Verbale Consiglio Vicariale del 12 febbraio 2014
In data 12 febbraio 2014 il consiglio pastorale vicariale si riunisce a Zogno nei locali dell’oratorio. La riunione inizia alle 20.30.
Dopo il consueto momento di preghiera, don Cesare Micheletti, vicario locale, prende la parola ed espone un breve riepilogo del percorso avviato nell’ultimo anno dal Consiglio vicariale, riguardante, anzitutto, la comprensione (vale a dire il senso e la portata) dell’Unità pastorale in sé e, poi, la sua futura eventuale realizzazione sul nostro territorio.
Il Vicario inoltre ha comunicato la presenza al prossimo Consiglio vicariale (il 19 marzo 2014) di Mons. Lino Casati, delegato vescovile per le Unità pastorali: sarà una preziosa occasione per conoscere meglio il pensiero del Vescovo Francesco e presentare prospettive, perplessità, interrogativi e dubbi dei membri del Consiglio circa la costituzione di Unità pastorali nel nostro Vicariato.
In alcune comunità è stato intrapreso un ulteriore lavoro di approfondimento sull’Unità pastorale: per esempio in occasione del prossimo consiglio pastorale di Brembilla, sempre con la presenza di Mons. Lino Casati, tale tematica verrà affrontata specificamente.
Viene ribadito il fatto che, anche nel momento in cui l’esperienza delle Unità pastorali avrà inizio anche sul nostro territorio, essa avrà bisogno di tempi necessari (e tappe da scandire) per una piena realizzazione. A tal proposito don Alessandro Raccagni interviene raccontando l’esperienza della comunità di Endenna. Egli, riscontrando una certa mancanza di informazione da parte dei suoi parrocchiani, ha ritenuto opportuno organizzare una serata in cui questi ultimi potessero da un lato acquisire una conoscenza adeguata delle caratteristiche dell’Unità pastorale, e dall’altro esprimersi liberamente in proposito. Da tale dibattito non sono emerse particolari opposizioni alla creazione dell’Unità pastorale, sebbene tale disponibilità appaia soprattutto come accettazione di un esito inevitabile.
Sono tuttavia emerse tre sottolineature:
1) l’iniziativa dovrà avvenire con gradualità e formazione delle coscienze;
2) per quanto riguarda la comunità di Endenna, si è prospettata una collaborazione su un territorio più piccolo (Endenna, Somendenna e Miragolo) rispetto a quello precedentemente auspicato;
3) le zone chiamate a collaborare dovranno ritrovarsi con i consigli pastorali in modo da conoscere le reciproche idee ed esperienze.
A tal proposito, dopo il Consiglio pastorale, si è richiesto un incontro con la comunità di Somendenna, in modo da verificare i presupposti per una collaborazione più ampia, nell’orizzonte di un’unità pastorale onnicomprensiva di tutte le parrocchie di Zogno.
Don Alessandro, pur ritenendo di aver colto una certa disponibilità alla collaborazione da parte dei suoi parrocchiani, riscontra il fatto che le proposte del Consiglio vicariale (in particolare quella di costituire una sola unità pastorale intorno a Zogno) siano momentaneamente troppo ambiziose e che non abbiano avuto un effettivo “travaso” nella comunità parrocchiale di Endenna.
Si avvia quindi un confronto fra i membri del consiglio, secondo cui anche nelle restanti comunità del vicariato tale difficoltà è riscontrabile. Emerge anche la difficile collocazione della comunità di Ubiale all’interno di una futura unità pastorale.
Don Cesare ribadisce che i due obiettivi del consiglio vicariale consistono da un lato nel trasmettere quanto emerso alle rispettive comunità, e dall’altro nell’elaborare proposte sempre più concrete per una futura Unità pastorale. In ogni caso viene ribadito il carattere della gradualità.
Don Alessandro riferisce la “paura” da parte delle comunità considerate, dell’eventualità di perdere la familiarità dei rapporti, che potrebbero essere spersonalizzati all’interno di un territorio più grande. Ad essa si aggiungono le difficoltà geografiche e di spostamento, specialmente per le parrocchie di Somendenna e Miragolo. Si avverte molto la fatica da parte dei parrocchiani, di non avere un sacerdote “in loco” e per molti risulta faticoso non pensare più alla parrocchia come contesto di riferimento.
Molti membri del consiglio espongono le loro piccole esperienze avviate nelle rispettive comunità (ex: riunire i ragazzi del catechismo), finalizzate a una futura unificazione. Don Samuele propone di sfruttare maggiormente le occasioni delle uscite o delle gite vicariali, le quali, oltre ad essere delle esperienze particolarmente arricchenti, costituirebbero occasioni per parlare, proporre e propiziare costantemente l’esperienza delle unità pastorali: come la fede nasce per contagio, così deve essere per le unità pastorali.
Don Cesare espone la realtà di Brembilla, in cui nell’ultimo anno sono state effettuate alcune scelte concrete (preparazione CRE, catechesi degli adolescenti, genitori dei sacramenti riuniti a Brembilla ma con la proposta del ritiro a Laxolo) finalizzate alla creazione di una certa mentalità predisposta all’Unità pastorale. Viene inoltre sottolineato il fatto che tali cambiamenti vengono recepiti in modo particolarmente positivo dai ragazzi giovani, i quali hanno portato una ventata di entusiasmo. Essi potrebbero costituire il punto di partenza.
Nel complesso don Samuele, pur riconoscendo che la realtà di Zogno presenta maggiori difficoltà rispetto a quella brembillese, evidenzia il fatto che gli adolescenti e i giovani non vivono in modo “traumatico” tali cambiamenti e che hanno una certa facilità nello spostarsi. Egli pone inoltre la questione dei rapporti degli adulti con i ragazzi, auspicando che a questi ultimi vengano fatte delle proposte responsabilizzanti mediante dei piccoli servizi alle comunità. Ciò rappresenta una sfida educativa da lanciare anche agli adulti.
Don Cesare espone l’esperienza della parrocchia di S. Antonio Abbandonato nella quale, dalla metà degli anni ottanta, è venuta a mancare la figura del parroco residente, ma ciò ha costituito un ulteriore impulso responsabilizzante per la comunità per la propria autogestione. E in ogni caso le proposte principali (celebrazioni e sacramenti) non sono mai venute meno.
Emerge in ogni caso l’importanza di valorizzare le tradizioni locali delle parrocchie, in modo da conseguire il duplice obiettivo di assecondare le richieste dei parrocchiani delle rispettive frazioni e valorizzare il patrimonio culturale, storico e spirituale di tali realtà.
Naturalmente occorre riscoprire il centro della vita cristiana che consiste in Gesù Cristo. Ciò deve portare a una condivisione: il “riunirsi attorno a una mensa” e il fare comunità.
Di fronte alla domanda riguardante la preparazione dei laici all’iniziativa delle unità pastorali, don Cesare accenna alla necessità di un percorso che, a livello di parrocchia, abbia come finalità il conferimento ai laici di alcune competenze precedentemente riservate alla figura del sacerdote (segreteria, visita ai malati, costituzione dei ministri straordinari dell’Eucarestia…). A tal proposito viene esposta l’esperienza dei ministri straordinari a Ubiale.
In ogni caso tale questione verrà ulteriormente sottoposta a Mons. Lino Casati in occasione del prossimo consiglio vicariale, insieme alle seguenti domande:
- Come rispondere al legittimo timore dei parrocchiani riguardante il fatto che le comunità più piccole, in virtù del fatto che la figura del parroco e il luogo dell’oratorio rappresentano ancora il punto di riferimento, si svuotino?
- Quale sarà la tempistica di realizzazione delle Unità pastorali?
- Quali sono i presupposti per l’avvio del percorso della loro creazione?
- L’Unità pastorale è dovuta solo alla mancanza dei preti o è pure una questione di fede dei credenti?
- I sacerdoti che hanno avviato il percorso di creazione dell’Unità pastorale rimarranno nelle loro sedi per poterlo portare avanti?
- Dal prossimo anno pastorale cosa siamo concretamente chiamati a fare?
Attualmente nel nostro Vicariato si sta pensando a tre Unità pastorali: Brembilla, Zogno e Endenna con Somendenna.
Rimane aperta la questione riguardante la collocazione vicariale della parrocchia di Ubiale.
La seduta è tolta intorno alle ore 22.30.
Pierluigi Rota
Dopo il consueto momento di preghiera, don Cesare Micheletti, vicario locale, prende la parola ed espone un breve riepilogo del percorso avviato nell’ultimo anno dal Consiglio vicariale, riguardante, anzitutto, la comprensione (vale a dire il senso e la portata) dell’Unità pastorale in sé e, poi, la sua futura eventuale realizzazione sul nostro territorio.
Il Vicario inoltre ha comunicato la presenza al prossimo Consiglio vicariale (il 19 marzo 2014) di Mons. Lino Casati, delegato vescovile per le Unità pastorali: sarà una preziosa occasione per conoscere meglio il pensiero del Vescovo Francesco e presentare prospettive, perplessità, interrogativi e dubbi dei membri del Consiglio circa la costituzione di Unità pastorali nel nostro Vicariato.
In alcune comunità è stato intrapreso un ulteriore lavoro di approfondimento sull’Unità pastorale: per esempio in occasione del prossimo consiglio pastorale di Brembilla, sempre con la presenza di Mons. Lino Casati, tale tematica verrà affrontata specificamente.
Viene ribadito il fatto che, anche nel momento in cui l’esperienza delle Unità pastorali avrà inizio anche sul nostro territorio, essa avrà bisogno di tempi necessari (e tappe da scandire) per una piena realizzazione. A tal proposito don Alessandro Raccagni interviene raccontando l’esperienza della comunità di Endenna. Egli, riscontrando una certa mancanza di informazione da parte dei suoi parrocchiani, ha ritenuto opportuno organizzare una serata in cui questi ultimi potessero da un lato acquisire una conoscenza adeguata delle caratteristiche dell’Unità pastorale, e dall’altro esprimersi liberamente in proposito. Da tale dibattito non sono emerse particolari opposizioni alla creazione dell’Unità pastorale, sebbene tale disponibilità appaia soprattutto come accettazione di un esito inevitabile.
