1989
DON GIACOMO CI LASCIA DOPO CIRCA QUATTRO ANNI DI PERMANENZA TRA NOI
È venuto con un progetto di chiesa povera che lascia dietro di sè, tuttora, un grande vuoto da riempire per chi la vuole considerare.
Gli esprimiamo comunque il nostro augurio riconoscente e affettuoso di ogni bene nella speranza che tempi nuovi abbiano a maturare scelte migliori di chiesa di cui egli ha voluto essere precursore. Il suo ritorno fra noi costituirà sempre un motivo di gioia per cui l’attendiamo con affetto. Mons. Giulio Gabanelli |
All’atto della presentazione di questa lettera il bollettino era già in stampa,
pertanto la seguente è sottoforma di inserto
“Lettera aperta a don Giacomo”
Zogno, 16.7.1989
Caro Don Giacomo,
abbiamo avuto la fortuna di incontrarti in quel periodo della vita per cui, un po' spaesati, ci si guarda intorno per cercare di fare... per cercare di capire...
In quel periodo in cui si sente il bisogno di guidare da sè la propria canoa e allora le domande su dove andare, quale rotta seguire diventano domande importanti.
In questo periodo tu sei stato con noi.
La porta della tua casa è sempre stata aperta. Sempre spazio per chi ne aveva bisogno, sempre disponibile a dare del tuo tempo. La casa era sempre aperta a noi a quella casa ci siamo affezionati. Noi potevamo entrare, uscire, trovarti, parlarti, .. trovarci fra noi.
Non ne eravamo abituati. Non abbiamo compreso subito. Solo con il passar del tempo abbiamo incominciato a capire.
La porta della tua casa sempre aperta era un segno, anzi era più di un segno, era uno dei modi che avevi scelto per essere con noi.
Spesso in casa, sul tavolo, c’era la torta (preparata da tua sorella: grazie Rosa!) di cui noi approfittavamo allegramente così come usavamo dei tuoi libri, dalla tua macchina da scrivere, della tua chitarra, del tuo stereo quando ci servivano per le nostre attività di gruppo e di animazione dell'oratorio.
Accadeva ogni tanto che la tua casa fosse così piena di ragazzi che spesso le sedie non bastavano e allora si stava in piedi intorno al tavolo, e andava bene anche così per discutere, per riflettere.
Questo tuo mettere in comune tutto, questi tuoi gesti radicali più di una volta ci hanno ricordato la povertà evangelica delle prime comunità cristiane, di coloro che nulla tenevano per sè e che ogni cosa condividevano.
Il non aver nulla di tuo è una scelta. Una scelta di povertà.
Una scelta affascinante ma molto difficile da seguire per noi che viviamo in una cultura in cui il possedere è sentito come una necessità esistenziale perchè ci fa apparire agli occhi degli altri più grandi e più potenti, poiché il possedere accredita presso gli altri un'immagine di noi più forte e prestigiosa.
Tu ci hai insegnato quanto poco importante sia "apparire", quanto sia violento il voler essere più grandi e più forti, quanto sia immensamente cristiano invece la rinuncia all'autorità sugli altri.
Pensiamo quindi alle cose che abbiamo fatto insieme all'oratorio.
E allora: l’esperienza della Pulce, il giornalino che costituiva il punto di arrivo delle nostre riflessioni, delle nostre ricerche, le conferenze sulle questioni ecologiche, il corso di educazione alla partecipazione politica, le numerose uscite di fine settimana di tutto il gruppo che offrivano a ciascuno l'occasione di riflettere, di confrontarsi, di crescere e dove le parole che ricorrevano di più erano parole che raccontavano della pace, del cammino spirituale di ricerca di fede.
La saletta con il suo simpatico nome "Perchè no" realizzata da alcuni di noi con il duplice scopo di avere un luogo per le riunioni dei gruppi e per lo studio pomeridiano che si affronta meglio con i compagni di scuola.
