doganali giungiamo sull’isola di Krk e la voglia irrefrenabile di vedere il mare ci porta alla “spiaggia”di sassi, ideale per una rinfrescatina. Per la notte ci ospita sull’isola padre Robert in una location isolata ma accogliente, in semplici casettine immerse nella natura. Una rapida doccia con la canna dei fiori e poi subito una cena a base di pasta e...di cipolle. Nella tarda serata eccoci a partecipare alla Santa Messa, appuntamento a cui prenderemo parte quotidianamente durante questo nostro viaggio-pellegrinaggio. Durante questa celebrazione esprimiamo ciò che vorremmo portarci a casa al nostro ritorno: chi un pizzico di maturità in più, chi un mattoncino del proprio credo, chi nuovi amici, altri che non sanno bene di cosa si arricchiranno, ma sono convinti, sin dal primo giorno, che torneranno a casa con un tesoro nel cuore! Il giorno successivo abbiamo assaporato un po’ dell’arte e della cultura croata: la bellissima città di Zara con il suo incantevole lungomare e il suo organo marino. Per il tardo pomeriggio raggiungiamo Sibenik dove incontriamo un signore che si prende cura di noi trovandoci alloggio in un ostello; cena a base di pesce e chiesa in cui celebrare la S. Messa. Terzo giorno: una boccata di mare, pranzo by KONZUM (nota ed economica catena alimentare) e in serata arrivo a Medjugorie. Neppure il tempo di arrivare che Marina, la signora che gestisce la “Casa della Provvidenza” in cui soggiorniamo, ci spinge verso la collina delle apparizioni dove due ore dopo sarebbe apparsa la Madonna al veggente Ivan. Pronti, gasati e titubanti per non saper bene a cosa avremmo assistito, seguiamo il sentiero che arriva alla spianata con la statua della Madonna. In attesa dell’apparizione si prega, si canta, si pensa e ci si guarda attorno: noi, catapultati da pochi minuti in una realtà così diversa e tanta altra gente venuta qui, ognuna con uno spirito diverso, ma tutti con il pensiero rivolto a Maria. L’indomani mattina ci incamminiamo invece verso la cime del monte Krizevac. Scarpinando sui pendii ricoperti da sassi sporgenti e terriccio rosso, preghiamo la Via Crucis con l’aiuto delle diverse tappe disposte lungo il sentiero; sulla cima ci aspetta la grandissima croce che domina sul paese di Medjugorie. La sera stessa partecipiamo all’adorazione del Santissimo, uno dei momenti più toccanti di tutta l’esperienza: una sensazione di serenità e pace, un silenzio assoluto in uno spiazzo tra 20 mila persone, ognuna con la propria lingua, a pregare Dio, per gli altri e per sé. Sicuramente ognuno a Medjugorie è libero di raccogliere, tra le tante “proposte” e sensazioni, ciò che vuole, ma quello che è passato un po’ a tutti noi è che una presenza c’è, si può percepire una vibrazione che lega le tante persone spinte sul cammino della Madonna...anche questo, in fondo, è un piccolo grande miracolo! Dopo una “scottante” messa domenicale nella spianata sotto il sole delle 11, nel pomeriggio lasciamo Medjugorie per raggiungere Mostar, cittadina famosa per la terribile guerra del 1992. Camminando per il centro si vedono ancora le facciate della case martoriate dalle bombe, edifici distrutti e tanta povertà per le strade. Abbiamo avuto l’occasione di visitare una moschea e vedere la città dall’alto di un minareto grazie a un simpatico e “inquietante” signore musulmano che ci ha fatto da guida. Il lunedì mattina abbandoniamo la casa di Marina e prendiamo la strada del ritorno; dopo qualche ora di viaggio e un bagno nel cristallino mare di Primostene, ritorniamo a Krk, sempre accolti da padre Robert.Il gruppo è sempre più unito, affiatato e gli ultimi due giorni volano via ancora più degli altri tra giochi, chiacchiere, silenzi, preghiera, canti e tantissime altre emozioni da portare nel cuore. Siamo sulla strada di casa: sembrava esserci passati ieri da queste parti... Purtroppo il viaggio si sta concludendo, ma abbiamo ancora l’ultima tappa al sacrario di Redipuglia, immenso monumento in memoria dei caduti della prima guerra mondiale. È un vero e proprio monito al passato e ciò che colpisce sono gli innumerevoli “presente” scolpiti in rilievo sull’enorme gradinata: si ha come la percezione di sentirli pronunciare ad alta voce da ogni milite lì commemorato. Nelle ultime ore ci si accorge di tornare a casa arricchiti con tante parole di speranza, tanti volti e tante testimonianze: ci si accorge di aver avuto la propria piccola conversione nel cuore... “Non sono le persone che fanno i viaggi, ma i viaggi che fanno le persone”. Con gli occhi lucidi e un forte abbraccio ci salutiamo, ma un sorriso ci accompagna sul volto: la grande gioia di aver fatto questa esperienza con un gruppo fantastico, aver conosciuto nuove persone e nuove realtà! Un grazie doveroso a don Gio, don Samu, don Claudio, padre Robert, Marina e a tutte le persone che sulla strada ci han permesso di vivere al meglio quest’insolita esperienza. A presto!
Noi!
Noi!
MALAWI
Donare con sorriso è una cosa seria
Durante la catechesi degli adolescenti, lunedì 22 ottobre, quattro giovani della bergamasca, Dennis, Silvia, Thomas e Andrea missionari in Malawi, hanno incontrato i nostri ragazzi per raccontare loro chi è il missionario in terra straniera e cosa vuol dire essere missionario anche nella nostra comunità e nella nostra famiglia, senza partire per terre lontane. Poche parole da parte dei giovani, ma sono state le foto ed il silenzio che hanno parlato! Foto che hanno raccontato la grande povertà in terra africana, la semplicità della gente ed il sorriso dei bimbi.. ‘hanno poco o niente in beni materiali ma sono molto più contenti di noi’, così ha esclamato un nostro adolescente. I ragazzi più grandi di terza e quarta superiore, si sono trattenuti più a lungo con diverse domande nate dalla curiosità di conoscere i disagi e i bisogni dei poveri, che non sono certo poveri di spirito! I ragazzi di prima e seconda superiore hanno concluso l’incontro con un simpatico gioco: il tiro alla fune. Perché? Per dire che il missionario non è uno che vuole prevalere, vincere sull’altro, ma è uomo che si mette in cordata e tende la sua mano come segno di aiuto e di comunione con la sua comunità. Il missionario non corre, ma sa fermarsi e medicare di fronte al bisogno di curare e ascoltare. E allora, cari parrocchiani, non solo durante il mese di ottobre (mese missionario) ma sempre, facciamo nostro uno stile di vita più missionario/caritativo e prendiamoci l’impegno di aiutare le nostre missioni diocesane non dimenticandoci che donare col sorriso è una cosa seria. Un ricordo speciale va a Don Giuseppe Ferrari, uomo di Dio, per il bene che ha fatto nella missione di Bolivia e che continua a fare dal cielo. Riprendo le parole, a me care, di Madre Teresa di Calcutta, dicendo: ‘Giuseppe è una matita nelle mani del Signore, e lo è tutt’ora dal cielo’.
don Samuele Novali
don Samuele Novali