Sono tuttavia emerse tre sottolineature:
1) l’iniziativa dovrà avvenire con gradualità e formazione delle coscienze;
2) per quanto riguarda la comunità di Endenna, si è prospettata una collaborazione su un territorio più piccolo (Endenna, Somendenna e Miragolo) rispetto a quello precedentemente auspicato;
3) le zone chiamate a collaborare dovranno ritrovarsi con i consigli pastorali in modo da conoscere le reciproche idee ed esperienze.
A tal proposito, dopo il Consiglio pastorale, si è richiesto un incontro con la comunità di Somendenna, in modo da verificare i presupposti per una collaborazione più ampia, nell’orizzonte di un’unità pastorale onnicomprensiva di tutte le parrocchie di Zogno.
Don Alessandro, pur ritenendo di aver colto una certa disponibilità alla collaborazione da parte dei suoi parrocchiani, riscontra il fatto che le proposte del Consiglio vicariale (in particolare quella di costituire una sola unità pastorale intorno a Zogno) siano momentaneamente troppo ambiziose e che non abbiano avuto un effettivo “travaso” nella comunità parrocchiale di Endenna.
Si avvia quindi un confronto fra i membri del consiglio, secondo cui anche nelle restanti comunità del vicariato tale difficoltà è riscontrabile. Emerge anche la difficile collocazione della comunità di Ubiale all’interno di una futura unità pastorale.
Don Cesare ribadisce che i due obiettivi del consiglio vicariale consistono da un lato nel trasmettere quanto emerso alle rispettive comunità, e dall’altro nell’elaborare proposte sempre più concrete per una futura Unità pastorale. In ogni caso viene ribadito il carattere della gradualità.
Don Alessandro riferisce la “paura” da parte delle comunità considerate, dell’eventualità di perdere la familiarità dei rapporti, che potrebbero essere spersonalizzati all’interno di un territorio più grande. Ad essa si aggiungono le difficoltà geografiche e di spostamento, specialmente per le parrocchie di Somendenna e Miragolo. Si avverte molto la fatica da parte dei parrocchiani, di non avere un sacerdote “in loco” e per molti risulta faticoso non pensare più alla parrocchia come contesto di riferimento.
Molti membri del consiglio espongono le loro piccole esperienze avviate nelle rispettive comunità (ex: riunire i ragazzi del catechismo), finalizzate a una futura unificazione. Don Samuele propone di sfruttare maggiormente le occasioni delle uscite o delle gite vicariali, le quali, oltre ad essere delle esperienze particolarmente arricchenti, costituirebbero occasioni per parlare, proporre e propiziare costantemente l’esperienza delle unità pastorali: come la fede nasce per contagio, così deve essere per le unità pastorali.
Don Cesare espone la realtà di Brembilla, in cui nell’ultimo anno sono state effettuate alcune scelte concrete (preparazione CRE, catechesi degli adolescenti, genitori dei sacramenti riuniti a Brembilla ma con la proposta del ritiro a Laxolo) finalizzate alla creazione di una certa mentalità predisposta all’Unità pastorale. Viene inoltre sottolineato il fatto che tali cambiamenti vengono recepiti in modo particolarmente positivo dai ragazzi giovani, i quali hanno portato una ventata di entusiasmo. Essi potrebbero costituire il punto di partenza.
Nel complesso don Samuele, pur riconoscendo che la realtà di Zogno presenta maggiori difficoltà rispetto a quella brembillese, evidenzia il fatto che gli adolescenti e i giovani non vivono in modo “traumatico” tali cambiamenti e che hanno una certa facilità nello spostarsi. Egli pone inoltre la questione dei rapporti degli adulti con i ragazzi, auspicando che a questi ultimi vengano fatte delle proposte responsabilizzanti mediante dei piccoli servizi alle comunità. Ciò rappresenta una sfida educativa da lanciare anche agli adulti.
Don Cesare espone l’esperienza della parrocchia di S. Antonio Abbandonato nella quale, dalla metà degli anni ottanta, è venuta a mancare la figura del parroco residente, ma ciò ha costituito un ulteriore impulso responsabilizzante per la comunità per la propria autogestione. E in ogni caso le proposte principali (celebrazioni e sacramenti) non sono mai venute meno.
Emerge in ogni caso l’importanza di valorizzare le tradizioni locali delle parrocchie, in modo da conseguire il duplice obiettivo di assecondare le richieste dei parrocchiani delle rispettive frazioni e valorizzare il patrimonio culturale, storico e spirituale di tali realtà.
Naturalmente occorre riscoprire il centro della vita cristiana che consiste in Gesù Cristo. Ciò deve portare a una condivisione: il “riunirsi attorno a una mensa” e il fare comunità.
Di fronte alla domanda riguardante la preparazione dei laici all’iniziativa delle unità pastorali, don Cesare accenna alla necessità di un percorso che, a livello di parrocchia, abbia come finalità il conferimento ai laici di alcune competenze precedentemente riservate alla figura del sacerdote (segreteria, visita ai malati, costituzione dei ministri straordinari dell’Eucarestia…). A tal proposito viene esposta l’esperienza dei ministri straordinari a Ubiale.
In ogni caso tale questione verrà ulteriormente sottoposta a Mons. Lino Casati in occasione del prossimo consiglio vicariale, insieme alle seguenti domande:
- Come rispondere al legittimo timore dei parrocchiani riguardante il fatto che le comunità più piccole, in virtù del fatto che la figura del parroco e il luogo dell’oratorio rappresentano ancora il punto di riferimento, si svuotino?
- Quale sarà la tempistica di realizzazione delle Unità pastorali?
- Quali sono i presupposti per l’avvio del percorso della loro creazione?
- L’Unità pastorale è dovuta solo alla mancanza dei preti o è pure una questione di fede dei credenti?
- I sacerdoti che hanno avviato il percorso di creazione dell’Unità pastorale rimarranno nelle loro sedi per poterlo portare avanti?
- Dal prossimo anno pastorale cosa siamo concretamente chiamati a fare?
Attualmente nel nostro Vicariato si sta pensando a tre Unità pastorali: Brembilla, Zogno e Endenna con Somendenna.
Rimane aperta la questione riguardante la collocazione vicariale della parrocchia di Ubiale.
La seduta è tolta intorno alle ore 22.30.
Pierluigi Rota
Verbale Consiglio Vicariale del 19 marzo 2014
Mercoledì 19 marzo alle ore 20.30 si è riunito, presso la sede dell’oratorio di Zogno, il Consiglio Pastorale Vicariale. Presente mons. Lino Casati, delegato vescovile per le Unità Pastorali, incaricato di presentare il (o meglio: di completare la visione del) progetto delle Unità Pastorali al Vicariato e di illustrare gli orizzonti concreti (e le possibilità) che, in questo contesto, si dischiuderanno alle parrocchie del nostro Vicariato, anche in relazione alle domande che, per l’occasione erano state preparate nella seduta precedente. Dopo le presentazioni di rito e i saluti, il vicario locale, don Cesare Micheletti, ha quindi aperto la seda.
La preghiera introduttiva, successivamente all’invocazione dello Santo, della cui fiamma, in questa congiuntura e per molti motivi, il nostro Vicariato sente particolarmente il bisogno, verteva sulla lettura del Vangelo del giorno, centrato sulla figura di Giuseppe (Mt 1, 16-18 e 21-24a), e di un commento di san Francesco di Sales. Le riflessioni suscitate dalla preghiera sono state molte e ci hanno predisposto alla parte successiva dell’incontro: dalla sofferenza che deriva dai dubbi che, spesso, non riusciamo a capire cosa Dio vuole da noi alla consapevolezza che Lui ci ama nonostante tutto; dalla figliolanza al padre che accomuna ognuno di noi alle difficoltà di ritrovare questa stessa unità in forme che ad essa si avvicinano, specie se si tiene conto che, spesso, la parrocchia tende a trincerarsi in se stessa; dal bisogno di sognare al coraggio di fidarsi di quella sapienza “fuori dal comune” che è la sapienza di Dio, la sapienza della Croce, che ci chiama a giocarci per intero, sia pur nei limiti delle nostre possibilità, e a non perdere tempo, perché significherebbe perdere Gesù Cristo; dal richiamo alla “Chiesa in cammino” di Papa Francesco alla disponibilità di collaborare al progetto di Dio con umiltà e coraggio; dalla consapevolezza che il cammino di Dio e quello dell’uomo non è mai lineare, ma complesso, fatto di passi in avanti e di passi indietro, di cammini in solitudine e cammini condivisi, al richiamo alla virtù della pazienza, pazienza di Dio con gli uomini e pazienza degli uomini verso gli altri e nell’attesa del compimento di ciò che Dio ci chiede.
Prima di lasciare la parola a mons. Lino, don Cesare ha poi chiamato i presenti a condividere in spirito di preghiera, umiltà e silenzio la propria vicinanza alla comunità di Endenna e a don Alessandro, che stanno vivendo un momento particolare del loro cammino. Dopo di che, mons. Lino ha preso la parola.
Questi i nodi principali del suo intervento:
1) La condivisione, come quella che si sta realizzando nel contesto semplice di questa seduta, è un momento di arricchimento. E di arricchimento reciproco. In cui ognuno è chiamato a contribuire, per arricchire se stesso e l’altro. In cui ognuno non può non essere arricchito dall’altro. Lo stesso discorso, evidentemente, vale per il progetto delle Unità Pastorali, vale a dire per un progetto che chiama le parrocchie ad aprirsi e a condividere la propria storia con quelle vicine.
2) Le Unità Pastorali non sono “Parola di Dio”. Non si tratta di una forma istituzionale che possiamo rinvenire nel Vangelo. E, peraltro, neppure nel codice del Diritto Canonico. Si tratta, al limite, di un modo vivere il Vangelo. E, come ogni modo di vivere il Vangelo, non ha ancora (e non può avere) una fisionomia precisa, che si potrà definire solo “strada facendo”.