La scelta meditata di trasformare il bar del salone in una dispensa autogestita.
Questo perchè il bar rappresenta a nostro avviso un triste esempio di quella cultura del consumo inutile, dannoso, spropositato che ci sarebbe piaciuto allontanare dall'oratorio.
Le esperienze di C.R.E. e di campeggi estivi con i gruppi di catechismo, il lavoro con gli amici del gruppo del Carmine dove si è fatto il tentativo di creare uno spazio d'incontro che desse identità e unità al gruppo che stava nascendo; le belle eucarestie che abbiamo preparato insieme cercando di renderle vive e partecipate anche solo con il semplice gesto di ascoltare le riflessioni nostre e della gente durante l'omelia e le preghiere dei fedeli; e infine non dimentichiamo la recente costituzione della cooperativa "la piazza" nata con lo scopo di creare occasioni di lavoro per i giovani, soprattutto per quelli che a causa di particolari situazioni personali faticano ad inserirsi nel mondo del lavoro.
Da tutto ciò, da tutte queste tracce abbiamo scoperto la tua pista, il tuo stile.
Uno stile prima di tutto silenzioso, mite non certo rumoroso o eclatante, un modo di fare per cui non amavi le cose di copertina o le imprese di facciata.
Un invito sempre all'interiorità ma nessuna concessione all’immagine, alle cose "troppo colorate" che colpiscono al momento ma che poi sfuggono come sabbia fra le dita, senza lasciare traccia.
Il tuo stile è quello di ohi si avvicina alle cose e alle persone che lo circondano in silenzio, in punta di piedi quasi per non disturbare» Ti avvicini in punta di piedi, con quel rispetto religioso di chi sa che in ogni persona brilla qualche cosa di divino, che è bello cogliere per gustare insieme.
Un modo di fare umile, fatto di ascolto, di quel silenzio che serve per capire le persone, per cercare lo spazio adatto a ciascuno, perchè ciascuno possa esprimersi, possa parlare.
In questo modo semplice e povero hai saputo raccogliere attorno a te il nostro gruppo, una quarantina di giovani che insieme e faticosamente si sono creati un'identità di gruppo condividendo esperienze e valori.
Non è sempre stato facile e non sempre è andato tutto liscio.
Ci ricordiamo di momenti di scoraggiamento, di perdita di entusiasmo, di vere e proprie "paure" che forse non erano di riflessione ma di semplice "sonnolenza"; ebbene anche in questi momenti, non certo esaltanti, tu non ti sei mai imposto, non ci hai mai detto "dovete fare ..." oppure "dovete andare ...", ma con un’infinita fiducia verso di noi, verso ciascuno di noi, hai aspettato paziente che ci scrollassimo e ci muovessimo ancora.
Non sei un campione di efficientismo e lo hai dimostrato e di questo ti ringraziamo. Viviamo già abbastanza immersi in ritmi di lavoro e di studio troppo pressanti, siamo circondati anche da troppe immagini spettacolari, da troppi trucchi teatrali por dover ritrovarli anche all’oratorio. Ci piace dire che i tuoi tempi, i tuoi ritmi erano i tempi dello spirito, i ritmi lenti della coscienza e della persona che cresce, che matura lentamente e faticosamente.
Quindi senza fretta, senza il problema estenuante di dover fare per apparire, senza spettacolarità, perchè il tuo obiettivo è quello di far crescere delle anime non di creare degli "spettacoli".
A questo proposito alcuni di noi si ricordano della lezione di semplicità e povertà scoperta nella comunità monastica di Bose, dove per una settimana, insieme a te, hanno seguito seminari biblici (sui sapienziali per la precisione) e hanno vissuto i ritmi di vita dei monaci, nella pace dei monaci. Sono tornati con occhi pieni di immagini e con la voglia di riportare un po' di quel silenzio, di quella pace e preghiera anche nell'oratorio.