3) La riflessione del Vicariato di Brembilla-Zogno intorno alle unità pastorali ha preceduto l’uscita dell’Instrumentum laboris diocesano, e, come tale, ha anticipato i tempi, percorrendo inoltre, oltre che quello pratico-concreto, un cammino di riflessione spirituale. Stando a questi due binari di riflessione e alla conformazione del territorio del vicariato, il vescovo intenderebbe istituirvi alcune Unità Pastorali. Nello specifico, tenendo conto delle riflessioni emerse in sede di consiglio Vicariale (Pastorale e Presbiteriale), tre: Brembilla, con Laxolo, S. Antonio e Gerosa; Zogno, con Stabello, Grumello, Ambria e Spino, Poscante e Ubiale, fermo restando la situazione particolare di quest’ultima parrocchia, che ha iniziato una collaborazione con la parrocchia di Clanezzo, del vicariato di Sedrina, ma che, finora, rimane comunque parte – e, fino ad eventuali, probabilmente non così prossimi, cambiamenti, parte integrante – del presente Vicariato; ed Endenna, con Somendenna e i due Miragolo. La decisione ultima, evidentemente, spetta proprio al Vescovo, da cui scaturiscono le parrocchie. Egli, infatti, è il responsabile primo e ultimo (beninteso, non unico) della Diocesi. Sempre da lui, peraltro, è scaturita l’esigenza, prima di sviluppare un progetto organico, di aprirsi al dialogo con le varie realtà territoriali per sondare le effettive possibilità e i relativi (oltre che eventuali) sviluppi. Esigenza culminata, appunto, nell’incontro odierno. Che, con ogni probabilità sarà solo il primo di una serie più (o meno) lunga.
Ciò premesso, mons. Lino ha poi cercato di dare risposta ai quesiti che erano stati preparati ad hoc nella seduta precedente del Consiglio. Ne è scaturito quanto segue:
1) Che ne sarà delle parrocchie più piccole? E della parrocchia in quanto tale? L’ Unità Pastorale ha una duplice finalità: custodire e valorizzare la parrocchia, che è e rimane la cellula territoriale della comunità cristiana. La parrocchia, pur tuttavia, è chiamata, come parte di un unità più grande, a rivedere il suo modo di essere tale e di custodire e trasmettere il Vangelo. Se, a partire dal Concilio di Trento (iniziato nel 1545) , era stato raccomandato ai parroci di risiedere nelle parrocchie (anche in relazione alla tentazione, tipica del tempo, di delegare ad altri le funzioni e le relative responsabilità) e – ne consegue – era maturata, nel corso dei secoli (fino ai nostri giorni) un’identità forte fra parrocchia e parroco, con tutti i vantaggi e i rischi (uno su tutti: la chiusura del campanilismo) annessi e connessi; ora, anche tenendo conto delle istanze sollevate dal Concilio vaticano II, poi specificamente richiamate dall’ultimo Sinodo diocesano (non a caso centrato sulla parrocchia), la parrocchia, che (va ribadito) rimane tale nel suo essenziale (messa domenicale, sacramenti, gesti e ricorrenze simboliche che dicono il carattere generativo della fede – si pensi alla festa patronale o ad altre liturgie tipiche delle nostre tradizioni), ma – si noti – è tale INSIEME ad altre (il riferimento, in particolare, è alle parrocchie contigue, quelle che insieme alle quelli è chiamata a costituirsi in unità. Non, semplicemente CON le ALTRE. Ma INSIEME. Nel senso di una identità condivisa. Di una missione comune. In cui nessuno (beninteso: nessuna parrocchia) deve fare e avere tutto da sé, ma insieme alle altre con cui si è costituita in unità. Unità di comunione, quindi. E, nella comunione, di condivisione e collaborazione. Questo, quindi, il volto nuovo cui la parrocchia è chiamata a conformarsi: un volto di apertura. Che tenga conto di un mondo che è cambiato (e continua a cambiare). Ma, soprattutto, della necessità di essere cristiani insieme. E insieme concretamente. In questo contesto la parrocchia piccola (e, più in generale, ogni parrocchia) può trarre un guadagno. Anzi, almeno tre guadagni: lavorando con le altre (o meglio: insieme) si apre alla ricchezza della condivisione (ciò che si diceva all’inizio, riguardo alla condivisione di questa semplice seduta di Consiglio, ad esempio), che è, forse il principale guadagno, specie se si pensa che, da sola, anche se continua al fare le stesse cose di cent’anni fa, ogni parrocchia rischia di morire, di perdere la sua essenza; se, nel contesto dell’Unità Pastorale una parrocchia rischia di perdere un prete tutto per sé, guadagna, nell’Unità, la presenza di più preti, ovvero di un presbiterio, in cui anche il prete è chiamato ad essere meno solista e a collaborare con altri; l’istituzione dell’unità Pastorale, inoltre, dovrebbe spingere i laici e i religiosi a prendersi in mano più responsabilmente la propria comunità e lavorare per essa. Insomma, nonostante qualche piccolo scombussolamento iniziale, se sogniamo, ci fidiamo e, insieme, pazientiamo (il rimando è alla riflessione scaturita dalla preghiera iniziale) non potremo che trarre da questa esperienza un guadagno. E un guadagno grande. Certo, si tratta di un cambiamento. E di un cambiamento radicale, che segna una svolta secolare nel modo di essere parrocchia. Che esige tempo. E, soprattutto, disponibilità. Voglia di mettersi in gioco. E, anche, di rischiare. Per dare alla chiesa un volto nuovo. Non migliore (ogni tempo va letto entro le sue categorie). Ma, certamente, più adatto, oggi, per testimoniare la Buona Novella.
2) Le Unità Pastorali nascono solo come esigenza di sopperire alla carenza di preti o da una motivazione-altra? Il calo dei preti e un’età media che va avanzando: questi sono dati di fatto che non è possibile trascurare. Non possiamo sapere se la proposta delle Unità Pastorali sarebbe stata avanzata senza questa situazione. Ma se sarebbe da ipocriti affermare che la proposta delle Unità Pastorali nasca indipendentemente da questo fatto, sarebbe riduttivo pensare che questo sia l’unico fattore. Se ne possono individuare almeno tre altri, ben definiti: in primo luogo, il Concilio Vaticano II, il suo monito a tener conto della realtà, a fare i conti con la realtà, per dire meglio il Vangelo, senza, per questo rinunciare al bello della tradizione (Giovanni XXIII, ché ché se ne dica, era molto legato alle tradizioni), ma con la consapevolezza che ripetere (magari acriticamente) le tradizioni è essere infedeli alle tradizioni, al loro cuore, al nucleo essenziale che le ha generate (è quest’ultimo che va imitato. quest’ultimo l’essenziale, ciò che porta innanzi la vita della Chiesa e, nella Chiesa, delle parrocchie); in secondo luogo, il Sinodo diocesano e il suo richiamo alla missionarietà della Chiesa, a una chiesa più aperta, che va, e va oltre i propri confini per annunciare con gioia il Vangelo, e alla fraternità, ovvero a una Chiesa in cui le persone che si impegnano si conoscono, progettano insieme e insieme verificano, a una Chiesa comunionale; infine, la nostra società globalizzata e la consapevolezza che le nostre comunità, in un mondo interconnesso e perennemente in movimento, sono già aperte. Si tratta, in sintesi di una conversione pastorale che la Chiesa è chiamata a vivere: la conversione, infatti, non pertiene solo le singole persone, ma anche il volto più generale della Chiesa. Certo, l’Unità Pastorale non rappresenta certo la medicina che risolve tutti i problemi, ma, ciò non toglie, potrebbe essere un trampolino di lancio molto significativo.
3) Il cammino di realizzazione delle Unità Pastorali. Ci aspetteranno da percorrere (anche in ordine cronologico diverso rispetto a quello qui di seguito riportato) una serie di tappe ben definite:
- la collaborazione (in tempi medio brevi, ma non troppo: si parla di due o tre anni, come è già accaduto per le sei Unità Pastorali che verranno istituite in autunno) in alcuni settori della pastorale, rinforzando (e, se necessario, modificando) quelle già in atto e incentivandone, se possibile, altre; l’Unità Pastorale, evidentemente, non è solo collaborazione, ma collaborazione di un certo tipo; donde la necessità di tappe ulteriori, maggiormente distintive;
- una presentazione del progetto di Unità Pastorale ai vari consigli delle parrocchie coinvolte da parte del delegato del Vescovo o del vicario locale;
- incontri fra i vari operatori pastorali e i vari membri dei consigli delle parrocchie coinvolte per dar loro modo di potersi raccontare e condividere le rispettive storie;
- la formazione di una Equipe Pastorale formata dal presbiterio, di cui un moderatore/referente presso il Vescovo, e da uno o due membri per ogni parrocchia coinvolta; si tratta di un organismo unitario stabile che ha il compito di elaborare un progetto dell’Unità Pastorale, che delinea gli orizzonti comuni della stessa cercando di armonizzare il più possibile la vita pastorale; nel progetto si distinguerà ciò che pertiene le singole parrocchie e ciò che, invece, verrà realizzato insieme; l’equipe, che rimarrà in carica anche dopo l’istituzione dell’Unità Pastorale, sarà chiamata anche a verificare la realizzazione del progetto stesso; fermo restando che il progetto, essendo l’Unità pastorale una novità (e una novità grande) potrebbe anche non essere completato prima dell’istituzione dell’Unità, ma cammin facendo, quando passo dopo passo, sarà possibile intravedere i sentieri migliori da percorrere e gli eventuali correttivi da apportare;
- l’istituzione vera e propria dell’Unità Pastorale per effetto di un decreto del vescovo e di una celebrazione liturgica particolare.
Si tratta, evidentemente di un lavoro che richiede pazienza (“il lungo respiro della passione” come ha echeggiato mons. Lino) ma che dovrà essere svolto anche con una certa cadenza. Senza che il tempo stesso atrofizzi la passione. La passione, ovvero: il motore autentico dell’Unità. Di ogni unità. Di ogni cammino.
4) Il presbiterio. Le possibilità che si dischiudono rispetto all’organizzazione del presbiterio dell’unità sono molteplici, ma il vescovo, fermo restando l’unicità di ogni situazione, sarebbe propenso a indicare nella presenza di un solo parroco (parroco di tutte le parrocchie dell’Unità, sia pur residente, evidentemente, in una sola) circondato da un determinato numero di vicari collaboratori. Il parroco unico, infatti, incarnerebbe più visibilmente l’unità delle varie parrocchie. Anche se – ciò rimane fuor di dubbio – è la comunità, nei suoi diversi membri, che è chiamata a mettersi in gioco.
Al termine della riflessione di mons. Lino, fa seguito l’ultima fase della seduta, centrata sulla condivisione dei vari membri a partire da quanto emerso. Condivisione, anzitutto, di una consapevolezza: che sembra essere giunto il momento, per un motivo o per l’altro, che le parrocchie si aprano. Si costituiscano missionarie e sorelle. Anche in questo caso, al di là di questa comune consapevolezza, è possibile offrire una sintesi per punti. Al modo che segue:
1) La questione economica: una patata bollente? La parrocchia – questa la risposta di mons. Lino – è e rimane titolare dei beni di sua proprietà e il Consiglio degli Affari Economici rimane in carica a tutti gli effetti anche dopo l’istituzione dell’Unità Pastorale. Tuttavia, nel contesto nuovo dell’Unità Pastorale, ogni parrocchia sarà chiamata a mettere in comune qualcosa. Con una formula giuridica da studiare, certo. Una possibilità, emersa a partire dalle situazioni già avviate, potrebbe essere l’istituzione di una cassa comune per le attività da fare insieme. Ma non è detto che sia la formula più adatta per noi. E che sia sufficiente. Missionarietà e fraternità: ci dovremo lasciar guidare da queste due bussole. E offrire concreti segni di solidarietà.
2) La situazione, ad oggi, delle varie parrocchie che verranno coinvolte. La parrocchia di Ambria-Spino, data la situazione particolare che da qualche mese vive, ha già tessuto una collaborazione forte con quella di Zogno, una sorta di Unità Pastorale ante litteram che, a quanto pare, sta già dando discreti frutti. La piccola parrocchia di Sant’Antonio da ventidue anni senza parroco residente, condivide il parroco con quella di Brembilla e, quindi, nonostante le fatiche, ha già alle spalle un’esperienza di condivisione che dice dei vantaggi (e, appunto, delle fatiche) del vivere in unità. La situazione di Ubiale, come si diceva, è in stand-by e, dato che a breve non sembrano essere previsti cambiamenti, urge sollecitare una qual certa collaborazione con le parrocchie vicine del vicariato, specie se si considera che in parrocchia la questione delle Unità non è ancora particolarmente sentita. La parrocchia di Endenna attende, evidentemente, gli sviluppi della sua situazione.
3) Saranno gli attuali sacerdoti a guidare la transizione? Difficile saperlo adesso, ma sono i sacerdoti presenti ad oggi e la comunità tutta che dovranno prendersene carico. Assumendone l’onere, certo, ma anche l’onore. Sotto la regia del delegato vescovile e del vicario locale.
4 )Scenari futuri. Don Lino non nega la possibilità, auspicata da alcuni membri del consiglio, che le due Unità che si dovrebbero costituire intorno a Zogno ed Endenna possano fondersi, nel tempo, in una sola unità, secondo quanto inizialmente il Consiglio Pastorale Vicariale aveva proposto. Lasciando che sia lo Spirito Santo, a fronte dei limiti prospettici di noi comuni mortali, ad agire (in noi e attraverso di noi) secondo quanto riterrà più opportuno. La gradualità si definisce, in tal senso, come una sorta di declinazione della pazienza.
5) Il ruolo dei sacerdoti anziani residenti in zona, sia pur non titolari di alcuna parrocchia, potrebbe essere determinante: una ricchezza in più.
La seduta, intensa nella condivisione, è tolta, previa preghiera conclusiva, intorno alle 22.45.
Sandro
La preghiera introduttiva, successivamente all’invocazione dello Santo, della cui fiamma, in questa congiuntura e per molti motivi, il nostro Vicariato sente particolarmente il bisogno, verteva sulla lettura del Vangelo del giorno, centrato sulla figura di Giuseppe (Mt 1, 16-18 e 21-24a), e di un commento di san Francesco di Sales. Le riflessioni suscitate dalla preghiera sono state molte e ci hanno predisposto alla parte successiva dell’incontro: dalla sofferenza che deriva dai dubbi che, spesso, non riusciamo a capire cosa Dio vuole da noi alla consapevolezza che Lui ci ama nonostante tutto; dalla figliolanza al padre che accomuna ognuno di noi alle difficoltà di ritrovare questa stessa unità in forme che ad essa si avvicinano, specie se si tiene conto che, spesso, la parrocchia tende a trincerarsi in se stessa; dal bisogno di sognare al coraggio di fidarsi di quella sapienza “fuori dal comune” che è la sapienza di Dio, la sapienza della Croce, che ci chiama a giocarci per intero, sia pur nei limiti delle nostre possibilità, e a non perdere tempo, perché significherebbe perdere Gesù Cristo; dal richiamo alla “Chiesa in cammino” di Papa Francesco alla disponibilità di collaborare al progetto di Dio con umiltà e coraggio; dalla consapevolezza che il cammino di Dio e quello dell’uomo non è mai lineare, ma complesso, fatto di passi in avanti e di passi indietro, di cammini in solitudine e cammini condivisi, al richiamo alla virtù della pazienza, pazienza di Dio con gli uomini e pazienza degli uomini verso gli altri e nell’attesa del compimento di ciò che Dio ci chiede.
Prima di lasciare la parola a mons. Lino, don Cesare ha poi chiamato i presenti a condividere in spirito di preghiera, umiltà e silenzio la propria vicinanza alla comunità di Endenna e a don Alessandro, che stanno vivendo un momento particolare del loro cammino. Dopo di che, mons. Lino ha preso la parola.
Questi i nodi principali del suo intervento:
1) La condivisione, come quella che si sta realizzando nel contesto semplice di questa seduta, è un momento di arricchimento. E di arricchimento reciproco. In cui ognuno è chiamato a contribuire, per arricchire se stesso e l’altro. In cui ognuno non può non essere arricchito dall’altro. Lo stesso discorso, evidentemente, vale per il progetto delle Unità Pastorali, vale a dire per un progetto che chiama le parrocchie ad aprirsi e a condividere la propria storia con quelle vicine.
2) Le Unità Pastorali non sono “Parola di Dio”. Non si tratta di una forma istituzionale che possiamo rinvenire nel Vangelo. E, peraltro, neppure nel codice del Diritto Canonico. Si tratta, al limite, di un modo vivere il Vangelo. E, come ogni modo di vivere il Vangelo, non ha ancora (e non può avere) una fisionomia precisa, che si potrà definire solo “strada facendo”.
3) La riflessione del Vicariato di Brembilla-Zogno intorno alle unità pastorali ha preceduto l’uscita dell’Instrumentum laboris diocesano, e, come tale, ha anticipato i tempi, percorrendo inoltre, oltre che quello pratico-concreto, un cammino di riflessione spirituale. Stando a questi due binari di riflessione e alla conformazione del territorio del vicariato, il vescovo intenderebbe istituirvi alcune Unità Pastorali. Nello specifico, tenendo conto delle riflessioni emerse in sede di consiglio Vicariale (Pastorale e Presbiteriale), tre: Brembilla, con Laxolo, S. Antonio e Gerosa; Zogno, con Stabello, Grumello, Ambria e Spino, Poscante e Ubiale, fermo restando la situazione particolare di quest’ultima parrocchia, che ha iniziato una collaborazione con la parrocchia di Clanezzo, del vicariato di Sedrina, ma che, finora, rimane comunque parte – e, fino ad eventuali, probabilmente non così prossimi, cambiamenti, parte integrante – del presente Vicariato; ed Endenna, con Somendenna e i due Miragolo. La decisione ultima, evidentemente, spetta proprio al Vescovo, da cui scaturiscono le parrocchie. Egli, infatti, è il responsabile primo e ultimo (beninteso, non unico) della Diocesi. Sempre da lui, peraltro, è scaturita l’esigenza, prima di sviluppare un progetto organico, di aprirsi al dialogo con le varie realtà territoriali per sondare le effettive possibilità e i relativi (oltre che eventuali) sviluppi. Esigenza culminata, appunto, nell’incontro odierno. Che, con ogni probabilità sarà solo il primo di una serie più (o meno) lunga.