Abbiamo certamente fatto altre cose insieme, avuto altre esperienze che ora però nello scrivere non ci tornano alla monte o che semplicemente in questa lettera non riusciamo a dire; tutto comunque si è depositato in noi, nella nostra coscienza ed à diventato la terra fertile su cui anche adesso stiamo crescendo: per tutto questo, carissimo, grazie.
Un gruppo di giovani e adulti
pertanto la seguente è sottoforma di inserto
“Lettera aperta a don Giacomo”
Zogno, 16.7.1989
Caro Don Giacomo,
abbiamo avuto la fortuna di incontrarti in quel periodo della vita per cui, un po' spaesati, ci si guarda intorno per cercare di fare... per cercare di capire...
In quel periodo in cui si sente il bisogno di guidare da sè la propria canoa e allora le domande su dove andare, quale rotta seguire diventano domande importanti.
In questo periodo tu sei stato con noi.
La porta della tua casa è sempre stata aperta. Sempre spazio per chi ne aveva bisogno, sempre disponibile a dare del tuo tempo. La casa era sempre aperta a noi a quella casa ci siamo affezionati. Noi potevamo entrare, uscire, trovarti, parlarti, .. trovarci fra noi.
Non ne eravamo abituati. Non abbiamo compreso subito. Solo con il passar del tempo abbiamo incominciato a capire.
La porta della tua casa sempre aperta era un segno, anzi era più di un segno, era uno dei modi che avevi scelto per essere con noi.
Spesso in casa, sul tavolo, c’era la torta (preparata da tua sorella: grazie Rosa!) di cui noi approfittavamo allegramente così come usavamo dei tuoi libri, dalla tua macchina da scrivere, della tua chitarra, del tuo stereo quando ci servivano per le nostre attività di gruppo e di animazione dell'oratorio.
Accadeva ogni tanto che la tua casa fosse così piena di ragazzi che spesso le sedie non bastavano e allora si stava in piedi intorno al tavolo, e andava bene anche così per discutere, per riflettere.
Questo tuo mettere in comune tutto, questi tuoi gesti radicali più di una volta ci hanno ricordato la povertà evangelica delle prime comunità cristiane, di coloro che nulla tenevano per sè e che ogni cosa condividevano.
Il non aver nulla di tuo è una scelta. Una scelta di povertà.
Una scelta affascinante ma molto difficile da seguire per noi che viviamo in una cultura in cui il possedere è sentito come una necessità esistenziale perchè ci fa apparire agli occhi degli altri più grandi e più potenti, poiché il possedere accredita presso gli altri un'immagine di noi più forte e prestigiosa.
Tu ci hai insegnato quanto poco importante sia "apparire", quanto sia violento il voler essere più grandi e più forti, quanto sia immensamente cristiano invece la rinuncia all'autorità sugli altri.
Pensiamo quindi alle cose che abbiamo fatto insieme all'oratorio.
E allora: l’esperienza della Pulce, il giornalino che costituiva il punto di arrivo delle nostre riflessioni, delle nostre ricerche, le conferenze sulle questioni ecologiche, il corso di educazione alla partecipazione politica, le numerose uscite di fine settimana di tutto il gruppo che offrivano a ciascuno l'occasione di riflettere, di confrontarsi, di crescere e dove le parole che ricorrevano di più erano parole che raccontavano della pace, del cammino spirituale di ricerca di fede.
La saletta con il suo simpatico nome "Perchè no" realizzata da alcuni di noi con il duplice scopo di avere un luogo per le riunioni dei gruppi e per lo studio pomeridiano che si affronta meglio con i compagni di scuola.
La scelta meditata di trasformare il bar del salone in una dispensa autogestita.
Questo perchè il bar rappresenta a nostro avviso un triste esempio di quella cultura del consumo inutile, dannoso, spropositato che ci sarebbe piaciuto allontanare dall'oratorio.