Ciò premesso, mons. Lino ha poi cercato di dare risposta ai quesiti che erano stati preparati ad hoc nella seduta precedente del Consiglio. Ne è scaturito quanto segue:
1) Che ne sarà delle parrocchie più piccole? E della parrocchia in quanto tale? L’ Unità Pastorale ha una duplice finalità: custodire e valorizzare la parrocchia, che è e rimane la cellula territoriale della comunità cristiana. La parrocchia, pur tuttavia, è chiamata, come parte di un unità più grande, a rivedere il suo modo di essere tale e di custodire e trasmettere il Vangelo. Se, a partire dal Concilio di Trento (iniziato nel 1545) , era stato raccomandato ai parroci di risiedere nelle parrocchie (anche in relazione alla tentazione, tipica del tempo, di delegare ad altri le funzioni e le relative responsabilità) e – ne consegue – era maturata, nel corso dei secoli (fino ai nostri giorni) un’identità forte fra parrocchia e parroco, con tutti i vantaggi e i rischi (uno su tutti: la chiusura del campanilismo) annessi e connessi; ora, anche tenendo conto delle istanze sollevate dal Concilio vaticano II, poi specificamente richiamate dall’ultimo Sinodo diocesano (non a caso centrato sulla parrocchia), la parrocchia, che (va ribadito) rimane tale nel suo essenziale (messa domenicale, sacramenti, gesti e ricorrenze simboliche che dicono il carattere generativo della fede – si pensi alla festa patronale o ad altre liturgie tipiche delle nostre tradizioni), ma – si noti – è tale INSIEME ad altre (il riferimento, in particolare, è alle parrocchie contigue, quelle che insieme alle quelli è chiamata a costituirsi in unità. Non, semplicemente CON le ALTRE. Ma INSIEME. Nel senso di una identità condivisa. Di una missione comune. In cui nessuno (beninteso: nessuna parrocchia) deve fare e avere tutto da sé, ma insieme alle altre con cui si è costituita in unità. Unità di comunione, quindi. E, nella comunione, di condivisione e collaborazione. Questo, quindi, il volto nuovo cui la parrocchia è chiamata a conformarsi: un volto di apertura. Che tenga conto di un mondo che è cambiato (e continua a cambiare). Ma, soprattutto, della necessità di essere cristiani insieme. E insieme concretamente. In questo contesto la parrocchia piccola (e, più in generale, ogni parrocchia) può trarre un guadagno. Anzi, almeno tre guadagni: lavorando con le altre (o meglio: insieme) si apre alla ricchezza della condivisione (ciò che si diceva all’inizio, riguardo alla condivisione di questa semplice seduta di Consiglio, ad esempio), che è, forse il principale guadagno, specie se si pensa che, da sola, anche se continua al fare le stesse cose di cent’anni fa, ogni parrocchia rischia di morire, di perdere la sua essenza; se, nel contesto dell’Unità Pastorale una parrocchia rischia di perdere un prete tutto per sé, guadagna, nell’Unità, la presenza di più preti, ovvero di un presbiterio, in cui anche il prete è chiamato ad essere meno solista e a collaborare con altri; l’istituzione dell’unità Pastorale, inoltre, dovrebbe spingere i laici e i religiosi a prendersi in mano più responsabilmente la propria comunità e lavorare per essa. Insomma, nonostante qualche piccolo scombussolamento iniziale, se sogniamo, ci fidiamo e, insieme, pazientiamo (il rimando è alla riflessione scaturita dalla preghiera iniziale) non potremo che trarre da questa esperienza un guadagno. E un guadagno grande. Certo, si tratta di un cambiamento. E di un cambiamento radicale, che segna una svolta secolare nel modo di essere parrocchia. Che esige tempo. E, soprattutto, disponibilità. Voglia di mettersi in gioco. E, anche, di rischiare. Per dare alla chiesa un volto nuovo. Non migliore (ogni tempo va letto entro le sue categorie). Ma, certamente, più adatto, oggi, per testimoniare la Buona Novella.
2) Le Unità Pastorali nascono solo come esigenza di sopperire alla carenza di preti o da una motivazione-altra? Il calo dei preti e un’età media che va avanzando: questi sono dati di fatto che non è possibile trascurare. Non possiamo sapere se la proposta delle Unità Pastorali sarebbe stata avanzata senza questa situazione. Ma se sarebbe da ipocriti affermare che la proposta delle Unità Pastorali nasca indipendentemente da questo fatto, sarebbe riduttivo pensare che questo sia l’unico fattore. Se ne possono individuare almeno tre altri, ben definiti: in primo luogo, il Concilio Vaticano II, il suo monito a tener conto della realtà, a fare i conti con la realtà, per dire meglio il Vangelo, senza, per questo rinunciare al bello della tradizione (Giovanni XXIII, ché ché se ne dica, era molto legato alle tradizioni), ma con la consapevolezza che ripetere (magari acriticamente) le tradizioni è essere infedeli alle tradizioni, al loro cuore, al nucleo essenziale che le ha generate (è quest’ultimo che va imitato. quest’ultimo l’essenziale, ciò che porta innanzi la vita della Chiesa e, nella Chiesa, delle parrocchie); in secondo luogo, il Sinodo diocesano e il suo richiamo alla missionarietà della Chiesa, a una chiesa più aperta, che va, e va oltre i propri confini per annunciare con gioia il Vangelo, e alla fraternità, ovvero a una Chiesa in cui le persone che si impegnano si conoscono, progettano insieme e insieme verificano, a una Chiesa comunionale; infine, la nostra società globalizzata e la consapevolezza che le nostre comunità, in un mondo interconnesso e perennemente in movimento, sono già aperte. Si tratta, in sintesi di una conversione pastorale che la Chiesa è chiamata a vivere: la conversione, infatti, non pertiene solo le singole persone, ma anche il volto più generale della Chiesa. Certo, l’Unità Pastorale non rappresenta certo la medicina che risolve tutti i problemi, ma, ciò non toglie, potrebbe essere un trampolino di lancio molto significativo.
3) Il cammino di realizzazione delle Unità Pastorali. Ci aspetteranno da percorrere (anche in ordine cronologico diverso rispetto a quello qui di seguito riportato) una serie di tappe ben definite:
- la collaborazione (in tempi medio brevi, ma non troppo: si parla di due o tre anni, come è già accaduto per le sei Unità Pastorali che verranno istituite in autunno) in alcuni settori della pastorale, rinforzando (e, se necessario, modificando) quelle già in atto e incentivandone, se possibile, altre; l’Unità Pastorale, evidentemente, non è solo collaborazione, ma collaborazione di un certo tipo; donde la necessità di tappe ulteriori, maggiormente distintive;
- una presentazione del progetto di Unità Pastorale ai vari consigli delle parrocchie coinvolte da parte del delegato del Vescovo o del vicario locale;
- incontri fra i vari operatori pastorali e i vari membri dei consigli delle parrocchie coinvolte per dar loro modo di potersi raccontare e condividere le rispettive storie;
- la formazione di una Equipe Pastorale formata dal presbiterio, di cui un moderatore/referente presso il Vescovo, e da uno o due membri per ogni parrocchia coinvolta; si tratta di un organismo unitario stabile che ha il compito di elaborare un progetto dell’Unità Pastorale, che delinea gli orizzonti comuni della stessa cercando di armonizzare il più possibile la vita pastorale; nel progetto si distinguerà ciò che pertiene le singole parrocchie e ciò che, invece, verrà realizzato insieme; l’equipe, che rimarrà in carica anche dopo l’istituzione dell’Unità Pastorale, sarà chiamata anche a verificare la realizzazione del progetto stesso; fermo restando che il progetto, essendo l’Unità pastorale una novità (e una novità grande) potrebbe anche non essere completato prima dell’istituzione dell’Unità, ma cammin facendo, quando passo dopo passo, sarà possibile intravedere i sentieri migliori da percorrere e gli eventuali correttivi da apportare;
- l’istituzione vera e propria dell’Unità Pastorale per effetto di un decreto del vescovo e di una celebrazione liturgica particolare.
Si tratta, evidentemente di un lavoro che richiede pazienza (“il lungo respiro della passione” come ha echeggiato mons. Lino) ma che dovrà essere svolto anche con una certa cadenza. Senza che il tempo stesso atrofizzi la passione. La passione, ovvero: il motore autentico dell’Unità. Di ogni unità. Di ogni cammino.
4) Il presbiterio. Le possibilità che si dischiudono rispetto all’organizzazione del presbiterio dell’unità sono molteplici, ma il vescovo, fermo restando l’unicità di ogni situazione, sarebbe propenso a indicare nella presenza di un solo parroco (parroco di tutte le parrocchie dell’Unità, sia pur residente, evidentemente, in una sola) circondato da un determinato numero di vicari collaboratori. Il parroco unico, infatti, incarnerebbe più visibilmente l’unità delle varie parrocchie. Anche se – ciò rimane fuor di dubbio – è la comunità, nei suoi diversi membri, che è chiamata a mettersi in gioco.
Al termine della riflessione di mons. Lino, fa seguito l’ultima fase della seduta, centrata sulla condivisione dei vari membri a partire da quanto emerso. Condivisione, anzitutto, di una consapevolezza: che sembra essere giunto il momento, per un motivo o per l’altro, che le parrocchie si aprano. Si costituiscano missionarie e sorelle. Anche in questo caso, al di là di questa comune consapevolezza, è possibile offrire una sintesi per punti. Al modo che segue:
1) La questione economica: una patata bollente? La parrocchia – questa la risposta di mons. Lino – è e rimane titolare dei beni di sua proprietà e il Consiglio degli Affari Economici rimane in carica a tutti gli effetti anche dopo l’istituzione dell’Unità Pastorale. Tuttavia, nel contesto nuovo dell’Unità Pastorale, ogni parrocchia sarà chiamata a mettere in comune qualcosa. Con una formula giuridica da studiare, certo. Una possibilità, emersa a partire dalle situazioni già avviate, potrebbe essere l’istituzione di una cassa comune per le attività da fare insieme. Ma non è detto che sia la formula più adatta per noi. E che sia sufficiente. Missionarietà e fraternità: ci dovremo lasciar guidare da queste due bussole. E offrire concreti segni di solidarietà.
2) La situazione, ad oggi, delle varie parrocchie che verranno coinvolte. La parrocchia di Ambria-Spino, data la situazione particolare che da qualche mese vive, ha già tessuto una collaborazione forte con quella di Zogno, una sorta di Unità Pastorale ante litteram che, a quanto pare, sta già dando discreti frutti. La piccola parrocchia di Sant’Antonio da ventidue anni senza parroco residente, condivide il parroco con quella di Brembilla e, quindi, nonostante le fatiche, ha già alle spalle un’esperienza di condivisione che dice dei vantaggi (e, appunto, delle fatiche) del vivere in unità. La situazione di Ubiale, come si diceva, è in stand-by e, dato che a breve non sembrano essere previsti cambiamenti, urge sollecitare una qual certa collaborazione con le parrocchie vicine del vicariato, specie se si considera che in parrocchia la questione delle Unità non è ancora particolarmente sentita. La parrocchia di Endenna attende, evidentemente, gli sviluppi della sua situazione.
3) Saranno gli attuali sacerdoti a guidare la transizione? Difficile saperlo adesso, ma sono i sacerdoti presenti ad oggi e la comunità tutta che dovranno prendersene carico. Assumendone l’onere, certo, ma anche l’onore. Sotto la regia del delegato vescovile e del vicario locale.
4 )Scenari futuri. Don Lino non nega la possibilità, auspicata da alcuni membri del consiglio, che le due Unità che si dovrebbero costituire intorno a Zogno ed Endenna possano fondersi, nel tempo, in una sola unità, secondo quanto inizialmente il Consiglio Pastorale Vicariale aveva proposto. Lasciando che sia lo Spirito Santo, a fronte dei limiti prospettici di noi comuni mortali, ad agire (in noi e attraverso di noi) secondo quanto riterrà più opportuno. La gradualità si definisce, in tal senso, come una sorta di declinazione della pazienza.
5) Il ruolo dei sacerdoti anziani residenti in zona, sia pur non titolari di alcuna parrocchia, potrebbe essere determinante: una ricchezza in più.
La seduta, intensa nella condivisione, è tolta, previa preghiera conclusiva, intorno alle 22.45.
Sandro
Verbale Consiglio Vicariale del 14 maggio 2014
Mercoledì 14 maggio alle ore 20.30 si è riunito, presso la sede dell’oratorio di Zogno, il Consiglio Pastorale Vicariale. Si è trattato dell’ultima seduta presieduta dal vicario locale don Cesare Micheletti, il cui mandato è in scadenza. A settembre è prevista l’elezione del nuovo vicario (o, nel caso, la riconferma di quello uscente). E, proprio per dare una degna conclusione al lavoro di questi anni, si è deciso di riunire, per l’occasione i Consigli Pastorale e Presbiteriale, con l’obiettivo di porre fine al lavoro sulle Unità Pastorali che ha caratterizzato la maggior parte delle sedute precedenti. Dopo la preghiera introduttiva, infatti, don Cesare ha consegnato un libretto che contiene tutti i verbali delle sedute in cui è stato posta al centro la questione delle Unità Pastorali, lo stesso che è stato consegnato al Vescovo nel corso dell’ultima, recente visita al nostro vicariato; lo stesso, attraverso il quale il nostro Vescovo ha avuto modo di prendere coscienza del (e, non ultimo, elogiare il) percorso fin qui portato innanzi in sede di Consiglio. Successivamente, sempre don Cesare, ha proposto tre spunti di riflessione a partire da quanto il Vescovo Francesco ha riferito in sede di Consiglio Presbiteriale Diocesano:
1) sarà sempre più importante che gli organismi ecclesiali abbiano ad essere presenti (e funzionali) nelle diverse parrocchie e nei vicariati;
2) lavorare insieme sarà sempre più necessario;
3) lavorare, pensare, discernere insieme: tre dimensioni in cui i laici avranno un ruolo sempre più importante (si pensi, in ottica di Unità Pastorale, all’Equipe Pastorale, che si costituirà, oltre che dai vari sacerdoti, da rappresentanti laici di ogni comunità);
La riflessione scaturita dal lavoro sulle Unità Pastorali di questi anni e dalle riflessioni offerte questa sera si è articolata, cronologicamente, secondo i seguenti punti.
- In alcune parrocchie, nonostante l’apporto prezioso del Vicariato, la proposta non è ancora sentita, specie da parte di gruppi (più o meno ristretti) che diffidano della possibilità di una condivisione progettuale della pastorale.Si renderà necessario un lavoro di preparazione più lungo, anche perché in alcune realtà il lavoro è stato avviato tardi o non è stato addirittura avviato. Si auspica, a questo proposito, che la gradualità del processo che porterà all’istituzione delle Unità Pastorali possa coinvolgere positivamente tutti.
- La partecipazione responsabile dei laici richiede una certa preparazione. Il rischio è quello che, a fronte dei ritmi, delle esigenze e dei bisogni urgenti di ogni comunità, non sia disponibile un tempo sufficiente alla formazione. Don Cesare, a questo proposito, sottolinea come l’esigenza di preparazione, che in generale coinvolge tutti e da sempre, si rivolge specificamente a chi svolgerà ruoli di responsabilità nel contesto dell’Unità: i membri dell’equipe, i ministri straordinari della Comunione, ecc.
- Si sottolinea come don Lino avesse posto le Unità Pastorali nell’orizzonte ampio di un ritorno all’essenziale, di una concentrazione su obiettivi chiari che, senza soffocare la specificità delle varie parrocchie, dia modo di far luce sul nucleo più profondo dell’essere Chiesa evangelizzatrice e orante.
- Lavorare insieme, oltre che sempre più necessario, è bello. Significa porsi in relazione con l’altro.
- Lavorare insieme permette di accantonare ogni forma di individualismo perché chiama tutti a raccolta: siamo chiamati, in tal senso, a condividere e collaborare fin da subito, senza rinviare a domani ciò che è possibile iniziare a fare oggi. Poiché il primo passo, quello che mette in moto un cammino, è essenziale. E va fatto.
- E’ un esigenza impellente quella di trasmettere, ognuno nelle proprie comunità, laici e sacerdoti, questo senso di comunione. L’appartenenza al Consiglio Vicariale ci chiama, come tale, a una responsabilità.
- L’Unità Pastorale è ciò che noi ne faremo. Faremo, appunto. Perché, come suggerisce la Scrittura, siamo chiamati a fare e ascoltare quello che il Signore comanderà. Non nel senso che l’Unità Pastorale sia un comandamento del Signore, ma nel senso che, a volte, il fare precede l’ascolto. Che il fare è e rimane essenziale. Fare anche (anzi: soprattutto) nella preghiera.
- Essere unità è esperienza che abbiamo avuto modo di sperimentare anche nel contesto del Consiglio Vicariale. Ci ha aiutato ad assumerci le nostre responsabilità e a metterci in gioco. Nel dialogo, infatti, si cresce insieme. Il dialogo aiuta a fuoriuscire dalla propria mentalità. Ad aprirsi all’alterità. Ponendo al centro Gesù.
- Lavorare insieme (e lavorare appassionatamente) ci rende più credibili. “Vi riconosceranno per come vi amate gli uni gli altri”: solo in tal modo la Croce è posta al centro. E diventa il testimone che ciascuno può consegnare nelle mani di un altro perché il messaggio dell’Amore si diffonda in tutto il mondo.
- Cosa intendiamo fare quindi? Cosa siamo tenuti a fare? Sicuramente a seguire i passi suggeriti da don Lino. A camminare per gradi, quindi. Senza fare salti mortali. Ad aspettare le direttive della Diocesi, certo, ma anche ad assumerci, noi per primi, l’onere e l’onore di camminare. Fin da subito. Dove ci si crede e si investono energie, infatti, l’Unità funziona ed ha permesso di arricchire la vita pastorale. Dove non ci si crede non ha funzionato e si è stati costretti a fare un passo “indietro”. Il riferimento, nell’uno e nell’altro caso, è alla Diocesi di Milano. “Dove ci si crede”, ovvero: è necessario riporre la fiducia in quello che si vuol fare. E pregare. Tanto. Non a caso, papa Giovanni Paolo II è stato assurto a santo così velocemente (la stessa cosa dicasi per il dogma dell’Immacolata Concezione) perché il popolo di Dio era concorde e ha innalzato il proprio canto. Come dire: se preghiamo la Chiesa unita, la chiesa unità diventerà una realtà!
- L’Unità Pastorale ci fa paura perché rispecchia ciò che doveva essere (e, spesso, non è stata) la parrocchia. Ovvero: missionaria! Unità Pastorale, in tal senso, è sinonimo di conversione.
- Certo, accanto alla meta da perseguire, che dovrebbe essere sempre tenuta in considerazione, vale anche la politica dei piccoli passi e dei piccoli (ma pur sempre significativi) gesti: a partire, ad esempio da una calendarizzazione (previa programmazione) delle cose che si potrebbero fare insieme, anche prima dell’istituzione di un Unità.
- Sarebbe meglio aspettare settembre/ottobre, quando avremo probabilmente a disposizione un quadro più chiaro dei nuovi sacerdoti in arrivo (si pensa a Endenna ad esempio, ma non solo)? A chi ritiene che sia meglio una politica di attesa per meglio valutare le risorse umane che avremo a disposizione, si contrappone chi, invece, ritiene che ognuno, fin da subito, dovrebbe e potrebbe, al di là di quanto ci aspetta nel futuro (di più: per preparare al meglio il futuro), contribuire a preparare il cammino. Concretamente. Ad esempio, pensando alla composizione dell’equipe pastorale e, ancor prima, condividendo l’esigenza di camminare insieme laddove non è ancora stata radicata (si pensa a Gerosa), creando, ad esempio, occasioni in cui i vari organismi (in particolare il riferimento è ai Consigli Pastorali, magari invitando, come è già stato fatto, don Lino Casati) si possano riunire congiuntamente.E occasioni di preghiera per L’Unità. Con la consapevolezza che l’Unità Pastorale non si limita a un interscambio dei celebranti sul territorio. E che qualcosa già si sta muovendo (si pensi alla coordinazione della struttura comune del CRE intorno al territorio delle parrocchie zognesi).
La seduta è tolta alle 22.45 dopo la recita, insieme, della compieta.
Sandro
1) sarà sempre più importante che gli organismi ecclesiali abbiano ad essere presenti (e funzionali) nelle diverse parrocchie e nei vicariati;
2) lavorare insieme sarà sempre più necessario;
3) lavorare, pensare, discernere insieme: tre dimensioni in cui i laici avranno un ruolo sempre più importante (si pensi, in ottica di Unità Pastorale, all’Equipe Pastorale, che si costituirà, oltre che dai vari sacerdoti, da rappresentanti laici di ogni comunità);
La riflessione scaturita dal lavoro sulle Unità Pastorali di questi anni e dalle riflessioni offerte questa sera si è articolata, cronologicamente, secondo i seguenti punti.