Le esperienze di C.R.E. e di campeggi estivi con i gruppi di catechismo, il lavoro con gli amici del gruppo del Carmine dove si è fatto il tentativo di creare uno spazio d'incontro che desse identità e unità al gruppo che stava nascendo; le belle eucarestie che abbiamo preparato insieme cercando di renderle vive e partecipate anche solo con il semplice gesto di ascoltare le riflessioni nostre e della gente durante l'omelia e le preghiere dei fedeli; e infine non dimentichiamo la recente costituzione della cooperativa "la piazza" nata con lo scopo di creare occasioni di lavoro per i giovani, soprattutto per quelli che a causa di particolari situazioni personali faticano ad inserirsi nel mondo del lavoro.
Da tutto ciò, da tutte queste tracce abbiamo scoperto la tua pista, il tuo stile.
Uno stile prima di tutto silenzioso, mite non certo rumoroso o eclatante, un modo di fare per cui non amavi le cose di copertina o le imprese di facciata.
Un invito sempre all'interiorità ma nessuna concessione all’immagine, alle cose "troppo colorate" che colpiscono al momento ma che poi sfuggono come sabbia fra le dita, senza lasciare traccia.
Il tuo stile è quello di ohi si avvicina alle cose e alle persone che lo circondano in silenzio, in punta di piedi quasi per non disturbare» Ti avvicini in punta di piedi, con quel rispetto religioso di chi sa che in ogni persona brilla qualche cosa di divino, che è bello cogliere per gustare insieme.
Un modo di fare umile, fatto di ascolto, di quel silenzio che serve per capire le persone, per cercare lo spazio adatto a ciascuno, perchè ciascuno possa esprimersi, possa parlare.
In questo modo semplice e povero hai saputo raccogliere attorno a te il nostro gruppo, una quarantina di giovani che insieme e faticosamente si sono creati un'identità di gruppo condividendo esperienze e valori.
Non è sempre stato facile e non sempre è andato tutto liscio.
Ci ricordiamo di momenti di scoraggiamento, di perdita di entusiasmo, di vere e proprie "paure" che forse non erano di riflessione ma di semplice "sonnolenza"; ebbene anche in questi momenti, non certo esaltanti, tu non ti sei mai imposto, non ci hai mai detto "dovete fare ..." oppure "dovete andare ...", ma con un’infinita fiducia verso di noi, verso ciascuno di noi, hai aspettato paziente che ci scrollassimo e ci muovessimo ancora.
Non sei un campione di efficientismo e lo hai dimostrato e di questo ti ringraziamo. Viviamo già abbastanza immersi in ritmi di lavoro e di studio troppo pressanti, siamo circondati anche da troppe immagini spettacolari, da troppi trucchi teatrali por dover ritrovarli anche all’oratorio. Ci piace dire che i tuoi tempi, i tuoi ritmi erano i tempi dello spirito, i ritmi lenti della coscienza e della persona che cresce, che matura lentamente e faticosamente.
Quindi senza fretta, senza il problema estenuante di dover fare per apparire, senza spettacolarità, perchè il tuo obiettivo è quello di far crescere delle anime non di creare degli "spettacoli".
A questo proposito alcuni di noi si ricordano della lezione di semplicità e povertà scoperta nella comunità monastica di Bose, dove per una settimana, insieme a te, hanno seguito seminari biblici (sui sapienziali per la precisione) e hanno vissuto i ritmi di vita dei monaci, nella pace dei monaci. Sono tornati con occhi pieni di immagini e con la voglia di riportare un po' di quel silenzio, di quella pace e preghiera anche nell'oratorio.
Abbiamo certamente fatto altre cose insieme, avuto altre esperienze che ora però nello scrivere non ci tornano alla monte o che semplicemente in questa lettera non riusciamo a dire; tutto comunque si è depositato in noi, nella nostra coscienza ed à diventato la terra fertile su cui anche adesso stiamo crescendo: per tutto questo, carissimo, grazie.
Un gruppo di giovani e adulti