- In alcune parrocchie, nonostante l’apporto prezioso del Vicariato, la proposta non è ancora sentita, specie da parte di gruppi (più o meno ristretti) che diffidano della possibilità di una condivisione progettuale della pastorale.Si renderà necessario un lavoro di preparazione più lungo, anche perché in alcune realtà il lavoro è stato avviato tardi o non è stato addirittura avviato. Si auspica, a questo proposito, che la gradualità del processo che porterà all’istituzione delle Unità Pastorali possa coinvolgere positivamente tutti.
- La partecipazione responsabile dei laici richiede una certa preparazione. Il rischio è quello che, a fronte dei ritmi, delle esigenze e dei bisogni urgenti di ogni comunità, non sia disponibile un tempo sufficiente alla formazione. Don Cesare, a questo proposito, sottolinea come l’esigenza di preparazione, che in generale coinvolge tutti e da sempre, si rivolge specificamente a chi svolgerà ruoli di responsabilità nel contesto dell’Unità: i membri dell’equipe, i ministri straordinari della Comunione, ecc.
- Si sottolinea come don Lino avesse posto le Unità Pastorali nell’orizzonte ampio di un ritorno all’essenziale, di una concentrazione su obiettivi chiari che, senza soffocare la specificità delle varie parrocchie, dia modo di far luce sul nucleo più profondo dell’essere Chiesa evangelizzatrice e orante.
- Lavorare insieme, oltre che sempre più necessario, è bello. Significa porsi in relazione con l’altro.
- Lavorare insieme permette di accantonare ogni forma di individualismo perché chiama tutti a raccolta: siamo chiamati, in tal senso, a condividere e collaborare fin da subito, senza rinviare a domani ciò che è possibile iniziare a fare oggi. Poiché il primo passo, quello che mette in moto un cammino, è essenziale. E va fatto.
- E’ un esigenza impellente quella di trasmettere, ognuno nelle proprie comunità, laici e sacerdoti, questo senso di comunione. L’appartenenza al Consiglio Vicariale ci chiama, come tale, a una responsabilità.
- L’Unità Pastorale è ciò che noi ne faremo. Faremo, appunto. Perché, come suggerisce la Scrittura, siamo chiamati a fare e ascoltare quello che il Signore comanderà. Non nel senso che l’Unità Pastorale sia un comandamento del Signore, ma nel senso che, a volte, il fare precede l’ascolto. Che il fare è e rimane essenziale. Fare anche (anzi: soprattutto) nella preghiera.
- Essere unità è esperienza che abbiamo avuto modo di sperimentare anche nel contesto del Consiglio Vicariale. Ci ha aiutato ad assumerci le nostre responsabilità e a metterci in gioco. Nel dialogo, infatti, si cresce insieme. Il dialogo aiuta a fuoriuscire dalla propria mentalità. Ad aprirsi all’alterità. Ponendo al centro Gesù.
- Lavorare insieme (e lavorare appassionatamente) ci rende più credibili. “Vi riconosceranno per come vi amate gli uni gli altri”: solo in tal modo la Croce è posta al centro. E diventa il testimone che ciascuno può consegnare nelle mani di un altro perché il messaggio dell’Amore si diffonda in tutto il mondo.
- Cosa intendiamo fare quindi? Cosa siamo tenuti a fare? Sicuramente a seguire i passi suggeriti da don Lino. A camminare per gradi, quindi. Senza fare salti mortali. Ad aspettare le direttive della Diocesi, certo, ma anche ad assumerci, noi per primi, l’onere e l’onore di camminare. Fin da subito. Dove ci si crede e si investono energie, infatti, l’Unità funziona ed ha permesso di arricchire la vita pastorale. Dove non ci si crede non ha funzionato e si è stati costretti a fare un passo “indietro”. Il riferimento, nell’uno e nell’altro caso, è alla Diocesi di Milano. “Dove ci si crede”, ovvero: è necessario riporre la fiducia in quello che si vuol fare. E pregare. Tanto. Non a caso, papa Giovanni Paolo II è stato assurto a santo così velocemente (la stessa cosa dicasi per il dogma dell’Immacolata Concezione) perché il popolo di Dio era concorde e ha innalzato il proprio canto. Come dire: se preghiamo la Chiesa unita, la chiesa unità diventerà una realtà!
- L’Unità Pastorale ci fa paura perché rispecchia ciò che doveva essere (e, spesso, non è stata) la parrocchia. Ovvero: missionaria! Unità Pastorale, in tal senso, è sinonimo di conversione.
- Certo, accanto alla meta da perseguire, che dovrebbe essere sempre tenuta in considerazione, vale anche la politica dei piccoli passi e dei piccoli (ma pur sempre significativi) gesti: a partire, ad esempio da una calendarizzazione (previa programmazione) delle cose che si potrebbero fare insieme, anche prima dell’istituzione di un Unità.
- Sarebbe meglio aspettare settembre/ottobre, quando avremo probabilmente a disposizione un quadro più chiaro dei nuovi sacerdoti in arrivo (si pensa a Endenna ad esempio, ma non solo)? A chi ritiene che sia meglio una politica di attesa per meglio valutare le risorse umane che avremo a disposizione, si contrappone chi, invece, ritiene che ognuno, fin da subito, dovrebbe e potrebbe, al di là di quanto ci aspetta nel futuro (di più: per preparare al meglio il futuro), contribuire a preparare il cammino. Concretamente. Ad esempio, pensando alla composizione dell’equipe pastorale e, ancor prima, condividendo l’esigenza di camminare insieme laddove non è ancora stata radicata (si pensa a Gerosa), creando, ad esempio, occasioni in cui i vari organismi (in particolare il riferimento è ai Consigli Pastorali, magari invitando, come è già stato fatto, don Lino Casati) si possano riunire congiuntamente.E occasioni di preghiera per L’Unità. Con la consapevolezza che l’Unità Pastorale non si limita a un interscambio dei celebranti sul territorio. E che qualcosa già si sta muovendo (si pensi alla coordinazione della struttura comune del CRE intorno al territorio delle parrocchie zognesi).
La seduta è tolta alle 22.45 dopo la recita, insieme, della compieta.
Sandro
Verbale Consiglio Vicariale del 12 novembre 2014
Mercoledì 12 novembre 2014 alle ore 20.45 si è tenuta, presso l’Oratorio di Zogno, la prima seduta del Consiglio Pastorale Vicariale, alla presenza del neoeletto (per la verità rieletto) vicario locale don cesare Micheletti. Dopo la preghiera introduttiva, centrata sulla lettura di alcuni frammenti tratti dalla lettera pastorale del Vescovo Francesco, il segretario del Consiglio, Alessandro Pesenti, su invito del vicario locale, ha illustrato sinteticamente i tratti fondamentali della sopracitata lettera, “Donne e uomini capaci di Eucaristia”. Con l’obiettivo di raccogliere le riflessioni che già a livello parrocchiale essa ha suscitato e, soprattutto, per approfondire alcune proposte di riflessione di cui, a partire da essa, far tesoro per le nostre comunità, con particolare riferimento alla centralità dell’Eucaristia; e, non ultimo, per l’itinerario che esse stanno maturando nell’orizzonte della costituzione delle Unità Pastorali.
Questi, in sintesi, i nodi principali che nell’illustrazione, sono stati sottolineati.
- Il PRINCIPIO su cui si regge la riflessione (molto concreta) del Vescovo è profondamente teologico. E, in quanto tale, ecclesiologico: l’essenzialità della comunità per la fede di ciascuno, poiché “essere cristiano esige di esserlo insieme ad altri cristiani”. Che trovano unità in Cristo e costituiscono, insieme, il suo Corpo, la Chiesa. Ed è proprio sul modo d’essere Chiesa oggi che il vescovo, successivamente, centra la sua riflessione. Individuando l’Eucaristia come momento essenziale. Che della Chiesa è definito, addirittura, DNA.
- L’Eucaristia rappresenta il centro liturgico della vita della Chiesa, il momento in cui si fa memoria del dono di Gesù. In cui, ogni volta, accade l’evento del farsi pane e vino del corpo e sangue del Salvatore. Il riferimento, in particolare, è al testo di Atti (2, 42-47) in cui sono delineati i caratteri fondamentali della vita della chiesa delle origini. A partire dal quale il Vescovo Francesco ha inteso definire alcune ricadute esistenziali ed ecclesiali intorno a cui poter meglio vivere il nostro essere Chiesa oggi. Oggi come allora.
- Essere uomini e donne capaci di Eucaristia significa essere uomini e donne capaci, ogni volta, di meravigliarsi di fronte all’evento del farsi pane e vino di Gesù, a fronte dell’incombente tentazione costituita dalla noia. E al pericolo, forse ancora più consistente, di allontanare la noia per mezzo di un’eccessiva spettacolarizzazione della liturgia, che rischierebbe di impedire a chi vi prende parte (e prendendovi parte, celebra) di percepire l’essenziale.
- L’Eucaristia è un evento, fondamentale per la vita di ciascuno (Dio si dona) e da vivere in comunità. Va ribadito, perché oggi non è più scontato.
- Chi fa la Messa? Di contro a chi vede la Messa una cosa da preti, cui semplicemente ciascuno deve assistere o a chi vede la Messa come un momento in cui esercitare un potere (pensiamo a chi litiga per le letture, per raccogliere l’elemosina...), l’Eucaristia è “opera di Dio” che l’uomo (ogni uomo) è chiamato a celebrare. Ogni uomo, in unità: la preoccupazione fondamentale del Vescovo è che l’Eucaristia venga percepita come ciò che accomuna la comunità (le comunità...) intorno al banchetto del pane e del vino. Che è dono indistinto. E non prerogativa di questa o quella comunità. O gruppo di uomini. Un’unità chiamata a tradursi concretamente nell’amore (“Vi riconosceranno
da questa, da come vi amate gli uni gli altri”). E che, istituzionalmente, potrebbe trovare nella forma dell’Unità Pastorale un’espressione significativa di fraternità.
- La cura della celebrazione Eucaristica (modi, tempi, luoghi) è essenziale. Il Vescovo è chiaro: “Curiamo non solo gli aspetti organizzativi e i ritorni economici, ma soprattutto la qualità della proposta festiva, attesa dalle persone, dalle famiglie, dai piccoli, dai deboli, dai poveri. Il ritorno alla ferialità sia accompagnato da ciò che abbiamo sperimentato nella festa, da un’intuizione di gioia che ancora una volta per i cristiani ha la sua sorgente nella celebrazione eucaristica”.
- “Nelle Unità pastorali, nelle situazioni di più parrocchie con un solo parroco, promuovere la revisione della distribuzione delle celebrazioni eucaristiche e del significato pastorale di questa revisione”. È proprio in relazione a questi ultimi due punti e tenendo conto dei principi di cui sopra che la discussione si è aperta. Sottolineando che la moltiplicazione delle celebrazioni, spesso, implica il venir meno di quella cura cui il Vescovo ha fatto riferimento. E, quindi, la difficoltà di percepire il mistero grande di quell’Evento che ogni volta si compie. La fretta dei nostri sacerdoti, dovuta all’eccessivo numero di celebrazioni, li costringe, loro malgrado, a vivere le stesse “di corsa”. A dipendere, in un certo senso, dal poco tempo a disposizione. Poco tempo da dedicare alla preparazione della celebrazione (di ogni celebrazione). Poco tempo da dedicare alla celebrazione stessa. E, infine, poco tempo da dedicare a sostare con la propria gente dopo la celebrazione. Il mistero che in essa ogni volta si compie, certo, non viene meno. Dio non lesina mai amore per l’uomo. Ma l’uomo, stante così le cose, rischia, spesso, di non rendersene conto. Rendendo vano l’abbraccio che Dio gli offre. Non gustando di questo amore. Perché l’amore, come tale, va sempre gustato, specie se ci chiama poi, a tradurlo in altro amore. In amore per l’altro, a essere Chiesa in uscita. Affinché ciò sia possibile si ritiene che siano essenziali due ingredienti: la gioia del celebrare, che è sempre contagiosa, anche a fronte di tempi incalzanti; e la professionalità del servizio (nel senso dell’avere a cuore) che, invece, necessita di tempi più lunghi. Donde la necessità di sedersi a tavola insieme e riorganizzare, se possibile, il calendario delle celebrazioni. A questo fine - ha notato don Cesare - sarà necessario che ogni parrocchia sia chiamata a riflettere. Che ciascuno si senta coinvolto. Per questo, in vista del prossimo Consiglio, si prepareranno domande e inviti alla riflessione specifici. In modo da facilitare il lavoro. La seconda parte del Consiglio si è poi snodata secondo questa scansione:
- Mons. Sandro Assolari ha fornito a ogni membro del Consiglio un questionario (anonimo) sulla vita consacrata in relazione alla dedicazione del prossimo anno pastorale alla riflessione intorno a questa dimensione significativa dell’essere e fare Chiesa. La nostra diocesi, anche a partire dall’ultimo Consiglio Pastorale, ha preliminarmente inteso affrontare la questione sondando come la vita consacrata venga percepita nel territorio. Da qui la motivazione precipua del questionario di cui sopra. Anche in relazione al tracollo verticale di vocazioni.
- È stato poi illustrato (oltre che consegnato) il calendario vicariale di quest’anno a venire.
- Infine il vicario locale ha sollecitato la partecipazione alla manifestazione sindacale del 15 novembre a sostegno degli operai della Manifattura Valle Brembana: un modo semplice di prossimità della chiesa a chi sta vivendo un momento di difficoltà che, direttamente o indirettamente, coinvolge tutti.
La seduta è tolta, previa preghiera finale, intorno alle 22.45.
Sandro
Questi, in sintesi, i nodi principali che nell’illustrazione, sono stati sottolineati.
- Il PRINCIPIO su cui si regge la riflessione (molto concreta) del Vescovo è profondamente teologico. E, in quanto tale, ecclesiologico: l’essenzialità della comunità per la fede di ciascuno, poiché “essere cristiano esige di esserlo insieme ad altri cristiani”. Che trovano unità in Cristo e costituiscono, insieme, il suo Corpo, la Chiesa. Ed è proprio sul modo d’essere Chiesa oggi che il vescovo, successivamente, centra la sua riflessione. Individuando l’Eucaristia come momento essenziale. Che della Chiesa è definito, addirittura, DNA.
- L’Eucaristia rappresenta il centro liturgico della vita della Chiesa, il momento in cui si fa memoria del dono di Gesù. In cui, ogni volta, accade l’evento del farsi pane e vino del corpo e sangue del Salvatore. Il riferimento, in particolare, è al testo di Atti (2, 42-47) in cui sono delineati i caratteri fondamentali della vita della chiesa delle origini. A partire dal quale il Vescovo Francesco ha inteso definire alcune ricadute esistenziali ed ecclesiali intorno a cui poter meglio vivere il nostro essere Chiesa oggi. Oggi come allora.
- Essere uomini e donne capaci di Eucaristia significa essere uomini e donne capaci, ogni volta, di meravigliarsi di fronte all’evento del farsi pane e vino di Gesù, a fronte dell’incombente tentazione costituita dalla noia. E al pericolo, forse ancora più consistente, di allontanare la noia per mezzo di un’eccessiva spettacolarizzazione della liturgia, che rischierebbe di impedire a chi vi prende parte (e prendendovi parte, celebra) di percepire l’essenziale.
- L’Eucaristia è un evento, fondamentale per la vita di ciascuno (Dio si dona) e da vivere in comunità. Va ribadito, perché oggi non è più scontato.
- Chi fa la Messa? Di contro a chi vede la Messa una cosa da preti, cui semplicemente ciascuno deve assistere o a chi vede la Messa come un momento in cui esercitare un potere (pensiamo a chi litiga per le letture, per raccogliere l’elemosina...), l’Eucaristia è “opera di Dio” che l’uomo (ogni uomo) è chiamato a celebrare. Ogni uomo, in unità: la preoccupazione fondamentale del Vescovo è che l’Eucaristia venga percepita come ciò che accomuna la comunità (le comunità...) intorno al banchetto del pane e del vino. Che è dono indistinto. E non prerogativa di questa o quella comunità. O gruppo di uomini. Un’unità chiamata a tradursi concretamente nell’amore (“Vi riconosceranno
da questa, da come vi amate gli uni gli altri”). E che, istituzionalmente, potrebbe trovare nella forma dell’Unità Pastorale un’espressione significativa di fraternità.
- La cura della celebrazione Eucaristica (modi, tempi, luoghi) è essenziale. Il Vescovo è chiaro: “Curiamo non solo gli aspetti organizzativi e i ritorni economici, ma soprattutto la qualità della proposta festiva, attesa dalle persone, dalle famiglie, dai piccoli, dai deboli, dai poveri. Il ritorno alla ferialità sia accompagnato da ciò che abbiamo sperimentato nella festa, da un’intuizione di gioia che ancora una volta per i cristiani ha la sua sorgente nella celebrazione eucaristica”.
- “Nelle Unità pastorali, nelle situazioni di più parrocchie con un solo parroco, promuovere la revisione della distribuzione delle celebrazioni eucaristiche e del significato pastorale di questa revisione”. È proprio in relazione a questi ultimi due punti e tenendo conto dei principi di cui sopra che la discussione si è aperta. Sottolineando che la moltiplicazione delle celebrazioni, spesso, implica il venir meno di quella cura cui il Vescovo ha fatto riferimento. E, quindi, la difficoltà di percepire il mistero grande di quell’Evento che ogni volta si compie. La fretta dei nostri sacerdoti, dovuta all’eccessivo numero di celebrazioni, li costringe, loro malgrado, a vivere le stesse “di corsa”. A dipendere, in un certo senso, dal poco tempo a disposizione. Poco tempo da dedicare alla preparazione della celebrazione (di ogni celebrazione). Poco tempo da dedicare alla celebrazione stessa. E, infine, poco tempo da dedicare a sostare con la propria gente dopo la celebrazione. Il mistero che in essa ogni volta si compie, certo, non viene meno. Dio non lesina mai amore per l’uomo. Ma l’uomo, stante così le cose, rischia, spesso, di non rendersene conto. Rendendo vano l’abbraccio che Dio gli offre. Non gustando di questo amore. Perché l’amore, come tale, va sempre gustato, specie se ci chiama poi, a tradurlo in altro amore. In amore per l’altro, a essere Chiesa in uscita. Affinché ciò sia possibile si ritiene che siano essenziali due ingredienti: la gioia del celebrare, che è sempre contagiosa, anche a fronte di tempi incalzanti; e la professionalità del servizio (nel senso dell’avere a cuore) che, invece, necessita di tempi più lunghi. Donde la necessità di sedersi a tavola insieme e riorganizzare, se possibile, il calendario delle celebrazioni. A questo fine - ha notato don Cesare - sarà necessario che ogni parrocchia sia chiamata a riflettere. Che ciascuno si senta coinvolto. Per questo, in vista del prossimo Consiglio, si prepareranno domande e inviti alla riflessione specifici. In modo da facilitare il lavoro. La seconda parte del Consiglio si è poi snodata secondo questa scansione:
- Mons. Sandro Assolari ha fornito a ogni membro del Consiglio un questionario (anonimo) sulla vita consacrata in relazione alla dedicazione del prossimo anno pastorale alla riflessione intorno a questa dimensione significativa dell’essere e fare Chiesa. La nostra diocesi, anche a partire dall’ultimo Consiglio Pastorale, ha preliminarmente inteso affrontare la questione sondando come la vita consacrata venga percepita nel territorio. Da qui la motivazione precipua del questionario di cui sopra. Anche in relazione al tracollo verticale di vocazioni.
- È stato poi illustrato (oltre che consegnato) il calendario vicariale di quest’anno a venire.
- Infine il vicario locale ha sollecitato la partecipazione alla manifestazione sindacale del 15 novembre a sostegno degli operai della Manifattura Valle Brembana: un modo semplice di prossimità della chiesa a chi sta vivendo un momento di difficoltà che, direttamente o indirettamente, coinvolge tutti.
La seduta è tolta, previa preghiera finale, intorno alle 22.45.
Sandro